Alberto Gambino commenta sul giornale dei vescovi la recente sentenza della Corte di Giustizia Federale tedesca (equivalente alla nostra Cassazione), che ha sancito la legittimità dell’eutanasia passiva (ovvero, a essere più esatti, del rifiuto dell’alimentazione e idratazione artificiali) («Così in Germania la vita torna “disponibile”»,
Avvenire, 1 luglio 2010, inserto «È vita», p. 3):
L’errore di impostazione, ora anche della giurisprudenza tedesca, è ritenere che la libertà individuale, spazio da preservare anche ove non condivisibile sul piano morale, possa sempre tradursi in vere proprie pretese giuridiche che obbligano l’ordinamento a conformarsi a esse. […]
Il delicato bilanciamento tra libertà dell’individuo e valori di fondo della comunità si è, infatti, sin qui realizzato lasciando al primo i più ampi spazi purché la sua azione sia accettata dai consociati. Ove invece operi un giudizio di disvalore, l’azione del singolo rimane circoscritta entro legittimi spazi di libertà, ma non potrà mai diventare pretesa giuridica in grado di obbligare altri consociati.
Il pensiero liberale è chiaro sul limite della libertà individuale: in generale, non possiamo costringere gli altri a subire le nostre azioni o ad agire come piace a noi. Uno dei corollari di questo principio consiste appunto nel divieto di sottoporre i pazienti a trattamenti non voluti, anche quando questi siano volti a prolungarne la vita (la distinzione fra trattamenti sanitari e non, su cui tanti insistono, è ovviamente del tutto irrilevante in questo contesto). Dall’altro lato il paziente non può obbligare il medico a praticargli trattamenti, come l’eutanasia attiva, che quello rifiuta di attivare (anche se può esservi obbligato dai propri eventuali obblighi deontologici e contrattuali; e ovviamente se il paziente e il medico raggiungono un accordo in tal senso, è fatto divieto a terzi – torniamo qui al principio generale – di interferire nelle loro azioni).
I commenti di Alberto Gambino delineano invece, con cruda chiarezza, un ordinamento del tutto alternativo: il limite alla libertà personale è costituito dal gradimento che «la comunità» nutre nei confronti delle nostre scelte; non possiamo obbligare il medico a desistere da un’azione terapeutica, visto che per i valori «di fondo» la «disattivazione di trattamenti sanitari finalizzati alla salvaguardia della vita» non è ammissibile (Gambino, alquanto incoerentemente, proclama però di rispettare la possibilità di rifiutare le terapie). L’individuo non ha più nessuna autonomia morale, ma è sottoposto invece alla tirannia della maggioranza; Gambino ha almeno il merito di dirlo chiaramente.