sabato 23 luglio 2011

Words in context

John Stuart Mill, Considerations on Representative Government, 1861, chapter 1, «To What Extent Forms of Government Are a Matter of Choice» (corsivo mio):
Politically speaking, a great part of all power consists in will. How is it possible, then, to compute the elements of political power, while we omit from the computation any thing which acts on the will? To think that, because those who wield the power in society wield in the end that of government, therefore it is of no use to attempt to influence the constitution of the government by acting on opinion, is to forget that opinion is itself one of the greatest active social forces. One person with a belief is a social power equal to ninety-nine who have only interests. They who can succeed in creating a general persuasion that a certain form of government, or social fact of any kind, deserves to be preferred, have made nearly the most important step which can possibly be taken toward ranging the powers of society on its side. On the day when the protomartyr was stoned to death at Jerusalem, while he who was to be the Apostle of the Gentiles stood by “consenting unto his death,” would any one have supposed that the party of that stoned man were then and there the strongest power in society? And has not the event proved that they were so? Because theirs was the most powerful of then existing beliefs. The same element made a monk of Wittenberg, at the meeting of the Diet of Worms, a more powerful social force than the Emperor Charles the Fifth, and all the princes there assembled. But these, it may be said, are cases in which religion was concerned, and religious convictions are something peculiar in their strength. Then let us take a case purely political, where religion, if concerned at all, was chiefly on the losing side. If any one requires to be convinced that speculative thought is one of the chief elements of social power, let him bethink himself of the age in which there was scarcely a throne in Europe which was not filled by a liberal and reforming king, a liberal and reforming emperor, or, strangest of all, a liberal and reforming pope; the age of Frederic the Great, of Catherine the Second, of Joseph the Second, of Peter Leopold, of Benedict XIV, of Ganganelli, of Pombal, of D’Aranda; when the very Bourbons of Naples were liberals and reformers, and all the active minds among the noblesse of France were filled with the ideas which were soon after to cost them so dear. Surely a conclusive example how far mere physical and economic power is from being the whole of social power. It was not by any change in the distribution of material interests, but by the spread of moral convictions, that negro slavery has been put an end to in the British Empire and elsewhere. The serfs in Russia owe their emancipation, if not to a sentiment of duty, at least to the growth of a more enlightened opinion respecting the true interest of the state. It is what men think that determines how they act; and though the persuasions and convictions of average men are in a much greater degree determined by their personal position than by reason, no little power is exercised over them by the persuasions and convictions of those whose personal position is different, and by the united authority of the instructed. When, therefore, the instructed in general can be brought to recognize one social arrangement, or political or other institution, as good, and another as bad – one as desirable, another as condemnable, very much has been done towards giving to the one, or withdrawing from the other, that preponderance of social force which enables it to subsist. And the maxim, that the government of a country is what the social forces in existence compel it to be, is true only in the sense in which it favors, instead of discouraging, the attempt to exercise, among all forms of government practicable in the existing condition of society, a rational choice.
Mai fermarsi alle frasi ad effetto...

venerdì 22 luglio 2011

Tutelare l’obiezione di coscienza o un servizio sanitario equo?





A 1437 studenti di medicina – frequentanti la St George’s University di Londra, la Cardiff University, il King’s College di Londra e la Leeds University - è stato inviato un questionario per rilevare il loro parere sulla obiezione di coscienza: pensate che ai dottori dovrebbe essere permesso di fare obiezione rispetto a procedure che considerano moralmente ripugnanti? Il Journal of Medical Ethics ha pubblicato il risultato dell’indagine, e il quadro che ne emerge è molto interessante.

Hanno risposto in 733 (51%) e circa la metà ha risposto affermativamente. Tra gli studenti di medicina musulmani è maggiormente diffusa l’idea che un medico abbia il diritto di rifiutare di eseguire un aborto, di prescrivere contraccettivi o di curare un paziente ubriaco o drogato. Il questionario infatti prevedeva anche alcune domande sulle credenze religiose, il sesso, la specializzazione intrapresa e l’etnia. Un terzo ha dichiarato di non avere fede, poco più del 17% di essere protestante. Atei e cattolici hanno risposto in percentuali simili (circa il 12%).

A essere d’accordo con la liceità dell’obiezione è stato il 45% del campione; il 14% ha manifestato incertezza e il 40% ha risposto negativamente. Tre su quattro studenti musulmani hanno risposto di sì, circa la metà tra gli studenti ebrei, protestanti e quelli con altre credenze religiose. Tra chi ha risposto affermativamente si passa dal 34% appartenenti alla fede induista al 46% per quella cattolica. Tra gli studenti che avevano scelto il corso di studi di 5 anni la percentuale arriva al 21%; molto più bassa quella degli studenti che frequentano un corso di 4 anni (3%).

L’interruzione di gravidanza è l’argomento più controverso - in Italia lo si capisce anche dalla difficoltà nel garantire il servizio, difficoltà che è a volte prossima alla impossibilità. Non è difficile rendersi conto che in un ospedale in cui un solo medico non è obiettore di coscienza il servizio è gravemente compromesso e sospeso nel caso in cui il non obiettore vada in ferie, in malattia o in pensione. Le relazioni annuali del ministero della salute disegnano una curva pericolosamente in salita in questi ultimi anni, fino ad arrivare alla media nazionale che sfiora il 75% di ginecologi obiettori di coscienza, con punte di oltre l’80 in alcune regioni (Relazione sull’interruzione volontaria di gravidanza, 2006-2007, in particolare si veda la Tabella 28).

Galileo, 22 luglio 2011.

giovedì 21 luglio 2011

Le gemelle siamesi e la decisione impossibile


Alcuni giorni fa sono nate due bambine che hanno un solo cuore e due fegati fusi. Le gemelle siamesi per ora sembrano stabili. I medici stanno cercando di farle aumentare di peso e sperano che non si verifichi alcuna complicazione - in una condizione del genere, anche una lieve infezione potrebbe costituire un enorme pericolo.

PRENDERE TEMPO - Il prendere tempo, però, non risolverà questo vero e proprio rompicapo medico e morale, perché ci si potrebbe trovare a breve a dover eseguire un complicatissimo intervento chirurgico per separarle, nel tentativo di far vivere una delle due. Se già questo scenario si presenta come impossibile, diventa ancora più esplosivo se si aggiunge il dettaglio che si dovrà scegliere quale delle due vivrà - o almeno quale delle due si proverà a far vivere.
È ovvio che le considerazioni cliniche saranno rilevanti: collocazione degli organi, forza, peso e così via. Insomma la valutazione di chi ha la maggiore probabilità di sopravvivere è cruciale. Tuttavia è innegabile che vi sia una forte componente emotiva e morale in un intervento del genere. Come si fa a decidere di far morire una delle gemelle?

IGNAZIO MARINO NON INTERVERREBBE - Il commento di Ignazio Marino appare di primo acchito condivisibile e razionale. Marino dichiara: “Personalmente credo che non me la sentirei ad intervenire chirurgicamente, già sapendo che una bambina sarebbe sacrificata”.
Invece rischia di essere una scelta irrazionale e moralmente dubbia. L’elemento che sembra scomparire dallo scenario in cui ci domandiamo cosa fare e perché è il rischio del non intervento: se le facessimo morire entrambe? Se decidendo di non intervenire le condannassimo a morire senza nemmeno provare a salvarne una?
È molto diffusa l’idea che non agire sia moralmente privo di conseguenze o comunque moralmente meno coinvolgente dell’agire. Ma è una idea ingenua e sbagliata.
La differenza è essenzialmente emotiva e psicologica - se non agisco, se non mi sporco le mani, mi sentirò meno responsabile.
Ma se il mio non agire implica delle conseguenze peggiori del mio agire?
Ovviamente - in questo caso - non possiamo nemmeno essere certi che l’intervento farà vivere almeno una delle due bambine. Questa incertezza rende la decisione ancora più difficile.

INTERVENIRE O NO? - Ogni decisione è schiacciata dal rischio che le cose andranno diversamente da come previsto. In ogni modo, per valutare la scelta di Marino dovremmo analizzarla nel seguente scenario: 1. Intervengo rischiando di causare un danno di una certa rilevanza (la morte di una gemella); 2. Non intervengo rischiando di causare un danno più grave di quello ipotizzato nel primo caso (la morte di entrambe le gemelle).
In una prospettiva del genere non sembra giustificabile nascondersi dietro alla sacralità di ogni vita, né giustificare il non intervento con il rifiuto di causare direttamente la morte di un essere umano. O almeno bisognerebbe giustificare l’essere corresponsabile di causare indirettamente la morte di entrambe.
La domanda potrebbe anche porsi sul piano giuridico. Secondo l’articolo 40 del codice penale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. È il cosiddetto reato commissivo mediante omissione e la difficile questione potrebbe essere senz’altro sollevata nel dubbio che la morte delle gemelle fosse causata da un mancato intervento chirurgico. La risposta sul piano giuridico sarebbe forse ancora più complicata rispetto a quella morale.

DECISIONI IMPOSSIBILI MA NECESSARIE - È facile capire l’impatto emotivo per un medico che si trova a dover eseguire un simile intervento, ed è facile capire che sarebbe bello se potessero vivere entrambe e in buona salute. Possiamo fermarci alle vane speranze?
Spesso siamo costretti a prendere delle decisioni che non vorremmo mai prendere. Non intervenire non sempre è la scelta moralmente preferibile, almeno non a priori e soprattutto se circondata dalla erronea credenza che se incrociamo le braccia non siamo moralmente responsabili di quanto accadrà.

Giornalettismo, 20 luglio 2011.

martedì 19 luglio 2011

Rompicapo

Il commento di Ignazio Marino sul caso delle gemelle siamesi fa riflettere. Marino dichiara che non se la sentirebbe di intervenire chirurgicamente sapendo che una delle due sarebbe destinata a morire.
A una prima lettura sembra possibile concordare, perché nessuno vorrebbe trovarsi in una situazione del genere. Però è necessario porre una domanda (a Marino o a pareri del genere): se non intervenendo le facciamo morire entrambe?
Spesso è più facile emotivamente scegliere di non intervenire (quando sappiamo già che il nostro intervento causerà un effetto dannoso). Però non dovremmo dimenticare che intervenire rischia di causare un danno X, mentre non intervenire rischia di causare un danno maggiore di X.
In questo caso specifico, gli scenari che andrebbero considerati sono: intervenire e far morire una bambina per far vivere l’altra; non intervenire facendo morire entrambe.
Ovviamente è uno scenario semplificato e, ripeto, sarebbe preferibile non trovarsi in un dilemma del genere. Se però sei costretto a prendere una decisione, non è detto che il non intervento sia la scelta moralmente preferibile.

Conscientious objection to any procedure doctor’s right, say medical students

Conscientious objection in medical students: A questionnaire survey

Doctors should be allowed to object to any procedure that conflicts with their personal, moral, or religious beliefs, reveals a survey of medical students, published in the Journal of Medical Ethics.

Nearly half of respondents believed in the right of doctors to conscientiously object and refuse to treat a patient who wanted an abortion, contraceptive services, or who was drunk or high on drugs, or who wanted an intimate examination and was of the opposite sex.

This right was more frequently expressed among Muslim medical students, the survey findings showed.

The author contacted 1437 medical students at medical schools in Cardiff, London, and Leeds, and asked them to complete an anonymous questionnaire to canvass their views on conscientious objection to medical practices in 2008.

The students were also asked about their religious beliefs, their gender, ethnic origin and the type of medical degree they were taking.

In all, 733 responded, giving a response rate of 51%. One in three was male, and three out of four respondents were taking a five year degree.

Just under a third (30%) said they had no faith. And just over 17% said they were Prostestant.

There were similar proportions - around one in 10 (just under 12%) - of atheists and Catholics. The remainder were made up of “other” (11.5%); Muslim (9%); Hindu (5%); Sikh, Buddhist, or Jewish (just over 1%). Two people classified themselves as Eastern Orthodox.

In response to the question: ‘Do you think that doctors should be entitled to object to any procedure for which they have a moral, cultural or religious disagreement?’ 45% said yes; 14% were unsure; 40% said no.

Three out of four Muslim students (76%) responded in the affirmative, as did over half of Jewish, Protestant and ‘Other’ students. The proportions of those with other faiths who said ‘yes’, ranged from 34% (Hindu) to 46% (Catholics).

When asked about 11 medical practices, which included abortion and treating patients who are drunk or high on drugs, students on the traditional five year course (21%) were more likely to raise objections than those on the four year course (3%).

Across the entire group of medical students, one in five objections were on religious grounds; almost half were on non-religious grounds, and around one in three were a mixture of both.

Muslim and Protestant students were the most likely to give religious reasons for their objection, followed by Catholic students. Jewish students were the least likely to object on these grounds.

Medical students were least willing to treat patients requesting an abortion. Muslim students were the most likely to object to all 11 practices.

“In light of increasing demand for abortions, these results may have implications for women’s access to abortion services in the future. The Department of Health has issued statistics showing that, although there are an increasing number of abortions taking place in the UK, fewer doctors are willing to perform them,” writes the author.

She concludes: “Once qualified as doctors, if all these respondents acted on their conscience and refused to perform certain procedures, it may become impossible for conscientious objectors to be accommodated in medicine.”

18 july 2011.

venerdì 15 luglio 2011

La mercificazione (è pur sempre meglio della scempiaggine)


Su la Repubblica, edizione di Milano, ci sono 4 foto e il seguente, fenomenale commento.
La Cgil è sul piede di guerra con il gruppo Coin, che in questi giorni di saldi ha messo in vetrina, nel punto vendita di piazza Cinque Giornate a Milano, due ragazzi in costume da bagno. “Non siamo contro i saldi, né contro l’economia di mercato - si legge in una nota della Filcams Cgil di Milano - ma vorremmo difendere il decoro dei lavoratori e l’intelligenza dei clienti”. Secondo il sindacato, la vetrina attrezzata come una spiaggia con tanto di ragazzo e ragazza in costume per pubblicizzare prodotti come il telo mare con amplificatore di iPod è “all’insegna del corpo in vetrina e della mercificazione di tutto”. “È questa l’immagine che Milano vuole darsi?” è la domanda retorica di Filcams e Camera del lavoro, convinte che “non è certamente con queste scelte pubblicitarie che si costruisce una città che vuole essere modello di modernità e futuro”.
Il caldo fa male. E se poi fa pure umido, signoramia, il risultato è davvero preoccupante.

Biotestamento, io dico no al referendum


In queste settimane di accese discussioni (vedi Galileo: Perché la legge sul biotestamento è brutta e arrogante) sulle direttive anticipate c’è chi propone il referendum come rimedio alla violazione della nostra libertà compiuta dall’intrusivo disegno di legge prossimo all’approvazione.

Questa proposta potrebbe sembrare di primo acchito una soluzione, senz’altro in extremis ma pur sempre una soluzione. E invece rischia di costituire un ulteriore passo verso il baratro della violazione di un principio cardine di ogni Stato liberale: esiste una sfera privata e individuale in cui nessuno può permettersi di entrare. Quella sfera è la nostra libertà, intesa come assenza di interventi esterni, intesa come assenza di coercizione legale. Certo, si dirà, una volta approvata una legge liberticida, come potremmo difenderci? Affermare che non si sarebbe dovuti arrivare a questo punto non cambierebbe il panorama. Probabilmente però sarebbe preferibile l’intervento della Corte Costituzionale, proprio come accaduto per la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (vedi Galileo: Eterologa: un’altra ordinanza alla Corte Costituzionale), come estrema difesa e come mezzo per riaffermare quanto è stato messo in discussione. Nemmeno la Corte Costituzionale sarebbe una risposta ideale, ma forse sarebbe meno rischiosa.

Continua su Galileo.

mercoledì 13 luglio 2011

Il paese che dimentica l’Aids

Ieri si è svolto il Forum Italiano della società civile sull’Hiv/Aids in attesa della Sesta Conferenza IAS su Patogenesi, Trattamento e Prevenzione (6th Conference on HIV Pathogenesis, Treatment and Prevention IAS2011) che si terrà a Roma dal 17 al 20 luglio prossimi.
Organizzato da numerose associazioni (Actionaid, ANLAIDS, Arcigay, Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Gruppo Abele, LILA, Nadir, NPS Italia Onlus, Osservatorio Italiano sull’Azione Globale contro l’AIDS, Movimento Identità Transessuale, Villa Maraini), il Forum si inserisce nel progetto Verso Roma 2011 dell’Istituto Superiore di Sanità e denuncia il non mantenimento delle promesse del governo italiano in materia di lotta all’Hiv/Aids e le molte altre carenze che ancora oggi affliggono i tentativi di contrastare il diffondersi dell’infezione e di garantire una qualità di vita decente alle persone con Hiv/Aids.

L’ITALIA PEGGIO DI 30 ANNI FA - In Italia i problemi sono molti e sembrano essere peggiorati rispetto ad alcuni anni fa, a cominciare dal mancato versamento della quota annuale al Global Fund dal 2007/2008.
Le criticità e le proposte per affrontare una situazione tanto difficile sono sintetizzate da un documento che il Forum ha stilato e discusso: la Dichiarazione di Roma, che si può sottoscrivere ancora per qualche giorno e che sarà presentata allo IAS e poi inviato alle istituzioni italiane.
Ora più di allora!, è forse la parola chiave della dichiarazione. Ora, cioè, più di 30 anni fa è necessario incentivare la ricerca, la prevenzione, la cura e i diritti. Perché ora, dopo 30 anni, non esiste ancora una cura definitiva per l’infezione da HIV e la ricetta per arrestare e gestire questa epidemia deve passare da consolidate politiche di prevenzione, da un’assistenza socio-sanitaria adeguata, dalla disponibilità dei farmaci e della diagnostica per tutti, dalla difesa dei diritti e la lotta contro lo stigma in ogni contesto” - così comincia la Dichiarazione di Roma.
Il documento propone una fotografia del fenomeno e poi elenca le mosse necessarie alla lotta alla infezione e alle implicazioni sanitarie e sociali. Discriminazione, violazione della privacy, stigma sociale sono piaghe ancora diffusissime e che vanno ad esasperare una condizione già gravata dalla patologia.

Continua su Giornalettismo.

martedì 5 luglio 2011

sabato 2 luglio 2011

Amore di plastica


Che cosa si cerca in una bambola? Quali sono le motivazioni che spingono qualcuno a comprare una Real Doll? Per molti sarà squallido e triste e falso - come se tutte le relazioni con altri esseri umani fossero interessanti e allegre e “vere” - ma se il controfattuale per l’acquirente X fosse la solitudine? O peggio?
Hanno qualcosa in comune con quelli che amano e “sposano” un animale?
Forse la lettera di Tom allo staff di Abyss non fornisce una risposta, ma suggerisce un punto di osservazione: “Le ragioni per cui ho deciso di comprare una bambola sono varie: ero un single (abbastanza felice), ma una volta che mi resi conto che questa bambola avrebbe potuto cambiare la mia vita di solitudine, ho cominciato a cercare in Rete. […]
È qui da circa 4 ore e ogni volta che entro nella stanza mi spavento un po’ come se qualcuno fosse davvero seduto lì. Questo significa che mi ha dato la sensazione di essere in compagnia dal primo minuto, e non avrei mai creduto che fosse possibile.
[…] A qualche giorno di distanza posso dire: sta andando sempre meglio. Le cose che scopri… Le cose che puoi o devi fare: fare shopping per lei, prendersene cura (lavarla, incipriarla), vestirla, muoverla… Baciarla, accarezzarla, coccolarla, sdraiarsi accanto a lei, tenerle la mano, lavarle la parrucca… […] Sono così felice di averla con me!”.
Tom sarà fuori di testa? Forse sì. Però se fosse vero quanto lui scrive (“Sono così felice di averla con me!”), non sarebbe già abbastanza per ripensare la condanna assoluta, considerando che non
fa male a nessuno? La sua felicità è irrimediabilmente fasulla e vergognosa? Siamo convinti che una genuina infelicità sia necessariamente preferibile a una felicità fittizia?

Su Il Mucchio Selvaggio di luglio-agosto 2011 (in Real Dolls).