martedì 18 luglio 2006

Io, Gino e la RU

Gino del blog Gino ci onora di un lungo post critico («Il dogma RU-486», 18 luglio 2006), dedicato a un nostro articolo di due settimane fa. Tenterò di rispondere qui di seguito, punto per punto.
Ma veniamo alle contestazioni che Giuseppe Regalzi muove a Libero.
Si comincia con l’affermare che il titolo “riporta come detto dall’intervistato l’esatto contrario di quello che l’intervistato ha detto” (la mia maestra delle elementari avrebbe sfoderato la matita rossa per segnare le ripetizioni, ma passiamo oltre...).
Mi dispiace che la cultura retorica di Gino si sia arrestata alle scuole elementari; altrimenti avrebbe riconosciuto – e chissà, forse persino moderatamente apprezzato – il mio impiego dell’antimetabole. Purtroppo noi di Bioetica tendiamo a basare le nostre strategie comunicative sulla cultura media dei nostri lettori, ignorando le esigenze dei meno fortunati. Mi scuso quindi con Gino di Gino: in futuro sarò più accorto. Ma passiamo oltre...
E già qui sorge qualche dubbio.
L’intervistatrice (Alba Piazza) chiede a Baulieu a proposito della sua invenzione: “è vero che, in certi casi, può rivelarsi pericolosa? In America sono morte 5 donne...”.
Baulieu risponde (evidentemente seccato): “Solo negli Stati Uniti si sono verificati 5 incidenti, ma dovuti a un utilizzo improprio della prostaglandina.” ecc.
Il titolo contestato è il seguente: “Il papà della pillola abortiva ammette: «È vero può essere pericolosa»”.
Certo, Baulieu non ha detto esattamente la frase messa tra virgolette – succede spesso e non solo a Libero che i titoli contengano frasi mai pronunciate, che più o meno sintetizzano un concetto espresso in un’intervista – ma ha dovuto ammettere (suo malgrado) che, “in certi casi”, “si sono verificati degli incidenti”.
Quindi non vedo cosa ci sia di scandaloso.
Supponiamo che Alba Piazza stia intervistando Emile Etienne Boisleau, fondatore della storica Société Anonyme des Eaux Minerales d’Estvin, e che questi dichiari che «i fatti hanno dimostrato che bere acqua minerale è assolutamente sicuro». Ma l’intervistatrice insiste: «È vero che, in certi casi, può rivelarsi pericolosa? In America sono morte cinque persone...», e Boisleau allora sbotta: «Solo negli Usa si sono verificati cinque incidenti, ma sono dovuti a un utilizzo improprio della bevanda: quelle persone ne hanno consumato più di tre litri in una volta sola, e sono morte in seguito al crollo del livello di sodio nel sangue». Dopodiché Libero titola: «Il papà dell’acqua minerale ammette: “È vero, può essere pericolosa”»: ebbene, forse persino Gino di Gino rileverebbe una certa qual tendenziosità...
A proposito: la frase originale di Baulieu era: «I risultati hanno dimostrato che la terapia era assolutamente sicura» (a quanto pare Gino si è dimenticato di riportarla, come pure ha dimenticato di inserire il link all’intervista).
Aggiungiamoci che Baulieu ha detto una cosa non vera: questi “incidenti” non sono successi “solo negli Stati Uniti”, ma anche in Canada e in diversi paesi europei, tra cui la Svezia. I casi noti in Europa sono almeno 5. E nessuno può dire con certezza quanti siano i casi archiviati erroneamente sotto altre cause, dato che la letale infezione da Clostridium sordellii può essere diagnosticata correttamente solo con un’autopsia. Né è possibile fare stime precise sulla situazione in paesi con sistemi sanitari molto più precari rispetto a quelli occidentali.
Questo è un appunto per Baulieu (se ha veramente detto quello che gli viene attribuito; vedi più sotto), non per me: ho dato conto esaurientemente dei decessi (che non sono tutti dovuti all’infezione da Clostridium sordellii, come sembrerebbe implicare Gino) e del significato da attribuire loro, qui, qui, qui, qui, e qui.
Un altro appunto fatto alla giornalista di Libero è di aver inserito un proprio inciso all’interno di una dichiarazione di Baulieu, ma senza indicare che si trattava di una Nota del Redattore (NdR).
Ma anche ammesso che si sia trattato di un errore, la sua evidenza era tale da eliminarne ogni “pericolosità”. Fossero tutte qui le scorrettezze dei giornalisti, ci sarebbe da far festa.
Perché quindi tanto ardore? La lingua batte dove il dente duole.
La frase incriminata è quella che si riferisce a un articolo apparso sul New England Journal of Medicine: “(dove, guarda caso, sul numero del 1 dicembre 2005 si legge che «l’aborto medico ha una mortalità 10 volte superiore rispetto a quello chirurgico»)”.
Ah, ecco la “propaganda” pericolosa per il “dogma RU-486”. Qui ci vuole un intervento per distrarre l’attenzione, sminuire la portata potenzialmente devastante di una simile affermazione, contenuta in una delle più autorevoli pubblicazioni scientifiche.
Ecco quindi mettere l’accento sulle “imprecisioni” della giornalista di Libero, che potrebbe anche non essere accurata nel verificare le proprie fonti... (“infangate, infangate: qualcosa resterà”).
Non ho fatto un appunto di aver omesso il NdR; si trattava di una precisazione necessaria per capire il resto. Gli appunti che ho fatto davvero sono altri (sulla sostanza dei quali Gino dev’essere d’accordo, visto che non li menziona mai): il buffo equivoco sul nome dell’accademia francese, la ricostruzione fantasiosa della sperimentazione italiana, la mancata comprensione della natura delle cifre citate dall’intervistato. E l’accento sulle «imprecisioni» (le virgolette, decisamente, sono obbligate...) della giornalista di Libero non serve a distrarre l’attenzione del lettore, visto che nel post spiego chiaramente qual è la reale «portata» delle affermazioni del NEJM, ma a mostrare quale sia l’affidabilità di un giornale come Libero. Non si tratta di «infangare»: non ce n’è bisogno, quando hai a che fare con qualcuno che ama giocare con la melma.
Ecco che si fanno affermazioni perentorie, ma senza possibilità di verifica: “la mortalità dell’aborto medico (cioè farmacologico) è superiore di dieci volte a quello chirurgico solo negli Stati Uniti, per una serie di casi di infezione curiosamente concentrati quasi tutti in California”.
Come “solo” negli Stati Uniti? Non si tratta di un paese del terzo mondo. Proprio perché ci troviamo in un paese tra i più moderni e progrediti questa notizia dovrebbe fare scalpore e suscitare il dubbio che altrove, con controlli meno severi e condizioni igieniche peggiori, la situazione potrebbe essere ancora più drammatica.
Per la verifica delle mie affermazioni basta leggere l’articolo a cui Gino si riferisce (Michael F. Greene, «Fatal Infections Associated with Mifepristone-Induced Abortion», New England Journal of Medicine 353, 2005, pp. 2317-18, alla fine): vi si parla esclusivamente di quattro morti in America (tutte in California), su un totale di 460000 pazienti americane, e con un raffronto con i tassi di mortalità per aborto chirurgico americani. Al di fuori del Nord-America non sono mai stati segnalati casi di infezione da Clostridium sordellii associati all’uso del mifepristone (un’epidemia può benissimo scoppiare anche «in un paese tra i più moderni e progrediti»); in Francia si è verificato un solo caso fatale su 1500000 aborti – e per cause identificate e rimosse. Quanto ai casi – ipotetici – nei paesi del Terzo Mondo, quale sarebbe, di grazia, la loro rilevanza per noi, a parte il cordoglio? La battaglia sulla RU4896 si combatte, qui da noi, per la sua introduzione in Italia, non in Cina o in India (che non ascolterebbero comunque né Gino né me); i rischi del farmaco saranno comparabili a quelli di paesi con strutture sanitarie e situazioni igieniche paragonabili alle nostre, e in cui la somministrazione della RU486 e della prostaglandina che l’accompagna si effettuino in maniera simile a quella che si sperimenta in Italia: la Francia è, appunto, il paese che più di ogni altro soddisfa queste condizioni. E se Gino non è ancora soddisfatto, dia un’occhiata all’intervista a Michael F. Greene che lui stesso linka sul suo blog:
Norman Swan: If you were a Minister for Health sitting with the dilemma of whether of not to say well it’s OK to have RU 486 on the market, would you be inclined irrespective of your ideology on termination, would you be inclined to approve it on a Greenfield site like Australia where you don’t have it on the market yet, given this information?
Michael Greene: I think it’s important not to over react to what is as tragic as it is, is a very, very small number of events first. Second it’s important to look around the world and see that throughout Europe hundreds of thousands, possibly a million procedures have been done with RU 486 and they have not seen this experience. I’ve spoken with colleagues in Great Britain and they tell me that they have not seen these infection problems. I’ve spoken with colleagues in China where it is known that a million of these procedures have been done and they inform me that they have not seen these kinds of infection problems. So I’m not quite sure why we’ve seen these disasters in North America, but as bad as they are they are still quite rare and this is the only medically approved method for terminating an early pregnancy that’s approved, at least in the United States by our Food and Drug Administration. I have certainly suggested that our own Food and Drug Administration not over-react and insist upon the withdrawal of the drug as sort of a knee jerk response. As far as what a country should do that has not yet introduced RU 486, certainly the large number of countries throughout Europe, Israel, China, many countries around the world have experienced as I say hundreds of thousands to millions of these procedures without a terrible risk associated with them. So I don’t think that this, as devastating as the complication is, the numbers are sufficiently small that I don’t think that this should be in and of itself a reason not to approve the drug.
Continua Gino di Gino:
Ma per certi “presunti liberali” non c’è bisogno di fare verifiche sui tanti e pesanti effetti collaterali riportati spontaneamente da centinaia di donne. Per costoro, l’importante è far passare la RU-486 come il “meglio” che c’è. Pazienza se negli Stati Uniti è in corso un acceso dibattito che ha portato la Food and Drug Administration ad organizzare un convegno per studiare il rapporto tra l’aborto chimico e le gravi infezioni che hanno causato la morte di cinque giovani donne americane.
Per qualcuno è prioritario screditare chi osa parlare di queste cose, anche affibbiando etichette spregiative che dimostrano solo lo spessore dei propri paraocchi ideologici.
Eppure dovrebbe essere semplice capire che una scelta libera e responsabile è possibile solo quando si è bene informati. Le donne hanno diritto di sapere.
Perciò sui rischi della RU-486 bisognerà tornare con maggiori dettagli.
Nonostante quelli che cercano di darcela a bere, canticchiando “basta un poco di zucchero e la pillola va giù”.
Nessuno ha mai detto, su questo blog, che la RU486 sia «il meglio che c’è». Gli effetti collaterali ci sono, è vero, come per tutti i farmaci; ma Gino apprezzerà questa nuova citazione dall’intervista del suo eroe, Michael Greene:
Norman Swan: So it’s not an easy option?
Michael Greene: Oh it’s not pleasant no. It’s not a day at the beach. It’s an unpleasant experience but in fact when women have been asked after the procedure, women who’ve had both medical and surgical pregnancy terminations have been asked to compare the experiences, most of the women who’ve undergone the medical procedure actually prefer it to the surgical procedure for a variety of reasons.
Norman Swan: When you say medical you’re talking about RU 486?
Michael Greene: Yes.
Norman Swan: So even with those symptoms they’re happier with not having the surgery?
Michael Greene: They are for a variety of reasons. Many women say it feels quote “more natural” unquote, many women say they feel under more control if you will. And then many women prefer to be able to just receive this medication from a physician in a physician’s office rather than having to go to what’s identified as an ‘abortion facility’ or an ‘abortion clinic’.
Sul convegno della FDA – dedicato principalmente al Clostridium difficile, che fa molti più morti del sordellii e dell’aborto farmacologico – ho già scritto in passato. Sull’«etichetta spregiativa» per Eugenia Roccella: theoconette mi sembra più descrittivo che spregiativo. La Roccella è chiaramente una teocon, ed altrettanto chiaramente una donna: quindi una theoconette, appunto. Ma siccome non voglio offendere nessuno, qualora mi manifestasse di persona il suo disappunto cesserei immediatamente di chiamarla così.
Quanto infine alle scelte libere e responsabili basate sull’informazione, non posso che dirmi d’accordo: è quello che tenta di fare, nel suo piccolo, Bioetica; perché ci sono quelli che cercano di spaventarci, per esempio farfugliando a vanvera della kill pill...

Aggiornamento: anche Malvino ha fatto un salto da Gino, per conoscere Gino.

Aggiornamento 2: nei commenti la replica di Gino (anzi, Mauro) e la mia contro-replica (dove parlo brevemente anche del metotrexato o methotrexate, sperimentato all’ospedale Buzzi da Umberto Nicolini).

4 commenti:

  1. Grazie per l'utile lezione in materia di figure retoriche!
    Non si finisce mai di imparare, vero? ;-)
    Scommetto che sei anche più sexy della mia maestra elementare. Non ci vuole molto, ok...

    Sul resto ribadisco che l'anomalia non è l'articolo "impreciso" o "tendenzioso" di Libero, ma il fatto che sulle morti provocate dalla RU 486 (e sui tanti effetti collaterali traumatici, non solo fisici, ma anche psicologici) ci sia una quasi totale censura, per cui un medico notissimo come il prof. Veronesi a marzo poteva scrivere tranquillamente su un settimanale femminile (Grazia) che la Ru 486 "non comporta rischi per la salute".
    Proprio nei giorni in cui usciva quel numero di Grazia, la Food and Drug Administration riferiva di altre due morti sospette. Quanti articoli sono comparsi in Italia su questi insoliti eventi? Pochissimi se li confronti con le migliaia di articoli che ogni anno trattano di "inquinamento elettromagnetico", nonostante gli esperti (tra cui lo stesso Veronesi) sostengano che tale inquinamento non sia dannoso per la salute umana.
    Chi è che ha interesse a far passare sotto silenzio questi fatti?

    Questa settimana sempre su Grazia, Veronesi ha ribadito che l’aborto con la pillola è "meno traumatico", lasciando intendere che non ci sia alcun rischio o controindicazione.
    Ha difeso pure l’uso del methotrexate come abortivo chimico fatto nell’ospedale milanese Buzzi senza le dovute sperimentazioni e autorizzazioni. Immagino saprai che si tratta di un agente chemioterapico usato per il trattamento di alcune forme tumorali. Un farmaco "pesante", con molti effetti collaterali non piacevoli, da non prendere alla leggera.

    Ci sarebbe anche da dire che la legge 194 non permette l'aborto "a domicilio". Quindi se si decidesse di introdurre questo sistema in Italia, le donne dovrebbero essere tenute sotto osservazione per almeno 2 settimane.
    Il che farebbe svanire uno dei motivi principali che spingono molti medici e politici a sostenere la ru486: la riduzione dei costi. I medici poi hanno anche un altro motivo, comprensibile, ma mascherare tutto questo con il "bene delle donne", è paradossale.

    Il dottor Michael Greene non è un mio "eroe" e dice molte cose oltre a quelle da te citate.

    "These deaths have important implications both for the care of individual patients and for public policy."

    "Inevitably, the public health question of the safety of this method of pregnancy termination must be addressed."


    Questo sarebbe un tentativo di spaventare "farfugliando a vanvera della kill pill"?

    Michael Greene: You're absolutely correct that there is a percentage of patients who take the medication who do not completely expel all of the products of conception. That's something around the order of about 8% of patients who take the medication will not have a satisfactory effect and will require a dilatation and curettage to complete the miscarriage, or to complete the abortion. However the kinds of symptoms that women have when they take RU 486 are they frequently have nausea, they frequently have vomiting, they do have a lot of abdominal cramping and they do have vaginal bleeding.

    Norman Swan: So it's not an easy option?

    Michael Greene: Oh it's not pleasant no. It's not a day at the beach.

    Naturalmente gli effetti collaterali non si presentano sempre tutti insieme e nella stessa misura, ma il fatto che molte delle donne che hanno provato entrambi i metodi dicano di preferire l'aborto chimico, non deve far dimenticare che molte altre ne sono rimaste traumatizzate.

    Ad esempio, una donna di 43 anni che "ha provato ogni tipo di aborto" dice "I do not like doctors and hospitals", perciò preferisce fare tutto a casa sua, ma un'altra di 36 anni dice:

    "taking RU-486, she said, "was the worst experience, the most physically and emotionally painful thing, that I've ever been through."

    Ms. Hawkins had another abortion in March, and she chose surgery.

    "It was 10 minutes, max, and then it was over," Ms. Hawkins said of the surgical procedure. "The pill for me was the experience of having a baby. Contractions for 10 hours, sweating, screaming, being by myself. It was emotionally scarring and physically horrible."

    A qualche donna potrebbe interessare anche il parere di questi medici:

    "None of these women should be dying; it's shocking," said Dr. Peter Bours, an abortion provider in Portland, Ore., who is rethinking whether to offer pill-based, or medical, abortions.

    Dr. Warren Hern, a provider in Denver, said the latest reports demonstrated that abortions by RU-486, or Mifeprex, were far riskier than surgical ones. "I think surgery should be the procedure of choice," Dr. Hern said. Pills, he said, "are a lousy way to perform an abortion."

    ("a lousy way" = un modo orrendo/schifoso)

    "The complications associated with RU-486 far exceed the complications of surgical abortion," said Dr. Damon Stutes, a provider in Reno, Nev., who refuses to offer pill-based abortions. Dr. Stutes, whose clinic has been bombed, said he was uneasy about agreeing with abortion opponents on anything.

    "But the truth is the truth," he said.

    Anche The New York Times pubblicando queste testimonianze di donne e di medici abortisti (o quando scrive che "Some deaths may have gone unreported, meaning the real risk may be even higher") sta "farfugliando a vanvera della kill pill" oppure fa un'informazione completa?
    Quella che manca in Italia.

    E comunque l'aborto chimico è contrario alla legge 194, che impedisce (o dovrebbe impedire) di banalizzare l'aborto - riducendolo a metodo per il controllo delle nascite - e di trattare la gravidanza come fosse una malattia. Molti purtroppo dimenticano che i consultori dovrebbero contribuire "a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza".

    Ci sarebbero da dire tante altre cose, ma mi fa piacere sapere che almeno sul favorire le "scelte liberi e responsabili" siamo d'accordo.
    Anche il dottor Green concorda:

    "The only other thing I think I'd like to add is that part of the reason that we wanted to publish this paper in the New England Journal of Medicine is to increase the awareness of the potential for this complication so that patients who request the procedure should be aware of it, it should be part of a fully informed consent process and also health care providers, not only the health care providers who provide the medication to the women who request it, but also health care providers who might be staffing emergency rooms where these women might present should, we're trying to raise everybody's level of awareness of this potentially devastating complication and that's a major part of why we've published this paper, the Centres for Disease Control have placed a lot of information of their website, the FDA has placed information on their website, the manufacturer or the distributor Danco Industries has placed a lot of information about it on their website. Everybody's trying to raise public awareness of this potential complication."

    Perché è vero che fino ad oggi si tratta di "a very, very small number of events", ma vallo a dire ai parenti e amici di quei "small numbers of events" che corrispondono a persone reali.
    Inoltre finché non si è certi di quali sono le cause è doveroso indagare a fondo.

    In quanto ad Eugenia Roccella, penso abbia cose più importanti a cui pensare.
    Certo che vedere apostrofata di "theoconette" una dei leader del Movimento di liberazione della donna dagli anni ’70, che è pure stata a lungo militante radicale, è buffo...

    Ciao.
    Mauro (aka Gino, aka Faramir)

    PS: meno male che volevo fare un commento "veloce"... ma non ti preoccupare, non ho spesso così tanto tempo per queste cose. E poi vedo che ci pensa già Assuntina a darti da fare.

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  2. Caro Mauro,
    non so francamente se mi troveresti più sexy della tua maestra elementare. A parte la mia non eccelsa venustà, devi considerare che io sono un uomo. Ma forse tu hai vedute più larghe di quel che appare, e mi risponderai «Nessuno è perfetto!»...

    Per quanto riguarda la nostra discussione: anch'io concordo col dottor Greene, quando afferma che occorre aumentare la consapevolezza delle pazienti e degli operatori sanitari. Ma questo significa presentare serenamente i fatti, evidenziando rischi, benefici e alternative, non fare del terrorismo psicologico straparlando della Kill pill. Esiste un farmaco i cui effetti collaterali comprendono insufficienza renale, asma, choc anafilattico, nausea, ulcere ed emorragie (anche mortali) gastrointestinali. Si stima che ogni anno, nei soli Usa, muoiano più di 3400 persone per l'uso della classe di farmaci a cui appartiene (e ti lascio immaginare cosa succede in Cina e in India...); verosimilmente la grande maggioranza di queste morti è da imputare all'uso del farmaco in questione. Con queste premesse, uno si aspetterebbe che il nome con cui è conosciuto fosse ormai quello di Holocaust pill, e che Avvenire e Il Foglio ne parlassero in continuazione come uno degli esiti più orrendi della malvagia tecnoscienza; e invece no. Avvenire e Il Foglio tacciono sulla ‘strage’, e il farmaco è conosciuto ancora e solo col suo nome commerciale: Aspirina.

    Considerando quindi i dati disponibili della mortalità per RU486 (e disaggregandoli per area geografica e/o modo d'impiego), e soprattutto considerando le preferenze espresse dalle donne, direi in conclusione che si dovrebbe lasciare a queste ultime la scelta sul metodo abortivo da impiegare, dopo aver fornito loro tutte le informazioni e l'assistenza necessarie. Non sono incapaci di intendere e di volere.

    Rispondo brevemente ad altre tue affermazioni:

    1. metotrexato (o metothrexate): è usato abbastanza ampiamente in vari paesi come abortivo, in particolare nel caso di gravidanze ectopiche. Per quel che riguarda effetti collaterali, complicazioni e tasso complessivo di successo è paragonabile al mifepristone, cioè alla RU486; la differenza cruciale sta nel tempo più lungo che occorre per terminare l'aborto (esistono due sperimentazioni che hanno messo direttamente a confronto i due metodi: Wiebe et al. 2002, e Dahiya et al. 2005). L'Oms ne sconsiglia l’uso per la possibile teratogenicità – si intende, nei casi in cui l'aborto col farmaco fallisca e la donna decida a quel punto di continuare la gravidanza (WHO 2003: 39). Andrebbe usato solo ove la RU486 non sia ancora disponibile.

    2. RU486 e legge 194: all'epoca in cui la legge fu redatta la pillola abortiva non esisteva ancora, e non si poteva pertanto nemmeno concepire che l'inizio della procedura medica fosse disgiunto dalla sua conclusione. Non sono un giurista, ma mi sembra che lo spirito della legge 194 sia pienamente rispettato, anche se si ricorre all'aborto farmacologico (i due farmaci vengono somministrati in ospedale).

    3. sulle motivazioni di chi propone l'uso della RU486: le speculazioni psicologiche sul senso di colpa dei medici lasciano il tempo che trovano. Da quello che capisco, uno dei motivi principali è piuttosto quello di ovviare alla drammatica carenza di personale, determinata dal ricorso – spesso di comodo – all'obiezione di coscienza. Inutile dire che chi è contrario all'aborto farmacologico è contrario anche a rimuovere dalla legge la sciagurata disposizione che rende possibile questa situazione.

    4. «l'aborto chimico è contrario alla legge 194, che impedisce (o dovrebbe impedire) di banalizzare l'aborto»: qui bisogna decidersi: l'aborto farmacologico è un'esperienza banalizzante oppure tragica? Le due cose, mi pare, si escludono a vicenda...

    5. Roccella e Morresi: trovo anch'io strano che «una dei leader del Movimento di liberazione della donna dagli anni ’70, che è pure stata a lungo militante radicale» si sia trasformata in teocon. Ma sai com'è: prendi una dozzina di persone a caso, e ci troverai sempre quella che tradisce gli ideali che aveva avuto fino al giorno prima...
    Quanto ad Assuntina, purtroppo è un bel po' che non commenta più. Ho provato a scriverle di persona, ma mi ha lasciato capire che oramai preferisce leggerci senza intervenire. Peccato: mi divertivo così tanto!

    Ciao!

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  3. sì, le donne, o meglio, le dirette interessate alla questione, che sono una categoria più ristretta, ma necessariamente femminile, dovrebbero essere considerate in grado di intendere e di volere, perlomeno in prima istanza (principio di carità), e aiutate a farlo, nei casi in cui non lo siano. per questo è importante un'informazione non viziata dal pregiudizio ideologico, da nessuna delle due parti. sono in linea di massima d'accordo con giuseppe, che, sono sicura, non è affatto ansioso di far correre rischi alle donne che vorrebbero usare la pillola abortiva piuttosto che ricorrere alla chirurgia. sono però anche d'accordo con mauro quando ricorda che non si deve arrivare a considerare la gravidanza una malattia e l'aborto una misura contraccettiva. inutile a dirsi, su questo siamo d'accordo tutti, in quanto persone coscienziose e sensibili. a proposito di questo però vorrei farvi notare come questa discussione tenda a essere molto centrata sugli aspetti clinici e poco su quelli di "cura" delle donne di cui entrambi vi sentite paladini. una considerazione importante è quella sulla differenza di esperienza a livello emotivo. posto che probabilmente nessuna delle due opzioni è, in un paese avanzato, realmente pericolosa per la maggioranza delle donne che vi ricorrono, il quesito è: come viene vissuto un aborto a casa, tramite pillola? come viene vissuto un aborto in sala operatoria? come devono comportarsi le istituzioni per sostenere le donne in contesti così differenti? come possiamo sostenerle a casa, senza lasciarle sole a vomitare e sanguinare? come possiamo sostenerle in ospedale, senza lasciarle alla mercé dei pochi, eroici chirughi che si prestano a questa routine avvilente e che necessariamente si induriscono e perdono di vista il cuore della loro pratica medica, cioè curare il corpo senza dimenticare la psiche?

    giuseppe, la tua perfidia retorica è senza pari!! (un'allitterazione?)

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  4. Beh, prenderò la tua ultima osservazione come un complimento! Del resto tu puoi testimoniare che di persona sono un ragazzo ammodo, timido e gentile, e per nulla perfido – o no? :-)

    Per il resto d'accordo su tutto, e in particolare sul problema della cura della donna che abortisce. Purtroppo le risorse – sia quelle materiali, sia quelle retoriche – sono in molti casi a malapena sufficienti a garantire (o a lottare per) il rispetto dei diritti fondamentali; ma bisogna comunque fare qualcosa.

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