domenica 28 dicembre 2008

Una risposta su Victor e Padre Aldo

Ricevo da Miriam Della Croce copia della risposta a ciò che Nerella Buggio, don Ferdinando Dell’Amore e padre Aldo Trento («Le follie di un missionario?», CulturaCattolica.it, 23 dicembre 2008) hanno scritto a proposito della sua lettera apparsa sul Manifesto qualche giorno prima, di cui ci siamo occupati su Bioetica. Trascrivo una delle parti a mio parere più significative della risposta di Miriam Della Croce:
[Nerella Buggio] dice: «Io comprendo il suo scandalo, perché stare di fronte a chi soffre non è facile né scontato, ma la vera domanda è chi siamo noi per decidere che Victor muoia? La pietà consiste nell’accudirlo sino a quando morirà, o nel farlo morire per non vederlo soffrire?»
Io non mi sono scandalizzata per la creatura sofferente, ma per le parole e l’atteggiamento di padre Aldo. Il bimbo malato non scandalizza; fa solo una gran pena; è angosciante. Poi chiede: «chi siamo noi per decidere che Victor muoia?». Posso risponderle così: per l’appunto, chi siamo noi per decidere che Victor resti sulla croce più di quanto ci restò il Signore? Chi siamo noi per decidere di impedirgli di volare subito in cielo, riempiendolo di «cannucce che entrano ed escono dal corpo» (cito le parole di padre Aldo), nonché di medicinali, se non servono per farlo guarire? L’ultima domanda, invece, è posta male. Quella corretta è questa: la pietà consiste nel protrarre la sua vita di sofferenza, o nel permettere che muoia affinché non soffra ulteriormente?
Capisce a quali aberrazioni può portare la visione del mondo attraverso la lente deformante di un falso cristianesimo, di un concetto sbagliato di Dio? Se siamo persuasi che il «non senso» di una malattia gravissima, abbia un senso, se siamo persuasi che la sofferenza di quella creatura sia addirittura chiesta da Dio, se vediamo in quel lettino un «piccolo Gesù deforme» anziché un bambino, allora alteriamo la realtà, e possiamo anche protrarre per settimane, o mesi, o qualche anno la sua esistenza, senza porci il problema se lui voglia vivere in quelle condizioni. Non è lui, Victor, che conta, ma il presunto assurdo significato della sua sofferenza; non è Victor che conta, ma il «Gesù deforme», da baciare e accarezzare. Ed allora possiamo anche permetterci tranquillamente di fotografarlo, dopo averlo preparato con cura tra due bei cuscini azzurri; e possiamo permetterci di diffondere la sua immagine, senza chiederci se non significhi mancargli di rispetto. Ecco perché ho trovato sconcertante la fotografia.
Se lei legge attentamente la lettera di padre Aldo, si renderà conto che il missionario parla del bimbo come nessun padre amorevole riuscirebbe mai a parlare di un figlio malato. Il missionario è davvero un cristiano fortunato: anziché inginocchiarsi davanti ad un crocifisso di legno o di marmo, può genuflettersi davanti ad un «piccolo Gesù deforme che agonizza e geme», in carne e ossa. Ma in quel lettino c’è solo un bimbo gravemente malato che non ha bisogno di adoratori genuflessi.

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