Nel corso dell’Udienza Generale del 28 dicembre 2005, Benedetto XVI ha commentato il Salmo 138. In uno dei passi del discorso papale ripresi con maggiore risalto dalla stampa, si afferma:
nella seconda parte del Salmo che meditiamo oggi, gli occhi amorevoli di Dio si rivolgono all’essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo. Egli è ancora «informe» nell’utero materno: il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’«embrione», descritto in quel termine come una piccola realtà ovale, arrotolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio (cfr v. 16)e, poco più avanti:
Estremamente potente è, nel nostro Salmo, l’idea che Dio di quell’embrione ancora «informe» veda già tutto il futuro: nel libro della vita del Signore già sono scritti i giorni che quella creatura vivrà e colmerà di opere durante la sua esistenza terrena. Torna così ad emergere la grandezza trascendente della conoscenza divina, che non abbraccia solo il passato e il presente dell’umanità, ma anche l’arco ancora nascosto del futuro. Ma appare anche la grandezza di questa piccola creatura umana non nata, formata dalle mani di Dio e circondata dal suo amore: un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza.Se si considerano attentamente i due passi, non si può fare a meno di notare una contraddizione: mentre prima si afferma che «il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’“embrione”», ecco che subito dopo non c’è più traccia di prudenza: «l’idea che Dio di quell’embrione ancora “informe” veda già tutto il futuro» appare adesso «estremamente potente … nel nostro Salmo», e il salmo stesso si è trasformato senza incertezze in «un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza». Ora, i casi sono due: o il papa ha usato l’espressione «qualche studioso della Bibbia» con notevole understatement, oppure la sua interpretazione del salmo è meno sicura di quanto voglia farci credere. Come stanno veramente le cose?
Per scoprirlo dobbiamo risalire alla fonte citata da Benedetto XVI. Il Salmo 138 (139 nella numerazione ebraica) parla effettivamente nei versi 13-15 della creazione di un uomo nel grembo materno; ma l’accento è tutto sulla meraviglia della lenta, progressiva formazione del corpo: di elogi dell’«informe» non c’è traccia. Per trovare qualcosa del genere bisogna andare al verso 16, dove il salmista si rivolge così a Dio nella traduzione della Conferenza Episcopale Italiana:
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhiIl lettore proverà a questo punto una certa perplessità: da dove avrà tirato fuori, il papa, la «piccola realtà ovale, arrotolata» dell’embrione? La perplessità si trasforma poi in disorientamento quando si va a controllare il testo ebraico, su cui è stata condotta la versione della Cei. In traduzione letterale, infatti, la prima parte del verso dice:
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
Il mio golem hanno visto i tuoi occhiIl golem? Che c’entra il golem? Non è forse la creatura di argilla animata protagonista di una divertente leggenda ebraica, una sorta di automa che causa non pochi grattacapi al suo creatore? Che ha a che fare con l’embrione? Eppure, nel testo ebraico compare proprio questa parola...
Per dissipare la confusione e cominciare a capirci qualcosa dobbiamo prendere in mano il dizionario ebraico. Da questo veniamo a sapere che la parola golem ricorre una sola volta nella Bibbia, appunto nel Salmo 138; ma anche che essa in compenso è usata ampiamente nell’ebraico più recente, col significato di «massa informe», «vaso (d’argilla) appena abbozzato» e, per estensione, «rozzo», «grezzo». È facile capire come si sia arrivati da qui al golem del folklore ebraico (e all’accezione un po’ meno nobile che la parola ha nell’ebraico moderno parlato in Israele: «scemo»). Quanto al Salmo 138, ammettendo che la parola avesse già allora il significato che le verrà attribuito in seguito, e basandosi sul contesto, si potrebbe rendere la prima parte del verso 16 con un poco poetico ma abbastanza chiaro
La mia massa informe hanno visto i tuoi occhie ravvisarvi effettivamente un riferimento più o meno diretto all’embrione.
E la «piccola realtà ovale, arrotolata» dell’embrione, di cui parla il papa? La parola golem sembra provenire da una radice che avrebbe il significato primario di «avvolgere»; da qui, palesemente, deriva l’interpretazione ratzingeriana (si sarebbe tentati di dire che l’embrione è un «ricciolo di materia» – ma temo che il papa gradirebbe assai poco l’espressione...). La questione è però controversa: come si sarebbe passati da un «oggetto arrotolato» a una «massa informe»? Le due cose non sono certo identiche; e a ben vedere anche quel significato di «avvolgere» è di incerta attestazione. Nel dubbio, meglio rinunciare a estrarre troppi significati da una singola parola.
Tutto bene, dunque, nonostante queste piccole incertezze? Disgraziatamente, no. Se traduciamo alla lettera anche il pezzo successivo del verso che stiamo esaminando, il risultato (di nuovo, in un italiano assai poco elegante) è questo:
La mia massa informe hanno visto i tuoi occhiEcco ritornare – raddoppiato – il mal di capo. Che cosa è stato scritto, esattamente, nel «libro» di Dio? L’espressione «tutti essi» sembra riferirsi a qualcosa che non compare da nessuna parte! Il testo stavolta non è solo incomprensibile: è anche monco. Com’è possibile?
e tutti essi erano scritti nel tuo libro.
Uno dei segreti meglio custoditi dell’Antico Testamento è che il testo ebraico ci è pervenuto in manoscritti tardi e spesso molto corrotti, pieni di errori di copia che arrivano qua e là a offuscarne quasi completamente il significato originale. Le traduzioni esistenti rattoppano come possono, offrendo un testo che appare sempre comprensibile; ma a prezzo di manipolazioni non sempre esplicite. Così, per far tornare i conti, la Cei ha emendato «e tutti essi erano scritti nel tuo libro» in «e tutto era scritto nel tuo libro», come se un copista avesse commesso a suo tempo uno svarione che andava ora corretto. Ma in ebraico – come del resto in italiano – le due frasi sono ben distinte, e non è per niente facile passare dall’una all’altra: si tratterebbe di un errore assai poco probabile, anche per lo scriba più distratto.
Torniamo a «la mia massa informe». In ebraico la parola corrispondente si scrive con le lettere GLMY (nella scrittura ebraica più antica le vocali per lo più non si segnavano; la pronuncia era comunque golmì: «il mio golem», appunto). Supponiamo adesso, seguendo l’opinione di autorevoli studiosi, che nell’originale fosse presente invece la sequenza GMLY, che significa «le mie azioni», «i miei atti»: le lettere sono le stesse, ma la seconda e la terza sono state invertite. L’ipotesi appare plausibile, perché sarebbe facile scambiare questa parola con l’altra mentre si sta copiando laboriosamente un testo manoscritto. Proviamo a vedere come funziona il verso se sostituiamo GMLY a GLMY:
I miei atti hanno visto i tuoi occhiStavolta il testo scorre bene («tutti essi» si riferisce a «i miei atti»), ed esprime per giunta i concetti ben noti della preveggenza di Dio, che conosce le azioni future, e del libro in cui sono fissati i destini degli uomini. Nessun riferimento preciso all’embrione ancora informe, dunque, o al momento del concepimento: il tempo in cui si inquadra il verso 16 è verosimilmente lo stesso dei versi 13-15, cioè quello generico e non definito che precede la nascita. E se questo è vero, allora vale forse la pena di notare come per il salmista non sia ancora passato nemmeno un giorno della vita di un uomo, finché questo si trova nel grembo materno...
e tutti essi erano scritti nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne era passato uno
Questa ricostruzione non è, naturalmente, stabilita al di là di ogni dubbio: ci sono incertezze nella fisica delle particelle, figuriamoci nella filologia biblica. Ma a uno sguardo obiettivo sembra nondimeno – ipotesi per ipotesi – la ricostruzione più probabile; anche se «qualche studioso della Bibbia» si ostina a voler leggere invece nel salmo un riferimento all’«embrione», e «un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza».
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