venerdì 29 ottobre 2010

Divieto di saluto allusivo

Prostituta precaria!
“L’ordinanza - spiega [il sindaco di Genova] Marta Vincenzi - non ha contenuti moralistici e vuole mettere a disposizione della polizia urbana uno strumento più efficace che permetta ai vigili di non girarsi dall’altra parte e di intervenire”.
L’ordinanza cui fa riferimento Marta Vincenzi ha per oggetto il “divieto di esercizio della prostituzione in luoghi pubblici, aperti al pubblico o visibili al pubblico, con abbigliamento indecoroso e modalità che possono offendere la pubblica decenza ed il libero esercizio degli spazi” (ordinanza n. 31, 26 ottobre 2010).
Già questo basterebbe a far rizzare i capelli, non foss’altro per la difficoltà di intendersi sulla “pubblica decenza” e per l’ossimoro della protezione del “libero esercizio degli spazi” che compare dopo una serie di gravi violazioni delle libertà individuali.
L’offesa alla pubblica decenza, poi, riesuma un cadavere che tale dovrebbe rimanere: il reato senza vittime, tipico delle tradizioni istituzionali illiberali e moralistiche - nonostante il parere di Vincenzi.
Non serve nemmeno entrare nel merito delle questioni per rilevare l’assurdità dell’ordinanza dunque. E se vi fosse ancora qualche dubbio basta soffermarsi sull’articolo 1: “Nel territorio comunale è fatto divieto in luogo pubblico, aperto al pubblico o visibile al pubblico 1. di porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali, consistenti nell’assunzione di atteggiamenti di richiamo, di invito, di saluto allusivo, ovvero nel mantenere abbigliamento indecoroso o indecente in relazione al luogo, ovvero nel mostrare nudità”.
Basta cioè immaginarsi di essere colui investito di eseguire l’ordinanza per infilarsi in un cul de sac degno degli incubi burocratici più tetri.
Come riconoscere comportamenti volti inequivocabilmente ad offrire prestazioni sessuali? Come superare la barriera della privatezza delle nostre intenzioni? Come individuare un saluto equivoco da uno magari formulato per educazione oppure senza fini equivoci?
Per non parlare della difficoltà di barcamenarsi sul fronte abbigliamento: è vero che a Castellamare hanno deciso di vietare le minigonne e chi fa sesso in macchina finisce in galera (quindi l’ordinanza genovese è in buona compagnia!), ma almeno “minigonne” e “fare sesso in macchina” hanno la virtù di essere comprensibili, mentre “nudità” lascia il povero vigile in una incertezza irrisolvibile. Pretendere di stabilire quali siano gli abbigliamenti consoni a seconda dei luoghi è più difficile di quanto potrebbe sembrare.
Anche il “visibile al pubblico” delinea scenari grotteschi: dalle finestre di casa propria potrebbe essere visibile al pubblico una nostra nudità o un nostro comportamento equivoco.
I vigili d’ora in poi potranno anche non voltarsi dall’altra parte per merito di questa ordinanza, ma non c’è dubbio che si troveranno di fronte a difficoltà interpretative insuperabili, oltre che davanti a una ordinanza lesiva di alcuni diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà di parola e di vestizione. La regolamentazione dello spazio pubblico è una questione seria e complessa. Questa ordinanza, invece, sarebbe un bel canovaccio per una commedia dell’arte tutta italiana.

Giornalettismo, 29 ottobre 2010.

domenica 24 ottobre 2010

I molteplici significati del velo

Sono riflessioni risalenti a qualche anno fa, quelle che Ida Dominijanni compie nel saggio «Corpo e laicità: il caso della legge sul velo» (in Le ragioni dei laici, a cura di Geminello Preterossi, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 172-74), ma particolarmente attuali:
È noto da accurate analisi svolte sul campo che la semantica del velo non è interpretabile in modo univoco, trattandosi di un segno che oggi viene riscritto all’incrocio fra ritorno e reinvenzione della tradizione, fra controllo patriarcale delle donne e movimenti di libertà femminile, fra rifugio nell’identità e rivendicazione della differenza islamica rispetto all’omologazione occidentalista globale. Questa polisemia cambia inoltre da contesto a contesto: l’uso del burka imposto dai talebani afgani non è paragonabile a quello ‘conformista’ del foulard in Iran, o in Algeria o in Turchia. In Francia, esso non è separabile dall’impatto degli immigrati di seconda e terza generazione con la cittadinanza e con l’immagine occidentale della donna: è «una provocazione» che segnala «lo scacco francese» nella promessa non mantenuta di uguaglianza, il rovesciamento in positivo di una identità imposta nella comunità d’origine e discriminata in quella d’adozione. Più precisamente, dell’uso del velo nelle periferie parigine sono stati individuati quattro significati diversi: c’è il velo tradizionale della madre o della nonna, c’è il velo imposto alle giovani dai genitori, c’è il velo rivendicato contro i genitori che si sono lasciati assimilare troppo ai costumi occidentali, c’è il velo negoziato con i genitori pur di potere uscire la sera con gli amici occidentali; e infine c’è il velo indossato come schermo di difesa da aggressioni e discriminazioni maschili, occidentali e islamiche: un uso controparadossale, e a suo modo ‘femminista’, del marchio dell’oppressione. Le società occidentali post-femministe, del resto, ne dovrebbero sapere qualcosa: com’è stato osservato, fu un classico «rovesciamento dello stigma» a caratterizzare l’uso di massa delle gonne a fiori nel femminismo degli anni Settanta, ovvero la risemantizzazione di un segno che nel senso comune evocava una femminilità tradizionale e passiva in un simbolo di femminilità rivendicata, autocosciente, sottratta al metro di misura dell’immaginario sessuale maschile e al diktat emancipazionista.
Con ciò non intendo, sia chiaro, ribaltare il discorso corrente sostenendo che il velo è sempre o prevalentemente segno di libertà femminile: il problema sta proprio nella polivalenza di significati e di temporalità che esso veicola, caso tipico di quella ‘sincronicità dell’asincronico’ che rompe nell’epoca globale il tempo lineare del progetto moderno. Non si tratta dunque tanto di compulsare la casistica dettagliata dei suoi usi, quanto di adottare una prospettiva che ne contempli anche un uso libero, e lo consenta. Il che comporta evidentemente la necessità di lasciare la decisione di portarlo o non portarlo, e con quale significato, alle dirette interessate, invece di affidarla a una legge che pretende di tutelarle paternalisticamente e di controllarle autoritativamente, come invece sceglie di fare il rapporto della Commissione Stasi. Il quale ne uniforma l’uso e il divieto, glissando sul fatto che, come pure scrive, «per quelle che lo portano il velo può rivestire diversi significati: può essere una scelta personale o, al contrario, un obbligo, particolarmente intollerabile per le più giovani» […].
Come appare chiaramente nel seguito del saggio, la riflessione dell’autrice si svolge all’interno del cosiddetto femminismo della differenza, di cui è bene diffidare, a causa delle sue possibili degenerazioni in senso comunitarista e oppressivo – anche se la Dominijanni ne rimane una delle (poche?) interpreti ragionevoli. A mio parere, comunque, un’applicazione appena coerente del paradigma liberale porterebbe, nel caso del velo, a risultati pressoché identici a questi.

sabato 23 ottobre 2010

L’ irrespirabile aria di famiglia di Olimpia Tarzia

Olimpia Tarzia è la promotrice del disegno di legge regionale del 26 maggio 2010 per la “riforma e la riqualificazione dei consultori familiari”. Ci sarebbe molto da dire su questo disegno di riforma. Ciò che colpisce iniziando a leggere, e che forse basterebbe a mettere in discussione l’intera proposta, è l’idea di famiglia intorno a cui verrebbe a ruotare l’attività dei consultori (è necessario ricordare che i consultori familiari sono stati istituiti nel 1975 con la legge 405, legge che ha l’unico difetto di non essere applicata e che non richiede alcuna riforma).
Si comincia così, con le istruzioni per l’uso del primo (e controverso) articolo: “L’articolo 1 sottolinea la posizione dell’ordinamento regionale rispetto alla Famiglia: la Regione riconosce la dimensione socialedella famiglia fondata sul matrimonio che si pone come primaria ed infungibile società naturale e come istituzione prioritariamente votata al servizio della vita. La famiglia, riconosciuta come realtà preesistente al diritto positivo, è da quest’ultimo valorizzata e tutelata nelle sue fondamentali dimensioni dell’unità e della fecondità”. E poi si specifica nell’articolo 1, primo comma: “1. La Regione riconosce il valore primario della famiglia, quale società naturale fondata sul matrimonio e quale istituzione finalizzata al servizio della vita, all’istruzione ed alla educazione dei figli, e tutela la sua unità, la fecondità, la maternità e l’infanzia”. Anche il terzo comma merita di essere riportato: “3. La Regione tutela la vita nascente ed il figlio concepito come membro della famiglia”.
La vera famiglia è quella fondata sul matrimonio secondo la Tarzia e i firmatari del suo disegno di legge. D’altra parte compare al singolare e con la “F”, come potremmo confonderla con le famiglie false e imperfette? L’uso del singolare denuncia un panorama angusto e miope: esistono innumerevoli tipologie di famiglie, non c’è nessuna Famiglia, unica o vera da usare come modello o da preferire alle altre. La definizione di famiglia può (e deve) accogliere le formazioni più diverse, senza imporre vincoli semantici pesanti e prestabiliti. Basterebbe guardarsi intorno.
Molte delle definizioni più comuni di famiglia rischiano di essere anguste: si pensi alla cosiddetta “famiglia tradizionale” intesa come costituita da madre, padre e figli, uniti da un legame genetico e matrimoniale. Forse non dovrebbe essere considerata come una famiglia quella formata da un solo genitore? Quelle ricomposte? Quelle formate da due donne o da due uomini, impossibilitati a sposarsi in Italia?E allora, quale potrebbe essere la condizione necessaria per rilevare la presenza di una famiglia? Il legame affettivo, la responsabilità, la condivisione. Nulla che si possa assicurare rispettando un modello formale e strutturale. Perché escludere tutte queste famiglie?
La Famiglia, intesa come blocco di cemento armato, esiste solo nelle pubblicità sceme o nei pensieri semplificanti e disinteressati alla realtà. Ignorare la realtà è rischioso e ingiusto: prenderemmo sul serio uno che è convinto che la Terra sia piatta? Discuteremmo con lui di natura umana o di inquinamento ambientale? Appare difficile discutere e accordarsi su come tutelare le famiglie partendo da premesse tanto diverse.

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giovedì 21 ottobre 2010

Consulta eterologa: gli strafalcioni di Roccella e Giovanardi

All’inizio dello scorso ottobre il divieto di fecondazione eterologa arriva alla Corte Costituzionale: è illegittimo vietare a qualcuno di ricorrere a un gamete maschile o femminile? Questa è la domanda cui la Corte dovrà rispondere. C’è un precedente molto importante: nell’aprile 2010 due coppie austriache si erano rivolte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo chiedendo di poter effettuare una eterologa. La Corte ha dichiarato illegittimo il divieto presente nella legge austriaca e ha condannato l’Austria a risarcire i danni.
La legge 40 sulle tecniche riproduttive ha già subito un duro colpo l’anno passato riguardo all’obbligo di impianto contemporaneo degli embrioni prodotti, perché secondo la Corte quest’obbligo sarebbe insensato e contrario al diritto alla salute.
Invece di farsi qualche domanda su una legge sbagliata e piena zeppa di divieti irragionevoli e di guardare cosa accade intorno a noi, i difensori della legge 40 hanno rispolverato i loro vecchi cavalli di battaglia: dal far west agli scenari apocalittici, passando per la volontà popolare.
Il sottosegretario alla salute Eugenia Roccella si distingue per fantasia: “È stato votato dal Parlamento e confermato con l’astensione al referendum, che riguardava proprio l’eterologa. L’astensione in un referendum è la risposta più chiara, è la conferma che gli italiani non volevano modifiche alla legge”.
È difficile pensare che Roccella sia tanto ignorante da non sapere che quando un referendum non raggiunge il quorum significa che è nullo, come se non si fosse mai svolto al punto che si potrebbe riproporre lo stesso quesito. Sapere le intenzioni altrui è già complicato quando si tratta di una persona che conosciamo, figuriamoci se sono milioni di sconosciuti! Magari Roccella ha la pretesa di interpretare l’astensione come se avesse la palla di vetro delle fattucchiere, ma dovrebbe comunque ricordare che giuridicamente la sua dote telepatica non ha peso.

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Negli Usa la madre non ha più diritti

Livorno, bebè a coppia gay Affittato l’utero Negli Usa la madre non ha più diritti è il titolo completo su Il Giornale di ieri. Il pezzo poi è meno bizzarro del titolo, ma come spesso accade manca di qualsiasi giustificazione e approfondimento. Il passaggio dimostrativo sarebbe il seguente:
Il concepimento del bebè La donna, già madre di tre figli, ha prestato il suo utero, mentre il seme di Valter, padre di David per la legge italiana. In sala parto Valter e Mario sono entrati insieme e entrambi hanno tagliato il cordone ombelicale. Da quel momento la madre non ha avuto più nessun diritto sul piccolo. Le hanno consentito di tenerlo in braccio subito dopo il parto ma non di “attaccarlo al seno”: ad allattarlo con il biberon sono i due uomini, alle prese con pannolini e sveglie notturne.
Qualcuno ha chiesto a Valter e a Mario? O, addirittura, alla donna? Dove hanno scoperto che la madre non ha più alcun diritto? Per quanto a qualcuno (diciamo pure quasi a nessuno) la surrogacy non piace, affermare che la madre negli Stati Uniti non abbia più diritti è ridicolo. E si dovrebbe anche costruire argomenti razionali invece cha attaccarsi ai soliti “non mi piace è contro natura”. Noi di surrogacy ne abbiamo scritto più volte, e io non ne posso più di ripetere al muro le stesse cose.

martedì 19 ottobre 2010

Neanche nella Spagna franchista

Mario Pirani, «Lapidazione psicologica in chiave clericale», La Repubblica, 18 ottobre 2010, p. 26:
Questa Italia triturata da un federalismo improvvisato sta producendo, tra gli altri fenomeni negativi, l’esplodere di eventi locali destinati a ripercuotersi su scala nazionale, senza alcuna considerazione della coerenza costituzionale e delle contraddizioni e controversie, per effetto riflesso, cui possono dar luogo. È stato il caso, tanto per fare un esempio, della scuola di Adro ricoperta di simboli leghisti. Decisioni improvvide che, se non rintuzzate sul nascere, si presterebbero a una moltiplicazione dirompente. Ancor più grave dei fatti succitati è la legge presentata al Consiglio regionale del Lazio da Olimpia Tarzia (Pdl) presidente del Movimento per la vita, legge che si propone di stravolgere i consultori familiari, quando non di privatizzarli, affidandoli in gran parte ad organizzazioni religiose (naturalmente finanziate dalla Regione) e sottraendoli alle Asl cui oggi fanno capo. Ricordo in proposito che i consultori vennero introdotti per legge nel 1975 da un governo di centrosinistra, presieduto da Aldo Moro, al culmine della stagione delle riforme (diritto di famiglia, aborto, divorzio, sanità). La loro caratteristica è consistita nel fornire in primo luogo alle donne un unico servizio socio-sanitario ad accesso libero e gratuito per la assistenza nella preparazione alla maternità, alla tutela della salute della donna in fase di concepimento, alla informazione, promozione e assistenza sul tema della gravidanza, della sterilità, dei metodi d’intervento e di aiuto nelle procedure per l’adozione e l’affidamento, ecc. È falso, quindi, quanto sostiene oggi la maggioranza di destra che si occupino solo di aborto (dai dati dell’Asp del Lazio risulta che nel 2009 5500 donne si sono rivolte ai consultori per consulenze pre-concepimento e 10790 hanno partecipato ai corsi pre-parto).
La legge controriformista mira invece ad imporre all’universo mondo i dettami del fondamentalismo ecclesiastico. La libera decisione della singola donna è cancellata e al centro della nuova legge campeggia «la dimensione sociale della famiglia fondata sul matrimonio». Donne singole e coppie di fatto sarebbero quindi fuori dal nuovo ordinamento regionale. I consultori, in buona parte non più organi pubblici, dipenderebbero dalle associazioni familiari e dalle organizzazioni senza scopo di lucro che «promuovono la stabilità familiare e la cultura familiare». Una torsione ideologica anticostituzionale che non solo privatizza il servizio ma esclude qualsiasi apporto del volontariato laico. Non manca, inoltre, la legittimazione del «figlio concepito quale membro della famiglia», una definizione dell’embrione che oltrepassa quella dei vescovi.
Si impone anche la presenza negli organi di direzione di un esperto di bio-etica e di un «mediatore familiare» (figure professionali mai istituite e, peraltro, «inappropriate» come recita una nota in proposito del Servizio legislativo del Consiglio regionale che, inoltre, avverte come molte norme della legge prestino il fianco «a possibili censure di costituzionalità».) Basti ricordare l’introduzione di un incentivo di 500 euro per i primi 5 anni di vita del nascituro promessi alle donne a basso reddito che rinuncino alla decisione di abortire, una voce che graverebbe per 100 milioni di euro annui senza copertura, destinati a crescere perché di fronte a una simile offerta ogni donna gravida fingerebbe di voler abortire. Moralmente la cosa peggiore è, però, il doppio percorso, una «lapidazione psicologica della donna», come ha scritto Giulia Rodano (Idv) attraverso la quale in violazione della legge 194 si vuole imporre ad opera dei bioetici dei neo-consultori un trattamento persecutorio per dissuaderla dall’abortire, accompagnato dall’obbligo se non accondiscendesse alla «difesa della famiglia», a firmare una specie di «consenso informato» con la confessione del rifiuto all’aiuto prestato dal consultorio.
Credo che neanche nella Spagna cattofranchista si fosse giunti a questo punto.

Un convegno sul Nobel

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO
MASTER IN BIOETICA ED ETICA APPLICATA

Convegno
SALA LAUREE DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
PALAZZO NUOVO, VIA SANT’OTTAVIO 20, TORINO

VENERDÌ 22 OTTOBRE 2010, ORE 10:00-13:00

IL NOBEL PER LA MEDICINA A BOB EDWARDS:
CIVILTÀ O IDEOLOGIA?

A 32 anni dalla nascita di Louise Brown, il primo essere umano nato per fecondazione in vitro, è stato conferito il Nobel per la medicina a Bob Edwards, l’ideatore della nuova tecnica. La decisione ha suscitato polemiche di vario tipo. Diventa importante che in università si discuta del tema e si approfondisca la questione. Il Master in Bioetica ed Etica Applicata della Facoltà di Lettere e Filosofia organizza un momento di riflessione a più voci. C’è infatti chi ritiene che il premio assegnato sia il riconoscimento dato ad un avanzamento di civiltà, e chi invece lo vede come una mossa ideologica fatta con intenti polemici verso chi si oppone alla fecondazione assistita e alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, tecniche ritenute ancora controverse.

Presiede: Enrico Pasini (Facoltà di Lettere e Filosofia)
Ore 10:00 Apertura dei lavori.

Ore 10.15: Aldo Fasolo (Facoltà di Scienze Mfn);
Il Nobel a Edwards è in linea con la tradizione o no? Il punto di vista del biologo.

Ore 10.30: Maurizio Mori (Facoltà di Lettere e Filosofia);
Il Nobel a Edwards è il sigillo che la fecondazione assistita è un avanzamento di civiltà.

Ore 10.45: Giorgio Palestro (Facoltà di Medicina);
Motivi di perplessità sul Nobel a Edwards: luci e ombre del suo contributo alla scienza.

Ore 11.00: Luca Savarino (Commissione per i problemi etici della Tavola valdese);
I valdesi e l’assegnazione del Nobel a Edwards: una proposta per la riflessione.

Ore 11.15: Discussione col pubblico

Ore 11.50: repliche dei relatori

Ore 12.30: Enrico Pasini
Conclusione dei lavori


Segreteria scientifica: Maurizio Mori e Andrea Poma

mercoledì 13 ottobre 2010

lunedì 11 ottobre 2010

La prima volta delle staminali embrionali

Andy Coghlan, «First person treated in milestone stem cell trial», New Scientist, 11 ottobre 2010:
A person with spinal injuries today went down in history as the first to receive a treatment derived from human embryonic stem cells (hESCs). […]
Following endless setbacks and delays in authorising the trial, the patient was treated at the Shepherd Center in Atlanta, Georgia.
Surgeons injected millions of oligodendrocyte progenitor cells grown from hESCs into the injury site through a fine needle, hoping the cells would stimulate nerve growth and re-sheathe nerves damaged through the injury. Injured rats treated with the cells recovered some mobility about a month after being treated.

The hope is that these progenitor cells, codenamed GRNOPC1 cells, will help the patient overcome paralysis resulting from the injury, although the primary objective of the trial is to make sure the treatment is safe. […]

Quella paradossale tutela del nascituro

Michele Ainis, «Se in Italia l’etica trova udienza solo in tribunale», Il Sole 24 Ore, 10 ottobre 2010, p. 13:
I paladini della legge 40 a suo tempo avevano obiettato che c’è un diritto più forte di quello dei genitori: il diritto dei bambini, il diritto alla loro identità biologica. Se nasci da padre sconosciuto, non saprai mai chi sei. Si dà il caso tuttavia che il nostro ordinamento già prevede l’adozione, dove s’affaccia il medesimo problema. Che in secondo luogo non è impossibile garantire (a certe condizioni) il diritto all’informazione del bambino, consentendogli di rompere il segreto sul suo genitore naturale. Che in terzo luogo la famiglia – come ciascuno sa per esperienza personale – è intessuta d’affetti, non di cromosomi. E c’è infine un paradosso, cui probabilmente il legislatore italiano non ha fatto caso, mentre scriveva la sua legge con la penna dei filosofi o dei predicatori: in Italia, per tutelare il nascituro, gli impediamo di nascere.
Da leggere tutto.

venerdì 8 ottobre 2010

Della Vedova e l’ABC costituzionale

Ci sono studenti un po’ tardi che straparlano di «golpe dei magistrati giacobini» a proposito del nuovo ricorso alla Corte Costituzionale per la legge 40, ma Benedetto Della Vedova è un maestro paziente, e ripete con parole semplici quello che chiunque sia dotato di licenza media dovrebbe già sapere (Alessandro Calvi, «“Ma risparmiamoci il bipolarismo etico”», Il Riformista, 7 ottobre 2010, p. 7):
Che un cittadino si rivolga a un giudice e che in quel dibattimento emerga la necessità di sollevare una questione di legittimità costituzionale è un fatto sano, normale. Non si puo certo pensare di impedire che i cittadini ricorrano alla magistratura. Siamo in uno stato di diritto. Il legislatore è libero di fare leggi e anche di modificare la Costituzione ma non è libero di legiferare contro la Costituzione. La Corte Costituzionale è lì per questo. Ciascuno fa il proprio mestiere: il Parlamento, i magistrati e anche i giudici della Consulta. Potranno farlo male, e allora si può polemizzare su questo, ma non si può polemizzare sui fatto che facciano il proprio lavoro.
Ormai però nel Pdl è uno schema consolidato il cercare un nemico nei magistrati.
Ma così si rischia la paranoia. E lo dice chi, come me, ha iniziato a fare politica con il caso Tortora che fu un enorme errore giudiziario. Ma non si può pensare che la magistratura sia nemica della democrazia. Anzi, si dovrebbe ricordare che la democrazia costituzionale si fonda sui fatto che il legislatore è sovrano nell’ambito della Costituzione.
Sta pensando ai richiami alla volontà popolare che ricorrono nelle argomentazioni degli esponenti del governo?
Quello è un errore marchiano che uomini delle istituzioni non dovrebbero commettere. Il referendum è fallito quindi è come se non ci fosse stato: non si può pretendere che quel fallimento abbia determinato un orientamento, anche perché chi si espresse lo fece contro la legge 40. E, seppure si fosse determinata una maggioranza di favorevoli alla legge, neppure questa potrebbe superare il giudizio di costituzionalità.

The right to conscientious objection in lawful medical care

Ne avevamo scritto qui, questo qui sotto è purtroppo il documento che è stato approvato ieri.

The right to conscientious objection in lawful medical care

Resolution 1763 (2010)[1]

1. No person, hospital or institution shall be coerced, held liable or discriminated against in any manner because of a refusal to perform, accommodate, assist or submit to an abortion, the performance of a human miscarriage, or euthanasia or any act which could cause the death of a human foetus or embryo, for any reason.

2. The Parliamentary Assembly emphasises the need to affirm the right of conscientious objection together with the responsibility of the state to ensure that patients are able to access lawful medical care in a timely manner. The Assembly is concerned that the unregulated use of conscientious objection may disproportionately affect women, notably those having low incomes or living in rural areas.

3. In the vast majority of Council of Europe member states, the practice of conscientious objection is adequately regulated. There is a comprehensive and clear legal and policy framework governing the practice of conscientious objection by healthcare providers ensuring that the interests and rights of individuals seeking legal medical services are respected, protected and fulfilled.

4. In view of member states' obligation to ensure access to lawful medical care and to protect the right to health, as well as the obligation to ensure respect for the right of freedom of thought, conscience and religion of healthcare providers, the Assembly invites Council of Europe member states to develop comprehensive and clear regulations that define and regulate conscientious objection with regard to health and medical services, which:

4.1. guarantee the right to conscientious objection in relation to participation in the procedure in question;

4.2. ensure that patients are informed of any objection in a timely manner and referred to another healthcare provider;

4.3. ensure that patients receive appropriate treatment, in particular in cases of emergency.

Eterologa, parla la coppia del ricorso

“Dopo il Nobel a Edwards, che ha suscitato tanto clamore, oggi siamo noi a essere oggetto di critiche feroci. Ma quella che mi infastidisce di più è quella secondo cui vorremmo far tornare il Far West. Ma se un divieto è ingiusto, come può essere sbagliato rimediare a quella ingiustizia? E cosa c'entra il Far West?”. A Galileo parla la donna che, insieme al marito, si è rivolta al Tribunale di Firenze - tramite gli avvocati Gianni Baldini e Filomena Gallo - per veder riconosciuto il suo diritto ad avere accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (vedi Galileo). Compresa quella, oggi vietata dalla Legge 40, relativa alla fecondazione eterologa, che prevede l’uso di gameti (ovociti o spermatozoi) di donatore.
Secondo l’articolo 4, comma 3, della normativa approvata nel 2004, infatti, è “vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”. Questo significa che chi in Italia soffre di una forma assoluta di sterilità, ha due alternative: rinunciare al proprio desiderio di genitorialità, o andare in esilio per cercare di costruire una famiglia. Oppure, e questa è la strada scelta dalla donna e da suo marito, provare a lottare per vedere riconosciuti i propri diritti.

Tutto è cominciato, racconta la coppia, dopo la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo, che nell’aprile 2010 aveva condannato un divieto analogo presente nella legge austriaca. Forte della sentenza, e dopo aver incassato un rifiuto da parte di un centro di medicina riproduttiva del nostro paese, i due si sono rivolti al Tribunale di Firenze per poter accedere alla tecnica. E ora la Corte Costituzionale si dovrà pronunciare sul suo carattere discriminatorio.
“Quando abbiamo saputo che non potevamo avere figli, perché mio marito soffre di azoospermia, la legge 40 era già in vigore” racconta ora la donna. “Volevamo moltissimo un figlio, così abbiamo cominciato ad andare nei centri di Pma di altri paesi. È stato molto stressante, e molto costoso: alcune analisi le facevo in Italia, poi volavo oltre frontiera ogni qualvolta il centro mi chiamava. Abbiamo provato in tutti i modi a ottenere una gravidanza, ma non c’è stato niente da fare. D’altra parte, non è certo questa la condizione ideale per fare un figlio”.
Viaggiare oltre confine per avere diritti che in Italia non sono garantiti fa parte del fenomeno che chiamano turismo procreativo (come se si trattasse di una gita di piacere). Fenomeno che coinvolge moltissime persone. Ma che lascia a terra molte altre, tutte quelle che non se lo possono permettere dal punto di vista economico.
“La sterilità è molto diffusa”, continua la donna. “Soltanto dove abitiamo noi, che è un piccolo paese, conosco molte persone che hanno problemi. Molte di queste coppie avrebbero bisogno di accedere alla fecondazione eterologa. Ma sanno bene che non possono far altro che tentare in un altro Paese. Oppure frustrare i propri desideri”.

Galileo, 7 ottobre 2010.

giovedì 7 ottobre 2010

L’irragionevole Roccella

L’aspettavamo fiduciosi, ed Eugenia Roccella, sottosegretario alla salute, non ci ha delusi. Ecco cosa ha dichiarato, commentando l’ordinanza con cui il Tribunale di Firenze ha chiesto alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla costituzionalità dell’art. 4 della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita: «Le motivazioni sembrano anche poco significative, perché dire che la norma è irragionevole non è una questione di diritto» («Fecondazione, la legge 40 torna alla Corte costituzionale», Corriere della Sera, 6 ottobre 2010).
Che l’eventuale irragionevolezza di una norma non sia affare dei giudici – e dei giudici costituzionali, per giunta! – è già un pensiero che difficilmente si presenterebbe alla mente anche del cittadino più digiuno di cultura giuridica. Una breve ricerca fra le sentenze della Consulta, poi, riserverebbe alla Roccella più di una sorpresa: per esempio cercando l’espressione «principio di ragionevolezza», o meglio ancora «principio costituzionale di ragionevolezza», o «sindacato di ragionevolezza», etc.

Ma con tutti i laureati in legge che ci sono in Italia, perché lo staff della Roccella non assume qualcuno che ne filtri preventivamente le dichiarazioni alla stampa, e le eviti figure miserabili come queste?

(Hat tip: Aioros.)

Evoluzione autodiretta e futuro dell’Uomo: gli interventi

È disponibile sul sito del Network dei Transumanisti Italiani (Network H+) l’audio degli interventi del convegno «Evoluzione autodiretta e futuro dell’Uomo», organizzato nel giugno scorso dalla Seconda Università degli Studi di Napoli in collaborazione con il Network H+. Particolarmente rilevanti gli interventi di Aldo Schiavone, Ordinario di Diritto Romano e direttore dell’Istituto Italiano di Scienze Umane, «La natura, la tecnica, la storia», e di Edoardo Boncinelli, Ordinario di Biologia e Genetica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, «Evoluzione biologica ed evoluzione culturale».

mercoledì 6 ottobre 2010

Un divieto assurdo che sta per cadere

Sono passate poche ore dalla notizia che il divieto di fecondazione eterologa è arrivato alla Corte Costituzionale: come ci si poteva aspettare si sono scatenati i commenti più insensati e del tutto fantasiosi.
Lasciamo da parte l’isterismo e concentriamoci sul significato e sulla portata della notizia seguendo la scheda tecnica riguardante l’ordinanza del Tribunale di Firenze del primo settembre 2010 che ha sollevato la questione di costituzionalità.
Che significa? Che il divieto a ricorrere alla fecondazione eterologa previsto dall’articolo 4 della legge 40 è contrario ai principi costituzionali. Tutti dovrebbero saperlo ma corriamo il rischio di essere superflui: la fecondazione eterologa è il ricorso a un gamete maschile e femminile donato alla coppia (almeno in Italia perché la legge 40 permette di accedere alle tecniche soltanto alle coppie e non alle persone singole).

La legge 40 è stata già pesantemente attaccata dalla Corte: due anni fa era stato sempre il Tribunale di Firenze ad avviare quel processo che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità l’articolo 14, ovvero l’obbligo di impianto contemporaneo degli embrioni prodotti, e ha aperto la strada alla crioconservazione - vietata dalla legge 40 se non in casi eccezionali ma ambigui (comma 3 dell’articolo 14: “Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile”).
Oggi il colpo è ancora più duro: “per la prima volta nel nostro Paese un giudice ordinario ritiene costituzionalmente illegittimo il divieto di procreazione assistita di tipo eterologo previsto dall’art. 4 l. 40/04, sospende il processo e rimette gli atti alla Corte.
Lo spunto è offerto da una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’aprile scorso che ha dato ragione a due coppie austriache che chiedevano di effettuare la PMA eterologa vietata dalla legge statale condannando lo Stato Austriaco oltre che al risarcimento dei danni alla necessità di eliminare tale illegittimo divieto dal sistema”.

Seguiamo la struttura dell’ordinanza attuale. Le premesse sono le seguenti: la condizione di sterilità assoluta e quindi l’impossibilità di riprodursi senza ricorrere a materiale genetico altrui; il carattere discriminatorio del divieto di accedere alle tecniche riproduttive per chi è sterile in modo assoluto; messa in discussione dei presunti diritti di discendenza genetica del nascituro e del suo diritto di essere informato, diritti che comunque vanno bilanciati con quelli alla riproduzione e alla costituzione di una famiglia; il riconoscimento che il diritto del minore di conoscere le proprie origini genetiche deve essere bilanciato con il diritto all’anonimato del donatore (proprio come accade nei casi di adozione).
Il fatto: una coppia sposata dal 2004 in cui l’uomo è affetto da azoospermia severa a causa di cure risalenti all’infanzia. È impossibile per lui avere un figlio se non ricorrendo al gamete di un donatore. In Italia ormai c’è la legge 40 e la coppia va all’estero. I tentativi sono onerosi sia economicamente che emotivamente. Quando la coppia viene a sapere della condanna austriaca si rivolge al centro Demetra di Firenze chiedendo di poter accedere alla fecondazione eterologa. Il centro si rifiuta. La coppia allora si rivolge alla Associazione Coscioni e viene assistita dagli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini. La difesa chiede che il Tribunale di Firenze dichiari il diritto dei ricorrenti a: ricorrere alla fecondazione eterologa; utilizzare materiale genetico di un donatore anonimo; sottoporsi a un ciclo riproduttivo adeguato a garantire maggiori possibilità di successo possibile e disporre eventualmente la crioconservazione degli embrioni prodotti.

“In ogni caso, ritenuta la portata della pronuncia della Corte Europea quale canone ermeneutico generale con valore sub-costituzionale, disapplicare l’art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU, per l’effetto dichiarare il diritto dei ricorrenti come formulato supra, e sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con l’art. 11 e 117 Cost. e 2,3,13,32 Cost.”.
Il giudice ritiene fondate le richieste e rimette gli atti alla Corte costituzionale.
Per prevenire eventuali critiche riportiamo la motivazione e il dispositivo della ordinanza.
“Il giudice accogliendo le motivazioni [...] ritiene di condividere le motivazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella Sentenza 1 aprile 2010 pronunciata contro l’Austria rilevante, in punto di diritto, anche per il nostro ordinamento. In particolare: premesso che, come confermato dalla Sentenza Corte cost. 311/2009 in caso di contrasto tra norma interna e norma della Convenzione europea il giudice nazionale comune deve procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale. Quando l’eventuale contrasto non sia componibile in via d’interpretazione deve sollevare questione di legittimità costituzionale innanzi alla Consulta.
Nel caso di specie secondo il Giudice europeo e il Tribunale di Firenze il divieto di fecondazione eterologa risulta, illegittimo, irragionevole e discriminatorio per le seguenti ragioni. A) pur non essendovi l’obbligo per gli Stati di adottare una legislazione in materia di PMA ove questa vi sia la sua disciplina dovrà essere coerente in modo da prevedere una adeguata considerazione dei differenti interessi legittimi coinvolti; B) il divieto assoluto di PMA eterologa configura una sproporzione fini-mezzi posto che esso non rappresenta l’unico modo per evitare il rischio di sfruttamento delle donne, di abuso delle tecniche, di realizzazioni di parentele atipiche configuardosi la scelta priva di giustificazioni ragionevoli; C) l’obiettivo di mantenere una certezza in materia di diritto di famiglia deve considerare che rapporti familiari atipici (non basati sulla discendenza biologica, come l’adozione) già sono ampiamente praticati con la conseguenza che l’ipotesi in esame dovrebbe considerarsi ex se del tutto lecita; D) il diritto del bambino a conoscere la sua discendenza biologica non è un diritto assoluto, dovendo essere contemperato con altri interessi pubblici e privati coinvolti (diritto alla procreazione, diritto all’anonimato del donatore etc) anche attinenti alla privatezza della propria vita familiare (art. 8 CEDU e art. 2 e 30 Cost); E) è evidente l’effetto discriminatorio che il divieto assoluto è idoneo ad introdurre tra coppie affette da problematiche di sterilità/infertilità medicalmente superabili e soggetti affetti da sterilità assoluta (art. 14 CEDU e art. 3 Cost)”.

Da quanto detto appare molto inverosimile che la Consulta si ponga su un altro piano. Se questo accadesse, come sottolineano gli avvocati Gallo e Baldini, la Consulta aprirebbe un conflitto senza precedenti con la Corte Europea e con la Convenzione stessa.
La legge 40 sta insomma per perdere un altro divieto assurdo e ingiustificabile.

La fecondazione eterologa arriva alla Corte Costituzionale

Comunicato stampa

Eterologa, un’ordinanza del Tribunale rinvia la questione alla Corte Costituzionale

Il Tribunale di Firenze ha sollevato il dubbio di costituzionalità relativamente alla norma della Legge 40 con la quale si vieta alle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa.
La richiesta era stata avanzata da una coppia coniugata il cui partner era affetto da azoospermia a causata da terapie fatte in età adolescenziale.
La coppia, dopo essere stata in cura in Svizzera e in altri centri stranieri, si è rivolta all’Associazione Luca Coscioni per essere assistita legalmente nella richiesta di poter effettuare le cure nel proprio Paese. La coppia su indicazione dell’associazione nomina propri legali Avv. Filomena Gallo e il Prof. Avv. Gianni Baldini, che presentano ricorso d’urgenza presso il Tribunale di Firenze.

“Il Giudice ha riconosciuto le istanze mosse dalla coppia dopo aver rilevato profili di manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di PMA eterologa per l’evidente sproporzione mezzi-fini; di illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata - spiega il professor Baldini docente di Biodiritto nell’Università di Firenze - questa sentenza è infatti assolutamente coerente con le precedenti pronunce in materia e ritiene che l’articolo relativo al divieto di fecondazione eterologa sia contrario alla Costituzione e rimanda gli atti alla Corte affinché provveda alla relativa declaratoria. Questo pronunciamento prende atto dell’intervenuta approvazione del Trattato di Lisbona - aggiunge Baldini - nel quale si afferma che le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento”.

La coppia aveva chiesto aiuto dopo aver appreso del caso dell’Austria che era stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo proprio relativamente al divieto di eterologa.
“Abbiamo deciso di raccogliere questa sfida nonostante fosse la più difficile tra tutte quelle necessarie a fa riscrivere nella Legge 40 perché ci sembrava che i tempi ormai fossero maturi e che si stesse creando una sensibilità finalmente europea a questo problema come dimostra anche il Nobel dato a Stoccolma ad Edwards che riconosce come questa medicina raccolga in realtà istanze e aspirazioni profondamente umane - spiega l’Avvocato Filomena Gallo - Il tribunale di Firenze ha riconosciuto che è irragionevole e discriminatorio non consentire a chi è totalmente sterile di conseguire, utilizzando le tecniche disponibili, il fine procreativo di coppia. Ed è per questo che, se il giudice italiano non ritiene di poter procedere ad un'interpretazione della legge nazionale in contrasto con la normativa comunitaria, deve sollevare la questione di costituzionalità sottolineando un conflitto netto tra la norma e i diritti dell’Uomo”.

Concludono gli Avvocati difensori “Non vi è stata alternativa alla rimessione della questione alla Corte Costituzionale, perché come avvenuto in altre occasioni, possa essere restituita certezza ed uniformità di decisioni in questa delicatissima e fondamentale materia”.

Avv. Filomena Gallo
Prof. Avv. Gianni Baldini

E nun ce vonno sta’

Dal Foglio di ieri («E la chiamano medicina», 5 ottobre 2010, p. 3):
la Fiv non guarisce affatto la sterilità. La aggira in un numero tuttora modesto di casi, visto che, a trentadue anni dalla nascita della prima bambina concepita in vitro, la percentuale di successo delle tecniche non si schioda dal trenta per cento
Per l’anonimo editorialista, dunque, neppure la somministrazione di insulina ai diabetici appartiene a pieno titolo alla medicina, visto che non guarisce certo dal diabete; né la somministrazione di ormoni agli ipotiroidei, che continuano a essere ammalati di ipotiroidismo; e neppure la dialisi per i nefropatici, l’installazione di un pacemaker per i cardiopatici o svariate altre dozzine – come minimo – di terapie e ausili terapeutici.
Ma d’altra parte, se allo stesso anonimo osserverai che il trenta per cento di tutto quello che viene scritto sul Foglio sono solenni idiozie, puoi star certo che non lo offenderai: «è un numero modesto di casi!», esclamerà sollevato e giubilante.

lunedì 4 ottobre 2010

Edwards, un profeta che in Italia non avrebbe mai patria


Il premio Nobel 2010 va allo studioso di medicina riproduttiva. E Repubblica inciampa sulla legge

Va a Robert G. Edwards il premio Nobel per la medicina 2010. Edwards è stato uno dei pionieri della riproduzione artificiale e della fertilizzazione in vitro (FIV). Ha lavorato a lungo con Patrick Steptoe, morto nel 1988.

LA PRIMA FU LOUISE - Il 25 luglio 1978 presso l’Oldham General Hospital è nata Louise Brown, la prima bambina ad essere venuta al mondo con l’aiuto della medicina riproduttiva. Era quasi mezzanotte e da quel giorno milioni di bambini sono nati con l’aiuto di queste tecniche. Da allora i dibattiti sulla ammissibilità morale delle tecniche riproduttive non si sono mai sopiti e molti Paesi ne hanno regolamentato l’accesso.

ITALIA PESSIMA - L’Italia gode del primato della peggior norma al riguardo, la legge 40 del 2004. Piena di restrizioni la legge 40 parte da un sillogismo bizzarro dal quale discendono la maggior parte dei divieti: assicurare i diritti a tutti i soggetti coinvolti; i soggetti coinvolti sono delle persone, perciò anche il concepito è una persona (articolo 1). Bizzarro per varie ragioni: la prima è la difficoltà di sostenere che a partire dal concepimento ci troviamo di fronte a una persona come noi, titolare di diritti fondamentali. La seconda è dirompente: se davvero prendessimo seriamente la premessa bisognerebbe vietare in assoluto le tecniche e non limitarsi, ipocritamente, a limitarne l’uso. Mi spiego: secondo la legge 40 gli embrioni sono equiparati alle persone; è vietato e moralmente sbagliato uccidere le persone (e quindi anche gli embrioni); una percentuale molto elevata di embrioni prodotti non arriverà a nascere, cioè morirà in seguito alla decisione di ricorrere alle tecniche. Che senso ha stabilire il tetto massimo a 3? Non è abbastanza grave uccidere 3 persone (che diventa molte, molte di più se consideriamo tutti i cicli di riproduzione artificiale)?

LEGGE 40 - Nemmeno il legislatore e i sostenitori della legge 40 sembrano prendersi sul serio, o sono talmente distratti da non trarre le conseguenze coerenti con quanto stabiliscono apoditticamente per vietare la la sperimentazione embrionale o la fecondazione eterologa – secondo un altrettanto bizzarro diritto ad avere entrambi i genitori geneticamente affini (la fecondazione eterologa è il ricorso a un gamete estraneo alla coppia o alla donna, nel caso nei Paesi in cui anche la donna sola possa accedere alle tecniche). Aspettiamo con curiosità i commenti sul Nobel a Edwards da parte dei sostenitori della legge 40, con la consapevolezza che Edwards non sarebbe mai arrivato a simili risultati senza la possibilità di fare ricerca.

REPUBBLICA SBAGLIA - Nell’attesa dobbiamo constatare con amarezza che la Repubblica scriva da uno stato di profondo letargo (Medicina, il Nobel a Edwards ‘ideò’ la fecondazione in vitro, 4 ottobre 2010): “E se le reazioni in tutto il mondo a favore del premio a Edwards, un profeta che in Italia non avrebbe mai patriaEdwards sono state entusiastiche, non è scontato che anche in Italia la gioia sia unanime. Per il momento nessuna pronuncia ufficiale è arrivata da Roma. Resta il fatto che la nostra legge sulla fecondazione assistita è una delle più controverse del mondo. Impone l’impianto nell’utero della donna di tutti gli embrioni che sono stati fecondati in vitro, aumentando di molto la percentuale di faticose gravidanze trigemellari o bigemellari”.

SENTENZA 151/09 - Non è vero che sia obbligatorio impiantare contemporaneamente i 3 embrioni prodotti, fortunatamente, o meglio non lo è più da quando la Corte Costituzionale con la sentenza 151/09 ha dichiarato incostituzionale il limite dei tre embrioni e l’impianto contemporaneo degli embrioni prodotti (aprendo peraltro una deroga al divieto di crioconservazione). Cito: “[la Corte Costituzionale] dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, della legge n. 40 del 2004 nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, come stabilisce tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna”. Sarebbe augurabile che chi deve fare informazione sapesse di cosa scrive.

Su Giornalettismo.

venerdì 1 ottobre 2010

Women’s access to lawful medical care: the problem of unregulated use of conscientious objection

Il report è del 20 luglio scorso e merita tutta la nostra attenzione. Qui sotto incollo il riassunto ma consiglio la lettura integrale.

Summary

The practice of conscientious objection arises in the field of health care when healthcare providers refuse to provide certain health services based on religious, moral or philosophical objections. While recognising the right of an individual to conscientiously object to performing a certain medical procedure, the Social, Health and Family Affairs Committee is deeply concerned about the increasing and largely unregulated occurrence of this practice, especially in the field of reproductive health care, in many Council of Europe member states.

There is a need to balance the right of conscientious objection of an individual not to perform a certain medical procedure with the responsibility of the profession and the right of each patient to access lawful medical care in a timely manner.

The Parliamentary Assembly should thus invite member states to develop comprehensive and clear regulations that define and regulate conscientious objection with regard to health and medical services, including reproductive health services, as well as to provide oversight and monitoring, including an effective complaint mechanism, of the practice of conscientious objection.

The Assembly should also recommend that the Committee of Ministers instruct the competent Steering Committees and/or other competent Council of Europe bodies to assist member states in the development of such regulations and the setting up of such oversight and monitoring mechanisms.