giovedì 1 marzo 2007

Nell’attesa che Il Foglio si chiarisca le idee

Il Governo britannico sembrerebbe orientato, secondo il Times (Mark Henderson, «Scientists triumph in battle over ban on hybrid embryos», 27 febbraio 2007), a non opporsi più alla creazione in laboratorio di embrioni umani a partire da ovociti di conigli o di mucche, con lo scopo di studiare la tecnica della clonazione terapeutica e di produrre cellule staminali senza dover ricorrere a donatrici umane.
I commenti indignati di integralisti e atei clericali non si sono naturalmente fatti attendere. Come si ricorderà, Il Foglio si era reso ridicolo qualche tempo fa, quando la questione era stata per la prima volta sollevata, equivocando grossolanamente la natura della tecnica: che per l’editorialista consisteva nella fecondazione con sperma umano di un ovocita animale, quando una conoscenza elementare (nel senso di «appresa alle scuole elementari») della biologia gli avrebbe impedito di uscirsene con un simile, grottesco sproposito. In realtà, la tecnica consiste nel privare l’ovocita animale del nucleo (con tutti i cromosomi), e di sostituirlo con il nucleo di una cellula normale umana (con 46 cromosomi): una variante della clonazione, insomma (ma l’embrione ottenuto non verrà fatto sviluppare oltre un certo termine). L’embrione erediterebbe dall’animale solo i mitocondri, organelli che si trovano al di fuori del nucleo, che regolano il metabolismo e che sono dotati di un loro patrimonio genetico, minuscolo se confrontato con quello contenuto nel nucleo.

Da un articolo pubblicato ieri («Al 99,9 per cento umani», 28 febbraio 2007, p. 3), sembrerebbe che al Foglio abbiano finalmente capito come stanno le cose (no, non hanno mai rettificato l’errore: come direbbero loro, per fortuna questa non è mica la Gran Bretagna!); ma solo per ricadere in altri buffi equivoci, come vedremo subito.
Se cadrà la restrizione sulla creazione di chimere, e sembra ormai cosa fatta, l’Inghilterra si confermerà come avanguardia orwelliana mondiale, oltre che europea. Quegli esseri a percentuale variabile di umanità, che per ora (ma è solo questione di tempo) nessuno pensa di far sviluppare fino alla nascita, avranno il Dna mitocondriale dell’animale da cui provengono. Gli scienziati che pretendono di trarne in futuro staminali da usare sui malati, sostengono che quell’aspetto è insignificante. Altri scienziati, però, fino a oggi ci hanno spiegato qualcosa di molto diverso. Ci hanno detto, cioè, che il Dna mitocondriale è un potente strumento per ricostruire le caratteristiche di una specie, perché passa indenne attraverso le generazioni. Do you remember Lucy, ovvero la cosiddetta “Eva mitocondriale”, quella che (sempre autorevoli scienziati) considerano la comune progenitrice dell’umanità? Nell’attesa che la scienza si chiarisca le idee, la tecnoscienza, comunque, non si ferma.
Tralasciamo pure l’uso dell’aggettivo «orwelliano» (al Foglio, immagino, pensano che George Orwell sia l’autore di Brave New World...), e concentriamoci sulla scienza. Il DNA mitocondriale non è «un potente strumento per ricostruire le caratteristiche di una specie», visto che di tutte le caratteristiche di una specie regola solo il metabolismo cellulare; è invece un utile strumento per ricostruire le origini e le migrazioni di una specie o di una popolazione. E lo è non perché «passa indenne attraverso le generazioni», ma per il motivo opposto: perché da una generazione all’altra varia in modo relativamente regolare (altrimenti non ci sarebbero più problemi: conigli bovini e umani lo avrebbero identico, visto che discendono da un antenato comune – ops, pardon, dimenticavo che al Foglio non credono alla common descent...).
Do you remember Lucy?, ci chiede l’editorialista. Noi sì, ce la ricordiamo; lui invece un po’ meno, visto che confonde Lucy, una femmina di Australopiteco vissuta circa tre milioni e duecentomila anni fa, verosimilmente imparentata in qualche modo con l’umanità attuale e del cui DNA non sappiamo nulla, non essendo mai stato analizzato, con la Eva mitocondriale, cioè con la femmina, probabilmente di Homo sapiens, vissuta circa 150.000 anni fa, che costituisce il più recente antenato comune per via materna dell’intera umanità (non la progenitrice comune, che sarebbe tale anche per via paterna).

Nessuno è tenuto a conoscere questi fatti, beninteso, anche se sono tutti facilmente accessibili; ma chi si vuole impancare a giudice della moralità altrui, farebbe bene a chiarirsi prima le idee. Foss’anche solo per non fare la figura del pagliaccio.

2 commenti:

  1. sottoscrivo in pieno... purtroppo l'ignoranza dei censori è diventata vergognosa!

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  2. Molto spesso i giornalisti (alcuni) peccano di superficialità. Purtroppo i loro errori hanno un'influenza manipolatoria delle menti dei lettori.

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