domenica 27 maggio 2007

Famiglie relativiste

Oggi è il secondo pezzo che leggo da l’Occidentale. O sono sfigata oppure è popolato di strani figuri (e ho saltato il ricordo di Sergio Cotta compilato da Francesco D’Agostino, sarebbe stato davvero troppo!).
Ora è la volta di Stefano Fontana (Famiglia reale e famiglia legale. Dopo Firenze il divario aumenta) che scrive come se stesse enunciando Verità incontestabili, mentre propone il suo punto di vista – legittimo, ovviamente, ma sarebbe più onesto dichiararlo e sarebbe doveroso sostenerlo.
La chiusura del suo pezzo ne è un esempio cristallino.
La “dittatura del relativismo” la intenderebbe [la promozione della cultura della famiglia con l’inserimento nei POF, ndr] come una discriminazione a chi non condivide la famiglia naturale. Se ci si sposa di meno non è per motivi economici o strutturali ma culturali; tanto è vero che gli indici di nuzialità sono maggiori nelle aree del paese meno sviluppate e ove i servizi sociali sono inferiori o meno efficienti.
Poche righe per molte obiezioni. A cominciare dalla dittatura del relativismo, ossimoro che susciterebbe un sorrisetto se non fosse così maledettamente preso sul serio e ripetuto ossessivamente. È come dire che ti obbligo a pensarla come vuoi: il che significa che se non vuoi pensarla come vuoi, puoi farlo. Dunque? Quali rimproveri si possono muovere alla “dittatura del relativismo”?
Sarebbe stato interessante, poi, se Fontana si fosse sforzato di dirci quale sarebbe questa tanto invocata famiglia naturale. Perché non è evidente. Naturale come al tempo degli scimmioni (ah, forse lui non ci crede agli scimmioni; allora ai tempi di Adamo ed Eva?)? O naturale come nelle caverne? Oppure?
Sulla considerazione conclusiva bisognerebbe commentare tanto a lungo che mi passa la voglia. Così come mi passa la voglia di commentare quanto segue: Fontana lamenta l’esclusione del Movimento per la Vita e l’indifferenza nei confronti dell’aborto. Non ce la faccio. La prossima volta.
Se quello della famiglia è soprattutto un problema culturale, come nascondere l’importanza fondamentale del suo rapporto con la vita? Anche questo è un punto di notevole differenziazione tra le posizioni della Chiesa e quelle che presumibilmente emergeranno dalla Conferenza. Già l’esclusione del Movimento per la vita, come dicevamo, la dice lunga. Come negare che uno degli elementi culturali che maggiormente indeboliscono la famiglia sia la chiusura verso la vita di cui l’aborto è l’aspetto maggiormente drammatico? La Conferenza di Firenze ha deciso di non dare accesso a questo problema: non se ne parlerà nemmeno. Infine, un ultimo tema divide la Chiesa e l’impostazione che il governo ha dato alla Conferenza. Per la Chiesa la famiglia deve essere valorizzata come soggetto sussidiario, per il governo essa deve ancora essere il terminale di politiche sociali pressoché deresponsabilizzanti. E qui si innesca il grande argomento della libertà di educazione, altro grande tema escluso dalla Conferenza di Firenze.

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