lunedì 11 aprile 2011

Una sentenza immaginaria

E così, la Corte di Cassazione avrebbe solennemente stabilito il principio che non basta il consenso informato per dare legittimità all’azione del medico; che i chirurghi che sottopongono i pazienti a interventi inutili tradiscono il giuramento di Ippocrate; che le operazioni senza speranza non devono essere nemmeno tentate. Questo abbiamo letto sui giornali nei giorni scorsi. Secondo Assuntina Morresi («Cassazione doppia. Chiarezza urgente», Avvenire, 10 aprile 2011, p. 2), quella pronunciata dalla Quarta Sezione Penale della Cassazione il 13 gennaio scorso sarebbe in più
una sentenza, insomma, in accordo con la legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) in discussione in Parlamento, per la quale il medico deve tenere conto delle volontà espresse dal paziente quando ancora era in grado di farlo, ma non è obbligato a eseguirle, perché non può trasformarsi in un mero esecutore delle sue richieste. E un alibi in meno a chi sostiene che la legge sulle Dat è incostituzionale perché le indicazioni contenute non sono vincolanti. Ancora una volta si conferma che l’autodeterminazione del paziente non è assoluta, perché non basta il suo consenso a rendere legittimo qualsiasi intervento medico: il professionista non può scaricare sul malato la responsabilità che gli compete, quella cioè del giudizio ultimo sulla terapia da intraprendere, sospendere, o non iniziare affatto.
È un vero peccato che tutte queste interpretazioni abbiano poco – e in qualche caso, nulla – a che fare con la vera sentenza.

Partiamo dai fatti. Il 10 dicembre 2001, all’Ospedale S. Giovanni di Roma, tre chirurghi sottopongono una paziente affetta da un tumore con metastasi diffuse a un intervento chirurgico. A una laparoscopia iniziale fa seguito una laparotomia, con cui vengono asportate le ovaie e una parte della massa neoplastica. Durante la notte la paziente si sente male e, nonostante i tentativi di rianimazione, muore all’una del giorno dopo. L’esame autoptico identificherà la causa della morte in una grave emorragia interna. L’accusa che viene formulata contro i tre medici è, in primo luogo, di aver causato lesioni alla milza e al legamento falciforme della donna, che sarebbero la causa del sanguinamento fatale. I tre sostengono invece che l’emorragia sarebbe stata causata dal cedimento fortuito e imprevedibile dei punti metallici usati per suturare i vasi sezionati, dovuto alle cattive condizioni dei tessuti operati.
In secondo luogo, si accusano gli imputati di aver violato le
disposizioni dettate dalla scienza e dalla coscienza dell’operatore. Nel caso concreto, attese le condizioni indiscusse ed indiscutibili della paziente (affetta da neoplasia pancreatica con diffusione generalizzata, alla quale restavano pochi mesi di vita e come tale da ritenersi “inoperabile”) non era possibile fondatamente attendersi dall’intervento (pur eseguito in presenza di consenso informato della donna quarantaquattrenne, madre di due bambine e dunque disposta a tutto pur di ottenere un sia pur breve prolungamento della vita) un beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita. I chirurghi pertanto avevano agito in dispregio al codice deontologico che fa divieto di trattamenti informati a forme di inutile accanimento diagnostico terapeutico.
Va notato che, contrariamente a quanto sostenuto da quasi tutte le fonti giornalistiche, queste non sono parole della Cassazione ma bensì della Corte d’Appello (i tre imputati, condannati in primo e secondo grado per omicidio colposo, avevano fatto ricorso alla Suprema Corte). Ma questo è in fondo solo un dettaglio. Il punto fondamentale è che, nel loro ricorso, i tre chirurghi non hanno mai messo in discussione il principio che non si devono praticare interventi inutili. Non hanno legittimato le proprie azioni invocando il consenso informato ottenuto dalla paziente; meno che mai nessuno di loro ha cercato di «scaricare sul malato la responsabilità che gli competeva». Come avrebbero potuto, del resto? La Corte d’Appello non aveva introdotto nessuna novità, ma solo ricordato un articolo del Codice deontologico dei medici, il n. 16, che recita:
Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita.
(Nel linguaggio del Codice «anche tenendo conto» va interpretato come «neppure tenendo conto».) Questo è un principio di banale buon senso, che nessun medico ha mai messo o metterebbe in discussione (anche se non tutti i medici, purtroppo, operano poi in conformità ad esso). Dovrebbe anche essere evidente che il principio secondo cui il paziente non può pretendere che il medico compia qualsiasi azione non inficia per nulla – anzi a ben vedere conferma – il principio complementare secondo cui neppure il medico può pretendere che il paziente subisca qualsiasi azione.
I tre imputati si sono invece difesi asserendo che l’operazione non appariva in partenza così disperata, essendo in quel momento l’origine del tumore ancora incerta: se fosse stato un tumore ovarico, la donna avrebbe potuto sopravvivere anche tre anni in più (le analisi successive hanno confermato che si trattava invece di un tumore del pancreas). I tre hanno anche lamentato il fatto che l’addebito di aver voluto effettuare l’intervento chirurgico non era stato contestato nel capo di imputazione, pregiudicando così la loro piena possibilità di difendersi; e questo è tutto.
La Cassazione ha annullato la condanna della Corte d’Appello per l’intervenuta prescrizione; ha giudicato che le prove addotte contro gli imputati non fossero contraddittorie o insufficienti, e che non si potesse quindi proscioglierli nel merito. Ha giudicato infine di non poter rilevare eventuali vizi di motivazione o analizzare questioni di nullità, a causa dell’avvenuta estinzione del reato. Non ha affermato o ribadito e neppure soltanto nominato nessun principio giuridico a proposito del consenso informato – cosa naturale, dato che nessun principio del genere, come abbiamo visto, era stato messo in questione dai tre ricorrenti.
Questo, almeno, nella sentenza reale; in una sentenza immaginaria, com’è noto, si può leggere qualsiasi cosa – soprattutto, qualsiasi cosa confacente ai propri scopi.

16 commenti:

  1. Paolo Garbet12/4/11 07:33

    La Morresi non si smentisce mai, seguire qui i commenti alle sue esternazioni è sempre una cosa da non perdere

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  2. Il fatto è che gli effetti della sentenza sono stati presentati in questi termini da pressoché tutta la stampa, sulla quale non sono mancati interventi pro e contro la libera autodeterminazione degli inoperabili.La Morresi ha solo inquadrato ciò alla luce della sentenza Englaro del 2007 e della legge sulle D.A.T. in discussione al Parlamento (caldeggiata da Avvenire).

    Biolove

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  3. @ biolove

    Ma le succede mai di dar torto a qualche "gionalista" di Avvenire?
    Vabbeh che il giornalde dei vescovi ma non e´la Bibbia.

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  4. Non considero Avvenire come la Bibbia nel senso che se vi trovo scritto qualcosa che non mi quadra ne prendo atto ma non lo condivido.
    Solo che stavolta la Morresi, a parte il taglio dato al suo articolo, è in buona compagnia riguardo a come è stata commentata la sentenza in oggetto anche su altri quotidiani.

    Cordialmente,
    biolove

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  5. Io non ho letto commenti che invocassero la legge contro il testamento biologico a seguito di questa sentenza, ma magari mi sbaglio.

    Certo e´anche l argomentazione della Morresi fa' acqua da tutte le parti. Possibile non cpaire la differenza tra la richiesta di una terapia e la richista di NON avere una terapia.

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  6. @Simone

    sul rapporto tra la sentenza del post e la legge sulle D.A.T., come ho detto, Assuntina Morresi ha commentato la prima con un editoriale che fa parte di una serie intitolata, su Avvenire, Fine vita. Dire sì alla legge sulle Dat.

    Ma io avevo già sottolineato questo particolare taglio dell'editoriale.
    Quello che avvicina l'articolo della Morresi al resto della stampa su questo punto è la forte sottolineatura sui limiti al consenso informato per i pazienti "inoperabili" (anche se peraltro il ruolo del medico emerge da quello che la Morresi chiama il "succo" della sentenza : Il medico non è vincolato dalle volontà espresse dal paziente, anche quando sono sottoscritte in un consapevole consenso informato, ma deve operare con prudenza, in scienza e coscienza, per il bene di chi ha in cura(corsivo mio, ndr).

    Circa gli aspetti della "richiesta di una terapia" e la "richiesta di NON avere una terapia", nell'articolo si dice che i pazienti possono rifiutare un trattamento che viene loro proposto, ma non possono pretendere che i dottori ne eseguano uno richiesto.

    Biolove

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  7. Biolove, ma secondo lei quando uno (o una) commenta una sentenza deve tenere conto di quello che dice il resto della stampa o di quello che dice la sentenza stessa?

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  8. @Regalzi

    Direi la seconda (e infatti mica sostengo che non sono corrette le sue osservazioni circa il consenso informato da tenere in secondo piano,sulla scorta del testo della sentenza, nell'analisi del caso di specie),
    ma proprio come dimostra anche questo caso, in Italia la vulgata giornalistica sembra venire prima di tutto.
    Questo sia detto tenuto presente che, come risaputo, la Morresi non è una giornalista e che nel suo sunto della sentenza, come ho già detto sopra, il riferimento all'operato professionale del medico come ciò che serve anzitutto per il bene del paziente, seppur limitatamente, l'ha fatto.

    Biolove

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  9. @ Biolove

    Il fatto che la Morresi non sia una gionalista non la scusa certo dal fatto di aver commentato una notizia falsa. Anzi proprio il fatto di far parte del Comitato Nazionale di Bioetica dovrebbe essere un incentivo in piu' ad dire la verita'. Ma del resto il senso dell´etica pubblica e´uno estraneo in Italia.

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  10. @Simone

    se per lei quello che ha fatto la Morresi è aver commentato una notizia falsa, al solito, è libero di pensarlo, cosa che è diversa dal confrontarsi con chi le dice che così non è.
    Quanto al modo in cui i togati hanno affrontato una serie di casi e l'atteggiamento complessivamente proeutanasico che ne emerge, come la si voglia mettere, mi trovo d'accordo con quanto dice Tommaso Scandroglio nell'articolo, uscito ieri, Quando la Cassazione si accanisce sul paziente
    http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-quando-la-cassazionesi-accanisce-sul-paziente-1568.htm

    Biolove

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  11. @Biolove

    Mi pare che neppure Scandroglio abbia letto con attenzione la sentenza. E' chiaro che la paziente, quando ha dato il suo consenso informato, si aspettava comunque un beneficio dall'operazione. Il problema nasce tutto dal fatto che questo beneficio non era realizzabile, per cui secondo i giudici di merito i medici avrebbero sbagliato a prospettarlo, e il consenso della donna si sarebbe dunque basato su dati falsi. I giudici non hanno affatto detto che il medico deve sostituirsi al paziente "nel determinare i suoi migliori interessi", ma più banalmente che deve ben verificare i costi e i benefici dell'operazione.

    Al di là questo, rimane poi la falsa contraddizione che si vuole a tutti i costi trovare fra i casi Welby/Englaro e quello in esame. Ma su questo ho già parlato.

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  12. @ biolove

    Io questa orda di giudici impazziti che vogliono mettere a morte i pazienti non l´ho ancora vista. Ho visto invece un orda famelica di politici che stanno facendo strage della sanita' pubblica.
    Ma quando si vuol salvare la Vita invece delle vite questis ono i risultati.

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  13. Assuntina Morresi è ritornata sull'argomento oggi nell'inserto E' Vita di Avvenire : I medici accettino le loro responsabilità
    (articolo riprodotto anche qui
    http://notiziedibioetica.blogspot.com/2011/04/i-medici-accettino-le-loro.html ).
    Questo articolo chiarisce anche il rapporto tra consenso informato e agire del medico nell’interesse del paziente di cui al commento di Regalzi.
    Quanto a Simone voglio precisare che non assolvo i politici per condannare i giudici, esattamente come non generalizzo, retoricamente, mettendo tutti da una parte coloro che saprebbero difendere le vite concrete piuttosto che la Vita nella sua sacralità.

    Biolove

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  14. @ biolove

    Io non ho detto che lo fa lei.Ho solo constatato che il Governo italiano e la Chiesa cattolica si stracciano le veseti perche' alcuni giudici mettono a morte dei pazienti mentre stanno loro con le loro politiche condannano a morte molte piu persone.
    Ma ripeto quando si ragione per valori e non per principi questi sono i risultati

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  15. @Biolove: ma se è una sentenza ex 129 c.p.p. (pure logorroica)! Ma di che stiamo a parlà????
    etienne64

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  16. @etienne 64

    il seguito dei commenti (anche miei) su questo post è nel più recente "leggere prima di commentare".

    Biolove

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