Quanti di noi devono la propria vita solo alla testarda, irragionevole volontà di una donna di non abortire? E quante donne, come pare che sia capitato appena una settimana fa a una giovane umbra, devono la perdita della loro, alla stessa testarda volontà? Non lo sapremo mai, e forse un giorno ci insegneranno che in realtà anche l’istinto materno non ha nulla di naturale, che anch’esso ha una storia, un principio, e dunque una possibile fine. Ma oggi ci piace pensare che ciò non accadrà. Ci piace pensare che esista un rapporto misterioso ma alla fine inscalfibile tra una donna e l’essere che si forma nel suo ventre, un rapporto che anche se nei tumulti dell’esistenza e dell’animo può portare a sopprimere chi sta per nascere, tuttavia parla pur sempre di vita sebbene con il linguaggio della morte, perché così vuole l’ambiguo destino degli umani. Che forse non merita di annullarsi nel liquido opaco di una provetta o dietro la muta meccanicità di qualche congegno.Quanti di noi, invece, sono stati meno testardamente voluti non lo raccontano (come si direbbe in una espressione gergale). Le persone mai esistite non possono lamentare la loro inesistenza, non possono nemmeno rendersene conto.
Sulla naturalità dell’istinto materno bisognerebbe intendersi: se naturale significa spiegabile dal punto di vista evolutivo, beh, è abbastanza naturale. Poche letture elementari offrirebbero qualche sostegno utile. Facendo riferimento a quella lotta per la sopravvivenza che fino a un certo punto ci hanno detto della specie e poi del gene. E che qualcuno nega in nome di un disegno intelligente o di una creazione divina e tante altre belle parole. Anche se fosse naturale, poi, quell’istinto, potrebbe finire. A meno che Galli Della Loggia non identifichi naturale con imperituro e immortale (ma ci sarebbero troppe conseguenze difficili da gestire). Il penultimo periodo mi è ostico: tumuli dell’esistenza? Parla pur sempre di vita sebbene con il linguaggio della morte (che immagino sia l’aborto, ma non ci giurerei)? Quanto all’ambiguità, la dirotterei sulla volontà piuttosto che sul destino. E poi la bordata finale nei confronti delle tecniche di procreazione artificiale (uso volentieri e di proposito questo aggettivo): eccoci qua, al trito argomento del mistero spazzato via dalla scienza. Ma insomma, chi vuole il mistero se lo tiene; però non tutti ne subiscono il fascino, almeno in materia di salute e riproduzione. Se fosse per un appuntamento, si potrebbe anche rischiare.
"Forse un giorno ci insegneranno che in realtà anche l’istinto materno non ha nulla di naturale, che anch’esso ha una storia, un principio, e dunque una possibile fine".
RispondiEliminaPurtroppo per il Galli DL, temo sia già successo. "L'amour en plus", il classico libro della Badinter sulla storia (e il mito) dell'amore materno è degli inizi degli anni Ottanta.
Galli della Loggia ha bisogno di ripassarsi un po' di storia della demografia.
RispondiEliminaMagari per imparare che quando non c'era cibo per tutti (ovvero, sino all'altro ieri; ma anche oggi, in buona parte del mondo) madri & padri non si facevano/fanno troppi problemi "naturali" nell'accoppare coi metodi più disparati figli & figlie, dentro & fuori la pancia della mamma.
Ovviamente, che la cosa venisse fatta ampiamente nel passato, non giustifica né legittima che si possa fare oggi; ma nemmeno la delegittima.
Il criterio di legittimità non può essere né la "natura" né la consuetudine del sempre (troppo) idolatrato passato: perché da questi due serbatoii si possono trarre indicazioni e in un senso e nell'altro.
Sono appena stata alla National Portrait Gallery, Londra. C'è il ritratto di una nobildonna che - spiega la didascalia - è stato fatto perché era incinta, e quindi il marito voleva un ricordo della moglie nella affatto remota possibilità che non sopravvivesse al parto.
RispondiEliminaCerti maschi dovrebbero riguardare il significato di "riconoscenza" e di "a caval donato, eccetera".
(La signora del ritratto è poi sopravvissuta, e ha avuto altri tre figli.)