L’urlo di trionfo è echeggiato a lungo negli scorsi giorni: ben tre articoli (E. Del Soldato, «Londra “scarica” le chimere», Avvenire, 6 ottobre 2009, p. 24; «Il flop degli embrioni ibridi in Gb», Il Foglio, 7 ottobre, p. 3; A. Morresi, «Scandaloso silenzio sul fallimento delle chimere», Avvenire, 8 ottobre, p. 2) hanno riportato con esultanza nella stampa integralista una notizia apparsa sull’Independent (Steve Connor, «Vital embryo research driven out of Britain», 5 ottobre 2009), che raccontava dell’abbandono delle ricerche sui cosiddetti cibridi nel Regno Unito, dopo che i comitati finanziatori avevano rifiutato tre richieste di fondi da parte di altrettanti scienziati, uno dei quali ha lasciato in seguito l’università per dedicarsi alla ricerca industriale, mentre altri due si sono trasferiti in Spagna e in Australia.
Cosa sono i cibridi? Uno dei problemi della clonazione terapeutica (la tecnica con cui si potrebbero creare tessuti ed organi per trapianti, geneticamente identici a quelli di un paziente e quindi non soggetti a rigetto) è quello della scarsità di ovociti umani. Normalmente nella clonazione si sostituisce il nucleo dell’ovocita di una donatrice con il nucleo di una cellula del paziente, e si fa moltiplicare la cellula risultante fino ad ottenere cellule staminali embrionali. Ma le donatrici, per vari motivi, sono poche, mentre la tecnica – ancora molto inefficiente – richiede molti ovociti. L’espediente ideato da alcuni ricercatori consiste allora nell’usare al posto degli ovociti umani ovociti animali (in genere di bovini o conigli), disponibili in grande quantità. Dopo l’inserimento del nucleo di una cellula umana nell’ovocita animale, si ottiene quello che viene chiamato ibrido citoplasmatico (perché il citoplasma della cellula non ha la stessa origine del nucleo), in inglese cytoplasmic hybrid, che si contrae in cybrid, cibride.
All’inizio di settembre del 2007, dopo pubbliche consultazioni, la Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA) del Regno Unito aveva concesso la licenza di perseguire questi studi ad alcuni gruppi di ricerca, ritenendoli compatibili con l’esistente quadro normativo (in seguito una nuova legge ha codificato più chiaramente questa possibilità). Lo sviluppo delle cellule eventualmente ottenute sarebbe stato arrestato dopo pochi giorni, senza tentare per il momento applicazioni terapeutiche, e naturalmente senza tentare di far nascere degli ibridi uomo-animale (che comunque sarebbero stati praticamente indistinguibili da normali esseri umani). L’abbandono delle ricerche di cui parla l’Independent non ha dunque nulla a che fare con la legge o con questioni morali: come ha dichiarato Colin Miles, uno dei decisori che hanno negato i finanziamenti, «possedere una licenza della HFEA che autorizza a condurre un certo tipo di ricerca non comporta automaticamente l’assegnazione di finanziamenti ai ricercatori, che devono ancora competere per i fondi in base alla qualità scientifica, all’impatto strategico e alle potenzialità del progetto di contribuire significativamente al corpus di conoscenze in quell’area particolare». Il rifiuto è insomma stato di natura tecnico-scientifica (le ricerche non porteranno a risultati tali da giustificare la spesa), non giuridico-morale (le ricerche sono mostruose e non si devono fare).
È questa una sconfitta per chi si batte a favore della libertà di ricerca? Naturalmente la notizia non è positiva: una linea di ricerca abortita significa un’opportunità in meno di conoscenza e un’opportunità in meno di terapie. Ma «libertà di ricerca» non ha mai significato che qualsiasi ricerca debba essere perseguita; viviamo in un mondo di risorse – tempo, attenzione, fondi – limitate, e per quanto alta possa essere la percentuale di esse destinate alla ricerca, è ovvio che solo un numero limitato di progetti potranno venire finanziati. La ricerca è libera, piuttosto, quando non deve sottostare a vincoli esterni arbitrari, che – nel caso dei cibridi – erano rappresentati dalle ubbie ideologiche di chi pretendeva di salvaguardare la propria visione essenzialistica dell’umanità, che non andrebbe «contaminata» con il citoplasma «bestiale» per evitare pericolose «confusioni». Con la decisione della HFEA del 2007 e la successiva legge approvata dal parlamento britannico, la causa della libertà di ricerca ha vinto, e se domani nuovi dati dovessero dimostrare che i cibridi rappresentano tutto sommato una via che vale pena percorrere, nulla potrà opporsi alla ricerca in questo campo.
Se il partito della libertà di ricerca dice: le idiosincrasie morali non contano, quel che conta è solo se una ricerca sia utile o meno, cosa dovrebbe dire il partito avversario? Naturalmente l’opposto: l’utilità di una ricerca non conta, conta solo la sua moralità. Consideriamo un principio etico su cui esiste un consenso praticamente universale: non possiamo sacrificare persone umane – vere persone umane, non quelle che il Culto dell’Embrione si sforza di far passare per tali – alla ricerca. Questo è un assoluto, che non varia nemmeno se a un certo punto qualcuno progettasse una ricerca con cavie umane capace di dare benefici all’intero genere umano al prezzo del sacrificio di poche dozzine di soggetti sperimentali.
Quali commenti ci saremmo allora aspettati di trovare nella stampa integralista in seguito alle notizie dal Regno Unito? Più o meno qualcosa del genere: siamo sollevati nel sapere che quelle ricerche per adesso sono state sospese, ma purtroppo questo non significa che i nostri principi siano stati accolti; la lotta continua, etc. etc. Cosa troviamo, invece? In un certo senso, l’esatto opposto: gli integralisti tengono a sottolineare di aver sempre sostenuto che quelle erano in primo luogo ricerche inutili. Così, la fanatica Josephine Quintavalle dichiara ad Avvenire che si sapeva che «tali esperimenti non garantiscono nulla, tanto meno una cura per malattie terminali». Per il Foglio, «la storia è parecchio istruttiva»; ma istruttiva perché? Per l’anonimo editorialista, se ne può trarre un insegnamento «soprattutto se ci si ricorda delle infuocate polemiche con tanto di appelli sullo sullo [sic] Times di scienziati per la libertà di ricerca, contro il parere di altri scienziati che avevano avvertito della inconsistenza e della assurdità di “quella” ricerca». Addirittura, di nuovo su Avvenire, Assuntina Morresi tiene a precisare che i motivi dell’abbandono della ricerca «non sono etici», e ribadisce: «Che quel filone di ricerca fosse inutile e superato lo si poteva capire leggendo la letteratura scientifica sul tema».
Quel che manca cospicuamente, in tutti questi commenti, è appunto il primato della dimensione morale; gli autori sembrano fare proprio l’argomento opposto, che quel che conta è solo se una ricerca sia utile o meno. Naturalmente non sono stupidi, e se fanno questo è solo perché sanno bene che le loro argomentazioni morali posseggono ben poco appeal, persino per il loro stesso pubblico; ma in questo modo, proprio nel momento in cui esultano, rendono un servigio non di poco conto ai loro avversari, perché sembrano implicare che ove quelle ricerche fossero utili, sarebbero per questo giustificate. E la loro vittoria, allora, si rivela infine per quello che è: una mesta vittoria di Pirro.
Devo dire che ho apprezzato molto l'analogia ipotetica. Immaginiamo un proliferare improvviso di articoli che trionfalmente annotino: "del resto che la ricerca basata sullo sminuzzamento dettagliato di persone vive a scopi terapeutici non avesse grande potenzialità noi lo abbiamo detto fin dall'inizio, e ci rallegriamo con il fatto che il comitato scientifico abbia preferito finanziare altre linee di ricerca". Effettivamente, come rimarca bene Regalzi con questo esempio, emergono spesso prese di posizione che contraddicono la credenza genuina in un male tanto assoluto, quando si parla di vita umana microscopica. Osservazione pertinente quanto quando proprio qui si osservò la contraddizione col fatto che la lista di Giuliano Ferrara non fu votata in massa: "è vero, da un lato c'è un partito che ha come unico punto nel programma la cessazione dello sterminio di massa di centinaia di migliaia di persone all'anno nel nostro paese; dall'altro però ci sono dei partiti politici veri con programmi in politica economica e via dicendo più tradizionali, i quali danno più senso al mio voto".
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