L’
Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri n. 3676 del 30 maggio 2008, con cui il governo ha avviato la schedatura dei nomadi del comune di Roma (le ordinanze gemelle 3677 e 3678 riguardano Milano e Napoli), è abbastanza asciutta nel punto cruciale, cioè all’art. 1 c. 2:
Il Commissario delegato, nell’ambito territoriale di competenza, […] provvede all’espletamento delle seguenti iniziative:
[…]
c) identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti nei luoghi di cui al punto b), attraverso rilievi segnaletici.
L’ordinanza è anche, in questo punto, palesemente incostituzionale, contravvenendo al principio della pari dignità sociale e dell’uguaglianza davanti alla legge, in quanto assoggetta dei cittadini a un trattamento (già di per sé abbastanza invasivo e portatore di stigma) per nessun altro motivo che la loro appartenenza a una comunità etnica: si noti come nel linguaggio dell’ordinanza non si accenni minimamente a comportamenti soggettivi come premessa necessaria alla schedatura.
La circostanza dev’essere nota persino ai responsabili politici e a chi ne esegue o appoggia l’operato, perché da giorni costoro si affannano ad illustrare possibili predecenti legali che richiamino e giustifichino in qualche modo quest’obbrobrio. Sforzo probabilmente superfluo, viste certe recenti
sentenze aberranti in materia di discriminazione razziale, e visto l’apparente disinteresse dell’Unione Europea, che ha rimandato ogni presa di posizione ufficiale all’adozione di provvedimenti concreti da parte del Governo italiano, ignorando (o fingendo di ignorare) che i provvedimenti sono stati adottati un mese fa e che la schedatura è già adesso in corso; ma vale la pena comunque di esaminare alcuni di questi tentativi.
Come abbiamo visto
qualche giorno fa, per il pubblico ministero del Tribunale dei minori di Milano, Ciro Cascone, prendere le impronte agli «zingarelli» sarebbe giustificato dal codice di procedura penale. Peccato che, come del resto appare chiaro dalle parole dello stesso Cascone, il codice (all’art.
349) preveda questa misura solo per il minore (e più in generale per ogni persona) che abbia commesso un reato o sul quale si indaghi:
1. La polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti.
Il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, commissario straordinario per l’emergenza rom, si produce in un tentativo più originale («
Rom: prefetto milano, misure già previste da legge 1941»,
Agi News On, 27 giugno 2008):
le norme in vigore, oggi già consentono il foto segnalamento. Esistono da 40 anni: chi non riesce a dimostrare la propria identità può essere foto segnalato. Lo prevede la normativa italiana e anche quella europea. C’è una legge del ’41, il “Testo unico della legge di pubblica sicurezza”. Parliamo di cose che esistono da anni. È tutto perfettamente legale.
Il richiamo a una legge del periodo fascista potrebbe forse essere considerato un po’ infelice, vista la situazione a cui si vorrebbe applicarla, ma si tratta in fondo di norme perfettamente valide e legittime. Sorvoliamo anche sul fatto che la legge in questione è del 1931 e non del 1941: un lapsus può capitare anche a un prefetto. Il vero problema viene fuori se andiamo a vedere l’articolo pertinente (il n.
4) della legge:
L’autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non siano in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici.
Notiamo prima di tutto che, in generale, si danno qui condizioni da soddisfare prima di procedere ai rilievi segnaletici (su adulti o bambini), condizioni del tutto ignorate dalla lettera dell’ordinanza, che riesce dunque nel difficile compito di essere più illiberale di una legge fascista: chi entra in un campo nomadi dovrebbe procedere ai rilievi segnaletici anche di persone con documenti perfettamente in regola! È sperabile che nell’applicazione pratica le cose vadano diversamente, ma già questa circostanza dà la misura del valore di questa mostruosità giuridica e di chi l’ha scritta.
Per quanto riguarda in particolare i bambini, le cose diventano poi vagamente surreali. In base alla legge chi non è in grado di provare la propria identità può essere sottoposto a rilievi segnaletici; nella prassi la propria identità si prova con un documento di riconoscimento valido – nella maggior parte dei casi, con la carta d’identità. Ma la carta d’identità può essere rilasciata solo a partire dai 15 anni di età: lo stabilisce lo stesso Testo unico della legge di pubblica sicurezza, un articolo più su (il n. 3). Questo però non sembra doversi interpretare come un’autorizzazione data alla polizia di prendere le impronte digitali di qualsiasi minore di anni 15 incontrato da solo per la strada! Non si capisce pertanto da dove tragga il prefetto la sua convinzione che il Testo unico autorizzi la raccolta indiscriminata delle impronte dei minori rom.
Forse in base a considerazioni analoghe a queste, sembra che a Napoli ci si stia limitando a prendere le impronte solo ai maggiori di anni 14 (ma perché 14 e non 15 non mi è chiaro), mentre il presidente dell’Opera Nazionale Nomadi, Massimo Converso, chiede che la rilevazione ai minori di anni 14 venga spostata al 2009, visto che a quella data dovrebbe diventare obbligatorio per tutti i cittadini italiani l’inserimento dei dati biometrici – compresa l’impronta digitale – nella nuova Carta d’Identità Elettronica, o CIE (Guido Ruotolo, «
Maroni: basta con le ipocrisie sui rom»,
La Stampa, 30 giugno, p. 12). Confesso che mi sfugge però la logica dell’argomento: a quanto ne so anche la CIE (prevista dall’art. 7-vicies ter c. 2 della
legge 31 marzo 2005 n. 43) sarà rilasciata solo ai maggiori di anni 15, e non si vede dunque come possa rendere più digeribile la rilevazione delle impronte ad alcuni minori di anni 14. Fatto ancor più rilevante, le impronte raccolte per la CIE non andranno in nessun archivio esterno: saranno contenute unicamente nella carta stessa (A. Che., «
Carte d’identità elettroniche con decreto finale»,
Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2007, p. 32). Temo proprio che le impronte raccolte nei campi nomadi non saranno conservate unicamente in qualche documento da consegnare agli stessi Rom...
Infine il capintesta in persona, l’autore di questa civilissima iniziativa, il Ministro dell’Interno, ha ravvisato una sua personale pezza d’appoggio legale. Si tratterebbe del
Regolamento del Consiglio dell’Unione Europea n. 380/2008, che va a modificare il precedente n. 1030/2002, e che imporrebbe all’art. 4-ter la raccolta delle impronte digitali anche ai bambini maggiori di 6 anni. Ce lo chiede l’Europa: di cosa vi lamentate, dunque? Senonché, come hanno fatto notare molti commentatori, il Regolamento in questione riguarda unicamente i cittadini extracomunitari, e non può essere invocato per quelli che sono, invece, in maggioranza, cittadini italiani o comunque comunitari. Ma anche riguardo ai Rom extracomunitari, il Regolamento stabilisce nella premessa, c. 7:
Il presente regolamento ha il solo obiettivo di stabilire gli elementi di sicurezza e gli identificatori biometrici che gli Stati membri devono utilizzare in un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi.
Forse il Ministro Maroni vuole dotare tutti i Rom extracomunitari di permesso di soggiorno? Perché solo a questo scopo potrebbe invocare il regolamento in questione...