La nostra theoconette, Eugenia Roccella, ci prova di nuovo: questa volta dalle colonne del Foglio («Ru 486 sotto accusa. In America», 14 febbraio, p. II dell’inserto), torna all’attacco della pillola abortiva, la Ru486 – o, come la chiama lei con fine ironia, la kill pill. «Il governo americano ha promosso, per l’11 maggio prossimo, un convegno sul rapporto tra l’aborto chimico e le gravi infezioni batteriche che hanno causato la morte di quattro giovani donne californiane in meno di due anni … È la prima volta che la Ru 486 viene messa ufficialmente sotto accusa», ci informa sicura la Roccella. Chi non conosce ancora bene la theoconette rimarrà dunque un poco sorpreso quando, controllando sul sito della Food and Drug Administration, scoprirà che il convegno dell’11 maggio (Emerging Clostridial Disease: Public Workshop) non riguarda in primo luogo la Ru486, ma bensì il particolare batterio che ha causato, fra l’altro, quelle quattro morti; la pillola abortiva è soltanto uno fra i vari argomenti trattati. Ma questa è in fondo solo una deformazione giornalistica, per quanto leggermente tendenziosa; ben più grave è l’interpretazione inquisitoriale che la Roccella dà all’evento («È la prima volta che la Ru 486 viene messa ufficialmente sotto accusa»), visto come un tribunale in cui giudici arcigni sono chiamati a decidere se troncare finalmente la carriera criminale della kill pill. Non solo nell’annuncio ufficiale non c’è traccia di ciò, ma sembra che alla Roccella non passi nemmeno per un attimo in mente che l’esame della questione si possa concludere con la raccomandazione di adeguate misure profilattiche (per esempio, la somministrazione preventiva di antibiotici) che scongiurino il pericolo senza rinunciare all’aborto farmacologico.
L’articolo sul Foglio è breve, ma questo non scoraggia certo Eugenia Roccella dal fornirci il maggior numero possibile di informazioni della qualità a cui ormai ci ha abituati. «In occidente sono già undici le morti accertate dovute alla “kill pill”»: impressionante, vero? La Roccella non fornisce la fonte della cifra – nella letteratura medica più recente a me disponibile si parla di otto morti – ma non è questo il punto. «A Vattelapesca sono undici i casi di omicidio accertati nel corso dell’ultimo mese» è una notizia la cui valutazione dipende in modo decisivo da un dato che non ci viene fornito: quanto è grande Vattelapesca? Se si tratta di un borgo di 100 anime, allora abbiamo di fronte una serie di ammazzamenti degna di un film di Quentin Tarantino; se si tratta invece di una megalopoli di 10 milioni di abitanti, non possiamo che lodare la mitezza dei suoi abitanti. Che una medicina possa uccidere non è una novità: lo fanno anche gli antibiotici. Ma fornire il dato assoluto delle morti senza riportare quello totale delle persone sottoposte allo stesso trattamento ha un contenuto informativo prossimo allo zero, e significa fare non tanto propaganda, quanto puro terrorismo verbale. La cifra delle undici morti da Ru486 si trova anche in un articolo pubblicato sul giornale australiano The Age («Minchin tells of abortion experience», 9 febbraio), ma in questo caso ci viene detto anche quante donne si sarebbero sottoposte a questo tipo di aborto: 12 milioni. Di nuovo, non so valutare l’attendibilità di questa cifra, che non appare però manifestamente assurda; se fosse autentica, significherebbe che la Ru486 causa meno di una morte ogni milione di casi, e sarebbe dunque almeno altrettanto sicura degli altri metodi abortivi praticati in condizioni similari.
La theoconette prosegue però imperterrita, invocando l’articolo di Michael Greene sul New England Journal of Medicine, e «la spaventosa rassegna di eventi avversi pubblicata dagli Annals of Pharmacotherapy». Del primo ci siamo occupati qualche giorno fa, e non ci torneremo sopra; vediamo cosa dice «la spaventosa rassegna» (Margaret M. Gary e Donna J. Harrison, «Analysis of Severe Adverse Events Related to the Use of Mifepristone as an Abortifacient», The Annals of Pharmacotherapy, 40, 2006, pp. 191-97). Si tratta in effetti di un elenco grandguignolesco di effetti collaterali (infezioni, emorragie, etc.) della Ru486, che farebbe impallidire anche il regista di Kill Bill (con la B). Anche qui però manca la cifra degli interventi totali. Le autrici hanno l’onestà di notarlo; e tuttavia c’è qualcosa nel tono dell’articolo che desta qualche sospetto... finché non arriviamo al disclaimer finale: «Dr. Gary and Dr. Harrison are members of the Subcommittee on Mifeprex of the American Association of Prolife Obstetricians and Gynecologists». Antiabortiste, in altre parole. «Non conta chi lo dice, ma cosa si dice!» mi fulminerebbe, ne sono sicuro, Eugenia Roccella; e avrebbe ragione. Ma cosa dicono le due prolifers?
Before any medication is used, a prudent practitioner weighs carefully the risks of the medication with the potential benefits. Medications, such as chemotherapy agents, with life-threatening or potentially lethal adverse effects are acceptable in treating conditions that are themselves debilitating or lethal such as cancer, HIV, sepsis, and others. In these cases, alternative treatments are limited and, without treatment, the disease is rapidly lethal. The use of mifepristone as an abortifacient, however, is radically different. Pregnancy in most instances is a benign, self-limited condition, with duration of approximately 8 months from diagnosis for most women.In sintesi: gli effetti collaterali dei farmaci vanno valutati contro le conseguenze del loro mancato uso; ma l’alternativa all’uso della pillola abortiva è la gravidanza, «che è nella maggior parte dei casi una condizione benigna». A parte ogni altra considerazione, l’intoppo è proprio in quella vaga specificazione, «nella maggior parte dei casi». Negli Stati Uniti, la probabilità di morire in seguito a una gravidanza è da otto a dieci volte superiore a quella di morire per Ru486 (ammesso che tutte e cinque le morti registrate in quel paese siano effettivamente da addebitarsi alla pillola abortiva; la fonte è proprio l’articolo di quel Michael Greene tanto lodato dalla Roccella). Ma questo le due dottoresse non lo dicono. Con certi antiabortisti, americani o italiani che siano, caveat lector: il lettore faccia molta, molta attenzione...
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