Pure i laici si svegliano contro la follia dell’Anonima eterologa, titola oggi Il Foglio. Come se l’essere laico fosse la garanzia di saper argomentare. Come se la distinzione rilevante fosse questa: laici e non laici. Come se la descrizione di un’appartenenza, spesso autocertificata, bastasse per non rendersi ridicoli. «Emilia Costantini sul blog 27° ora e Marco Politi attaccano la finzione che nega il diritto a conoscere le proprie origini», avverte minacciosamente l’occhiello.
Ieri avevo assistito al risveglio di Marco Politi; oggi è la volta di Emilia Costantini (il suo post è del 7 settembre, La fecondazione eterologa. E i diritti del «soggetto nato», e la 27esima ora è femmina).
È quanto hanno decretato le Regioni (in attesa che il Parlamento emani una legge nazionale), sentenziando così la condanna del figlio in provetta a non poter scoprire la propria identità. In altre parole, mentre si nega il principale diritto dell’essere umano, cioè quello di sapere chi è veramente e da dove viene. Si riconosce il diritto al genitore biologico di rivelare o meno il proprio nome e cognome. Un’aberrazione.La mia identità? Sapere chi sono e da dove vengo? Mettiamo che mi abbiano adottato infante o che i miei genitori abbiano fatto ricorso a un gamete (sono geneticamente mezza figlia loro) o a un embrione (geneticamente non sono affatto figlia loro). Mettiamo cioè, in tutti e tre i casi, che io non abbia ricordi o esperienze dei miei «veri» genitori. La mia identità sarebbe mutilata? Sarebbe forse determinata più da uno spermatozoo o da un ovocita di quanto non lo sia dall’essere stata cresciuta, amata (o no), coccolata (o no), portata al mare (o no)? Certo, è verosimile che a un certo punto io mi senta incompleta, infelice, mancante di qualcosa – soprattutto durante l’adolescenza (durante l’infanzia sono molti a pensare di essere stati adottati: «non siete voi i mie veri genitori, i miei veri genitori mi avrebbero mandato a quella festa!»). È anche verosimile che questo vuoto possa essere colmato solo sapendo il cognome e il nome di chi ha fornito materiale genetico. Un gamete contro il resto del mondo. Certo.
A essere aberrante è che si possa essere convinti di una cosa del genere, che si decida di innalzare un pensiero discutibile e bizzarro a Verità Assoluta e che si chieda la complicità di una legge.
Next, 10 settembre 2014.
Sempre più difficile, adesso il problema non è più se serve o meno una legge, diciamo direttamente che non ha alcun senso il diritto all'identità come già individuato da C.Cost. 278/13, espressamente richiamata da 162/14.
RispondiEliminaMi è improvvisamente venuto il sospetto di poter essere frainteso.
RispondiEliminaAffermando la necessità di una legge su identità genetica, diritti di conoscenza del nato e/o dei suoi genitori e/o registro donatori non intendo dire che c'è un vuoto normativo che impedisce il ricorso l'eterologa, intendo dire che la sentenza della corte lascia scoperti alcuni punti che non possono essere disciplinati se non da fonte normativa.
Sarebbe interessante non come si sentirebbe chi scrive articoli partendo da una esperienza totalmente "normale" di nascita, ma chi ha vissuto sulla sua pelle l'esperienza di avere radici anonime o riconducibili alla sigla su una provetta.
RispondiEliminaPensa ad Abby Normal ?
RispondiEliminaScusate la petulanza ma l'ordine sparso con cui stanno andando le regioni è un chiarissimo esempio dei guasti non solo potenziali (complimentoni alla Lombardia) del - parziale - vuoto normativo lasciato dalla sentenza della Corte.
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