mercoledì 13 febbraio 2008

Ideologia feroce

Francesco Merlo coglie oggi su Repubblica, a proposito dell’irruzione della polizia nel Policlinico di Napoli, il senso esatto di ciò che sta succedendo: la ferocia di un’ideologia, il suo imporre astrattamente un’idea – oggi la Vita, ieri la Classe e la Razza – contro la concretezza del mondo umano («La crudeltà dell’ideologia», 13 febbraio 2008):
Cosa avrebbero fatto i sette agenti di polizia se in quell’ospedale di Napoli fossero arrivati durante l’operazione e non subito dopo? Avrebbero rimesso il feto dentro la donna? “Fermi tutti, in nome della legge: controabortisca o sparo!”.
Davvero la polizia che a Napoli irrompe in sala operatoria e sequestra un feto malformato è roba da teatro del grottesco e della crudeltà, da dramma di Artaud. Sembra un episodio inventato per dimostrare la stupidità dei fanatici della vita ad oltranza, per far vedere a quale ferocia si può arrivare in nome di un principio nobile e astratto ridotto ad ossessione e sventolato come un’ideologia, persino elettorale.
È difficile anche ragionare dinanzi a questa violenza che è stata commessa a Napoli. Una violenza contro la legge, innanzitutto, perché l’aborto era terapeutico e quindi legittimo, nel pieno rispetto della 194. Anche se va detto forte e chiaro che l’oscenità dell’irruzione non sarebbe cambiata di molto se quell’aborto fosse stato ai limiti della legge o persino fuorilegge, come si era arrogato il diritto di credere il giudice napoletano, informato – nientemeno! – da una telefonata anonima.
Ed ecco la domanda che giriamo ai lettori: perché un giudice, che ha studiato il Diritto laico e che sa che la giustizia mai dovrebbe muoversi in base ad una qualsiasi convinzione religiosa; perché un giudice che si è formato in un’Italia civile e tollerante non capisce che ci sono ambiti delicatissimi nei quali comunque non si interviene con i blitz, con le sirene, con le manette e con le pistole? Amareggia e addolora che questo signor giudice di Napoli si sia comportato come il burocrate di quella ferocia ideologica che si sta diffondendo in Italia su temi sensibili – e l’aborto è fra questi – che invece richiedono silenzio, rispetto, solidarietà. È come se un diavolo collettivo, un diavolo arrogante che presume di incarnare la morale pubblica, avesse spinto giudice e poliziotti a trattare un’intera struttura ospedaliera – dagli amministratori ai medici, dagli anestesisti agli infermieri – come un covo sordido di mammane abortiste.
Solo il fanatismo, che come sempre nasce da un’intenzione apparentemente buona, può fare credere che i medici di Napoli non siano persone per bene ma stregoni sadici, allegri assassini di nascituri. Il signor giudice, mandando la polizia in sala operatoria, ha trasformato un luogo di lenimento della sofferenza in un quadro di Bosch. E alla fine invece di mostrare il presunto orrore della professione medica, ha mostrato tutta l’asfissia di un’altra professione, della sua professione.
Quante telefonate anonime riceve un giudice a Napoli? Davvero ad ogni telefonata ordina un blitz in tempo reale? E come ha misurato l’urgenza dell’intervento? E quali rei stava cercando? La mamma? Il papà? I medici e gli anestesisti? Cosa voleva mettere sotto sequestro preventivo: l’utero di quella donna? Adesso, a quella signora che, appena uscita dalla sala operatoria, è stata sottoposta ad un incredibile interrogatorio, bisognerebbe che lo Stato chiedesse scusa. L’hanno trattata come un’omicida, come una snaturata che si vuole sbarazzare di un feto alla ventunesima settimana. Hanno inventato per lei il reato di feticidio, hanno applicato contro di lei il loro stupido estremismo che inutilmente vorrebbe deformare e deturpare il buon cattolicesimo italiano in schemi da sermoneggiatori fondamentalisti, con tutto questo parlare di Dio e dividersi su Dio. […]
È stato Ferrara a dichiarare al “Corriere” che mai egli vorrebbe incriminare una donna che ha abortito, e che non è a cambiare la legge 194 che aspira con la sua battaglia. Chi allora, secondo lui, ha armato di ferocia l’interventismo del giudice e dei poliziotti di Napoli?
Sempre su Repubblica di oggi si può leggere un’intervista alla donna aggredita (Giuseppe Del Bello, «“Sarebbe stato il primo figlio. Un dolore non farlo nascere”»).

3 commenti:

  1. A latere: quante volte un giudice avvisato attraverso una segnalazione anonimache un uomo picchia sua moglie invia sul posto sette poliziotti?
    tutto ciò è stomachevole.
    Ma bisogna tenere la mente fredda e prepararsi ad una battaglia molto dura e molto lunga.
    ciao marina

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  2. LA FRETTOLOSITA' DELL'IDEOLOGIA

    Ho sotto gli occhi l'articolo di Francesco Merlo pubblicato mercoledì 13 febbraio 2008 su La Repubblica. Il pezzo si intitola "La crudeltà dell'ideologia" (pag. 1), ed è l'analisi di un fatto di cronaca avvenuto due giorni prima: secondo lo stesso quotidiano, una donna di Arzano (alle porte di Napoli), ricoverata nel reparto di Ostetricia del Nuovo Policlinico di Napoli per un'interruzione di gravidanza, subito dopo l'intervento di raschiamento praticatole dai medici, è stata interrogata da alcuni agenti di polizia inviati da un magistrato, al quale era giunta una segnalazione di reato: aborto clandestino.

    Il giornalista rimprovera al magistrato e agli agenti la solerzia con la quale sono intervenuti dopo la segnalazione ("un blitz in tempo reale"), parla di "oscenità dell'irruzione", di "incredibile interrogatorio", e si domanda come mai il giudice napoletano, "informato - nientemeno! - da una telefonata anonima", si fosse "arrogato il diritto di credere" che "l'aborto fosse stato ai limiti della legge o persino fuorilegge."

    Immagino che l'accorto analista reagirebbe con la stessa veemenza oratoria se una telefonata anonima informasse i carabinieri che è in corso un tentativo di furto con scasso nel suo condominio, e i carabinieri si permettessero di irrompere (dovrei dire 'oscenamente'?) nel palazzo nel bel mezzo della notte per verificare la segnalazione, svegliando tutti i condomini, invece di aspettare le otto del mattino successivo; o se la polizia sottoponesse a "incredibile interrogatorio" gli studenti della scuola di suo figlio perché un altro anonimo ha telefonato avvisando che un minore si stava iniettando eroina in bagno, invece di aspettare lo squillo della campanella d'uscita per non traumatizzare la scolaresca, e poi ispezionare i servizi igienici.

    Mi domando anche come Merlo si arroghi il diritto di affermare che "l'aborto era terapeutico e quindi legittimo, nel pieno rispetto della 194", visto che per accertare ciò è stata richiesta, a detta dello stesso numero di Repubblica, un'autopsia, esame che, immagino, necessita di almeno qualche giorno, anche se a effettuarlo è un medico legale troppo solerte; mi chiedo anche in base a quale attendibile fonte di Repubblica (forse anonima?) Merlo abbia potuto obiettare al magistrato che in casi come questi "non si interviene con i blitz, con le sirene, con le manette e con le pistole", visto che ieri, giovedì 14 febbraio 2008, il Corriere della sera, giornale generalmente reputato tanto serio quanto La Repubblica, ha riportato a pag. 11 l'intervista al pm che ha ricevuto la segnalazione, il quale invece dichiara di aver chiesto espressamente alle forze di polizia di inviare sul posto un agente in borghese di sesso femminile, che questa è arrivata in ospedale a sirena spenta e, secondo quanto da lei stessa dichiarato al quotidiano, dopo un'attesa di tre ore (altro che blitz!) si è limitata a fare qualche domanda alla paziente alla presenza della mamma della degente stessa (tra l'altro, il Corriere informa che la telefonata al pm non era anonima, e pubblica le iniziali dell'informatore, un infermiere dell'ospedale).

    E poi smettiamola di usare a sproposito il termine "aborto terapeutico". Il mio buon vecchio
    Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, edizione 1965, alla voce "terapeutico", riporta la seguente definizione: "agg. [pl.m. -ci] della terapia, relativo alla terapia: metodo - ; chimica terapeutica, dal gr. therapeutikòs, deriv. di therapéuein 'curare'". Chi, di grazia, è stato curato in questo caso? Il feto? No di certo. La signora di Arzano? A detta dello stesso numero di Repubblica in cui appare l'articolo di Merlo (pag. 2), la signora ha presentato al momento del ricovero un certificato psichiatrico in cui non si evidenziava una patologia in corso, bensì un "rischio di grave danno alla salute psichica". Un rischio richiede prevenzione, non cure, quindi forse in questo caso Merlo avrebbe dovuto parlare di "aborto preventivo"!

    Per concludere, quand'è che la stampa italiana la smetterà di celebrare processi sommari, invece di informare (e informarsi) approfonditamente sugli eventi? Attenzione, dico 'sommari', non 'per direttissima', perché un processo per direttissima richiede che almeno si sentano tutti gli implicati in un fatto, oltre che tutti i testimoni, prima di emettere una sentenza. Le belle domande retoriche che Merlo infilza nel suo articolo ("Quante telefonate anonime riceve un giudice di Napoli? Davvero ad ogni telefonata ordina un blitz in tempo reale? E quali rei stava cercando? La mamma? Il papà? I medici e gli anestesisti? Cosa voleva mettere sotto sequestro preventivo: l'utero di quella donna?") Merlo le avrebbe dovute rivolgere al pm, prima di condannarlo senza appello.

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  3. Nel "tentativo di furto con scasso" e nel caso di "un minore si stava iniettando eroina in bagno" l'emergenza è ovvia. Ma in quello di un aborto già compiuto (come risulta dalla trascrizione della telefonata) dov'era la grandissima emergenza che ha portato a interrogare la paziente mezz'ora dopo che aveva abortito? Non si poteva aspettare un giorno, e intanto indagare discretamente?

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