giovedì 1 maggio 2008

Legge 40. Linee guida fuori binario

Forse una attesa troppo lunga insinua il tarlo della delusione, o forse la salute dei cittadini non è presa abbastanza sul serio. L’emanazione delle nuove Linee Guida da parte del Ministero della Salute (con quasi 9 mesi di ritardo e in un momento politico che definire poco favorevole è un eufemismo), pur aprendo uno spiraglio, non risolve i principali problemi sollevati dalla Legge 40.

Nel sito del Ministero sono elencate le principali novità:

1. la possibilità di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) viene estesa anche alla coppia in cui l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili, e in particolare del virus HIV e di quelli delle epatiti B e C, riconoscendo che tali condizioni siano assimilabili ai casi di infertilità per i quali è concesso il ricorso alla PMA. In questi casi c’è infatti un elevato rischio di infezione per la madre e il feto conseguente a rapporti sessuali non protetti con il partner sieropositivo. Un rischio che, di fatto, preclude la possibilità di avere un figlio a queste coppie;
2. l’indicazione che ogni centro per la PMA debba assicurare la presenza di un adeguato sostegno psicologico alla coppia, predisponendo la possibilità di una consulenza da parte di uno psicologo adeguatamente formato nel settore;
3. l’eliminazione dei commi delle precedenti linee guida che limitavano la possibilità di indagine a quella di tipo osservazionale e ciò a seguito delle recenti sentenze di diversi tribunali e in particolare di quella del TAR Lazio dell’ottobre 2007. Questa sentenza come è noto ha infatti annullato le linee guida precedenti proprio in questa parte, ritenendo tale limite non coerente con quanto disposto dalla legge 40.
(Il corsivo è mio).

Si ribadisce quanto affermato dalla sentenza del Tar del Lazio a proposito della possibilità di effettuare la diagnosi genetica di preimpianto: non comparendo un divieto esplicito nella legge 40, ma solo nella precedente versione delle Linee Guida, è lecito richiedere l’esame che permette di riscontrare patologie genetiche nell’embrione prima dell’impianto. Ma rimane in piedi il requisito necessario per l’accesso alle tecniche: la certificazione di infertilità o sterilità che, come stabilito dal nuovo testo, subisce un lieve ampliamento includendo le persone colpite da malattie virali.
Cade infati l’impossibilità di accedere alle tecniche per tutte le persone con malattie virali: ed è senza dubbio una buona notizia, anche se potrebbe essere discutibile la motivazione.
Nel testo delle nuove Linee Guida infatti si legge: “essendo l’uomo portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da HIV, HBV od HCV – l’elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo l’adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condizione di infecondità, da farsi rientrare tra i casi di infertilità maschile severa da causa accertata e certificata da atto medico, di cui all’articolo 4, comma 1 della legge n. 40 del 2004” (p. 7).

In primo luogo non è chiaro come bisogna considerare le donne portatrici di analoghe malattie. In secondo luogo si dovrebbe parlare di ostacolo ad una riproduzione responsabile, perché la riproduzione non è necessariamente impedita da una malattia virale, anche se è schiacciata dal rischio di trasmissione al partner e al nascituro. Ma questo varrebbe anche per chi è affetto o portatore di una patologia genetica (l’unica differenza è che la patologia genetica non si trasmette al partner ma “solo” al nascituro). In terzo luogo la definizione di “condizione di infecondità” per le patologie virali rischia di essere in contrasto con l’articolo 4 della legge 40 (Accesso alle Tecniche, che rimane in piedi e che non può essere scalfito da un testo, le Linee Guida, che hanno meno potere essendo soltanto applicative): “1. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.
Se il rischio di trasmissione di una patologia può essere considerato come un impedimento alla riproduzione e quindi permette di far rientrare i portatori o i malati nell’insieme delle persone infertili, questa possibilità dovrebbe riguardare tutte le patologie. Perché i malati o i portatori di patologie genetiche dovrebbero essere esclusi dalla possibilità di evitare di dare alla luce un figlio ammalato?
L’unica risposta possibile potrebbe venire dal Parlamento. Benché la Suprema Corte potrebbe garantire la tutela dei cittadini (tutela che include l’uguaglianza di trattamento e la garanzia della salute e della salute riproduttiva – ed è garantita dalla Costituzione italiana), tali tutele dovrebbero essere previste dal Parlamento tramite una modifica della legge 40.
Colpisce, infatti, che la legge 40 affermi l’intenzione di tutelare il concepito, ma poi sembra non considerare seriamente il rischio determinato dalle patologie genetiche, almeno in quei casi in cui non vi sia la possibilità di certificare la sterilità degli aspiranti genitori.


(LibMagazine, 1 maggio 2008)

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