mercoledì 9 marzo 2011

Pagare le madri surrogate?

Per Susan B. Apel offrire compensi in denaro alle madri surrogate è la cosa giusta da fare («Why Compensating Surrogate Mothers is the Right Thing to Do», Bioethics Forum, 8 marzo 2011). Un esempio dei suoi argomenti:
Another argument against compensation is that it exploits women, particularly poor women. Women who have few or no marketable skills and maybe fewer choices will be seduced into giving their bodies over to be used by others.
[…] But the exploitation argument is paternalistic, often ignoring the voices of the gestational carriers themselves, many of whom claim that the opportunity to obtain such work is a valuable and valued one.
These women have used their compensation to do things like purchase a home, or send their children to school, that would otherwise have been impossible. In addition, the let’s-not-allow-women-to-be-exploited-in-this-way argument never seems actually to improve women’s lives. Unless the exploitation argument is followed by real efforts to give women more education or other opportunities for remunerative work, the argument leaves the arguers feeling morally right with themselves, but it leaves poor women in their same deplorable plight.
La questione è controversa, ma comunque la si pensi, l’articolo della Apel è da leggere tutto.

10 commenti:

  1. "These women have used their compensation to do things like purchase a home, or send their children to school, that would otherwise have been impossible"

    Non mi sembra essere un grande argomento. L´avere una casa dignitosa e l´educazione dei figli sono diritti umani fondamentali che andrtebbero sostratti alle logiche di mercato. Mi domando poi dove sta il limite se io posso decidere di "vendere" (non stiamo parlando del rimporso delle spese mediche!) un figlio anche se non e´ biologicamente mio posso vedere un rene? o un polmone?

    Inoltre mi domando siccome il diritto alla salute e´in molti Paesi sancito in maniera esplicita e reso effettivo dalla presenta di un sistema sanitario pubblico ed essendo la salute riprodutivva parte integrande della salute di un individuo dovrebbe lo Stato pagare la maternita' surrogata almeno alle persone che non possono permetterselo?

    Simone

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  2. Essendo da sempre favorevole alla vendita degli organi (i propri, venduti da adulti e in maniera regolamentata), trovo altrettanto equo che una donna possa portare avanti una gravidanza surrogata, o di vendere i propri ovuli e che un uomo possa vendere il proprio sperma.
    Che diritto può avere uno stato di vietarmi di fare ciò che voglio con il mio corpo?
    Arriverà a verificare che ogni donna che si sposa (cedendo il suo corpo, i suoi figli, parte estesissima della sua esistenza) non lo faccia per soldi o per una migliore posizione sociale?
    E poi? arriverà qualcuno ad impedire che uno prostituisca le sue idee e i suoi principi per soldi?
    E vietiamo anche di andare a lavorare in miniera o di fare i soldati perché - sempre per soldi! - mettono addirittura a rischio vita e salute???

    Silvia

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  3. L'argomento nello specifico usato contro la posizione "let’s-not-allow-women-to-be-exploited-in-this-way" può essere simmetricamente ribaltato: finché non è risolto il problema delle condizioni di vita di molte donne, la surrogazione compensata potrebbe essere presentata come "moralmente corretta" per i proponenti (col denaro ci si compra case e ci si manda bambini a scuola), pur lasciando la maggior parte delle donne nelle medesime condizioni di prima. Non lo considero quindi affatto un argomento contro quella posizione.

    Silvia mette in luce un problema di semplice formulazione, indubbiamente di non banale risposta. Voglio però precisare che il divieto di una forma di contratto non riguarda necessariamente il venditore più di quanto possa eventualmente riguardare il compratore e, anzi, per imporre un divieto è sufficiente che si consideri illegale una sola delle due operazioni (comprare il bene A, oppure vendere il bene A, se non entrambi).

    Il problema potrebbe non essere vendere la surrogazione, ma acquistarla. L'articolo in effetti non tratta un altro aspetto fondamentale della faccenda, ovverosia che, in regime pienamente liberale, sarebbero proprio le aspiranti mamme con meno opportunità economiche (che già sarebbero in difficoltà a mantenere il figlio, figuriamoci a comprarne la maternità per surrogazione) ad essere sistematicamente superate dalle aspiranti mamme più facoltose, in grado di offrire alle madri surrogate la cifra più concorrenziale (se ne è discusso anche qui, ricordo).

    Come chiede giustamente Silvia: ma perché sul mio corpo non dovrei essere libera anche di vendere una gravidanza o un rene? Potrei azzardare una soluzione difettosa, ma compromissoria, per cui la cosa non sarebbe reato, pur non essendo regolamentata dal punto di vista amministrativo. Ma si apre ugualmente un problema più generale, analizzando un caso estremo: allora io, pur perfettamente sano, per lo stesso principio sono libero di vendere anche il mio cuore, per una lauta cifra, ad una persona bisognosa di un trapianto, o persino solo molto più anziana di me. Secondo la visione della libertà assoluta di baratto tra le parti, per ciò che riguarda il proprio corpo, questo dovrebbe essere considerato più che legittimo (ne potrebbero usufruire i miei figli dopo la mia inevitabile morte). A mio avviso qui il problema non è tanto che il cuore non lo si possa vendere da vivo, ma che non lo si possa aspirare di acquistare da un vivo.

    Paternalismo anche questo? Forse sì, però paternalismo vero e proprio sarebbe quello riguardante i divieti a compiere delle azioni, non tanto a corrispondersi dei compensi. Sarebbe paternalismo vero e proprio quello che vietasse la surrogazione per "tutelare" le potenziali mamme surrogate.

    Penso che qui entrino in gioco due visioni della società: quella che guarda esclusivamente alle libertà di compiere delle azioni (costruttive o per sé stessi anche distruttive) come inalienabile, e quella che fa rientrare anche lo scambio di denaro, e quindi il negozio di prestazioni normato, tra di essi sempre e comunque; cioè sono tanto libero di raccontare ad un suo congiunto cosa recentemente mi ha raccontato una certa persona da tempo deceduta, quanto di farmi dare un compenso pattuito per riferire cosa mi ha detto.

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  4. @ Paolo

    Mi spiace ma ora che si possa sostenere la moralita' o meno di un comportamente perche' in molte parti del mondo e in certe fasce della nostra societa' (intendo occidentale) le donne non hanno il minimo per vivere in maniera dignitosa non mi pare un argomento molto logico. Mi pare invece molto paternalista!

    Simone

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  5. Quelli che rompono tanto le scatole con questioni di moralità, di solito sono ben pasciuti e comodi al caldo oppure al fresco con l'aria condizionata.

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  6. @ Simone

    A quale parte del mio commento ti riferisci?

    Se al primo periodo, stavo solamente ribaltando un argomento di ordine morale, che era stato avanzato nell'articolo (non da me) per sostenere che difendere il divieto di compenso rimuneratorio serviva solo a far sentire bene chi lo proponeva, senza avanzare per nulla le condizioni di vita di molte donne: lo ribaltavo osservando che l'argomento stesso ("con quei soldi ci si compra la casa e si mandano a scuola i bambini") soffriva della stessa identica inadempienza (a meno di voler sostenere che la maternità surrogata sia la soluzione definitiva di tutte le disparità sociali di cui sono vittime alcune donne). E se un argomento (quello di ordine morale, che io per inciso non sposo) è compatibile sia con A che con B, allora esso è irrilevante per selezionare tra A e B e soprattutto non ha dimostrato che A è inestricabilmente legato all'argomento stesso.

    Se ti riferivi invece alla parte in cui mettevo in evidenza il rischio che le aspiranti mamme meno facoltose divenissero di fatto interdette alla maternità tramite gravidanze surrogate di altre donne, venendo inesorabilmente battute dalle aspiranti mamme in grado di pagare la cifra più alta, beh, questo non è un argomento di ordine morale e quindi paternalistico, ma squisitamente ed esclusivamente di ordine sociale: vorrebbe dire accettare il principio che, tra le mamme che non sono in grado di portare avanti delle gravidanze ma vogliono crescere dei figli, siano fortemente svantaggiate quelle che non dispongono di somme di denaro competitive (persino avendo eventualmente denaro sufficiente per crescere i bambini).

    Per inciso: io non sono soddisfatto di tutte le dinamiche sociali esistenti, ma sono anche realista. Le norme particolari devono per me tenere conto della situazione presente nella nostra società e non certo riflettere le norme che sarebbero più appropriate se vivessimo a Utopia. Anche perché in questo secondo caso non vi è dimostrazione che ciò cambierebbe le dinamiche sociali.

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  7. @ Paolo

    Ho frainteso la prima parte del tuo ragionamento! Scusami!

    Simone

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  8. Michele Pezza da Itri17/3/11 15:36

    @ Silvia

    Questo stato repressivo considera nullo un contratto che preveda la schiavitù.
    Occhio, Silvia! Qualcosa non funziona nel tuo ragionamento…

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  9. Personalmente non vedo ombra di controversia. Anzi secondo me portare avanti gravidanze dovrebbe essere una vera e propria professione, regolamentata e finanziata dallo stato.

    Sempre più donne rinunciano a mettere al mondo figli per problemi di costi in termini di tempo, risorse e opportunità perse. Non vedo come possa essere considerato morale che una donna rinunci ad attività per lei piacevoli (e magari anche pubblicamente utili) per stare un anno bloccata tra letto e ospedali. Quindi ben venga chi non ha altro da fare. Si chiama divisione del lavoro, transazione mutuamente conveniente, gioco a somma positiva, etc.

    In questo modo la funzione genitoriale potrebbe essere controllata legalmente e magari gli aspiranti genitori potrebbero anche essere accuratamente selezionati tra quelli che sono in grado di svolgere la funzione. Avere figli non deve essere considerato un diritto privato, ma un dovere collettivo, pubblico e quindi realizzabile attraverso mezzi e strumenti pubblici.

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  10. Con notevole ritardo, rispondo a Barbara.

    Secondo me la controversia che è oggetto di discussione resterebbe anche a seguito delle tue considerazioni (cui avevo anche io pensato). Quello di cui abbiamo discusso, ed è questione trattata nell'articolo, è se o meno debbano lasciarsi liberi gli individui di contrattare in maniera del tutto privata sul prezzo da pattuire per la surrogazione. Tu sposti la discussione su un fronte diverso, altrettanto interessante, che è quello (mi sembra) di una forma di compensazione economica gestita dallo Stato in maniera "equa".

    In linea di massima io potrei essere d'accordo con questa proposizione, anche alla luce, come dici, del fatto che si parla di un impegno oneroso ma disinteressato da parte della madre surrogata, che può interferire con altri impegni rivolti alla realizzazione professionale. In quest'ottica molte delle problematiche di cui abbiamo discusso si affievoliscono, annullando in buona parte le disuguaglianze tra chi ha tanti soldi e chi ne ha meno, con tutela verso quelle aspiranti mamme che non possono permettersi di competere economicamente con altre aspiranti mamme. La proporzionalità del compenso potrebbe smussare altri angoli.

    Resta però il fatto che, secondo alcuni, in questo tipo di contratto, che dovrebbe restare privato, non dovrebbe interferire nessuno (nemmeno lo Stato) e il prezzo sarebbe stabilito "dalle parti". Concorda anche questo scenario con la tua visione?

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