Ancora un articolo sulla Ru486 sul Foglio di oggi, questa volta anonimo (chissà perché spesso gli articoli più discutibili che appaiono su questo giornale non sono firmati; una coincidenza, suppongo...): «Ora anche per i medici abortisti americani la Ru486 è una “kill pill”» (p. 2), che riprende un pezzo apparso pochi giorni fa sul New York Times (Gardiner Harris, «Some Doctors Voice Worry Over Abortion Pills’ Safety», 1 aprile). Per non tediare i lettori con un argomento di cui ci siamo occupati fin troppo, procederò schematicamente a esaminare alcune delle affermazioni fatte nell’articolo.
F: «un articolo del New York Times … raccoglie le voci di medici che esprimono senza mezzi termini la loro preoccupazione. Non si tratta di militanti pro-life, ma di medici che lavorano in cliniche in cui si effettuano aborti, anche con la Ru486, e che in alcuni casi (come in quello del dottor Mitchell Creinin, per esempio) sono da annoverarsi tra gli sperimentatori della prima ora dell’aborto farmacologico».
GR: la dichiarazione del dr. Creinin (che Il Foglio evita di riportare) riguarda la possibilità che la modalità di somministrazione della pillola abbia qualcosa a che vedere con alcune morti per infezione che si sono verificate negli USA in seguito al suo uso, e recita testualmente: «Dr. Mitchell Creinin, director of the division of gynecologic specialties at the University of Pittsburgh, said the method of drug administration had nothing to do with the deaths. Miscarriages, both induced and natural, can lead to infections, he said». Mi sembra che Creinin non stia esprimendo nessuna preoccupazione, ma anzi stia assolvendo (a torto o a ragione) la Ru486 dall’accusa di aver causato le infezioni fatali, che secondo il medico sono un rischio connaturato all’aborto, volontario o naturale che sia.
F: «Il 17 marzo la Food and drug administration … aveva dato la notizia che altre due giovani americane erano state uccise dalla Ru486. Quei due decessi si aggiungono ad almeno altri sei, accertati nel giro di poco più di un anno».
GR: La FDA ha dato la notizia che altre due morti potrebbero essere state causate dalla Ru486. I decessi precedenti negli Stati Uniti erano cinque, non sei, e si erano verificati tra il settembre 2001 e il giugno 2005.
F: «Sono ancora in corso le indagini per capire il meccanismo delle ultime due morti, mentre per tutte le sei che le hanno precedute la causa riconosciuta è uno choc settico indotto da un raro batterio, il Clostridium sordellii».
GR: Le morti negli USA per shock settico sono quattro, non sei (una morte per la stessa causa si era verificata in Canada nel 2001). Il quinto decesso negli USA era stato causato da una gravidanza extra-uterina colpevolmente non diagnosticata prima di ricorrere all’aborto farmacologico.
F: «Il New York Times scrive che le morti da addebitare alla Ru486 potrebbero essere più numerose».
GR: In tutti e cinque i decessi dovuti all’infezione, la morte (o comunque il ricovero in ospedale) è avvenuto entro una settimana dall’aborto. Ciò tenderebbe a far escludere che si siano verificati decessi in cui la connessione con un precedente aborto farmacologico fosse offuscata dal troppo tempo intercorso. Alcune delle vittime potrebbero aver nascosto a familiari ed amici di aver effettuato un aborto, ma questo vale anche per l’aborto chirurgico, ai cui rischi vanno comparati quelli dovuti all’aborto farmacologico.
F: «Ma già con i numeri attuali (lo scriveva qualche mese fa un editoriale del New England Journal of Medicine), l’aborto con la pillola Ru486 ammazza dieci volte più donne rispetto all’aborto con aspirazione o mediante raschiamento».
GR: Lo stesso editoriale invitava i responsabili a non trarre conclusioni affrettate dalla ridotta casistica disponibile. La quasi totalità delle morti per shock settico di cui si hanno dettagli è avvenuta in un’area geografica assai limitata (quattro su cinque in California!), e potrebbe essere dovuta a fattori concomitanti di natura sconosciuta (p.es. consumo di droghe?). In Francia, dove la pillola abortiva è usata da più tempo che negli USA, non si sono mai verificati casi analoghi.
F: «il New York Times fa parlare il dottor Damon Stutes, di Reno, la cui clinica degli aborti è stata più volte presa di mira dai pro-life».
GR: Qui l’anonimo pecca un poco di understatement. Il New York Times ha meno pudori: «Dr. Stutes, whose clinic has been bombed»...
F: «come sostiene Phillip G. Stubblefield, professore di ostetricia e ginecologia all’Università di Boston, nel momento in cui si offre alla donna che vuole abortire la procedura farmacologica, è doveroso avvertirla che potrebbe rischiare la morte».
GR: Nell’originale c’è una sfumatura differente, che evidenzio in corsivo: «One needs to tell patients that the medical procedure, even though it seems more natural, may be more likely to result in death». Forse bisognerebbe avvertire le donne che comunque portare una gravidanza a termine è molto più rischioso che usare la Ru486...
F: «Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella … sulla Ru486 stanno per pubblicare un libro per Franco Angeli editore».
GR: Speriamo che sia più accurato di questo articolo. Chissà se Assuntina Morresi ne manderà una copia per recensione a Bioetica...
martedì 4 aprile 2006
Una pillola amara
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