In accordo con una vasta ed autorevole letteratura scientifica, la nutrizione artificiale è trattamento assicurato da competenze mediche e sanitarie, in grado di modificare la storia naturale della malattia, calibrato su specifici problemi clinici mediante la prescrizione di nutrienti, farmacologicamente preparati e somministrati attraverso procedure artificiali, sottoposti a rigoroso controllo sanitario ed infine richiedente il consenso informato del paziente in ragione dei rischi connessi alla sua predisposizione e mantenimento nel tempo. La sua capacità di sostenere funzioni vitali, temporaneamente o definitivamente compromesse, ne motiva l’impiego, in ogni progetto di cura appropriato, efficace e proporzionato, compresi quelli esclusivamente finalizzati ad alleviare le sofferenze. In queste circostanze, le finalità tecniche ed etiche che ne legittimano l’utilizzo definiscono anche i suoi limiti, quelli sui quali può intervenire la scelta informata e consapevole, attuale o dichiarata anticipatamente del paziente e la libertà di scienza e coscienza del medico.Sul piatto negativo della bilancia va posta invece l’assurda invocazione del «diritto all’obiezione di scienza e coscienza rispetto ai contenuti delle dichiarazioni anticipate».
Il Consiglio è stato preceduto da un convegno, sempre sul tema del testamento biologico. Uno degli intervenuti, Raffaele Calabrò, padre del disegno di legge sulle DAT, è stato intervistato ieri da Avvenire sul tema (Enrico Negrotti, «Calabrò: il mio ddl? Va avanti», 13 giugno 2009, p. 11).
Dal prevedibile florilegio di spropositi estraggo questo:
Un altro punto controverso è la vincolatività delle dichiarazioni anticipate. Viene obiettato: se non posso farle rispettare, sono quasi inutili. E sono discriminato rispetto al paziente cosciente. È così?Come si vede, vecchi argomenti, mille volte rimasticati e rigurgitati; e mille volte confutati. Pazienza, andiamo alla milleunesima.
Direi proprio di no. Innanzi tutto la Convenzione di Oviedo dice che le volontà espresse in precedenza saranno prese in considerazione, non che saranno eseguite. E del resto questo è scontato anche nell’alleanza terapeutica con un paziente cosciente: quale medico esegue pedissequamente i voleri di un paziente, se non condivide in scienza e coscienza diagnosi e terapia?
Convenzione di Oviedo: se è vero che la Convenzione (all’art. 9, e più esplicitamente nel relativo rapporto esplicativo) non impone di seguire tassativamente le dichiarazioni del malato, è anche vero che pare impossibile dare del testo una lettura tanto minimalistica: se «prendere in considerazione» viene inteso come «leggere e poi fare di testa propria», cosa rimane della forza normativa di questo articolo? La formulazione della Convenzione è assai infelice, ma mi pare ovvio che questa vada intesa nel senso che le DAT devono normalmente essere seguite, salvo eccezioni (tipicamente, nel caso di progressi tecnici ignoti all’epoca della loro stesura). Del resto, l’interpretazione della Convenzione deve essere compatibile con la Costituzione della Repubblica, che non lascia molti dubbi, alla luce degli artt. 32, 13 e 3, sul fatto che le direttive del paziente vadano di norma rispettate.
Il volere del paziente: siamo al solito vecchio equivoco, coltivato a bella posta. Certo che il paziente non può pretendere che il medico gli faccia qualcosa che va contro la sua (del medico) scienza e coscienza: non posso pretendere, per esempio, che il mio medico di famiglia mi prescriva antibiotici per il mio raffreddore. Ma il paziente ha invece tutto il diritto di chiedere che il medico non gli faccia a sua volta quello che gli passa per la testa: il medico non può costringermi ad assumere antibiotici per la mia polmonite, se io non voglio.
Si potrebbe obiettare: ma non hai detto tu stesso più volte che fra eutanasia passiva – per omissione dei trattamenti medici – e eutanasia attiva – per somministrazione di un farmaco mortale – non c’è una rilevante differenza morale? Che nel caso per esempio di Eluana Englaro sarebbe stato anzi preferibile intervenire (se la legge l’avesse consentito) con un trattamento attivo, invece di perseguire una sospensione dei trattamenti potenzialmente penosa (almeno per chi vi assisteva dall’esterno)? Non mina questo la differenza tra fare e omettere di fare?
La risposta è: niente affatto. Chi sostiene l’eutanasia attiva non pretende per questo che il paziente abbia il diritto di afferrare il primo medico o infermiere di passaggio, di mettergli in mano una siringa di bromuro e di comandargli: iniettamelo! Pretende piuttosto che col libero accordo fra paziente e medico consenziente non interferiscano terzi; se – per assurdo – il medico consenziente non si trovasse, il paziente non potrebbe pretendere nulla da nessuno.
La lingua del liberalismo è, con tutta evidenza, quasi sempre molto facile da compitare; si vede che a Raffaele Calabrò, come diciamo a Roma, gli dev’essere morta la maestra da piccolo...
Grazie per aver commentato il documento che é stato approvato in larga maggioranza sabato scorso a Terni.Il documento é frutto di diverse audizioni di società scientifiche e associazioni dei cittadini, ma come Lei ha sottolineato é frutto di un percorso di sintesi di culture diverse che inevitabilmente sono presenti anche nell'assemblea di autogoverno della professione medica....e stato sollevato il problema di definire una volta per tutte il concetto di eutanasia che dovrebbe essere solo l'atto di somministrare un farmaco, con il consenso della persona, per porre fine deliberatamente alla vita
RispondiElimina