Va subito detto che nel nostro paese non esiste in generale per i medici un obbligo assoluto di sottoporre un paziente a trattamento medico: condizione necessaria per ogni atto medico è infatti il consenso del paziente, come risulta in primo luogo dall’art. 32 comma 2 della Costituzione:
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.In termini simili si esprimono anche il Codice di deontologia medica, alcuni trattati internazionali sottoscritti anche dall’Italia, e numerosissime sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.
Naturalmente, non tutti sono capaci di esprimere il proprio consenso. In questi casi la decisione spetta al tutore; ma è ovvio che questi non può decidere arbitrariamente. Dovrà sottostare a un principio, che la Convenzione di Oviedo (art. 6, comma 1) esprime in questo modo:
Un trattamento può essere eseguito su una persona che non ha la capacità di esprimere il proprio consenso solo per il suo diretto beneficio («an intervention may only be carried out on a person who does not have the capacity to consent, for his or her direct benefit»).Il Codice di deontologia medica reca una formulazione analoga, ma sembra anche porre una restrizione in più (art. 37):
In caso di opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di incapaci, il medico è tenuto a informare l’autorità giudiziaria; se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e dell’incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili.Ma il precedente art. 35 sembra offrire una diversa chiave di lettura, che in qualche modo riprende il dettato costituzionale sui «limiti imposti dal rispetto della persona umana»:
Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico […].Ora, è concepibile che non prolungare con mezzi medici l’esistenza di alcuni pazienti minori o incapaci vada a beneficio di questi stessi pazienti? Che si rispetti così la loro dignità e la qualità della loro vita? Più in particolare, per venire al caso in esame: è concepibile che sospendere o non iniziare le cure a un neonato prematuro, affetto da gravissime patologie che incideranno pesantemente sulla qualità della sua vita futura, sia nel suo interesse? Non mi riferisco a patologie anche gravi, come la sindrome di Down, che però non rendono la vita indegna di essere vissuta; ma a situazioni di sofferenza insopportabile, o comunque di sofferenza grave non bilanciata da nessun aspetto positivo significativo, che la prematurità rende molto frequenti nei neonati. La questione è particolarmente lacerante nel caso di un neonato sopravvissuto a un aborto; è vero che la legge 194 evita in teoria casi simili, proibendo l’interruzione di gravidanza per motivi terapeutici quando esista la possibilità di sopravvivenza extra-uterina; ma anche restringendo i termini in cui l’aborto è oggi ammesso, casi simili si presenterebbero comunque, vista l’incertezza che spesso circonda la durata effettiva della gestazione.
Molti di noi ritengono che nel caso di un paziente adulto questa sia una verità evidente: vi sono destini infinitamente peggiori di una morte senza sofferenze. Altrettanti, se non di più, pensano che questo sia vero anche per i nostri animali, e che sia segno di egoismo prolungarne le sofferenze pur di non separarsene per sempre. Ciò che vale per esseri umani capaci di volontà autonoma e per esseri non umani privi di quella capacità, vale evidentemente anche per esseri umani incapaci.
Altri non la pensano così. La legge tace: non ci dice cosa esattamente si debba intendere per «dignità della persona» – anche se per il senso comune, oserei dire, questa espressione è incompatibile con determinate situazioni. Non si capisce comunque in base a che cosa i valori di alcuni – valori che, a ben guardare, giustificano quella che molti definirebbero come la tortura protratta di esseri umani innocenti – debbano essere imposti a tutti. Non si capisce, in altre parole, perché la decisione sul trattamento dei prematuri non debba essere demandata – all’interno di una classe ben definita di casi gravissimi – ai loro genitori. Se in questo modo si solleva un grave problema etico (che non pretendo qui di risolvere), è perché sarebbe possibile appunto per alcuni condannare i propri figli a un’esistenza di dolore senza speranza. Su questo il CNB avrebbe dovuto esprimere un parere...
Ci si può chiedere quali siano in pratica i casi talmente disperati da richiedere una pietosa omissione delle cure. Ne avevamo visto uno poco tempo fa. Si può obiettare che anche una bambina priva di occhi, sorda e costretta all’alimentazione con una sonda gastrica potrebbe avere una vita degna di essere vissuta; e anche se è difficile vedere come, se ne può discutere. Ma alla fine esistono dei casi dove il dubbio non è più possibile.
Qualche giorno fa è comparsa sul Foglio un’intervista a Eduard Verhagen, l’autore di quel Protocollo di Groningen che regola l’eutanasia dei bambini nei Paesi Bassi (Giulio Meotti, «“Non sono un mostro, io libero i bambini”», 29 febbraio 2008, p. 1). Verhagen parla di una bambina di nome Sanne:
Le era stata diagnosticata la più grave forma di Epidermolysis bullosa, uno stato incurabile e fatale, che progressivamente distrugge la pelle e auto-amputa le estremità. La pelle sarebbe letteralmente venuta via [ogni] volta che fosse stata toccata o abbracciata, lasciando in quel punto penose lacerazioni nel tessuto epiteliale. Gli strati più superficiali delle mucose della bocca e dell’esofago si staccavano ogni volta che veniva nutrita, funzione espletata per intubazione. Nel più ottimistico dei casi, avrebbe vissuto fino al suo nono o decimo compleanno, dopodiché sarebbe certamente morta di cancro della pelle. A giorni alterni si sarebbero dovute cambiare le bende, staccarle agli strati meno superficiali della pelle, strappare i tessuti di pelle appena riformatisi, lasciandola in un dolore estremo malgrado le migliori cure palliative.Verhagen sta parlando di un caso di eutanasia: alle sofferenze di Sanne è stata posta fine con la somministrazione di farmaci adatti. Ma la stessa conclusione si sarebbe raggiunta (anche se forse meno pietosamente) con la sospensione dei trattamenti medici. Credo che anche un tribunale italiano, in base semplicemente alle norme vigenti, potrebbe (e dovrebbe) autorizzare un passo simile. E credo che la coscienza dica a ognuno di noi che questa sarebbe la cosa giusta da fare – se la coscienza non ci è stata divorata dall’ideologia.
Raramente mi è capitato di leggere analisi così equilibrate e condivisibili.
RispondiEliminaComplimenti.
Grazie, Ivo.
RispondiEliminaForse la questione problematica del documento è che, come sempre, si sottacciono casi limite di coscienza. La mia impressione è che i medici abbiano in mente un caso "semplice", e su quello costruiscono una linea guida. In questo senso posso condividere che, "a occhio", non sempre è facile verificare quanto un prematuro estremo abbia davanti potenzialmente una vita decente, e quindi quale sia il suo interesse. Sulla base di ciò si indica una linea di base. Dopodiché si evita di affrontare l'altro problema quando esistono patologie estreme, che è peraltro inevitabile che accada dato che si parla in linea di massima di interruzioni volontarie. Questo caso è più difficile, e allora non lo si affronta e lo si nasconde dietro la formula che tutto aggiusta: "accanimento terapeutico". Il quale però non esaurisce tutti i casi. Devo però dire che io stesso non saprei come includere casi così estremi in una linea guida generale, proprio perché si entra in una sfera dove ogni caso è un caso a sé stante. C'è in ogni caso la Costituzione: cioè il medico, quale che sia la cosa che dice questo documento, può sempre decidere, nei casi limite che gli si presentino, secondo un criterio di diritto universale e costituzionale, se è in grado di discernere.
RispondiEliminaCredo di essere d'accordo con quello che scrivi oggi. Taggo il post.
RispondiEliminaGiuseppe, questo documento scandaloso del CNB è in antitesi con quelli fatti in condizioni analoghe da altri paesi tutt'altro che tacciabili di 'eugenetismo' come gli inglesi. Se si dovessero rianimare TUTTI i prematuri le rianimazioni neonatali si saturerebbero in poche ore, e questo andrebbe a scapito di quei bambini che DAVVERO beneficerebbero di una terapia intensiva. Credo che sia un documento che prende origine dalla deriva clericale che ha preso questo comitato e ben denunciata tempo fa dalla Cattaneo. Deriva che ha per esempio toccato anche l'oramai 'famigerato' ordine dei medici della lombardia. E che vorrebbero far credere che così la pensano i medici italiani. Questo è ridicolo.
RispondiEliminaIl ministro Turco aveva mandato il parere della Commissione al Consiglio Superiore di Sanità. Oggi Il CSS risponde, togliendo ogni riferimento a due punti: la decisione sulla vita nelle mani dei genitori e la possibile subordinazione della rianimazione alla presenza di disabilità. Questa decisione, pacata, lineare, fa il pari con il parere del CNB. E da oggi bisognerà tenerla presente in ogni ospedale.
RispondiEliminahttp://www.agi.it/cronaca/notizie/200803041830-cro-rt11166-art.html