Eugenia Roccella torna per l’ennesima volta sulla legge in discussione alla Camera e in particolare sul consenso informato («
Non spetta a un tribunale decidere dove finisce la vita»,
Il Giornale, 7 marzo 2011, p. 12):
un consenso informato, per essere tale, deve rispondere a due condizioni: ci deve essere il consenso, dunque una firma, e l’informazione, dunque un colloquio con un medico. Se il paziente a cui, alla vigilia di un’operazione chirurgica, fosse sottoposta l’informativa da firmare, si rifiutasse, sostenendo di averne già parlato con i genitori, il medico non lo giudicherebbe sufficiente. Non può bastare un’informazione casuale, approssimativa, non aggiornata, priva di basi scientifiche.
D’accordo, supponiamo che il medico non lo giudichi sufficiente; dopo di che, caro sottosegretario, cosa potrebbe succedere, secondo Lei? Ci sono varie possibilità:
- il medico chiama due infermieri nerboruti, che legano il paziente con le cinghie di contenzione a una sedia e lo obbligano ad ascoltare l’intera informativa;
- il medico chiama i suddetti infermieri, che sedano il paziente per poter procedere all’operazione in assenza del prescritto dissenso informato;
- il medico denuncia il paziente alla magistratura (sperando di non incappare in giudici comunisti), perché gli sia irrogata una pena esemplare e gli scappi la voglia di reiterare il suo crimine orrendo.
Oppure, ipotesi forse più realistica,
- il medico si tiene per sé la propria frustrazione e lascia andare il paziente, visto che – si regga forte, onorevole – il consenso informato è necessario per procedere a un trattamento sanitario ma non per rifiutarlo.
Forse Lei, onorevole, riterrà questa idea frutto dell’odierno relativismo e dell’imperante cultura-di-morte; però, strano a dirsi, essa sembra essere presente persino nella legge sulle DAT da Lei così caldamente sostenuta, che all’art. 2 comma 4 recita:
È fatto salvo il diritto del paziente di rifiutare in tutto o in parte le informazioni che gli competono. Il rifiuto può intervenire in qualunque momento e deve essere esplicitato in un documento sottoscritto dal soggetto interessato che diventa parte integrante della cartella clinica.
La vita è piena di sorprese, vero onorevole?
Questo dimostra chiaramente l´origine totalitaria di questa legge.
RispondiEliminaQuello che un Paese civile dovrebbe incentivare e´ un rapporto sano medico-paziente in cui il primo non e´solo il tecnico conoscitore della sacra arte medica ma un professionista che riesce a stabilire un rapporto di fiducia con il paziente.
Questo e´molto difficile e si ottiene prima di tutto con la formazione dei nuovi medici. Purtroppo non possiamo certo aspettarcerlo dalla Roccella!
Proprio ieri una persona mi confidava: se un giorno dovessi star male, non mi interessa sapere cosa ho, mi affiderei a cio' che 'sanno fare' i medici...e quando saro' chiamato, non potro' che partire'. Cio' che voglio dire e' che a volte al paziente, non serve conoscere l'eziologia della propria malattia, ma sapere che verranno utilizzate tutti i mezzi scibili e tecnici, per tentare la guarigione, o, almeno, un prolungamento della sua esistenza. La vita umana, la vita di ogni singola persona, ancorche' non rappresenta un valore assoluto, e' certamente un bene primario. Il tentativo che si vuole raggiungere con la legge in questione e' semplicemente quello di non svilire il valore di un bene primario.
RispondiEliminafrancesco sirio
La Roccella autodetermina i propri sillogismi. Sono gli stessi individui che poi strepitano se un giudice osa ratificare il principio pagano e blasfemo del terzo escluso.
RispondiElimina@ Francesco sirio
RispondiEliminaNessun paziente si aspetta che il medici gli fornisca le infomazioni di un trattato di medicina. Se le vuole e´ben in grado di farlo sa solo se sa leggere!
Quello che il medico deve fornire e´un infomazione chiara per il paziente (non mi interessa sapere le´ziologia del mio tumore per capire se sto morendo) su quali sono le prospettive di cura!
Io mi domando poi quale valore abbi una vita che vine messa in maniera incodizionata nelle mani d altri. Secondo e significa negare in maniera assoluta la dignita' della vita medesima!
Simone
@ Francesco Sirio
RispondiEliminaIl suo commento è platealmente fuori contesto. I diritti del suo amico sono tutelati oggi come lo saranno sempre, quindi è assolutamente falso sostenere che la storia che lei racconta abbia alcunché a che fare con il testo della legge che si sta discutendo. Sto leggendo i suoi ultimi messaggi e di volta in volta lei sembra insistere nell'ignorare totalmente le argomentazioni proposte nei post, probabilmente perché non ha alcuna idea di come rispondervi. Ha letto l'ultima parte del post, con l'estratto della legge che lei sostiene non svilirebbe "il valore di un bene primario"? In che modo l'affermazione che le informazioni possono essere rifiutate in toto o in parte permetterebbe di raggiungere questo scopo?
Cosa si diceva, nell'altro thread, delle obiezioni prevedibili ed irrilevanti di chi sostiene questa legge?
RispondiEliminaAnche per il Sig. Roccella resta il dubbio se non ascolti o semplicemente non capisca.
Cordiali Saluti,
DiegoPig
Si vabbé, ma anche l'argomento sviluppato nel post non sta molto in piedi.
RispondiEliminaSe si vuole valorizzare un consenso questo deve essere informato.
Uno consenso non informato è difficilmente definibile un consenso.
Se chiedessi di scegliere tra "wjkgcckgh" e "qdnclecn" ovviamente mio verrebbe pirma di tutto chiesto che diavolo sono le cose che ho scritto battendo a casaccio sulla tastiera.
Sicché, per quanto la Roccella possa stare antipatica, quello che ha detto è corretto: un consenso non adeguatamente informato è a stento definibile un consenso.
Ha ragione -secondo me- Simone quando dice che è contraddittorio con la dignità umana il non consentire di autodeterminarsi: ma, proprio per questo, il consenso deve essere reale e non "virtuale".
Poi, esiste il problema di che fare quando il consenso è debole o inesistente.
Ma, ovviamente, questa difficoltà non fa venir meno il principio per cui il consenso deve essere reale ed attuale.
Anche perché non c'é molta differenza tra imporre qualcosa e manipolare un consenso per fare arrivare una persona a "consentire" in difetto di adeguata informazione a fare quel che altri vogliono per lei.
etienne64
@Etienne64:
RispondiEliminal'argomento sviluppato nel post è che, al contrario di quanto sembra credere la Roccella, il consenso è necessario per iniziare un trattamento sanitario ma non per rifiutarlo (ovviamente il medico è tenuto comunque a proporre tutta l'informazione necessaria, che il paziente può però rifiutare di ascoltare). Perché questo non "starebbe in piedi"? Qual è l'alternativa?
@ Etienne64
RispondiEliminaA me pare che il post fosse abbastanza chiaro, come ribadito nel suo ultimo commento da Giuseppe: si metteva in luce come la Roccella avesse sostenuto una posizione non corrispondente a realtà, cioè che la ricezione fattuale dell'informativa da parte del paziente sarebbe condizione necessaria perché egli possa rifiutare l'intervento. Il post stesso non vedo ove volesse implicare altro che questa critica.
Con ciò non mi sembra che l'autore del commento e del post, e credo che lo conformerebbe, volesse sminuire il valore positivo che dobbiamo attribuire al consenso o dissenso "adeguatamente informati". Difatti resta fermo il principio che il medico ha l'obbligo di informare un paziente che chiede di essere informato, anche quando questi sia orientato al rifiuto. Ciò che non è coercibile continua a poter essere esigibile. Quindi la manipolazione non è comunque giustificata ed inoltre non si vede perché questo pericolo di manipolazione debba essere ravvisato solo nel verso di voler indurre al rifiuto ma non in quello di voler indurre al consenso.