La Corte, in sostanza, nota come la sentenza della Cassazione non invada in nessun modo le prerogative del Parlamento, visto che non ha ovviamente forza di legge ma è valida unicamente nel caso specifico. Inoltre mette in rilievo come i due ricorsi entrino nel merito della sentenza della Cassazione, pretendendo di dimostrare che sia sbagliata – cosa che non spetta alle Camere, che non costituiscono un grado di giudizio superiore alla Corte Suprema. Sono insomma le Camere ad aver invaso il campo del potere giudiziario, e non viceversa.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
[…] ha pronunciato la seguenteORDINANZA
nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della sentenza della Corte di cassazione, n. 21748 del 16 ottobre 2007 e del decreto della Corte di appello di Milano del 25 giugno 2008, promossi con ricorsi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica depositati in cancelleria il 17 settembre 2008 ed iscritti ai nn. 16 e 17 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto […] che la medesima giurisprudenza [di questa Corte] afferma che un conflitto di attribuzione nei confronti di un atto giurisdizionale non può ridursi alla prospettazione di un percorso logico-giuridico alternativo rispetto a quello censurato, giacché il conflitto di attribuzione «non può essere trasformato in un atipico mezzo di gravame avverso le pronunce dei giudici» (ordinanza n. 359 del 1999; si veda altresì la sentenza n. 290 del 2007);
che, peraltro, questa Corte non rileva la sussistenza nella specie di indici atti a dimostrare che i giudici abbiano utilizzato i provvedimenti censurati – aventi tutte le caratteristiche di atti giurisdizionali loro proprie e, pertanto, spieganti efficacia solo per il caso di specie – come meri schermi formali per esercitare, invece, funzioni di produzione normativa o per menomare l’esercizio del potere legislativo da parte del Parlamento, che ne è sempre e comunque il titolare;
che entrambe le parti ricorrenti, pur escludendo di voler sindacare errores in iudicando, in realtà avanzano molteplici critiche al modo in cui la Cassazione ha selezionato ed utilizzato il materiale normativo rilevante per la decisione o a come lo ha interpretato;
che la vicenda processuale che ha originato il presente giudizio non appare ancora esaurita, e che, d’altra parte, il Parlamento può in qualsiasi momento adottare una specifica normativa della materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti;
che, pertanto, non sussiste il requisito oggettivo per l’instaurazione dei conflitti sollevati.PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi,
dichiara inammissibili, ai sensi dei commi terzo e quarto dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica nei confronti della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano, di cui in epigrafe.
Una conoscenza elementare del diritto avrebbe risparmiato a deputati e senatori questa umiliante figura. Ma le poche voci che invitavano a ragionare sono state soverchiate dai sudditi devoti di un Potere profondamente estraneo alla cultura costituzionale, e dai cinici membri di un’élite politica che da tempo coglie tutte le occasioni per cercare di umiliare e sottomettere l’unico potere ancora in grado di controllarne l’operato.
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