mercoledì 12 novembre 2014
Quando il figlio di «nessuno» viene dato in adozione
Utero in affitto, la Cassazione toglie a una coppia bresciana il figlio di 3 anni nato in Ucraina, titolava ieri la Repubblica (sottotitolo: La Suprema corte sbarra il passo alla pratica della maternità surrogata: il bambino, avuto in Ucraina da una madre ‘in affitto’ che adesso non è rintracciabile, non può essere riconosciuto in Italia). Finisce in adozione il neonato «comprato» in Ucraina invece Il Corriere della Sera (sottotitolo Il piccolo Tommaso, 3 anni, era nato da una madre surrogata su «committenza» di una coppia di 50enni che non può avere figli). Oggi su la Stampa va un po’ meglio: È nato da madre surrogata. I giudici lo danno in adozione. Nel sottotitolo emerge forse l’elemento più importante: Il piccolo da quattro anni vive con quelli che chiama mamma e papà. La Cassazione: per la legge italiana è figlio di nessuno.
LA STORIA
Così la Stampa racconta l’accaduto: «Figlio di nessuno. In questo modo la Cassazione definisce un bambino nato da una madre surrogata scelta in Ucraina da una coppia di italiani. Una sentenza che punisce due genitori che avevano cercato in tutti i modi di avere un bambino approdando all’ultima spiaggia dell’utero in affitto. Una sentenza che sbarra la strada ad altri tentativi del genere. Una sentenza che affida in adozione ad un’altra famiglia, da subito, il piccolo Tommaso, lo chiameremo così, che oggi ha oggi 4 anni. Chissà se gli racconteranno tutta la sua storia. Della sua nascita in Ucraina nel 2011; di quei signori che avrebbero voluto farsi chiamare da lui mamma e papà. Due cinquantenni di Crema che non potevano avere figli e ai quali, per tre volte, era stata respinta la richiesta di adottare in Italia. Chissà se gli spiegheranno mai che ad avviso dei supremi giudici, doveva essere dato in adozione perché l’Italia non riconosce la pratica della maternità surrogata e, in base alle legge, era – primo caso del genere – figlio di nessuno». La procura generale della Cassazione aveva chiesto la revoca dello stato di adottabilità e la restituzione del bambino alla coppia. I due, di ritorno dall’Ucraina, avevano tentato di farlo riconoscere all’anagrafe. Ma era andato tutto male. Il DNA del bambino non era come sarebbe dovuto essere, i suoi genitori non erano quelli che ne chiedevano il riconoscimento. E così era venuta fuori la verità: erano andati a Kiev e avevano pagato 25.000 euro per una maternità surrogata. «Dalle indagini era subito emerso che né il marito né la moglie erano in grado di procreare: alla signora era stato asportato l’utero e l’uomo era affetto da oligospermia», si legge su la Repubblica che riporta anche la notizia che ai «coniugi di Brescia, oggi cinquantenni [...] per tre volte era stata respinta la richiesta di adottare in Italia». Allora erano stati denunciati per frode anagrafica, oggi la Cassazione decide di far adottare quel bambino.
Next, 12 novembre 2014.
Postato da Chiara Lalli alle 11:04 72 commenti
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domenica 8 marzo 2015
Il mio mestiere è partorire tuo figlio
Per maternità surrogata (surrogacy) s’intende la pratica di portare avanti una gravidanza per qualcun altro. Non sarà quindi la gestante a crescere il bambino, che potrebbe essere figlio biologico di entrambi i genitori che lo alleveranno, di uno solo o di nessuno (in questi ultimi due casi si fa ricorso a un donatore e/o a una donatrice di gameti).
Ne esistono due modelli: quello commerciale, che prevede un compenso per la donna che porta avanti la gravidanza ed è legale in alcuni Stati degli Usa e in Canada, e quello altruistico, che in genere prevede un rimborso spese ed è permesso in Paesi come la Gran Bretagna, l’Australia e la Nuova Zelanda. In Italia non era vietato fino a qualche anno fa e nel 1993 fece molto discutere il caso di Novella Esposito, la cui madre si era offerta di portare avanti la gravidanza al posto della figlia che aveva subito l’asportazione dell’utero. Nessuno dei tentativi ebbe successo.
La discussione morale, come prevedibile, è molto accesa: si può scegliere di usare il proprio corpo per una cosa del genere? È una pratica intrinsecamente immorale? E, in caso di controversia, che strumenti abbiamo per cercare di risolverla? Che cosa succede se la gestante o gli aspiranti genitori cambiano idea?
Il caso forse più spinoso di tutti riguarda la decisione di interrompere la gravidanza in caso di grave anomalia fetale. Una scelta difficilissima già quando la donna incinta è e sarà anche la madre del nascituro, e che in caso di surrogacy si complica ulteriormente: chi sarà a decidere, la donna che porta avanti la gravidanza oppure quelli che saranno i genitori del nascituro? Si può acconsentire in anticipo all’aborto e si possono esaurire tutti i possibili scenari controversi? Chi può essere coinvolto nella decisione?
Ruth Walker e Liezl van Zyl (lectures dell’Università di Waikato, Nuova Zelanda) hanno cercato di rispondere in un articolo su «Bioethics», Surrogate Motherhood and Abortion for Fetal Abnormality. Sia il modello commerciale sia quello altruistico — scrivono — non sembrano riuscire a offrire risposte soddisfacenti a queste domande. Walker e van Zyl propongono allora una terza via: considerare la surrogacy come una professione, come fare l’infermiere o l’insegnante.
Prima di procedere però dobbiamo anticipare due possibili obiezioni: la prima riguarda l’analogia che non significa identità, perciò non si sta dicendo che portare avanti la gravidanza per qualcun altro sia come insegnare inglese ma si vogliono suggerire delle somiglianze; la seconda riguarda le condizioni per discutere davvero di maternità surrogata e non di schiavitù o sfruttamento. Ovvero della possibilità che una donna scelga liberamente di offrirsi come surrogata per un’estranea, per un’amica o una sorella.
La Lettura, Il Corriere della Sera, 1 marzo 2015.
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martedì 25 febbraio 2014
«Alterazione di stato e maternità surrogata all'estero: una pronuncia assolutoria del Tribunale di Milano»
1. In un caso di fecondazione assistita di tipo eterologo e contestuale maternità surrogata (c.d. utero in affitto), il Tribunale di Milano, con la sentenza qui pubblicata, ha escluso che possa configurarsi il reato di alterazione di stato ex art. 567 co. 2 c.p. qualora il neonato venga dichiarato figlio della donna per conto della quale è stata portata avanti la gravidanza - invece che come figlio della partoriente o della donatrice dell'ovulo fecondato - se l'atto di nascita è stato formato validamente nel rispetto della legge del Paese ove il bambino è nato (nel caso di specie, l'Ucraina).Continua qui.
2. Questa, in sintesi, la ricostruzione dei fatti oggetto della sentenza.
Gli imputati, un uomo e una donna che non possono portare a termine una gravidanza tradizionale, decidono di rivolgersi ad una clinica privata di Kiev in Ucraina per ricorrere a una tecnica di procreazione medicalmente assistita - fecondazione eterologa e "utero in affitto" - che non può essere praticata in Italia. In particolare, la tecnica cui ricorrono i due imputati prevede la formazione di un embrione in vitro con metà del patrimonio genetico del padre e l'altra metà proveniente da una donna ovo-donatrice. L'embrione così generato viene poi impiantato nell'utero di una terza donna, maggiorenne e volontaria, che porta a termine la gravidanza.
Nel periodo della gestazione, l'imputata provvede ad indossare un cuscino addominale, in gommapiuma, per simulare di essere in stato interessante. La settimana prima della nascita del bambino la coppia si reca in Ucraina per assistere al parto. Dopo la nascita, la madre surrogata attesta in forma notarile l'inesistenza di qualsiasi relazione genetica con il bambino e presta il consenso all'indicazione degli imputati quali genitori.
Come previsto dalla legge ucraina, l'ufficiale di stato civile di Kiev forma l'atto di nascita indicando nella persona dei due imputati rispettivamente il padre e la madre del neonato. L'atto di nascita originale viene tradotto in lingua italiana e appostillato, cioè munito di un'annotazione che ne attesta sul piano internazionale l'autenticità. Così perfezionato l'atto è suscettibile di divenire efficace anche nell'ordinamento italiano. Al fine di sollecitarne la trascrizione in Italia, i coniugi compilano e presentano all'ambasciata i documenti necessari ai sensi di legge, indicando le qualità di padre e madre attestate dal certificato formato in Ucraina. In quella occasione, senza che fosse necessario ai fini della registrazione dell'atto, gli imputati decidono di simulare nei confronti delle autorità italiane una gravidanza naturale: rispondendo alle domande del funzionario consolare italiano che chiede loro come sia stato possibile effettuare il viaggio in aereo a Kiev al nono mese di gravidanza e solo una settimana prima del parto, la donna riferisce che lo stato interessante non era visibile.
I funzionari dell'ambasciata non vengono comunque tratti in inganno e comunicano alla Procura della Repubblica di Milano, alla Questura di Roma, al Ministro degli interni e all'ufficiale di stato civile di Milano quanto accaduto. Quest'ultimo decide di registrare ugualmente l'atto di nascita attribuendo alla donna la qualità di madre del neonato. La Procura della Repubblica di Milano, invece, dà seguito alla notizia di reato e chiede, e ottiene, il rinvio a giudizio degli imputati ipotizzando a loro carico il reato di alterazione di stato nella formazione dell'atto di nascita del bambino (art. 567 co. 2 c.p.).
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venerdì 2 marzo 2007
Embrioni britannici
Dopo gli scenari terrorizzanti, gli embrioni chimera, i Frankenstein nati dalla ricerca, Anna Meldolesi rimette in ordine il caos. Dalle News di Darwin (pubblicato su Il Riformista ieri con il titolo L’Inghilterra non è terra di Frankenstein redivivi).
Ora è la volta delle chimere, gli embrioni ibridi uomo-animale, a cui il governo Blair si appresterebbe a dire di sì. La settimana scorsa è stata la volta degli embrioni umani geneticamente modificati. La settimana prima è stato il presunto via libera agli ovuli a pagamento da parte dell’authority britannica competente. Visto dall’Italia, il Regno Unito appare in preda a un’ossessione post-umana alla Fukuyama, che porta a travolgere una dopo l’altra tutte le barriere etiche poste sulla strada della ricerca scientifica. Ma cosa sta accadendo davvero?
Le istituzioni britanniche, evidentemente, hanno una solida fiducia nella scienza e un approccio normativo più sbilanciato dalla parte della libertà che da quello dei tabù. Ma rischiamo di farci un’idea sbagliata se nella foga del dibattito dimentichiamo un elemento cruciale: la serietà che caratterizza il processo di istruzione delle policies scientifiche in Gran Bretagna, soprattutto in confronto ai bizantinismi italiani. Si comincia con un’analisi rigorosa dei dati scientifici, che non prevede l’uso del Cencelli per la selezione degli esperti da interpellare e non viene effettuata allo scopo di giustificare soluzioni politiche preconfezionate. Si svolgono consultazioni pubbliche per cogliere gli umori della popolazione. L’intero processo decisionale, inoltre, è ispirato alla trasparenza e guidato dalla consapevolezza che l’arrivo di nuovi dati potrebbe richiedere un ripensamento anche a breve.
Altro che bieco utilitarismo e abdicazione dell’etica, questo è un approccio evidence-based assai attento all’eticità delle conseguenze. Tanto per essere chiari, la legge del 1990 sulla fecondazione assistita e l’embriologia, attualmente in corso di revisione, è assai meno intrisa di morale della nostra legge 40. Ma questo dice assai poco sull’eticità dei rispettivi effetti. Nel mondo anglosassone, per esempio, sarebbe eticamente inconcepibile negare l’aiuto della provetta a chi vuole servirsene per non trasmettere ai figli gravi malattie genetiche o infettive, come accade da noi. Aggiungiamo che Londra brilla per la tempestività con cui vengono individuati e affrontati i problemi regolatori destinati a porsi nel medio termine. Non è un caso che le norme sulla fecondazione assistita risalgano al 1990, mentre noi abbiamo dovuto aspettare il 2004, perciò le mamme-nonne di Antinori sono state messe fuorilegge assai prima oltremanica.
E qui veniamo all’equivoco di fondo: il Regno Unito non è affatto il paradiso dell’azzardo, semmai è vero il contrario. Non si impongono divieti ideologici, ma ci si dà un gran da fare per varare regole efficaci, monitorare, vagliare scrupolosamente le autorizzazioni caso per caso. Chi non vuole paletti, farebbe bene ad andare negli Stati Uniti di Bush, dove vige un clamoroso doppio standard etico tra pubblico e privato: qui è possibile comprarsi una maternità surrogata, acquistare ovuli, clonare embrioni a scopo di ricerca, trasferire Dna umano all’interno di ovociti animali producendo embrioni ibridi, sempre che si trovino i fondi per farlo. E in Gran Bretagna?
Tutti sanno che la clonazione per fini non riproduttivi è ammessa, ma le autorizzazioni sono rilasciate con il contagocce. Mentre Carlo Flamigni ha spiegato sull’Unità che la maternità surrogata in salsa inglese non assomiglia all’affitto di un utero quanto a un “dono del grembo”, perché l’unica transazione economica è un compenso per il mancato guadagno e a ospitare gli embrioni sono sorelle o amiche delle aspiranti madri. E la compravendita degli ovuli che ha creato tanto scandalo recentemente? Per chiarirsi le idee basta visitare il sito dell’authority per la fertilità e l’embriologia umana (Hfea), della cui indipendenza è difficile dubitare: è composta da scienziati, eticisti, giuristi, teologi, persone comuni, e la presidenza non può essere affidata a medici o ricercatori direttamente impegnati nella fecondazione assistita. Si scopre così che l’Hfea non ha autorizzato alcun commercio di ovociti, ma ha ritenuto di non poter vietare alle donne di donare queste cellule per la ricerca, visto che era già possibile donarle per i trattamenti di fecondazione. Le donatrici non saranno pagate, ma riceveranno soltanto un rimborso spese, e per evitare pressioni indebite sono state messe a punto una serie di tutele. Le donne dovranno essere informate dei rischi che corrono, senza esagerare i benefici che il loro gesto avrà per l’avanzamento delle conoscenze. Il loro consenso sarà raccolto da persone estranee ai gruppi di ricerca interessati, il prelievo dovrà avvenire dopo un intervallo di tempo tale da consentire eventuali ripensamenti e così via. Lo stesso spirito, quello della regolamentazione attenta caso per caso, sta dietro alle possibili aperture in fatto di ricerca sugli embrioni entro il quattordicesimo giorno. I fantasmi di Frankenstein e dei designer baby, c’entrano davvero poco. Il governo, infatti, appare favorevole a consentire la modificazione di singoli geni, per esempio per verificare se è possibile correggere gravi difetti genetici allo stadio embrionale. E dopo qualche tentennamento sembra pronto a consentire anche la creazione di embrioni ibridi grazie al trasferimento di nuclei umani in ovociti animali, perché questi ultimi potrebbero risolvere il problema della scarsità di ovuli umani disponibili per la ricerca. L’Hfea si esprimerà su questo punto soltanto in autunno, perché ritiene necessario un approfondimento. Anche in questo caso, comunque, la lunga storia delle policies britanniche vale come una garanzia.
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venerdì 8 settembre 2006
Adriano Pessina risponde
Il 7 settembre Il Foglio ha pubblicato una lettera di Adriano Pessina sulla questione degli embrioni residuali o orfani o abbandonati che riportiamo. Alla lettera di Pessina segue una replica piuttosto discutibile – e che commenteremo in un secondo momento. Per fortuna Il Foglio ha deciso almeno di fornire il numero corretto degli embrioni titolando IN ITALIA SONO 2.527 LE VITE CONGELATE E RINNEGATE.
È già un discreto risultato (ultimo aggettivo a parte)!
Adottare l’embrione abbandonato? Lettera del prof. Pessina (con replica)
Al direttore – In un editoriale del Foglio di venerdì 1° settembre, sulla base di un articolo di Lucetta Scaraffia (apparso sul Corriere della Sera) sono stato accusato di non tutelare a sufficienza la vita embrionale e di favorire, subdolamente, l’uso degli embrioni per la ricerca sulle cellule staminali dal momento che non condivido la posizione del prof. D’Agostino, a proposito della adottabilità degli embrioni. Non penso che sia necessario difendermi da queste ed altre, più o meno fantasiose, accuse, perché le mie tesi sono note e pubbliche. Non voglio farne un caso personale. Mi preme, invece, evidenziare alcuni problemi. Per prima cosa, se si trattasse di un’adozione non ci sarebbe alcun problema e sarei perfettamente d’accordo. Ma è fuorviante parlare di adozione perché qui si tratta di indurre artificialmente la gestazione e il parto di un figlio altrui. È una situazione analoga a quella della maternità surrogata e molto simile alla fecondazione eterologa. Inoltre, l’adozione degli embrioni è pensata per difendere lo statuto personale dell’embrione o per allargare l’offerta riproduttiva? Infatti, per essere favorevoli all’adozione embrionale non è affatto necessario riconoscere all’embrione lo statuto di persona, tanto è vero che gli esponenti della cosiddetta bioetica laica hanno sottoscritto il documento del Cnb sull’adozione per la nascita sottolineando, però, che avrebbero preferito il termine donazione di embrione perché pensano che l’embrione non sia persona (e le persone non si donano!), ma un ovulo fecondato e basta. Nel documento del Comitato nazionale di bioetica si afferma che la maternità (la maternità, sottolineo) inizia con la gravidanza, cioè con l’annidamento in utero dell’embrione e lo si dice per valorizzare il fatto che la madre adottante sarebbe la vera madre. Ma se prima dell’annidamento non c’è maternità allora non c’è nemmeno un figlio allora chi è o che cosa è l’embrione crioconservato che il documento del Cnb definisce residuale? Lasciando da parte, per ora, se sia compatibile legalizzare l’adozione degli embrioni senza riscrivere totalmente la legge 40 (continuo a pensare che questo argomento sia soltanto un cavallo di Troia per smantellarla e non a caso il dibattito è presentato ad arte come un problema interno ai cattolici) va chiarito che questa proposta non è affatto risolutiva sul piano pratico: a meno di imporre a un numero sufficiente di donne la gestazione e il parto degli embrioni in stato di abbandono, non tutti gli embrioni verranno adottati e resterà il problema del che fare degli altri, subendo, allora sì, la pressione di chi vorrebbe trasformarli in materia di ricerca. Inoltre, e non è questione secondaria, si rischia di creare una sorta di ricatto morale nei confronti delle donne. Se l’embrione umano ha il diritto a venire al mondo in qualunque modo, allora c’è un implicito dovere da parte di qualunque donna (e in special modo di quelle che possono meglio garantirgli la sopravvivenza, cioè quelle che non hanno problemi di sterilità) di proporsi per la cosiddetta adozione. Perché quando la questione è posta nei termini del salvare la vita di qualcuno cade la facoltatività. Continuo a pensare che l’embrione abbia il diritto di venire al mondo nel grembo e dal grembo della propria madre e che la gestazione e il parto non siano atti paragonabili all’adozione, che resta una scelta di grandissimo valore morale per la quale mi sono sempre battuto, proponendola come reale alternativa alla tecnica di fecondazione in vitro. Bisogna perciò avere il coraggio di dire che sono i genitori degli embrioni crioconservati ad avere la responsabilità della vita dei loro figli, i quali hanno bisogno della loro madre che li accolga dando loro quella possibilità di continuare a vivere dopo averli volontariamente generati. L’azoto liquido non può e non deve essere il surrogato del grembo materno e il grembo materno non è soltanto l’utero o la funzione riproduttiva. E proprio perché li considero figli sono radicalmente e incondizionatamente contrario al fatto che vengano usati come materiale biologico. L’adozione embrionale lungi dal salvare la vita a qualche embrione umano, obiettivo in sé assolutamente legittimo, rischia di porre le premesse per abbassarne la tutela e ampliare il numero di quanti verranno esposti alla morte. Gli embrioni diventano, di volta in volta, figli da attendere, orfani da adottare, materiale da selezionare, prodotto da crioconservare, derrata deteriorabile da studiare; tutto a seconda dei desideri degli adulti: evitare ogni ulteriore manipolazione nei loro confronti non è forse l’atto più conforme alla dignità loro e nostra? Non discuto le buone intenzioni di alcuni difensori dell’adozione, ma non mi convincono le loro ragioni e continuo a pensare che valorizzare questa scelta significa, con la mediazione della tecnica, mettere in gioco il senso stesso del venire al mondo. E questo è un problema per chi ha voglia di pensare, cattolico o no.
Adriano Pessina
* * *
Nessuno dubita delle buone intenzioni del professor Pessina, quando afferma che la tutela degli embrioni abbandonati si attua meglio accettandone la morte – o meglio provocandola, staccando la spina dei congelatori – piuttosto che attraverso quella che il Comitato nazionale di bioetica ha chiamato “adozione per la nascita”. Ma continuiamo a vedere nella sua posizione un’involontaria sponda, sotto la temibile insegna del meglio nemico del bene, per chi chiede di assimilare gli embrioni crioconservati e privi di “progetto parentale” a malati senza speranza, ai quali riservare una interessata eutanasia. Se accettiamo di espiantare organi da esseri umani “clinicamente morti” con il cuore battente, che cosa si potrà opporre a chi vorrà usare le cellule di embrioni dichiarati morti, anche se non lo sono affatto? Questa era ed è la nostra preoccupazione, che rimane intatta. Quanto all’allargamento dell’“offerta riproduttiva” che, secondo Pessina, si anniderebbe nella proposta del Comitato nazionale di bioetica, non dovrebbe essere necessario ricordare che l’opportunità dell’adozione è stata chiaramente formulata come “rimedio estremo di fronte alla situazione di abbandono dell’embrione: l’istituto è diretto a salvare la vita del concepito e offrirgli una famiglia piuttosto che a soddisfare il desiderio degli adulti di avere un figlio”. Non una nuova offerta speciale nel supermarket del bambino su ordinazione, quindi, ma un “rimedio estremo” che consenta a un numero, anche limitato, di vite sospese, già esistenti, di arrivare alla nascita. Nel migliore dei mondi possibili quelle vite nessuno le avrebbe mai dovute “produrre”, e cerchiamo tutti di impegnarci (in questo senso i limiti posti dalla legge 40 sono uno strumento efficace) perché nessun essere umano “sovrannumerario” sia abbandonato al proprio non-destino dopo essere stato creato in provetta. Ma se anche soltanto “qualche embrione” tra i 2.527 dichiarati in Italia in stato di abbandono può, grazie all’adozione, arrivare alla nascita, perché impedirlo? Non sarebbe come condannare dieci persone ad annegare perché ci sono a disposizione soltanto due giubbetti di salvataggio, e allora tanto vale non usarli? Appare lampante, infine, che se guardiamo concretamente agli embrioni abbandonati come “orfani da adottare”, questo di per sé esclude che possano essere considerati anche “materiale da selezionare, prodotto da crioconservare, derrata deteriorabile da studiare”. Al contrario, se ne stabiliamo la morte per decreto, tutto quello che Pessina paventa, e noi con lui, diventa possibile. (nic.til.)
lunedì 30 aprile 2012
Le difettose
“Ho sempre fatto. Lavorato. Prodotto. Realizzato. Ora devo solo vivere e aspettare. Con il rischio che non succeda nulla”. È l’attesa di Carla, la protagonista di Le difettose, primo romanzo di Eleonora Mazzoni (Einaudi, 2012). È l’attesa di tutte le persone che desiderano un figlio e che ricorrono alle tecniche di riproduzione.
Un’attesa che può diventare straziante e insopportabile, che galleggia nelle sale d’attesa che somigliano a manicomi, che deve essere domata quando si inizia un percorso di stimolazione ormonale, prelievo degli ovociti, tentativo di impianto, analisi del sangue, monitoraggio delle Beta. E che puoi moltiplicare indefinitivamente. Un desiderio che può diventare come una “vera ossessione amorosa”. La legge 40 e i dibattiti al riguardo sono spesso confusi e freddi, non si immagina il vissuto delle tante donne come Carla, la loro angoscia e le difficoltà che devono affrontare, alcune delle quali evitabili e imposte da una legge che per fortuna sta crollando sotto la scure di sentenze e tribunali. Angoscia e difficoltà reali: la legge 40 limita ancora l’accesso alle tecniche alle coppie sposate o conviventi e impone il requisito della sterilità, vieta il ricorso alla donazione dei gameti (la cosiddetta fecondazione eterologa), vieta la maternità surrogata e la sperimentazione embrionale. “Se la medicina ti offre una opportunità - mi dice Mazzoni - per quale motivo dovrebbe essere vietato farvi ricorso? Non posso pensare alle reazioni clericali che il nobel a Robert Edwards (pioniere delle tecniche, NdA) ha scatenato: la riproduzione artificiale banalizzerebbe la maternità e paternità? È il contrario, perché fai un percorso che altrimenti non avresti fatto”.
Le condanne hanno alcuni punti fermi, come la cantilena del figlio a tutti i costi, cioè un desiderio che diventerebbe cieca ostinazione, un desiderio sbagliato. Eppure solo in questo caso “a tutti i costi” ha un’accezione negativa: “ti sei laureata a tutti i costi” è positivo. C’entra la hýbris? “Credo di sì. Si ha paura che l’uomo voglia diventare Dio. Non ti fa essere come Dio - continua Mazzoni - ma molto umile nei confronti della vita, perché i risultati non sono garantiti, provi ma può andarti male. E poi la convinzione che la natura sia buona e la scienza cattiva è davvero ingenua. La natura può essere spietata, la natura è indifferente. D’altra parte se ti rompi una gamba te l’aggiusti, non subisci passivamente il tuo destino. E poi c’è uno scollamento tra le regole e la vita reale, anche tra gli adepti più intransigenti. Ho conosciuto molte persone che fanno parte di movimenti ultracattolici che hanno fatto ricorso all’eterologa - per loro abominevole - senza però dire nulla”.
In Le difettose molti dei luoghi comuni più feroci sono pronunciati dalle madri delle donne che stanno provando ad avere un figlio: è contro natura, i figli vanno fatti sotto le lenzuola e altri simili. “In parte è un fatto generazionale, chi non è preparato alla tecnica e alla scienza ha un sacco di false paure. Mi piaceva - prosegue Mazzoni - anche creare un conflitto tra Carla e una madre, assente e anaffettiva, che verso la fine si scopre avere avuto a sua volta una madre distante, chiusa in una depressione dopo la morte di un figlio. Volevo raccontare come la maternità fosse culturale, come si diventa madre e non lo si è perché si partorisce. È una categoria dell’anima che si trasmette di madre in figlia, sia in positivo che in negativo. Si cercano anche le madri, non solo i figli. Gli schemi della famiglia sono ancora così rigidi! La sacra famiglia può essere soffocante, violenta, brutale. Pensiamo alla violenza domestica. Sacralizzare è sempre rischioso”.
Su Il Mucchio di maggio.
Postato da Chiara Lalli alle 11:17 2 commenti
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martedì 2 ottobre 2012
Perché voglio fare la madre io? (Perché sono un utero)
Mi era proprio sfuggito, ma quando su segnalazione leggo su Gli Altri quanto avrebbe scritto Luisa Muraro salto sulla sedia (La femminista contro le adozioni gay:“Invidiosi della fecondità femminile”, Laura Eduati, 2 ottobre 2012, da leggere se si esclude Muraro). Non c’è la fonte e allora cerco con Google e trovo di meglio: in una botta sola trovo la fonte (Metro) e un commento di Marina Terragni che si dice “perfettamente rappresentata” (non mi avventurerò nei link che segnala Terragni all’inizio del suo post, tanto è ben rappresentata da Muraro e allora andiamo a vedere cosa avrebbe scritto Muraro).
“Meglio avere genitori omosessuali che non averne affatto”, ha detto il sindaco di Milano, secondo i giornali. Avrà detto proprio così? Me lo chiedo perché in queste parole ci sono due semplificazioni.Muraro fa le pulci a Pisapia, ma poi inciampa non solo in semplificazioni peggiori di quelle che attribuisce al sindaco di Milano, ma pure in equivoci psicanalfondamentalisti che sembrano usciti da una cantina polverosa e rimasta chiusa per 40 anni (basterebbe qui invocare Sokal e Bricmont e quello che scrivono a proposito di Julia Kristeva e Jacques Lacan o altri tipi del genere).
Avere dei genitori non è sempre meglio del non averli. Ci sono genitori indegni del loro compito. Quanto all’adozione, Pisapia sa bene che la nostra legge è diventata molto prudente nel concederla. Troppo, dicono alcuni, senza sapere dei molti bambini prima adottati e poi respinti. Ci vuole una valutazione severa, per esempio: sono adatti alla paternità i politici di professione, gli artisti?
Seconda semplificazione. Il sindaco ha parlato di coppie omosessuali, senza specificare se maschili o femminili. Ma è una differenza enorme. Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante. Il problema si pone alle coppie maschili, in quanto naturalmente e ovviamente sterili. Qui non prendo posizione pro o contro l’adozione. Affermo soltanto che, quando si ha davanti un problema, conviene dirsi chiaramente come stanno le cose. Il problema dell’adozione è degli uomini, non delle donne. E dietro alla pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondersi un’antica invidia verso la fecondità femminile. Mi sbaglio? Non lo escludo, ma in tal caso l’uomo dica apertamente: perché non voglio chiedere a una donna il dono di diventare padre? Perché voglio fare la madre io? E non riduciamo il problema a una questione di diritti. A questo mondo i desideri, compresi quelli giusti, non si traducono automaticamente in diritti.
Certo che ci sono genitori indegni, ma ciò che (verosimilmente) voleva intendere Giuliano Pisapia è che la variabile omosessualità non è intrinsecamente negativa. Se dovessi proprio commentare, direi che questo modo concessivo (magari strategicamente funziona) mi disturba, e che sarebbe meglio dire: perché l’omosessualità dovrebbe essere considerata a priori come dannosa per i figli? Non ha alcun senso, e sarebbe giusto sottoporre tutti i potenziali genitori adottivi al percorso di valutazione, senza soffermarsi pornograficamente sulle preferenze sessuali. Ancora troppa gente pensa che l’eterosessualità sia il golden standard e che gli altri orientamenti siano una caricatura, un errore, un peccato, qualcosa di immorale - insomma bene che ti va ti prendi uno sguardo di compassione. Finché questa convinzione - sbagliata, delirante, presuntuosa e violenta - sarà conficcata nelle teste inciampreremo in domande che dovrebbero essere superlfue, inutili e considerate come noiose. Si è buoni o cattivi genitori per ragioni che nulla hanno a che vedere con le nostre preferenze sessuali.
Sulla difficoltà dell’adozione, poi, ne scriveva pochi giorni fa Daniela Ovadia e non mi ci soffermo (chiarisco solo che sono difficoltà che nulla, pure loro, hanno a che fare con l’orientamento sessuale).
Ma il bello arriva con la “differenza enorme”, per non dire di dubbie entità come “il consenso della società circostante” e il “naturalmente sterili” (Muraro forse avrebbe dovuto dirci come ci regoliamo con una donna sterile - la consideriamo innaturale al pari di un uomo?).
Ma diciamoci chiaramente come stanno le cose, ci esorta Muraro: il problema dell’adozione è degli uomini, perché in fondo ci sta una invidia malcelata e mai risolta. Degli uomini verso le donne. Degli uomini verso l’utero. Sarà.
A me sembra che eliminare dal proprio panorama cerebrale il fatto che si possa desiderare di essere padri - meglio, genitori così magari ci liberiamo di qualche stereotipo che la mamma è premurosa e affettuosa e il papà è l’ordine e la disciplina - ridurre gli individui a ruoli predefiniti, sempre più angusti, sempre più irrigiditi e incollati come capelli inondati da una lacca scaduta, decidere al posto degli altri quali siano i desideri giusti e quelli sbagliati, ecco tutto questo mi sembra essere di una presunzione sconfinata. Non solo, si può provare almeno a metter su un mezzo argomento che non puzzi di marcio e stantio, si può provare ad uscire dall’ossessione della retorica della maternità, che spinge perfino a chiamare “mammo” un uomo che esprime piacere e desiderio nell’occuparsi dei figli. Mammo, capite?
Per non parlare della coincidenza tra capacità riproduttiva e desiderio genitoriale, della riduzione delle emozioni agli organi che abbiamo, quelli che ci funzionano oppure no, quelli che ci permettono di riprodurci o quelli che richiedono l’intervento di tecniche. Non oso pensare cosa direbbe Muraro (magari lo ha già detto ma passo per oggi) della maternità surrogata e delle tecniche riproduttive, tutti rimedi innaturali e sicuramente un ripiego delle vere donne, quelle con l’utero funzionante.
Insomma, ci bastava Giuseppe Di Mauro, o no?
Aggiunta per chi avesse voglia di leggere prima di elencare sentenze: APA, Colage, ACLU, AACAP, Stacey & Biblarz (posso continuare su richiesta).
lunedì 5 maggio 2014
Come «si applica» la sentenza sull’eterologa?
Nel cappello dell’intervista ad Assuntina Morresi, apparsa oggi sul settimanale Tempi (Francesco Amicone, «Eterologa. “Prima di applicare la sentenza della Consulta, serve un dibattito pubblico”», 5 maggio 2014), si leggono queste parole:
Si potrà legalmente donare un ovulo o uno spermatozoo a una coppia che lo desidera per avere (partorire) un figlio concepito in provetta? Ancora nessuno lo dice. A quasi un mese di distanza dalla sentenza con cui la Consulta il 9 aprile ha legittimato la fecondazione eterologa, il Governo non ha approntato una risposta politica. «Non c’è chiarezza e non si sa quale altro divieto della Legge 40 viene intaccato», spiega a tempi.it Assuntina Morresi […], membro del Comitato nazionale per la Bioetica. «Bisogna attendere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale», aggiunge. Nel frattempo i media premono perché l’esecutivo Renzi dia il via libera definitivo all’eterologa. In sostanza, si afferma che non vi sarebbe bisogno di un dibattito parlamentare, e basterebbe applicare la sentenza della Consulta.Più avanti, nel corpo dell’intervista vera e propria, la Morresi ribadisce il concetto:
C’è un vuoto normativo. Non c’è traccia di una norma che stabilisca come fare l’eterologa. Per esempio: si potrà donare cellule riproduttive ai propri parenti? Inoltre, vista la novità che introduce la sentenza, non penso si debba applicare con un atto amministrativo, un regolamento o con un decreto del Governo. C’è bisogno di un dibattito pubblico e parlamentare.Si tratta di affermazioni singolari. Perché una sentenza di illegittimità costituzionale abbia effetto non servono atti amministrativi, regolamenti, decreti o leggi. Basta la pubblicazione, come chiaramente è scritto nell’art. 136, comma 1, della Costituzione della Repubblica Italiana:
Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.nonché nell’art. 30, comma 3, della legge costituzionale n. 87, 11 marzo 1953:
Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.Il fatto che ci sia un «vuoto normativo», cioè che nessuna norma regoli attualmente la materia all’infuori degli articoli ormai giudicati incostituzionali, non ha alcuna conseguenza: considerando anche il principio giuridico fondamentale secondo cui tutto ciò che non è vietato è lecito, all’indomani della pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale, la fecondazione eterologa sarà lecita sul territorio della Repubblica in tutte le sue forme (esclusa la cosiddetta maternità surrogata, sulla quale la Corte non è stata chiamata a pronunciarsi), e nessuno – né medico né paziente né donatore di gameti – dovrà temere conseguenze penali applicando questa pratica.
Immagino che la Morresi si potrebbe giustificare asserendo che per «applicazione della sentenza» intendeva riferirsi in realtà all’approvazione di una norma che regoli la materia. La scusa di avere usato una terminologia impropria non potrebbe invece essere invocata dall’autore dell’intervista, Francesco Amicone (un figlio d’arte?), la cui domanda iniziale, «Si potrà legalmente donare un ovulo o uno spermatozoo a una coppia che lo desidera?», tradisce un’evidente ignoranza del fatto elementare che una norma dichiarata incostituzionale non può in nessun caso continuare a sopravvivere come se nulla fosse accaduto. La materia si potrà regolamentare in modo più o meno liberale (e naturalmente bisognerà attendere le motivazioni della sentenza prima di cominciare a disegnare un’eventuale disciplina): si potrà decidere sull’anonimato dei donatori, sul rimborso delle spese da loro sostenute, etc., ma la fecondazione eterologa dovrà essere comunque d’ora in poi fondamentalmente ammessa.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 18:51 1 commenti
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giovedì 3 settembre 2009
Due di Bioetica su Darwin
Il team di Bioetica è presente al completo sul numero da oggi in edicola della rivista di divulgazione scientifica Darwin (n. 33, settembre-ottobre 2009).
Chiara Lalli firma un intervento sulle famiglie arcobaleno (pp. 62-63):
In Italia ci sono molti bambini nati o cresciuti in famiglie omosessuali. Famiglie ricomposte, donne che hanno usato le tecniche di riproduzione artificiale, uomini che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata, cogenitori (cioè una coppia di uomini e una coppia di donne che hanno insieme dei figli). L’omogenitorialià è dunque una realtà, e non sembrano esserci valide ragioni per condannarla o stigmatizzarla. La letteratura scientifica in merito, infatti, rassicura. Anche il buon senso può venirci in soccorso: se l’omosessualità non è una patologia e se il desiderio di avere un figlio è legittimo, dovrebbe esserlo indipendentemente dall’orientamento sessuale.Giuseppe Regalzi racconta invece la storia della colossale frode scientifica perpetrata dal dottor Woo Suk Hwang («Ascesa e caduta del re della clonazione», pp. 86-95):
Nel 2005 è stata condotta Modi di, una ricerca nazionale sulla salute di lesbiche, gay e bisessuali. Nel campione analizzato «il 17,7 per cento dei gay e il 20,5 per cento delle lesbiche, con più di quaranta anni, hanno almeno un figlio. La quota scende ma rimane significativa se si considerano tutte le fasce d’età. Sono genitori un gay o una lesbica ogni venti. Per la precisione il 5 per cento dei primi (il 4,7 per cento è padre biologico) e il 4,9 per cento delle seconde (il 4,5 per cento madre biologica)». Sono dunque circa centomila i figli cresciuti in una famiglia gay, secondo una stima inevitabilmente per difetto. […]
Il 12 gennaio 2006 il dottor Woo Suk Hwang stava piangendo di fronte alle telecamere della Tv sudcoreana. «Mi sento così annichilito e mortificato che non ho quasi la forza di chiedere scusa». Venti dei suoi colleghi, in piedi a capo chino dietro di lui, condividevano l’umiliazione di quei momenti. «Chiedo il vostro perdono», aggiunse Hwang rivolgendosi ai suoi concittadini, che l’avevano a lungo idolatrato e considerato un eroe nazionale. In quel momento agenti di polizia stavano perquisendo la sua abitazione e i suoi laboratori alla ricerca di prove, dopo che due giorni prima una commissione d’indagine istituita dall’Università Nazionale di Seul aveva concluso che i due articoli scientifici che avevano dato a Hwang la gloria, pubblicati sulla prestigiosa rivista Science nel 2004 e nel 2005, contenevano estese falsificazioni, e che la pretesa produzione di cellule staminali embrionali a partire da embrioni umani clonati, in essi documentata, non era mai avvenuta.
Ma come era stato possibile che una frode scientifica di questa portata passasse all’inizio inosservata? E quali eventi avevano trasformato Hwang in meno di due anni da oscuro esperto di scienze veterinarie nello scienziato forse più celebre al mondo, e infine in disprezzato truffatore? È quanto cercheremo di vedere nelle prossime pagine.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 13:20 4 commenti
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giovedì 8 febbraio 2007
Rassegnazione bioetica
Ho capito, non se ne esce.
Vado a sposarmi a Las Vegas.
Faccio la maternità surrogata a San Francisco.
Prenoto il suicidio assistito in Oregon.
E passo i prossimi anni in un coffee shop ad Amsterdam.
Buona fortuna a chi rimane in Italia.
lunedì 2 aprile 2007
Commercio neonatale
Ogni volta che si parla di mercato di organi, di vendita di ovociti o di maternità surrogata viene giù una valanga di condanne e ammonizioni. Forse il problema sta nelle parti, perché il tutto sembra vendibile (e pure a buon mercato), come emerge dal pezzo di Bianca Cerri, Texas, la fabbrica dei neonati, Altrenotizie, 2 aprile 2007:
Bisogna dirlo: quando si tratta di garantire diritti alle donne, politici e legislatori del Texas non hanno rivali. Dopo le targhe automobilistiche anti-aborto e la proposta di curare l’omosessualità nei bambini operandoli nel ventre materno prima della nascita è in arrivo la legge SB 1567, che prevede un bonus di 500 dollari per le donne intenzionate ad abortire che porteranno a termine la gravidanza per poi cedere il bambino allo Stato. L’offerta è valida solo per le cittadine americane residenti in Texas, le orde di messicane incinte che attraverseranno il confine attratte dal miraggio dei 500 dollari sono avvertite. Negli Stati Uniti esiste una Carta dei Diritti dei Minori che garantisce ai nuovi nati cure mediche, istruzione e parità di diritti a qualunque razza appartengano. Nonostante ciò, le donne che intendono abortire perché impossibilitate ad offrire un’esistenza dignitosa ad un bambino vengono ostacolate con metodi sempre più coercitivi.(Continua)
In prima fila si collocano naturalmente le organizzazioni fondamentaliste cristiane ed i vari “movimenti per la vita” coadiuvati da politici come Dan Patrick, autore della SB 1567 e di numerose altre trovate del genere. In un’intervista radiofonica Patrick si è detto convinto che la promessa di un premio in denaro si rivelerà sicuramente una carta vincente nella lotta all’aborto. “La SB 1567 è riservata alle donne che hanno già fatto richiesta di abortire ma sceglieranno di portare a termine la gravidanza e poi dare in adozione il loro bambino, una soluzione infinitamente migliore”, ha detto in un’intervista radiofonica. Resta però il dubbio che il vero fine sia quello di procurarsi neonati che andranno ad alimentare il mercato delle adozioni, una delle realtà più vergognose degli Stati Uniti.
Speculando sulla pelle dei bambini meno fortunati, l’Ente per le Adozioni USA realizza un fatturato anno pari a quattro miliardi di dollari circa. In un’epoca nella quale il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto picchi inimmaginabili e la mortalità infantile è di nuovo in crescita dopo 44 anni, l’Ente opera incessantemente per convincere le donne a portare a termine le gravidanze indesiderate, per poi appropriarsi dei loro figli. Un vero e proprio esercito di imbonitori, compresi molti religiosi, è costantemente alla ricerca di madri nubili e/o senza mezzi. Essendo le più vulnerabili sono anche le più facili da convincere a trasformarsi in fattrici a beneficio di coppie infeconde ma benestanti. Ad affare concluso, il procacciatore di neonati incasserà una percentuale sull’adozione. Ma c’è un’ulteriore dimensione di questo business ed è quella razziale.
martedì 16 gennaio 2007
Vicini al trapianto di utero
Bioetica si era già occupata del trapianto di utero quattro mesi fa («Verso il trapianto dell’utero», 13 settembre 2006). Allora l’annuncio degli studi in corso veniva dallo Hammersmith Hospital di Londra; oggi è la volta del Downtown Hospital di New York, dove un gruppo di ricercatori capitanati da Giuseppe Del Priore potrebbe tentare l’operazione entro la fine di questo anno, secondo il Washington Post (Rob Stein, «First U.S. Uterus Transplant Planned», 15 gennaio 2007, p. A01); più prudente la Associated Press, che con Marilynn Marchione riporta nello stesso giorno una dichiarazione del presidente dell’ospedale che esclude che l’operazione possa essere effettuata «any time in the near future» («Uterus Transplant May Enable Pregnancy»).
L’operazione consiste nel trapianto vero e proprio; nell’attesa di circa tre mesi, per assicurarsi che l’organo funzioni correttamente e che i farmaci antirigetto siano ben tollerati; nell’impianto di un embrione pre-esistente (per evitare gli inevitabili ritardi legati alla fecondazione in vitro). Alla nascita del bambino, che avviene per parto cesareo, l’utero viene rimosso; in ogni caso, se la gravidanza ritarda, l’organo non viene lasciato nel corpo della donna per più di due anni, in modo da interrompere l’uso dei farmaci. I ricercatori contemplano, seppur vagamente, la possibilità futura che pazienti ancora dotate di ovaie possano concepire naturalmente. Ancor più speculativa (ma inevitabile) l’idea di qualche commentatore sull’estensione dell’operazione agli uomini.
Alcuni bioeticisti, tra cui Arthur Caplan dell’Università di Pennsylvania, hanno voluto sottolineare le possibili difficoltà etiche generate dal grande valore simbolico dell’organo; ma Del Priore e i suoi colleghi hanno già ottenuto in un sondaggio pilota l’assenso dei familiari di potenziali donatrici.
L’unico vero, grande problema etico è dato dalle possibili conseguenze sulla salute dei futuri bambini dei farmaci antirigetto e di un utero non adeguato, visto che sarebbe sempre disponibile l’alternativa meno rischiosa della maternità surrogata. Al momento le prospettive sembrano comunque relativamente incoraggianti, secondo l’Associated Press:
The drugs generally are not dangerous to a fetus although certain ones should be avoided, said Dr. Vincent Armenti, kidney transplant chief at Temple University School of Medicine in Philadelphia. He keeps a registry of pregnancies in transplant recipients throughout North America.Per il resto l’etica della libertà ci offre, come spesso accade, una guida sicura:
As of mid-2005, 990 women had had 1,547 pregnancies with results not much worse than the general population. Of the 772 pregnancies in kidney recipients, 590 births resulted (the rest miscarried or chose abortion). About half of babies were born prematurely – most only slightly – and much of this was due to the mothers’ high blood pressure, not the transplant.
Only six babies died within a month of birth, and 4 percent had birth defects, some of them mild and fixable with surgery.
“The consensus of the community, supported by registry data, is that pregnancy can be safe in this population,” Armenti said.
“I don’t think it’s really a doctor’s role to tell a patient that their values are not important. It’s up to us as doctors to advise our patients and safely escort them to the best life that they can have,” Del Priore said. … “I think patients deserve autonomy,” said Alan DeCherney, a fertility expert speaking on behalf of the American Society for Reproductive Medicine. “As long as they know all the facts, it should be their choice.”
venerdì 6 ottobre 2006
Ancora sulla legalizzazione della vendita di organi
Amy L. Friedman ritorna sulla questione della legalizzazione della compravendita di organi per il trapianto da vivente («Payment for living organ donation should be legalised», British Medical Journal 333, 2006, pp. 746-48), e lo fa pronunciandosi a favore di questa possibilità. Il suo argomento fa leva soprattutto sull’incongruenza tra rifiuto di principio del pagamento per reni e fegato, e accettazione del pagamento per sangue, ovociti e maternità surrogata; ma la sua validità è chiaramente limitata agli Usa, dove queste pratiche sono legali, al contrario di quel che avviene generalmente in Europa (dove tutt’al più si potrebbe fare il paragone con la legalizzazione – seppure parziale – della prostituzione).
All’obiezione principale, che il pagamento degli organi si risolverebbe nello sfruttamento dei più bisognosi, la Friedman risponde con un altro paragone, quello con il servizio nelle Forze Armate; ma anche questo esempio è molto più cogente negli Stati Uniti che nei paesi europei. Un confronto più generalizzabile sarebbe forse quello con i cosiddetti mestieri usuranti, che di regola sono appannaggio dei ceti svantaggiati (e che vengono remunerati per di più in maniera non sempre congrua ai rischi per la salute che comportano).
Esiste naturalmente una forma paradossale di paternalismo alla base di questa obiezione: per proteggere i poveri si impedisce loro di migliorare la propria condizione. Sospetto che questo paradosso si mostrerà comunque tanto più efficace nel contrastare la compravendita di organi in un dato paese, quanto più alta e diffusa vi sarà la sensibilità verso le ineguaglianze economiche. Tutto sta a vedere, naturalmente, quanta ipocrisia si celi in quella sensibilità; senza dimenticare, come fa giustamente notare Amy Friedman, che anche tra coloro che hanno bisogno di un trapianto di rene i poveri sono presenti in misura percentualmente sproporzionata.
giovedì 25 maggio 2006
Madre in affitto cercasi
Dal 1994 la maternità surrogata è illegale. E allora molte coppie francesi arrivano fino al Canada o agli Stati Uniti alla ricerca di un figlio (Utero in affitto, è esodo dalla Francia in Canada, Il Corriere Canadese, 25 maggio 2006). Tra le 200 e le 400 lasciano la Francia all’inseguimento di un desiderio.
Sono disposte (o meglio, sono in grado) di spendere fino a centomila dollari per realizzare il sogno di avere un figlio. Sono in molti a urlare allo scandalo per la vendita del corpo umano. Ma l’unico scandalo è la discriminazione economica. Chi non può permettersi, infatti, di spendere centomila dollari, ma nemmeno molti meno, per affrontare le spese di viaggio e di surrogazione, deve rassegnarsi. Sono i soldi, in ultima analisi, a tracciare il limite tra chi può almeno cercare di avere un figlio e chi deve arrendersi di fronte alla natura dispettosa che nega casualmente la fertilità.
Decisamente immorale.
martedì 14 marzo 2006
La nuova legge sulla PMA in Spagna
Su BioNews di ieri Anna Veiga esamina la nuova legge spagnola sulla procreazione medicalmente assistita («The Spanish law on Assisted Reproduction»), approvata dalla Camera e ora in esame al Senato, e la giudica positivamente.
Tra i punti qualificanti della legge ricordiamo: la possibilità di usare gli embrioni in sovrannumero nella ricerca scientifica; l’abolizione del tetto al numero di ovociti che possono venire fertilizzati; la creazione di un registro nazionale dei centri che praticano la PMA, e di un registro dei donatori di gameti (che rimarranno anonimi, ma con un limite di sei bambini generati ciascuno); la possibilità di selezionare gli embrioni per stabilire la compatibilità con un fratello bisognoso di trapianto di midollo. La selezione in base al sesso è invece proibita, così come la maternità surrogata e la clonazione riproduttiva, mentre sembra che la clonazione terapeutica sarà regolata da un’altra legge, ancora allo studio.
lunedì 6 marzo 2006
La procreazione assistita in Finlandia
Merja Tuomi-Nikula, specialista in Ostetricia e Ginecologia della Clinica Felicitas di Helsinki, commenta oggi su BioNews la proposta di legge sulla procreazione assistita che verrà prossimamente esaminata dal Parlamento finlandese («Clinical concerns with the new Finnish fertility law»). La Tuomi-Nikula evidenzia alcuni aspetti problematici, come la proibizione della maternità surrogata, l’obbligo di identificare e registrare tutti i donatori di gameti, e quello di usare o distruggere entro sei mesi dalla promulgazione della legge gli embrioni creati con gameti di donatori anonimi. A un italiano fa uno strano effetto leggere del rischio che le coppie finlandesi ricorrano in conseguenza di queste limitazioni al turismo procreativo, visto che la proposta di legge prevede la possibilità per le donne singole e le coppie di donne omosessuali di ricorrere alla PMA, e che non sono fissati a priori limiti di età per chi richiede il trattamento...
mercoledì 26 marzo 2014
Mario vuole la mamma
Le opinioni degli integralisti possono essere talvolta esilaranti. In una conversazione che ho avuto di recente con alcuni di loro mi sono sentito dichiarare, nell’ordine: che il matrimonio tra eterosessuali – no, non è un refuso, confermo: tra eterosessuali – non è un diritto umano; che il volere della maggioranza non deve essere coartato da un giudice costituzionale; che l’impossibilità di derivare le norme dai fatti dimostrata da Hume è «sputtanata» ormai da secoli; che la logica matematica è una scienza empirica (!); che nel corso della discussione io avrei esplicitamente approvato qualsiasi potere legiferante, compreso quello del governo nordcoreano. È chiaro che un dibattito con interlocutori di tal fatta risulterà decisamente surreale e, alla fine, non molto produttivo; ma regalerà anche momenti di sana ilarità.
Chi però, incoraggiato dal titolo promettente, si aspettasse di trovare qualche comica bizzarria nel libro appena uscito di Mario Adinolfi, Voglio la mamma (Tricase, Youcanprint Self-Publishing, 2014, pp. 122, € 13,00) rimarrebbe deluso. Le fallacie logiche, le informazioni false e i non sequitur abbondano, è vero; ma è tutto già sentito, consunto dall’uso ripetuto. Nella discussione sul matrimonio per gli omosessuali, ad esempio, l’autore spara a raffica, in rapidissima successione, la vecchia fallacia etimologica («non c’è matrimonio senza “mater”»), la fallacia del piano inclinato («Se un bambino riceve amore uguale a quello di una madre e di un padre da due papà, perché non […] dal papà che ama tanto il proprio cane e vuole che la sua famiglia sia composta dal papà, dal cane e dal bambino ottenuto da una madre surrogata?»; il matrimonio con i cani non manca mai, in questo genere di argomento), la tradizionale fantasia paranoica di ogni integralista che si rispetti sulla proibizione incombente o già in atto di usare le parole mamma e papà («Vogliono cancellare persino la parola mamma […]. Chi è di sinistra non priverebbe mai un soggetto debole, debolissimo come un bambino del suo diritto a chiamare mamma [sic]»), l’inane conta dei numeri («[In] Olanda, si è passati rapidamente dai 2.500 matrimoni tra gay o lesbiche celebrati nel 2001 ai 1.100 del 2005»: si sa, le minoranze troppo ristrette non dovrebbero avere diritti, che spettano veramente solo a quelle più sostanziose, e meglio ancora alle maggioranze), la gag dei registri comunali delle coppie di fatto («dove sono stati istituiti sono clamorosamente vuoti: nessuno si è iscritto»: forse perché non conferiscono nessun vero diritto?). Vecchie barzellette, che non fanno più ridere.
C’è un tentativo di umorismo originale, ma il risultato è alquanto fiacco:
Se il vincolo matrimoniale non è più quello tra un uomo e una donna, il diritto alla successione riguarderà prima di tutto il coniuge. Ho un amico ricco e anziano, che fin dai banchi del liceo ha come migliore amico un suo compagno sostanzialmente nullafacente che vive di espedienti. Gli ha dato rifugio in casa, una casa enorme e vivono sotto lo stesso tetto. Da più di cinque anni ormai. Mi racconta sempre il mio amico ricco che spera da tanto tempo la [sic] legge sul matrimonio omosessuale perché vuole lasciare l’eredità e soprattutto la sua pingue pensione all’amico, non a quella megera della ex moglie e alla di lei (e di lui) prole, da lui qualificata come avida e ingrata. Anche qui c’è un lato glamour, anche se il mio amico non è per niente gay, anzi. Io vedo però diritti negati e anche un’opportunità: alla dipartita del mio amico anziano, andrò io a convivere nell’enorme casa con il suo amico, che è più anziano di me di vent’anni e morirà presumibilmente prima di me, lasciandomi avendomi omosessualmente sposato il diritto alla pingue pensione reversibile. E così via.Si può sorridere di fronte alla buffa pretesa di Adinolfi di decidere lui chi sia degno o meno di ricevere la pensione dell’amico, o di fronte alle sue informazioni non proprio esattissime (tutti o quasi sanno che chi si risposa perde il diritto alla pensione di reversibilità); e possiamo immaginare a quali goffi paralogismi ricorrerebbe se qualcuno gli obiettasse che la badante che riesce a farsi sposare dall’anziano rintronato non invalida l’istituzione del matrimonio eterosessuale. Ma appunto, di sorrisi si tratta, tutt’al più, non della sana risata liberatrice che ci coglie leggendo un articolo di Tempi o un post della Nuova bussola quotidiana.
Stessa storia nel resto del volume: dubbie informazioni («la morte che diventa “dolce” se a darla è lo Stato in una squallida clinica di una periferia svizzera»; ma l’associazione svizzera Dignitas è privata, lo Stato si limita a non interferire), bizzarre inferenze sui desideri altrui («Ho già raccontato la vicenda di Elton John e del suo compagno, desiderosi di essere papà e mamma»), equivoci linguistici («[I] cosiddetti “diritti civili”, che già solo nella definizione fa sorridere, come se esistessero diritti che sono incivili»), tentativi diretti di umorismo («Gli uomini sono uomini, le donne sono donne, la via per accertare la propria condizione di genere è nella stragrande maggioranza dei casi estremamente breve e intuitiva»), non riescono a imprimere il colpo d’ala che risolleverebbe il volume; come non ci riescono nemmeno gli ipse dixit, tanto pretenziosi quanto vistosamente non argomentati:
nessuna razionalità può segnare un momento in cui quella storia a [sic!] inizio che non sia l’istante del concepimento quando l’amore trasforma un uomo e una donna in una carne sola che si fa vita [per Adinolfi il concepimento si verifica nel momento del coito?]. Solo in quell’istante può essere rintracciato l’inizio della storia di ciascuno di noi, inventarsi la quattordicesima settimana o il novantesimo giorno per segnare un macabro confine tra morte possibile e vita inevitabile è semplicemente senza senso. O si ha un diritto di abortire sempre o non lo si ha mai. Io credo non lo si abbia mai.o le ricostruzioni grottescamente tendenziose della realtà:
La cultura dominante ci propone invece versioni scintillanti del percorso della transessualità, […] imponendo un modello per cui l’individuo può tranquillamente scegliere a quale genere sessuale appartenere, prescindendo dalla condizione naturale in cui è nato. Farsi donna se si è nati uomo o viceversa è quasi unanimemente considerato un percorso positivo [nella bibliografia Adinolfi cita un libro sul disturbo dell’identità di genere, evidentemente senza averlo letto].Tra i pochi momenti comici memorabili metterei soltanto un bellissimo malapropismo («Queste povere persone [i transessuali] sono costrette a comportamenti denigranti», corsivo mio), e alcune plateali contraddizioni: si confronti «nulla di quel che è contenuto qui ha a che fare con una dimensione religiosa» con
Perché devastare un istituto millenario come il matrimonio tra un uomo e una donna, desacralizzarlo negandone la radice di senso, per farlo utilizzare ad un pugno di gay per mere ragioni di bandiera ideologica? [corsivo mio]o meglio ancora con
A Roma lo scandalo passato alle cronache con il titolo orrendo delle “baby squillo dei Parioli” […] avrebbe dovuto sconvolgere il tessuto sociale di una città che è anche, non lo dimentichiamo, il centro religioso più importante del mondo occidentale.E si confronti anche
sono state costruite vere e proprie “fabbriche di bambini” con centinaia di donne trasformate in incubatrici viventi e umiliate a suon di dollari, euro e sterline nella loro dimensione più intimamente femminile, quella della maternità […] Le donne vengono cercate nei bassifondi della povertà estrema, pagate con il 10% dell’importo che viene lasciato dagli occidentali alla clinica, costrette [in che modo?] a portare avanti anche otto o nove gravidanze nell’arco di dieci anni.con
c’è da capire se c’è più libertà e potenziale progresso in una giovane madre che si smezza [sic] dalla mattina alla sera la propria famiglia e la crescita dei propri figli, riuscendo a non perdere la mitezza del suo essere femminile o se dobbiamo preferire quella femmina androgina capace di vendersi i figli per bisogno.Il problema del volume, in ogni caso, va ben al di là del fatto di fare poco ridere. Consideriamo affermazioni come queste:
Ma una mamma nell’intimo non può non sentire la voce della vita che ha in grembo, che le grida silenziosa: “Voglio te”. Voglio la mamma. Non la donna. Una donna può chiedere di avere il diritto di abortire. Una mamma non può neanche immaginarlo. […] Ma una donna abortisce, una mamma no.
Il politicamente corretto vuole che si usi l’espressione “le famiglie”, per far capire che l’istituzione familiare classica è ormai in disuso e che tutto è famiglia, anche una zitella con gatto.Già qui, in questo ergersi a giudice degli altri, a dividere in umani e meno umani, in fattrici degne e nubili indegne, da ridere non c’è proprio più nulla. Come non c’è qui:
nelle graduatorie per gli asili nido i figli di genitori single scavalcano i figli di famiglia numerosain cui è implicito che ai più deboli, in quanto «irregolari», vadano negati diritti di cui hanno più bisogno degli altri (o Adinolfi crede magari che le famiglie con un solo genitore siano in media più ricche di quelle «normali»?). Ma c’è molto, molto di peggio:
[È] una delle più grandi vergogne della contemporaneità raccontata invece come un decisivo elemento di progresso: l’affitto dell’utero di donne bisognose di denaro per portare a compimento gravidanze che la natura rende impraticabili, strappando poi il bambino pochi minuti dopo il parto e dopo un primo contatto tranquillizzante con il corpo della madre, per consegnarlo di solito ad una coppia di omosessuali benestanti che giocheranno a fare i genitori. Finché ne avranno voglia.Limitiamoci solo all’ultima frase: da quale abisso di odio – odio feroce, bestiale, spietato – può sgorgare una simile zaffata di pregiudizio, immotivato e indiscriminato? Adinolfi ci assicura, alla fine del libro, che in ciò che precede «Non c’è astio, non c’è faccia feroce»; excusatio non petita se mai ve ne fu una.
Ma il vertice (o il fondo), incredibilmente, non è ancora stato toccato.
In Olanda e tra poco anche in Belgio i bambini malformati che soffrano “livelli insopportabili di dolore” possono essere legalmente soppressi per decisioni assunte in ossequio alla nuova ideologia liberatoria di questo tempo: l’eutanasia infantile. Un avamposto di progresso, secondo molti. Io vedo molte mamme sobbarcarsi sacrifici immensi per proteggere bambini che soffrono molto, per proteggere il loro diritto alla vita, alla lezione immensa che quel dolore lascia in chiunque si avvicini, quando basta poi un accenno di sorriso di quel bambini per rischiarare la giornata più di cento raggi di sole.Per questo gran figlio di mamma, insomma, il dolore tremendo e immedicabile dei bambini serve: serve a comunicare una lezione edificante, serve – se accompagnato da «un accenno di sorriso» – a rischiarare la giornata a chi gli sta attorno. Serve, e quindi si giustifica. Per Adinolfi, bontà sua, «le terapie del dolore fanno passi da gigante di anno in anno. Investiamo su quelle»; ma nell’attesa (che potrebbe rivelarsi molto lunga), sfruttiamo pure quell’utile dolore. E se qualcuno protesta in nome di quei bambini torturati, accusiamolo pure di essere «disturbato dalla loro esistenza».
Il cerone del pagliaccio è colato via, rivelando un’espressione torva. No, non c’è davvero proprio più nulla da ridere.