La situazione ora è ovviamente profondamente cambiata. Gli alimenti sono sempre più sotto controllo e gli allevamenti di bovine da latte sono molto controllati. Per ogni alimento si cerca di controllare i possibili rischi di infezione lungo tutta la catena dal produttore al consumatore. Tuttavia le intossicazioni alimentari sono all’ordine del giorno. Dal formaggio (nostrano o meno), dai salumi (biologici o no), dalle uova, dalle conserve (casalinghe o industriali), dal latte (crudo o pastorizzato), dal pesce (crudo o cotto), dai molluschi, dalla verdura (biologica o meno) e così via. E non c’è necessariamente una “truffa” dietro tutte queste infezioni. Il fatto è che mangiare, più che un “atto politico”, come dice qualcuno, è un “atto naturalmente pericoloso”, perché il rischio zero non esiste. È l’idea, sbagliata, che il rischio zero sia raggiungibile che porta spesso a interpretare male i fatti. Quello che i responsabili della salute pubblica devono fare è cercare di ridurre i rischi ad un livello ragionevole, soprattutto tenendo conto di determinate categorie a rischio, come i bambini, gli anziani, le donne incinta e i malati.Da leggere assolutamente tutto.
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Quello che mi preme mettere in evidenza è che il rischio non è MAI zero, e le politiche di sanità pubblica cercano di renderlo ragionevolmente basso effettuando se possibile anche delle analisi costi/benefici. E infatti io e voi possiamo consumare in Italia (in altri paesi è vietato) dei formaggi da latte crudo non stagionati a lungo senza rischiare (troppo) di finire all’ospedale. Ma il rischio non è zero, ed è bene saperlo. Soprattutto nei casi come quello del latte crudo dove il punto debole, dal punto di vista sanitario, della catena è quello che succede da quando viene prelevato a quando viene consumato. Quindi non mi pare ci sia da stracciarsi le vesti se viene imposto di segnalare, sui distributori di latte alla spina, i possibili rischi e le contromisure da prendere.
In più se l’attenzione da parte del consumatore verso il consumo di alimenti crudi quali carne, pesce, molluschi o uova mi pare esista e da più parti periodicamente si metta in guardia dai pericoli collegati, per il consumo di latte crudo mi pare non esista questa “consapevolezza”, e viene addirittura consigliato ai bambini perché “fa bene”.
Quello che però mi stupisce di tutta la questione del latte crudo è l’atteggiamento di chi, come Slow Food, cita ad ogni piè sospinto il cosiddetto “principio di precauzione”. La “litania” l’abbiamo sentita più volte, che si parli di ogm o di trattamenti industriali chimici o di additivi alimentari: “vogliamo il rischio zero”, “se c’è una seppur piccola probabilità che X possa fare male allora non possiamo accettarlo” e via su questo tenore. Ho già avuto modo in questo Blog di scrivere varie volte la mia opinione su questo cosiddetto principio: non ha validità scientifica, la sua applicazione può persino causare danni, mentre invece è usato da alcuni come strumento di pressione e decisione politica, mascherato da scienza.
Pretendo tuttavia che chi lo adotta si comporti coerentemente. Mi pare invece che questo principio funzioni un po’ a singhiozzo, e non se ne voglia tenere conto nel caso del latte crudo. Non mi pare possibile infatti negare che in questo caso il rischio esiste, ed è concreto. Piccolo ma non zero. Misurabile, muniti di microscopio, in termini di “conta batterica”, o in termini di pazienti ricoverati, come quei bambini di cui ci ha parlato Anna Meldolesi e confermati dal Ministero della Salute.
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Vale davvero la pena far correre quel rischio, piccolo quanto si vuole, in nome del “latte dei bei tempi andati” a chi, magari come donne in gravidanza o bambini, può avere delle ripercussioni gravi? Che in fondo il buon Louis Pasteur non fosse proprio uno stupido lo avevano capito anche le nostre bisnonne che raccomandavano di far bollire il latte crudo.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
martedì 16 dicembre 2008
La parola definitiva sul latte crudo...
... è quella di Dario Bressanini, in un articolo documentatissimo, ragionevole e piacevole da leggere («Il buon latte crudo di una volta», Scienza in cucina, 16 dicembre 2008):
BOLLIRE IL LATTE CRUDO NON E' MOLTO RAGIONEVOLE. AVREBBE SENSO SENZA ANALISI, MA A CHE SERVONO LIMITI STRINGENTI E ANALISI A TAPPETO (MOLTO COSTOSE) SE POI VA BOLLITO? DOPO LA BOLLITURA ANCHE UN LATTE MEDIOCRE DIVENTA BUONO. LE CENTRALI RACCOLGONO TUTTO QUELLO CHE CAPITA, LO METTONO INSIEME ED ALLORA SI GIUSTIFICA IL TRATTAMENTO TERMICO.
RispondiEliminaCON LO STESSO CRITERIO DOVREMMO BOLLIRE ANCHE IL PASTORIZZATO... NON SI SA MAI.
LA PAURA E LA CALUNNIA SONO LE UNICHE ARMI DEI PRODUTTORI E DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE A CUI IL LATTE CRUDO DA' MOLTO FRASTIDIO.