mercoledì 30 gennaio 2008

Lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite (circa la moratoria sull’aborto)

Mi ero ripromessa di ignorare certe misere manifestazioni, ma è difficile resistere alla tentazione di commentare la lettera indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite promossa dal Foglio (circa la moratoria sull’aborto, ovviamente).
In questi ultimi sessant’anni sono stati presi notevoli provvedimenti e fatti rilevanti sforzi per creare e sostenere gli strumenti giuridici intesi a proteggere gli ideali espressi nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata il 10 dicembre del 1948 a Parigi. Negli ultimi tre decenni sono stati effettuati più di un miliardo di aborti, con una media annua di circa cinquanta milioni di aborti. Secondo l’ultimo rapporto dello United Nations Population Fund, in Cina si corre il rischio di aborti, incentivati e anche coattivi, per decine di milioni di nascituri in nome di una pianificazione familiare e demografica di stato. In India, per una selezione sessista, sono state eliminate prima della nascita milioni di bambine in 20 anni. In Asia l’equilibrio demografico è messo a rischio da un infanticidio di massa che sta assumendo proporzioni epocali. In Corea del nord il ricorso all’aborto selettivo tende alla radicale eliminazione di ogni forma di disabilità. Anche in occidente, l’aborto è diventato lo strumento di una nuova eugenetica che viola i diritti del nascituro e l’uguaglianza tra gli uomini, portando la diagnostica prenatale lontano dalla sua funzione di preparazione all’accoglienza e alla cura del nascituro e vicino al criterio del miglioramento della razza, distruggendo così gli ideali universalistici che sono all’origine della Dichiarazione universale del 1948.
Cerco di essere breve (e chiedo scusa per la lunghezza eccessiva del post). La prima questione riguarda la citata Dichiarazione del 1948, anno in cui la conoscenza dei meccanismi della riproduzione umana era molto diversa da quella di oggi. La Dichiarazione, poi, non distingue tra “uomo”, “persona”, “feto” e “embrione”. Parla di uomo, verosimilmente, già nato – in Italia l’articolo 1 del Codice Civile afferma: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita (462, 687, 715, 784)”. Non si parla di uomo “ancora non nato” o di diritti attribuibili a partire dal concepimento.
Non è corretto, né onesto, riferirsi alla Dichiarazione utilizzando un senso molto esteso di “uomo” (a partire dal concepimento).
La seconda mossa è la confusione (o meglio, la sovrapposizione) della interruzione volontaria di gravidanza che una persona può compiere con la coazione ad abortire o la “pianificazione familiare” imposta. L’errore è il medesimo dell’identificazione tra l’eugenetica attuale (chiamiamola manipolazione genetica) con l’eugenetica hitleriana. Ne abbiamo già parlato tante volte (qui o qui o qui). La differenza è abissale e riguarda il soggetto della decisione: il singolo o lo Stato (o qualunque ente sovraindividuale). Un conto è che io decido di abortire; un conto è che il ministro della salute o della demografia mi impone di abortire in nome di qualsivoglia principio o dichiarata follia. La prima è una scelta; la seconda è una sopraffazione.
Sottoponiamo alla Sua e alla Vostra attenzione una richiesta di moratoria delle politiche pubbliche che incentivano ogni forma di ingiustificato e selettivo asservimento dell’essere umano durante il suo sviluppo nel grembo materno mediante l’esercizio di un arbitrario potere di annichilimento, in violazione del diritto di nascere e del diritto alla maternità. L’articolo 3 della Dichiarazione universale afferma che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”.
Lo stesso giochetto ricompare qui con “individuo”. Nessuno si prende l’onere di dimostrare che di individuo si possa parlare a partire dal concepimento (o come si definisca un “individuo”) e si usano paroloni per dare un alone di rispettabilità. L’arbitrio è in questa richiesta assurda di moratoria, che non è caratterizzata nemmeno dal fegato di dichiarare esplicitamente: “vogliamo rendere illegali le interruzioni di gravidanza; vogliamo affermare la priorità dei diritti degli embrioni (e sto concedendo che di diritti di possa parlare) rispetto ai diritti delle donne; vogliamo che le donne gravide siano controllate a vista e obbligate a portare avanti la gravidanza e a partorire”.
Chiediamo ai rappresentanti dei governi nazionali che si esprimano a favore di un emendamento significativo al testo della Dichiarazione: dopo la prima virgola, inserire “dal concepimento fino alla morte naturale”. La Dichiarazione universale si riferisce infatti ai diritti umani “eguali e inalienabili” e proclama solennemente che gli esseri umani hanno una “dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana” (Preambolo). La scienza, alcune delle cui maggiori scoperte in campo genetico sono posteriori alla Dichiarazione, documenta inconfutabilmente l’esistenza di un patrimonio genetico umano già nell’embrione, un patrimonio unico e irripetibile, fin dal primo stadio del suo sviluppo. La Commissione britannica Warnock, nel 1984, fa del quattordicesimo giorno dal concepimento la soglia oltre la quale un embrione è non soltanto un essere umano, ma titolare del diritto a non essere manipolato sperimentalmente. I governi devono preservare e proteggere questi diritti naturali, che comprendono il diritto a un “patrimonio genetico non manipolato”.
La morte naturale è un richiamo geniale. Che cosa vuol dire “naturale”? Per loro è semplice (ma non lo è). Che cosa vuol dire “morte naturale”? Ah. Non è dato capire. La morte naturale è quella provocata dalla polmonite; da una mancata trasfusione; da una qualsiasi malattia che tutti gli estensori della letterina combattono ingurgitando al primo sintomo un artificiale, artificialissimo farmaco. Massì, coerenza e sensatezza non sono richieste. Qui parliamo di moratorie, questioni ben più importanti della logica!
Il patrimonio genetico, poi, non basta a fare una persona. Questa visione sarebbe il frutto del più bieco determinismo genetico che nessuna persona sensata accetta (quale sarebbe il diritto ad avere un patrimonio genetico non manipolato? Che diritto sarebbe? E varrebbe anche per interventi volti a eliminare una patologia?). La Commissione Warnock, infine, è stata insediata per rispondere al problema della sperimentazione embrionale; e nessuna ricaduta ha avuto sulla possibilità di abortire o di praticare le tecniche di fecondazione artificiale (pratiche ammesse in Gran Bretagna).
La Dichiarazione del 1948 fu la risposta del mondo libero e del diritto internazionale ai crimini contro l’umanità giudicati tre anni prima a Norimberga. In risposta alla pratica eugenetica dei medici nazisti, la World Medical Association nel 1948 adottò la Dichiarazione di Ginevra nella quale si afferma: “Rispetterò la vita umana, a partire dal momento del concepimento”. L’articolo 6 dell’International Covenant on Civil and Political Rights, voluta dalle Nazioni Unite nel 1966, stabilisce che “ogni essere umano ha un inerente diritto alla vita”. L’aborto selettivo e la manipolazione selettiva in vitro sono oggi la principale forma di discriminazione su base eugenetica, razziale e sessuale nei confronti della persona umana. Quella stessa persona umana che le Nazioni Unite tutelano all’articolo 6 della propria carta dei diritti. A sessant’anni dalla proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è necessario rinnovare la nostra principale fonte di ispirazione umanitaria attraverso un emendamento all’articolo 3. Desideriamo perciò richiamare i governi a un profondo rispetto dei diritti della persona, il primo dei quali è l’inviolabile diritto alla vita.
Ed eccoci qua con l’eugenetica! Bastava avere la pazienza di qualche riga. Concepito, persona umana e individuo sono termini interscambiabili e che non pongono alcun problema per Ferrara e compari. Ma insomma, vuoi mettere l’effetto di una simile strombazzata?
Ci vorrebbe un briciolo di onestà e di buon senso; ci vorrebbe almeno la buona grazia di sforzarsi nel concepire una lettera che non inciampi in tante e tali assurdità. Ma forse è chiedere troppo.

ps
Come giustamente commenta Giuseppe, nella Dichiarazione dei Diritti il primo articolo dice: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” (All human beings are born free and equal in dignity and rights). “Nascono”, non “sono concepiti”. (I corsivi sono miei).

Dove sono?

(Domanda Sam) i ciellini, i focolarini, l’opus dei? Non sento la voce di Ruini, di Bagnasco...

La domanda non è mera curiosità, ovviamente. Ma è formulata perché due ragazzi rischiano la morte in Iran in quanto omosessuali.

Qui la petizione.
E qui quella lanciata da Everyone: Petition for the lives of Hamzeh and Loghman.

lunedì 28 gennaio 2008

L’aborto e il prossimo governo Berlusconi

Una commentatrice (Marina, di cui segnalo per l’occasione il bel blog) ci chiede: «Secondo voi quanto tempo passerà prima che il probabilissimo nuovo governo Berlusconi metta una mano pesante sulla 194?». Provo a rispondere in questo post.

Non credo che il prossimo governo Berlusconi (che a questo punto definirei certo, e non solo probabile) metterà mano direttamente alla legge 194/1978, che regola l’aborto. Questo non sarebbe nello stile dell’uomo, che non si è mai dimostrato granché sensibile ai cosiddetti temi ‘etici’ – glielo rimproverava di recente lo stesso Giuliano Ferrara – come del resto a qualsiasi cosa che non costituisca un suo interesse personale e diretto. Berlusconi eviterà dunque la grana, e lascerà per il resto che i suoi alleati integralisti continuino nell’opera di vanificazione indiretta della legge. La strategia è in corso da diversi anni, e il favore di un governo amico – o meglio: un po’ più amico del precedente governo di centrosinistra – non farà una grandissima differenza, anche se indubbiamente porterà a un’accelerazione. Ed è una strategia preferibile allo scontro frontale, che susciterebbe un’opposizione pericolosa; meglio, molto meglio addormentare gli animi con la rassicurazione che la legge non sarà toccata.
I caposaldi della strategia antiabortista sono tre:
  1. la delegittimazione dell’aborto, descritto come un omicidio o addirittura come il peggior genocidio della storia. Il senso della «moratoria» di Ferrara è questo, al di là delle inesistenti possibilità di una sua applicazione pratica: creare una pressione sociale, una riprovazione morale fortissima e automatica. L’aborto deve ridiventare clandestino – ma non nel senso che tutti paventiamo, di ritorno all’illegalità e alle mammane: clandestino innanzitutto nel senso che le donne dovranno vergognarsi di praticarlo, e temere il giudizio del proprio ambiente. Quando l’aborto diventa qualcosa di indicibile, che non si può confidare a nessuno, diventa anche difficile da praticare: devi allontanarti dalla tua città, cercare un medico che non conosci, etc. La clandestinità vera e propria è la logica conseguenza di questa situazione – ed è una conseguenza voluta e scientemente perseguita. Aspettiamoci dunque nel corso della nuova legislatura un’escalation di condanne morali, che diventeranno sempre più parossistiche, coinvolgendo un gran numero di «convertiti» e occupando tutti i mezzi di comunicazione disponibili.
  2. La compiacenza per la crescente obiezione di coscienza. Qui la missione degli antiabortisti consiste semplicemente nel non fare nulla: le tendenze in corso portano inevitabilmente a un numero crescente di medici obiettori, che già in alcune regioni rende quasi impossibile la pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza. La pressione sociale agisce anche sui medici, e non stupisce dunque che nei confronti di una pratica ancora legale ma di fatto sempre più condannata dalle tendenze culturali in corso, molti sceglieranno di gettare la spugna. La legge 194, per la verità, prevedeva delle misure atte ad impedire questa situazione, come la mobilità del personale (art. 9); ma sono rimaste lettera morta sotto i cosiddetti governi «progressisiti», figuriamoci sotto un governo Berlusconi.
  3. L’inserimento del Movimento per la Vita nelle strutture pubbliche. Le donne verranno incanalate nei pochi ospedali dove si praticherà ancora l’aborto, ma qui incontreranno i volontari «per la Vita», che cercheranno di persuaderle in tutti i modi a recedere dal loro proposito. Il Movimento assumerà inoltre man mano il controllo dei consultori – una posizione ancora più strategica per esercitare pressione. Fondi pubblici verranno stanziati per sostenere queste iniziative, come già avviene in certe regioni.
Lo scopo finale, ritengo, è di rendere l’aborto legale sempre più difficile: la pressione sociale, la difficoltà di trovare medici che lo pratichino, la prospettiva di affrontare la propaganda antiabortista, indurranno sempre più donne a rivolgersi alle strutture clandestine (con aumento vertiginoso dei costi, e in parte anche dei rischi), ad andare all’estero, o a rinunciare del tutto. Quando i numeri dell’aborto legale saranno calati drasticamente – anche se ci vorranno molti più anni di quelli concessi al governo Berlusconi – verrà il momento dell’attacco finale alla 194, con la scusa che il fenomeno è ormai divenuto quasi irrilevante, e quindi «controllabile».

Si può fare qualcosa per contrastare questa strategia? Purtroppo molto poco. L’attacco culturale in corso è quasi incontrastato: gli stessi cosiddetti «progressisti» danno involontariamente una mano, indugiando sempre più (per un meccanismo prevedibile di difesa) nella retorica dell’aborto come «tragedia».
L’unica possibilità consisterebbe nell’introduzione della pillola abortiva, che spostando l’aborto in una dimensione maggiormente «privata» potrebbe contrastare almeno in parte le mosse degli integralisti – dai quali non a caso è sempre stata avversata in modo virulento. Proprio in queste settimane l’Agenzia italiana del farmaco dovrebbe terminare l’iter dell’autorizzazione all’immissione in commercio; se si arriverà a un esito positivo (ma qualche dubbio è ancora lecito), vedremo quasi certamente un tentativo del prossimo governo di rovesciare in ogni modo la decisione. Se questo non sarà possibile (molto dipende dalle competenze regionali), assisteremo a una gigantesca campagna terroristica sugli effetti collaterali della pillola, e all’imposizione di misure draconiane per la sua somministrazione, in particolare con lunghissime degenze ospedaliere, che ne vanificheranno ogni carattere di novità.

Questo il futuro prevedibile, per come appare a me. Spero di rivelarmi cattivo profeta – possibilmente non per eccessivo ottimismo...

Una moratoria per Giuliano Ferrara?


Non ho voglia né tempo per commentare le dichiarazioni di questo disonesto individuo. Le sue dichiarazioni sono un miscuglio di imprecisioni, orrori e idiozie. Un gran bel discorso davvero!

4 mesi 3 settimane e 2 giorni


Ho visto finalmente il film di Cristian Mungiu 4 luni, 3 saptamani si 2 zile, vincitore della Palma d’oro di Cannes.
Non entro nel merito del film (regia, fotografia, sceneggiatura e così via) ma mi soffermo unicamente sulla pubblica utilità che questo film potrebbe avere. Una specie di post-it di quasi due ore da attaccare al frigo di molti, a cominciare dal frigo di Giuliano Ferrara. Ma la lista sarebbe davvero molto lunga.
Basti pensare al governo prossimo venturo (di qualunque colore o appartenenza sarà), ai tanti che blaterano di stragi degli innocenti. Ai tanti che, al contrario di me, quegli anni in Italia li hanno vissuti, e magari hanno avuto la stessa paura di Otilia, hanno subito gli stessi schifosi ricatti. Oppure hanno aiutato un’amica nello scellerato piano (scellerato non per la decisione di abortire, ma per le condizioni nelle quali erano costrette a farlo).
Da riguardare ogni volta che si ha la tentazione di dire stronzate. Perché, si sa, le immagini sono molto più potenti dei racconti e dei ricordi, propri o altrui.

domenica 27 gennaio 2008

Perché non restare là?

C’era anche una delegazione italiana alla March for Life svoltasi martedì 22 gennaio a Washington (Stati Uniti).

Pur in un clima molto rigido, l’annuale appuntamento dei sostenitori del diritto alla vita ha raccolto oltre 200.000 persone, che hanno sfilato e manifestato lungo la Constitution Avenue, tra il National Mall e il Palazzo della Corte Costituzionale.

La Marcia per la vita è nata trentacinque anni fa: il 22 gennaio del 1973 fu proclamata la sentenza Roe v. Wade, con cui la Corte Suprema americana legalizzò di fatto l'aborto negli Stati Uniti. Le vittime di questa sentenza sono state, fino ad oggi, 48 milioni. Ogni giorno 3000 bambini sono vittime della interruzione volontaria di gravidanza.
Altri dettagli da Zenit di oggi.

Il sillogismo della domenica

Capita di ascoltarlo di frequente (l’ultima volta compare in un commento al post Indovinello) e dice così:
1. Gli esseri umani hanno diritto alla vita;
2. l’embrione (anche se talassemico) è un essere umano;
3. quindi, l’embrione (anche se talassemico) ha diritto alla vita.
Formalmente la transitività procede più o meno nel seguente modo: se A si predica di ogni B, e se B si predica di ogni C, è necessario che A venga predicato di ogni C. Premessa maggiore; premessa minore; conclusione.
Affinché la conclusione sia vera le due premesse devono essere vere (se si vuole, come nel caso suddetto, inferire una verità indiscutibile e non accidentale, qualche volta sì e qualche volta no: ovvero che l’embrione ha diritto alla vita).
Se una premessa è falsa la conclusione è traballante: se la conclusione fosse accidentalmente vera non lo sarebbe per merito del sillogismo, insomma.
Ora nel sillogismo suddetto emergono diversi problemi: ambiguità dei termini; inferenze sbavate; una circolarità argomentativa (che tutti gli esseri umani - intesi come organismi appartenenti alla specie homo sapiens - godano del diritto alla vita è da dimostrare: non voglio riferirmi al solito straziante esempio di chi è in morte cerebrale, ma suggerisco di riflettere anche sulla pena di morte o sulla legittima difesa. Serve soffermarsi qualche minuto in più sulla premessa maggiore).
Ma invece viene presentato, il sillogismo suddetto, come conclusivo, schiacciante nella sua affermazione, apodittico e incontrovertibile. Orgogliosamente definitivo: l’embrione ha diritto alla vita.
Io mi chiedo: se un cuoco non sa distinguere tra il sale e lo zucchero, gli affidereste il vostro pranzo di nozze? (Si badi, può anche essere che il risultato sarà grandioso, eh!).

ps
Si ignora che la conclusione (l’embrione ha diritto alla vita) non basterebbe (usata come premessa) per condannare e impedire l’interruzione di gravidanza (nemmeno la diagnosi genetica di preimpianto, che in genere è condannata in quanto passo precedente di una interruzione di gravidanza). Non so quante volte lo abbia citato, ma pazientemente rimando per l’ennesima volta a Judith Jarvis Thomson, A defense of Abortion, “Philosophy & Public Affairs”, vol. 1, no. 1, Fall 1971. Ho messo pure la sua foto, magari facilita il processo di memorizzazione).

sabato 26 gennaio 2008

Da non perdere

L’Answers in Genesis Journal, vol. 1, che segnala Sylvie Coyaud oggi in Oca Sapiens:

Ci sono in linea i primi due articoli “di ricerca scientifica creazionista” a conferma della Genesi e della creazione della Terra e di tutto quanto c’è sopra e dentro 6-7.000 anni fa. Eccezionale la ricostruzione della genesi dei microbi di cui la Genesi non dice quando sono stati creati, di Alan Gillen.
www.answersingenesis.org/articles/arj/v1/n1/microbes-days-of-creation

Abstract: quelli buoni Egli li ha creati nel terzo giorno, quello delle piante, quale ”package” di sostegno, e quelli cattivi dopo la Caduta, perché nel paradiso il male non c’era.
Notevole anche l’articolo del direttore Schelling sul granito che “sembra” aver più di 6.000 anni. Grave errore: nella settimana della Creazione, Egli ha accelerato molto il decadimento degli isotopi di plutonio e uranio, producendo un’illusione di vecchiaia…
Ecco. Così si capisce che l’AGJ è l’organo del creazionismo puro e duro, e non dell’Intelligent Design, versione impura e molle, già giunta a compromessi sull’età geologica della Terra.
Sempre in tema di Carnevale del pensiero, in Italia ”illustri esponenti” dell’ex opposizione e futura maggioranza chiedono la messa al bando dei 67 della Sapienza. Sul cui caso la disinformazione prosegue, anche da parte del Vaticano.

Indovinello

Chiariamo una volta per tutte questo punto: ogni forma di selezione genetica sulle persone, è eugenetica.
Chi è stato ad affermarlo?
Due indizi: è donna e il suo nome fa rima con codina (erano anni che volevo usare questo aggettivo).

Tra moglie e marito non mettere il dito

In genere si sente parlare della scusa del mal di testa. Questa volta si è ricorsi ad un rimedio più estremo e sicuro: un miscuglio di sonniferi con i quali piegare gli ardori del marito e rendere più facile la propria fuga nelle braccia dell’amante.
Dopo mesi di astenia la verità è emersa: ricoverato in ospedale, all’uomo è stato consigliato di smettere di prendere farmaci. Quali farmaci?, avrà pensato il marito tradito e drogato. Poi gli sarà venuto il sospetto (chissà, magari se tua moglie da due anni ti droga qualche altro sintomo di infelicità domestica ci dovrà pur essere!). Nei manicaretti serali c’era una buona dose di sedativi.
Per la moglie fedifraga è scattata la custodia cautelare (mentre l’amante è stato indagato per maltrattamenti verso la moglie e i figli).

venerdì 25 gennaio 2008

Il cardinale e la vita delle donne

Il cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, sta per iniziare «un tour mondiale antiaborto». A poche settimane dalla partenza lo intervista Orazio La Rocca («“Inviato del Papa contro l’aborto chiederò al mondo una moratoria”», Repubblica, 24 gennaio 2008, p. 15), che a un certo punto gli chiede:
E quando una gravidanza mette in pericolo la vita della mamma?
«Non è mai lecito uccidere un innocente. Sempre. Quando la mamma è in pericolo occorre che la società faccia tutto il possibile per salvare lei e il suo bambino. E su questo la moderna medicina ed i progressi della ricerca scientifica hanno fatto passi da gigante. Perché non tenerne conto?».
La domanda successiva dell’intervistatore avrebbe dovuto essere, suppongo, «Mi perdoni, Eminenza, ma quando “tutto il possibile” non basta? La medicina non è onnipotente, purtroppo». Ma perché mettere in imbarazzo il sant’uomo? In fondo la sua risposta era già chiara: «mai». Non c’è altro da chiedere.

Aggiornamento: il giorno dopo, fatto inusuale, l’intervista è stata riprodotta integralmente e senza commenti sul FoglioIl cardinale Lopez Trujillo a Repubblica», 25 gennaio, p. II). La moratoria di Ferrara comincia a mostrare il suo vero volto. Ed è un volto sempre più spaventoso.

Riusciremo a morire in pace?

Così si intitola il convegno organizzato dalla Associazione Gilberto Cominetta (per la formazione nelle cure palliative in neurologia) a Milano il prossimo 16 febbraio presso l’Aula Magna della Università Bicocca.
Questa è la domanda implicita di noi, medici, infermieri, terapisti della riabilitazione, psicologi, nutrizionisti, assistenti sanitari, operatori delle case di riposo, di fronte alla morte, serena o drammatica, di chi abbiamo assistito.
Dopo una malattia inguaribile ma a lungo curata, al termine della vita c’è ancora un ruolo per la medicina?
A partire da questo interrogativo guardiamo alla realtà del morire oggi: i luoghi e il tempo, le criticità e le eccellenze, le professionalità e le mancanze.
Qui il programma.
Qui la scheda di partecipazione.

Presentazione di Citizen gay

Alla presentazione del libro di Vittorio Lingiardi intervengono Furio Colombo e Franco Grillini. Modera Concita De Gregorio.

Martedì 29 gennaio, ore 18 presso la Feltrinelli International, via Vittorio Emanuele Orlando, 78/81 - Roma.

giovedì 24 gennaio 2008

Il Foglio colto sul fatto

Cosa aspettarsi quando un giornale clericale dedica un articolo alla pillola abortiva? Ieri Nicoletta Tiliacos del Foglio ha preso la penna per commentare un pezzo apparso il giorno prima sul Washington PostStregati dalla pillola abortiva», 23 gennaio 2008, p. II; l’articolo commentato è di Rob Stein, «As Abortion Rate Drops, Use of RU-486 Is on Rise», 22 gennaio, p. A01), e il risultato è tipico del genere. Innanzi tutto la conta all’ingrosso delle morti, eseguita senza distinguere fra situazioni diverse: si tace, per esempio, che dei casi di morte per shock settico da infezione di batteri del genere Clostridium, associati all’uso della Ru-486, sei si sono verificati negli Stati Uniti, su un totale di 840.000 aborti eseguiti con questo farmaco; nessuno in Europa, su circa il doppio di interventi (l’unico altro caso noto si è avuto di nuovo in Nordamerica, in Canada).
Segue poi la rituale considerazione scandalizzata per il cinismo dei medici, che sempre più numerosi praticano l’aborto farmacologico: «Il medico non si sporca le mani e i 400-500 dollari si incassano lo stesso». Ma se ci si prende la briga di leggersi l’articolo del Post si scopre che il motivo del successo crescente della pillola abortiva è tutt’altro: una clinica dove si pratica l’aborto chirurgico è un bersaglio facile per la violenza dei fanatici anti-abortisti. L’aborto con la Ru-486 è invece un evento che è facile nascondere ad occhi malevoli, e che non mette quindi a repentaglio l’incolumità del medico che lo pratica. Nessuna parola di questo, naturalmente, sul Foglio.
Infine non può mancare la descrizione grandguignolesca dello svolgimento dell’aborto, in solitudine, tra spasmi atroci ed emorragie violente. Ma qui la Tiliacos inciampa malamente. Dopo aver scelto il caso peggiore tra quelli presentati nel Post, e ignorando gli altri, ecco infatti cosa scrive:
Alla fine anche l’elogio della Ru486 confezionato dal Washington Post mostra qualche crepa. “È stata una delle esperienze più dolorose che mi sia mai capitata”, dice Victoria Reyes, che ha dovuto completare l’aborto in modo chirurgico, perché la Ru486 (succede frequentemente) non era stata sufficiente.
Andiamo a vedere l’originale:
“È stata una delle esperienze più dolorose che mi sia mai capitata”, afferma. “Non solo i crampi erando davvero brutti, stavo anche sudando e avevo un’emicrania. A un certo punto ho vomitato. È stato molto brutto”.
La Reyes fu costretta inoltre ad assumere una seconda dose quando l’ecografia mostrò che non aveva completato l’aborto, costringendola a tornare in clinica una seconda volta per confermare che il processo fosse completo [corsivo mio].
Dov’è l’intervento chirurgico di cui parla la Tiliacos? Nel testo originale non ve n’è traccia. Questo potrebbe essere dovuto a una distrazione – qui a Bioetica siamo comprensivi; un po’ più difficile, invece, che la Tiliacos abbia omesso per sbaglio il paragrafo immediatamente successivo dell’articolo del Post:
“Penso di essere ancora contenta di averlo scelto”, dice la Reyes. “Volevo proprio starmene a casa e tenerlo privato”.
Qui di seguito l’originale inglese:
“It was one of the most painful experiences I’ve ever had,” she said. “Not only were the cramps really bad, I was sweating and had a headache. I threw up at one point. It was pretty bad.”
Reyes also had to take a second dose when an ultrasound showed she had not completed the abortion, requiring her to return to the clinic for a second time to confirm that the process was complete.
“I think I’m still glad I picked it,” Reyes said. “I just wanted to be home and keep it private.”
Ah, dimenticavo: la Tiliacos non manca di criticare il carente «rigore giornalistico» del Post...

mercoledì 23 gennaio 2008

Il Tar accetta il ricorso sulle Linee Guida della legge 40

Dall’ANSA delle 16.38:
Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di un gruppo di associazioni, fra le quali Madre Provetta, Amica Cicogna e Warm, annullando per eccesso di potere le linee guida sulla fecondazione medicalmente assistita, la legge 40. In particolare la parte contestata riguarda il divieto di diagnosi preimpianto agli embrioni contenuto nelle linee guida. Lo ha annunciato l’avvocato Gianni Baldini in rappresentanza dell’associazione Madre Provetta.
Il tribunale amministrativo ha anche chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla costituzionalità della legge 40.
Una bella notizia davvero! (Il corsivo è mio).

Aggiornamento: il testo completo del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio a proposito delle Linee Guida.

martedì 22 gennaio 2008

«Non ci avevo mai pensato»

La «sindrome post-abortiva» è un complesso di gravi disturbi mentali che, secondo gli anti-abortisti, colpirebbe le donne che si sono sottoposte a un’interruzione volontaria di gravidanza. La sindrome non è riconosciuta dalla psichiatria scientifica, e non compare nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) – circostanza, questa, che non ha molte probabilità di convincere i fanatici pro-life, ai cui occhi il DSM è irrimediabilmente compromesso da quando ha eliminato l’omosessualità dal novero delle malattie mentali.
Sembra che adesso negli Stati Uniti stia nascendo un movimento di uomini, partner di donne che hanno avuto un aborto volontario, che al grido di «Noi abbiamo abortito!» sostengono di aver subito anch’essi traumi psicologici in seguito alla decisione delle loro compagne. Ce ne informa Stephanie Simon, sul Los Angeles Times di due settimane fa («Changing abortion’s pronoun», 7 gennaio 2008). Uno degli uomini intervistati rivela però involontariamente (e un po’ comicamente) i presupposti impliciti del movimento, casomai non fossero sufficientemente chiari. Chris Aubert, oggi un facoltoso avvocato, era rimasto indifferente quando molti anni fa due sue fidanzate avevano abortito. Sposatosi felicemente e convertitosi al cattolicesimo, ha cominciato a provare rimorso per non essere intervenuto ad impedire gli aborti; ma allo stesso tempo non può fare a meno di domandarsi cosa sarebbe stato della sua vita, se si fosse fatto carico di una gravidanza quando era ancora molto giovane.
«È una discussione intellettuale che conduco con me stesso. Lotto con questa idea». Ma alla fine, le sue obiezioni morali all’aborto hanno sempre la meglio. Se potesse tornare indietro nel tempo, cercherebbe di salvare i bambini.
Ma le sue ragazze di un tempo sarebbero d’accordo? O anche loro potrebbero considerare l’aborto come una scelta che le ha avviate lungo un cammino migliore?
Aubert appare sorpreso. «Non avevo davvero mai pensato a cosa significa per la donna», dice lentamente.
(Hat tip: blog.bioethics.net)

Come laico

Da un bellissimo post di Samuele Siani sul comizio di domenica in Piazza San Pietro («Come laico», Non contro ma per!, 21 gennaio 2008):
Tra tutte queste interviste, una mi ha particolarmente colpito ed è di un giovane che dice: “Benedetto XVI è il mio secondo padre. Io mi sento un suo soldato. E combatto nella mia vita quotidiana, ogni giorno mi sento investito del compito di portare a tutti la mia scelta”. Quale laico può fare un ragionamento simile? Questi dunque sono i cattolici laici sponsorizzati dalla CEI? Quale laico si sente investito di portare a tutti la propria scelta? Come laico vivo quotidianamente nel dubbio. Non potrei mai permettermi di proporre la mia esperienza ad alcuno perché la mia esperienza è una semplice piccola parte di un tutto. Del tutto irrilevante. Come una foglia in un bosco. Che può pure essere utile per fare humus ma non è fondamentale ai processi naturali (ed è per questo che è molto difficile riunire i laici. Poiché fra essi corre il germe vitale della libertà e della sana diversità ed è impossibile tenerli tutti sotto un cappello).
Come laico non posso ritenermi un soldato, perché il termine soldato sottintende comunque la presenza di nemici e armi. E generali al comando.
Come laico cerco la verità ogni giorno. E ogni giorno prendo cantonate e riparto.
Come laico scendo in piazza per ciò che voglio: per un Pride, per i morti della Thyssen, per il rinnovamento di un contratto, per sfanculare Bush, per i fisici della Sapienza ma certo per qualunque cosa in cui io creda.
Come laico non cerco, né voglio, un secondo padre.
E la mia coscienza è indipendente da qualsiasi verità imposta da altri: vive invece di quella parte del bambino che è in me. O è la parte animale che è in me, che corre libera e all’impazzata. Che solidarizza col mondo, che ha fiducia, che s’incazza per i soprusi, quelli veri.
È comunque quella parte che non ha bisogno di chiamate, di appelli, di nessuno che decida quando e per cosa scendere in piazza.
Che riconosce le vittime vere, che può non comprenderne probabilmente i tormenti, ma certo non si fa dire da altri chi siano.
Da leggere tutto.

lunedì 21 gennaio 2008

domenica 20 gennaio 2008

Solidarietà ai docenti della Sapienza (2)

Su Historia Magistra.

APPELLO DI SOLIDARIETÀ CON I COLLEGHI (E GLI STUDENTI) DELLA “SAPIENZA” DI ROMA
A proposito dei fatti relativi alla rinuncia di papa Benedetto XVI alla visita e al discorso all’Università Sapienza di Roma, in occasione della solenne inaugurazione dell’anno accademico, i sottoscritti, docenti e ricercatori degli atenei italiani e nelle altre istituzioni scientifiche, esprimono la più ferma e convinta solidarietà ai colleghi sottoposti nelle ultime giornate a un linciaggio morale, intellettuale e persino politico, senza precedenti. Noi firmatari di questo Appello di solidarietà affermiamo che ci saremmo comportati come i 67 docenti della Sapienza, in nome della libertà della ricerca e della scienza. Se essi sono “cattivi maestri”, come più d’uno li ha bollati, ebbene, lo siamo anche noi. L’invito al papa in occasione dell’apertura dell’anno accademico costituisce offesa al sapere scientifico, ovvero un esecrabile cedimento nei confronti di un preteso principio d’autorità. I colleghi della Sapienza, lungi dall’“impedire al papa di parlare” hanno semplicemente contestato l’opportunità di far inaugurare l’anno accademico – ossia il momento più solenne nella vita di un ateneo – da un capo religioso, e nel contempo capo di Stato straniero, confessionale. Tanto più che trattasi di un papa che ha espresso in reiterate occasioni l’idea che la ragione non possa che essere subordinata alla fede e ha assunto gravi prese di posizione che, mentre smantellano la Chiesa del Concilio Vaticano II, costituiscono pesanti ingerenze nella sfera delle istituzioni politiche nazionali. In ogni caso, la protesta dei colleghi non contro Benedetto XVI era diretta, ma innanzi tutto contro l’autorità accademica che ha commesso la leggerezza di invitare un’autorità religiosa a una cerimonia che deve essere rigorosamente laica; tanto più sbagliato, il gesto del rettore della Sapienza, in quanto ormai l’Italia è un Paese multietnico e multireligioso e ciò nonostante un regime concordatario, obsoleto anche nelle sue revisioni, che continua a privare le scuole pubbliche non universitarie della possibilità di un approccio comparativo al mondo delle religioni assegnando invece la priorità esclusiva all’insegnamento della religione cattolica. E il papa di Roma rappresenta soltanto una parte dell’opinione pubblica, anche di quella aderente a una fede religiosa. Si aggiunga altresì l’atteggiamento di vera e propria subalternità mostrata dalle autorità accademiche, di concerto con quelle ecclesiastiche, e dal coro mediatico che ne ha accompagnato le scelte: inaccettabile, ovviamente, era la pretesa che a Ratzinger fosse riservata una zona franca, in cui le espressioni di dissenso dovessero essere impedite, quasi forme di delitto di lesa maestà. Noi sottoscritti, davanti alla campagna mediatica in atto, esprimiamo la più vibrata protesta e la più ferma preoccupazione per le parole che abbiamo letto e ascoltato in questi giorni, in un penoso unanimismo di testate giornalistiche e di forze politiche. Ci impegniamo, accanto ai colleghi della Sapienza e di tutti gli studiosi e gli studenti che con rigore e passione lavorano, e studiano, nelle istituzioni universitarie e scientifiche italiane, a lottare, con la fermezza e la costanza necessaria – ben oltre questo episodio – perché venga salvaguardato, in un Paese che sembra voler pericolosamente regredire all’epoca del “papa re”, la libertà della ricerca scientifica, in ogni ambito, da ipoteche fideistiche e da nuovi e vecchi princìpi d’autorità.
Torino, 16 gennaio 2008
Angelo d’Orsi (prof. Storia del pensiero politico, Università di Torino), Lucia Delogu (prof. Diritto privato, Università Torino).

Per aderire inviare una mail con nome e cognome, disciplina e sede istituzionale a g.galilei2008@gmail.com.

Lettera aperta di Paolo Flores D’Arcais

Inizia così la lettera che Paolo Flores D’Arcais ha scritto a commento delle scuse di Giorgio Napolitano sul caso B16:
Caro Presidente,
tempo fa, dovendo scriverti per invitarti ad una iniziativa di MicroMega, chiesi tramite il tuo addetto stampa se dovevo continuare ad usare il “tu” della consuetudine precedente la tua elezione, o se era più consono che usassi il “lei”, per rispetto alla carica istituzionale. Poiché, tramite il tuo addetto stampa, mi facesti sapere che preferivi che continuassi a scriverti con il “tu”, è in questo modo che mi rivolgo a te in questa lettera aperta, tanto più che, essendo una lettera critica, mi sembrerebbe ipocrisia inzuccherare la critica con la deferenza del “lei”.

Il mio dissenso, ma si tratta piuttosto di stupore e di amarezza, riguarda la lettera di scuse che in qualità di Presidente, dunque di rappresentante dell’unità della nazione, hai inviato al Sommo Pontefice per l’intolleranza di cui sarebbe stato vittima. E’ verissimo che di tale intolleranza, di una azione che avrebbe addirittura impedito al Papa di parlare nell’aula magna della Sapienza, anzi perfino di muoversi liberamente nella sua città, hanno vociato e scritto tutti i media, spesso con toni parossistici.
Da leggere tutta. E da incorniciare.

Solidarietà ai docenti della Sapienza

Una petizione per esprimere «solidarietà ai docenti della Sapienza a difesa della laicità del sapere», indirizzata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al Rettore dell’Università «La Sapienza» di Roma Renato Guarini, può essere firmata qui.

(Fra) Claudio Magris (e le sirene al contrario)

La premessa sul significato di laicità è abbastanza condivisibile, ma poi Magris parte per la tangente (Il senso del laico, Il Corriere della Sera, 20 gennaio 2008):
È lecito a ciascuno criticare il senato accademico, dire che poteva fare anche scelte migliori: invitare ad esempio il Dalai Lama o Jamaica Kincaid, la grande scrittrice nera di Antigua, ma è al senato, eletto secondo le regole accademiche, che spettava decidere; si possono criticare le sue scelte, come io criticavo le scelte inqualificabili del governo Berlusconi, ma senza pretendere di impedirgliele, visto che purtroppo era stato eletto secondo le regole della democrazia.
Se avesse perso poco del suo prezioso tempo si sarebbe reso conto che nessuno ha preteso di impedire un bel niente. Se dissentire (o sottolineare una scelta come inappropriata) viene giudicata come una imposizione, la sola alternativa è quella di subire in silenzio qualunque azione. Il senato accademico è forse Luigi XIV? Mi è sfuggito qualche passaggio fondamentale della riforma universitaria?
Ma questa doverosa battaglia per la laicità dello Stato non autorizza l’intolleranza in altra sede, come è accaduto alla Sapienza; se il mio vicino fa schiamazzi notturni, posso denunciarlo, ma non ammaccargli per rivalsa l’automobile.
Ma quale sarebbe stata l’intolleranza? Suona ancora più strana la mancanza di una spiegazione approfondita di questo giudizio, anche alla luce della ammissione di Magris della frequente supina sudditanza da parte dello Stato e degli organi di informazione [rispetto alla ingerenza della Chiesa]. Anche Magris è organo di informazione e sarebbe stato apprezzabile una posizione almeno prona - se non altro per spezzare le abitudini.
La conclusione di Magris lascia davvero addosso un senso di sconfitta irrimediabile. Se la protesta contro B16 diventa un ennesimo spauracchio contro il ritorno di Berlusconi, se le uniche ragioni per arginare il malumore prendono la forma della minaccia che potrebbe andare peggio (signora mia), se insomma dobbiamo tapparci le orecchie perché la musica è molesta e insopportabile è ormai ascoltarla - nemmeno qualche minuto in più - se la genuflessione fa bene alla salute, allora smettiamo di sbraitare e porgiamo il collo verso il coltello sacrificale senza agitarci troppo. Tanto è inutile, e il taglio netto è meno doloroso.
Una cosa, in tutta questa vicenda balorda, è preoccupante per chi teme la regressione politica del Paese, i rigurgiti clericali e il possibile ritorno del devastante governo precedente. È preoccupante vedere come persone e forze che si dicono e certo si sentono sinceramente democratiche e dovrebbero dunque razionalmente operare tenendo presente la gravità della situazione politica e il pericolo di una regressione, sembrano colte da una febbre autodistruttiva, da un’allegra irresponsabilità, da una spensierata vocazione a una disastrosa sconfitta.
Mi rimane soltanto un dubbio: chissà se Magris spera nella salvezza divina o in un pezzo di potere temporale. Chissà che non sia deluso in entrambi i casi. I potenti sono spesso molto avari. Meglio ricordarselo.

sabato 19 gennaio 2008

Il papa, Victoria Beckham e la libertà di parola

Nella vicenda della mancata visita del papa alla Sapienza, un giudizio sembra accomunare la quasi totalità dei commentatori: anche chi giudica inopportuno e sbagliato l’invito rivolto a Ratzinger dal rettore, ritiene tuttavia che il diritto del papa alla libera espressione non sia stato rispettato da coloro che per quell’invito hanno protestato. L’opinione sembra a ben vedere paradossale, e merita dunque un esame un poco approfondito. Se ne può approfittare per cercare di gettare un po’ di luce – con qualche ragionamento provvisorio ed esplorativo – sulla libertà di espressione, un concetto che è leggermente più complicato di quanto si può pensare se non lo si è mai esaminato con attenzione.

Su una cosa, penso, tutti saranno d’accordo: il diritto all’espressione delle proprie idee non consiste nell’obbligo, per gli altri, di fornirci i mezzi e le occasioni per esprimerle. Se io mando il manoscritto di duemila pagine della storia della mia vita a un editore, non ho nessun diritto incondizionato a vedermelo stampato, neppure se questa è la mia ultima chance di pubblicazione; se il papa decide di presentarsi per tenere un discorso di due ore al circolo del bridge più vicino al Vaticano, non ha nessun diritto incondizionato ad essere ascoltato, neppure se – ipoteticamente – i suoi discorsi fossero ignorati da tutti i mezzi di comunicazione. Al di là delle occasioni in cui ci esprimiamo senza intermediari (io posso per esempio distribuire agli angoli delle strade la mia autobiografia ciclostilata, o il papa può parlare affacciandosi dalla sua finestra su Piazza San Pietro), la libertà di espressione è condizionata dunque in generale dall’incontro di due libere volontà: la mia, e quella di chi mi deve ospitare (sulle colonne del proprio giornale, sulla propria piattaforma blog, all’interno della propria aula magna, etc.); il mio interesse ad essere pubblicato o ascoltato si concretizza attraverso (ed è limitato da) l’interesse – inteso ovviamente nel senso più ampio possibile, non solo economico – di un altro a pubblicarmi o a farmi ascoltare.
Qui vige veramente la libertà più totale, che non può essere limitata neppure da considerazioni sulla statura intellettuale di chi cerca un mezzo per esprimersi. Quasi tutti concordano sulle doti di J. K. Rowling, se non altro come scrittrice di genere; ma non per questo, per esempio, il direttore delle edizioni Adelphi potrebbe essere costretto a pubblicare un eventuale seguito di Harry Potter; la fedeltà a una linea editoriale ben definita e alle aspettative del proprio pubblico può essere legittimamente per lui superiore ai valori letterari generalmente riconosciuti (e persino ai propri gusti personali o alle immediate convenienze economiche della Adelphi).
Il diritto all’espressione delle proprie idee, in altre parole, non è un diritto positivo, che cioè obbliga gli altri a fare qualcosa, ma bensì un diritto negativo, che obbliga gli altri ad astenersi dal fare qualcosa. Il diritto di J. K. Rowling sarebbe stato coartato se, per esempio, qualcuno avesse minacciato il suo vero editore, Salani, perché rinunciasse a pubblicare la saga, esercitando pressioni politiche, o annunciando un boicotaggio di tutti i suoi prodotti editoriali, o addirittura bruciandone i magazzini, magari con la motivazione che i libri di Harry Potter sono anticristiani; imponendo insomma il proprio interesse (mascherato all’occorrenza come un vago «interesse collettivo») contro gli interessi legittimi della Rowling e del suo editore.
In alternativa, i nemici di Harry Potter si potrebbero anche astenere da qualsiasi azione concreta, e tuttavia dichiararsi contrari alla pubblicazione del libro. In questo caso nessun diritto sarebbe violato, e questa opinione sarebbe del tutto legale (per gli stessi principi di libertà che essa negherebbe), ma certo chi la esprimesse sarebbe degno della nostra riprovazione morale, in quanto nemico della libertà di espressione.

A questo punto qualcuno potrebbe ritenere di avere elementi sufficienti per convalidare la propria condanna dei professori della Sapienza che si sono opposti alla visita papale; ma il ragionamento non è ancora concluso.
La libertà di due o più persone (fisiche e/o giuridiche) di associarsi allo scopo di consentire la diffusione delle idee è, come abbiamo visto, assoluta. Questo vuol dire che è anche, di per sé, sempre ‘sacra’ e insindacabile? Naturalmente no – proprio perché è basata sugli interessi dei contraenti: a volte ci si sbaglia nel valutare i propri interessi (oppure li si antepone agli interessi dell’azienda o dell’istituzione che si rappresenta). Così, per esempio, la United Artists è andata praticamente fallita in seguito alla catastrofe commerciale e di critica di Heaven’s Gate di Michael Cimino. Oppure, per usare un esempio fittizio, possiamo immaginare cosa sarebbe successo se il rettore della Sapienza avesse invitato per l’inaugurazione dell’anno accademico non Benedetto XVI ma Victoria Beckham. Questo sarebbe certo stato giudicato da chiunque (o quasi) un errore catastrofico per l’immagine dell’ateneo: la signora Beckham è priva di qualsiasi credenziale accademica – non foss’altro perché, come sembra aver dichiarato lei stessa, non ha mai letto un libro in vita sua.
Naturalmente sarebbe stato o sarebbe qui fuori discussione, come nel caso che esaminavamo più sopra dei libri della Rowling, costringere il management della United Artists o rettore e senato accademico della Sapienza a tornare sui loro passi; la libertà è inviolabile, anche quella di sbagliare. Ma cosa dire di una critica o di un’esortazione a rivedere le proprie decisioni? Ci iscriverebbe anche questa nell’elenco dei nemici della libertà di espressione? In fondo, non intenderemmo con la nostra esortazione impedire a Cimino di esprimere le proprie idee, e ai suoi fan di vedere un film che qualcuno di loro avrà comunque apprezzato? E non staremmo riducendo la libertà di Victoria Beckham, per la quale, oltretutto, quella potrebbe quasi certamente essere l’unica occasione nella vita di pronunciare una lectio magistralis? Queste obiezioni, è vero, ci appaiono assurde, ma qual è esattamente la differenza rispetto a chi vorrebbe conculcare la libertà degli altri?
Io credo che la differenza sia evidente. Gli ipotetici nemici della Rowling, come si è già detto, anteporrebbero il proprio interesse a quello di autrice ed editore; nel caso in esame, staremmo invece parlando in nome degli interessi di chi deve diffondere l’altrui pensiero. Esprimere un consiglio o anche una critica nell’interesse di un altro è sempre ovviamente legittimo, a maggior ragione se proviene da chi (come un dipendente della United Artists o un membro della comunità accademica, che non consiste solo di rettore e senato accademico) ha tutto da perdere da una scelta sbagliata; allo stesso tempo non si infrange un diritto dell’altro contraente (il produttore del pensiero), perché come abbiamo visto il suo diritto non è un diritto positivo, ma deriva soltanto da una concordanza di interessi.
Così, in una recensione il giudizio «questo libro non avrebbe dovuto mai essere pubblicato» è legittimo – anche se certo grave e da pronunciare con prudenza – se intende dire che la casa editrice ha fatto in primo luogo un danno a se stessa; illegittimo – anche se talvolta espresso senza malizia – quando implica che il danno è stato fatto a qualcun altro, come per esempio il recensore stesso o la sua Chiesa o il suo partito o i suoi valori.
Attenzione, però: questo che abbiamo detto è il requisito necessario e sufficiente. Che la critica sia anche in ultima analisi corretta (o persino pronunciata in buona fede) non deve contare, visto che non abbiamo in generale i mezzi per giudicarlo a priori; la libertà di espressione non vale solamente per chi ha ragione.

Siamo alla fine del nostro ragionamento. I 67 professori della Sapienza hanno ravvisato nell’invito al papa – chiaramente inteso come atto di deferenza, non di confronto, e che non prevedeva dibattiti o contraddittori – un cedimento della propria istituzione all’idea che l’attività scientifica debba essere in qualche modo sottomessa, come pensa Benedetto XVI, ad autorità morali o religiose; a torto o a ragione, hanno pensato che questo comportasse un rischio per la credibilità dell’università e di chi ne fa parte. Non hanno mai sostenuto che il papa non dovrebbe prendere la parola nel corso delle udienze generali, o che le sue encicliche non dovrebbero venire pubblicate dalla Libreria Editrice Vaticana. Non hanno intrapreso, che si sappia, azioni tese ad impedire la partecipazione del papa; auspicare, come hanno fatto, «che l’incongruo evento possa ancora essere annullato», rientra in pieno in una critica legittima. La protesta degli studenti, nonostante qualche tono sopra le righe, sembra essere stata motivata da considerazioni analoghe. Non risulta chiaramente (se non da fonti non obiettive) che qualcuno di loro intendesse impedire con la forza la lezione del papa, né che cercasse lo scontro con le forze dell’ordine; se qualcuno ha avuto questa intenzione è da condannare, ma la condanna non può estendersi anche a tutti gli altri.
Certo, la protesta ha fornito un’arma preziosa ai nemici della laicità: mille ragionamenti articolati non valgono uno slogan menzognero ma semplice («Vogliono tappare la bocca al papa!»). Si sarebbe potuto forse fare di meglio; ma non tacere. La rassegnazione assai raramente ha portato a vincere le battaglie.

giovedì 17 gennaio 2008

Il primo embrione umano clonato

Uno studio apparso oggi (Andrew J. French et al., «Development of Human cloned Blastocysts Following Somatic Cell Nuclear Transfer (SCNT) with Adult Fibroblasts», Stem Cells, published online January 17, 2008) documenta per la prima volta la creazione di un embrione umano capace di giungere allo stadio di blastocisti (cioè con più di un centinaio di cellule), usando la tecnica del trasferimento nucleare di cellula somatica: in altre parole, la clonazione. I nuclei delle cellule della pelle di due volontari sono stati introdotti in ovociti avanzati da procedure di fertilizzazione in vitro, che erano stati privati dei loro nuclei; le cellule risultanti sono state opportunamente stimolate, e hanno cominciato a suddividersi, formando embrioni geneticamente identici ai donatori.
Non si tratta del primo clone umano che arriva a questo stadio di maturazione: già nel 2005 l’impresa era riuscita a un team dell’Università di Newcastle, che aveva però utilizzato non il nucleo di una cellula adulta, ma di una cellula staminale embrionale. Altri successi, ottenuti dal sudcoreano Woo Suk Hwang, si erano dimostrati in realtà una frode scientifica; non a caso, buona parte dell’articolo odierno è dedicata a documentare minuziosamente l’autenticità del risultato. Da oggi si può dire che la tecnica della clonazione umana esce dal cono d’ombra in cui era stata cacciata dall’episodio di Hwang.

Gli studiosi, che fanno parte di una compagnia privata, la Stemagen di La Jolla (California), non hanno ancora tentato di derivare cellule staminali dagli embrioni clonati. Il significato più importante dell’impresa consiste, penso, nell’alto tasso di riuscita: dai 29 ovociti iniziali sono stati ottenuti ben tre cloni, avvicinando di molto la prospettiva concreta della cosiddetta clonazione terapeutica.

Correzione 18/01/08: il titolo del post avrebbe dovuto essere, più esattamente, «Il primo embrione umano maturo clonato». Il primo embrione umano clonato, infatti, era stato ottenuto già nel 2001 da Robert Lanza della Advanced Cell Technology, ma era arrivato solo allo stadio di sei cellule. Inoltre la cellula adulta usata in quell’occasione era un tipo peculiare di cellula che si trova solo nelle ovaie femminili, non una normale cellula della pelle.

mercoledì 16 gennaio 2008

Dimostrazione di intolleranza

Ancora Maurizio Gasparri sul papa alla Sapienza (fonte: Repubblica, ore 11.55):
Dopo lo sconcio della Sapienza di Roma ci attendiamo iniziative per allontanare dall’ateneo i professori ancora in servizio che hanno firmato quel vergognoso manifesto. Questa dimostrazione di intolleranza non può restare priva di conseguenze.

La lezione di Ratzinger

Il nocciolo del discorso è quasi alla fine (Benedetto XVI, «Non vengo a imporre la fede ma a sollecitare il coraggio per la verità», L’Osservatore Romano, 17 gennaio 2008):
Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.

Anche (e) intolleranza anticristiana

Il Comitato Scienza & Vita rilascia oggi il seguente comunicato stampa:
“Noi ci saremo”. Così l’Associazione Scienza & Vita annuncia la propria presenza domenica, in Piazza San Pietro, all’Angelus.
“Noi ci saremo in nome di quella sana laicità che non chiude mai le porte al dialogo e crede nel valore del confronto tra fede e scienza, poiché esse non possono che servire l’uomo nella sua interezza e in ogni fase della sua vita”. Così l’Associazione Scienza & Vita, formata da credenti e non credenti, annuncia la propria adesione alla proposta del cardinale Ruini. “Siamo convinti – aggiunge Scienza & Vita – che in questo momento il Paese debba offrire un segno di unità attorno ai valori del dialogo, del rispetto, del pluralismo. La battaglia delle idee, cartina di tornasole dello stato di salute della democrazia, non deve mai trascendere nella prevaricazione. E il fatto che un gruppo di intolleranti abbia colpito così in alto, può solo preoccupare quanti hanno a cuore l’agibilità democratica in tutte le sedi in cui la società civile si esprime. Ecco perché l’incontro di domenica, se da un lato è per i credenti la manifestazione di un sincero sentimento di gratitudine nei confronti di Benedetto XVI, dall’altro è per tutti – credenti e non credenti – l’occasione per esprimere il rifiuto senza appello ad ogni tipo di intolleranza che voglia comprimere la libera espressione delle idee”.
I corsivi sono miei. I commenti mi sembrano superflui.
Colpire così in alto immagino si riferisca alla offesa verso B16, considerando anche che in home page del sito si parla di intolleranza anticristiana e si conclude così:
Siamo sicuri che il Papa [...] non si farà intimorire e continuerà a parlare in difesa dell’uomo e di tutti gli uomini, anche nei riguardi dei sostenitori di una scienza priva di uno statuto di responsabilità. Infine si augura che i mondi accademico e studentesco sappiano far maturare gli anticorpi necessari a respingere la violenza di chi, in nome di un laicismo fattosi ideologia, vuol togliere la voce ad un uomo come Benedetto XVI.
Nonostante i tentativi la voce di B16 è forte e chiara. Di cosa preoccuparsi orsù?

ps
Non avevo mai fatto caso al fatto che esiste una fondazione omonima (Scienza & Vita) che è
una fondazione di ricerca scientifica applicata allo studio della chirurgia protesica di anca e di ginocchio, con un’attenzione particolare alle nuove tecniche mininvasive e di protesi ibride di rivestimento, nonché allo studio e allo sviluppo delle più recenti applicazioni di coltura delle cellule staminali.

La cornacchia liberale

Così finisce l’allegra poesiola di Trilussa. Fa impressione, o no?

Oggi che la coscenza nazionale
s’adatta a le finzioni de la vita,
oggi ch’er prete è mezzo liberale
e er liberale è mezzo gesuita,
se resti mezza bianca e mezza nera
vedrai che t’assicuri la carriera.

Da B16 a Ferrara, passando per Guarini

Aveva accolto benevolmente la moratoria di Giuliano Ferrara. In quel pezzo è memorabile il seguente passaggio strappalacrime:
Una legge laica può porre riparo – un umano, limitato, ma necessario riparo – al danno estremo, quel rischio di morte per la donna che già ha subito il trauma [parla di aborto, anzi di quello che è sempre un evento drammatico - lo definisce Bandinelli]; non è fatta per convincere la donna, farla recedere dalla sua decisione. Per ottenere questo, occorre la promozione assidua, votata, generosa, di valori etici, che spetta a vari soggetti promuovere, se lo vogliano. Per esempio, ne conveniamo ben volentieri, alla chiesa. La quale il dramma lo conosce bene, da sempre, perché non è mai riuscita a debellarlo, a impedirlo. Non ci è mai riuscita, ha accettato che la società coprisse con un velo di silenzio questa sua impossibilità. Spesso mi sono chiesto il perché di questa impossibilità. Voglio anche ammettere che non gliene si può addossare tutta la colpa. Sta di fatto che ha preferito lavarsi le mani della sua impossibilità consegnando al braccio secolare le donne scampate alla morte, alla tortura, alla mutilazione, all’angoscia. Il braccio secolare le ha obbedito. Si può dire che ha obbedito un po’ ciecamente e asordamente, per rimediare a una palese, anche se mai ammessa, impotenza?
Affidare alla chiesa la risoluzione del (di un) dramma? Affidare alla chiesa qualcosa che ha a che fare con la sessualità, con il corpo, con la necessità di arginare un senso di colpa? Si avrebbe di certo un buon risultato: la chiesa al più aiuta il tuo corpo, ma quanto al resto può solo indottrinarti o consegnarti un peso talmente insopportabile da rendere preferibile rinunciare anche alla mano materiale (se sei affamato, ti allunga il pane ma a condizione che tu ringrazi la madonna; certo, quando ha fame non stai a fare tante domande né prendi decisioni con molte sottigliezze. Afferri il pasto, alle preghieri ci penserai poi, a stomaco pieno).
Oggi cerca di spiegare le ragioni per cui ha rinunciato alla veglia organizzata da Il Foglio.
E raggiunge il culmine, un miscuglio di vittimismo e di incomprensibili distinguo:
Avrei poi anche rivolto, però, una dura critica all’invito rivolto al papa dal rettore della Sapienza prof. Guarini. Non per l’invito in sé, ripeto, ma per la motivazione, se è vero quanto riportato dalle agenzie di stampa, secondo le quali Benedetto XVI è stato invitato “perché ha preso posizione sulla pena di morte, che è il filo conduttore dell’apertura dell’Anno Accademico”. Se questo è vero, avrei detto con tutte le mie forze che quella motivazione era per me del tutto inaccettabile, e che vi scorgevo una forma di sostanziale dismissione dai doveri di rigore e di chiarezza che ci si attende dal rettore di una Università degli Studi. Nell’anno della moratoria universale sulla pena di morte ottenuta all’ONU dopo lustri di lotte spossanti dei radicali, e con il contributo, l’adesione e la partecipazione leale e determinante del governo, altri dovevano essere invitati a parlare sul tema, a celebrare la vittoria, a fornire preziose indicazioni su quanto sarà ancora indispensabile fare perché la moratoria non venga nullificata.
Ma cosa aspettarsi da un fedele spettatore televisivo di Otto e Mezzo?

martedì 15 gennaio 2008

Promotore dell’odio e del terrore

Dichiarazione di Maurizio Gasparri delle 21.09 (fonte: Repubblica):
È stato ripugnante vedere nel telegiornale tossici e terroristi alla Sapienza per festeggiare la rinuncia del Papa. È gente da mandare in galera insieme ai professori che li hanno guidati. I loro nomi vanno divulgati affinché l’Italia sappia chi è nemico della libertà e promotore dell’odio e del terrore.

La moratoria sull’aborto di Giuliano Ferrara

Astrid Nausicaa Maragò mi ha intervistato per LibMagazine a proposito della moratoria proposta da Giuliano Ferrara sulla 194 e sulla interruzione volontaria di gravidanza.

A.N.M.: Oltre alla garanzia del diritto ad una procreazione cosciente e responsabile, insieme con il riconoscimento del valore sociale della maternità e l’insindacabile quanto fondamentale affermazione dell’autodeterminazione della donna, la legge 194/78 si apre con il solenne principio di tutela della “vita umana al suo inizio”. Crede che sia equilibrato, e soprattutto coerente, il bilanciamento degli interessi determinato da questa disciplina così come è oggi formulata?
C. Lalli: La legge 194 è un discreto compromesso (vista l’aria che tira dovremmo definirlo miracoloso e ineguagliabile). La legge contiene però alcune ambiguità e qualche ipocrisia. Tra le ragioni previste per abortire non compare, ecco l’ipocrisia, la libertà di scelta della donna. Le possibilità previste comprendono il pericolo per la sua salute fisica o psichica – vaghi e ampi contenitori, però, delle motivazione più eterogenee. Almeno esplicitamente, si esclude l’ipotesi che un aborto si decida perché non si desidera quel figlio o nessun figlio. Intenzione impossibile da verificare, e tuttavia ritenuta moralmente sbagliata. E allora danni psichici o fisici, questi sono i possibili motivi per abortire. Per ampliare lo spettro si aggiunge: “in relazione o allo stato di salute della donna, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. La legge 194 tutela la vita umana dal suo inizio, ecco l’ambiguità: che significa tutela? Si intende tutela giuridica, o morale? E cosa significa “vita umana”? Non sono domande oziose e maniacali, perché se non so cosa si intende per “vita umana”, “tutela” e “inizio” come faccio a tutelare la vita umana fin dal suo inizio? Quando bisogna cominciare a tutelare la vita umana, inoltre, è l’argomento centrale di tutte le discussioni non solo sull’aborto, ma anche sulla fecondazione artificiale e sulla sperimentazione embrionale. E la vita umana deve essere distinta dalla vita personale? Le teorie al riguardo propongono (con argomenti e forza argomentativa diversi) da un lato la coincidenza di concepimento e vita personale, dall’altro l’acquisizione del carattere ‘persona’ in un tempo successivo al concepimento. L’inizio della vita umana (come vita personale) secondo la 194 è da intendere come coincidente con la nascita, oppure con il concepimento? Se l’inizio corrispondesse con il concepimento, l’esercizio funambolico si complicherebbe fino a diventare impossibile da eseguire in un testo di legge per l’interruzione di gravidanza, ovvero per l’interruzione di quella nuova vita che si intende tutelare. Per questo preferisco scegliere, come esempio migliore di bilanciamento tra diritti, la sentenza 27 del 1975 quando stabilisce che “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”. L’articolo 1 della 194 si chiude così: “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”. Che l’aborto non sia (e non debba diventare) un mezzo di controllo delle nascite (come lo è la contraccezione) è una premessa importante. Sia nel significato che nelle conseguenze. Per far sì che non lo sia è necessario potenziare informazione, divulgazione e contraccezione.
[...]
A.N.M.: La proposta della moratoria sull’aborto avanzata da Giuliano Ferrara, è secondo lei una provocazione giornalistica destinata a rimanere confinata nell’ambito della mera polemica politica, o è al contrario suscettibile di produrre degli esiti concreti, quantomeno perché fuorviante l’opinione pubblica?
C. Lalli: La proposta di Giuliano Ferrara è una mediocre idiozia mascherata da stimolo alla riflessione. Se davvero c’è bisogno di queste squallide sfide per discutere, siamo messi peggio di quanto pensassi. Ferrara, nella sua dolente richiesta di moratoria, ha fatto il proprio gioco. Peccato che non ci sia nessuno che gioca meglio o che gli spieghi una volta per tutte le regole del gioco. Non salvo nulla nella proposta di moratoria avanzata da Ferrara; anche qualora la sola alternativa alle sue parole sia un silenzio indifferente, che rischia di farti accogliere con calore il primo discorsetto sciatto pronunciato da qualcuno. Se quando si è molto affamati anche un tozzo di pane duro ci rende felici – ed è comprensibile – è molto preoccupante compiere il passo successivo (e non necessario): spacciare quel tozzo di pane indurito come un pranzo da re. Questo tentativo di inganno e di autoinganno è misero e triste: è una sirena antiaerea fatta suonare in una città di sordi.

Il testo completo è qui.

lunedì 14 gennaio 2008

Della Piccola (o della meschinità)

Il lacchè del papa protesta per una offesa inesistente. Dice che non volere il papa ad inaugurare il nuovo anno accademico è vergognoso. Il nuovo anno accademico della Sapienza, non della Pontificia o di che so io. Secondo il presidente di Scienza e Vita è vergognoso che alcuni professori abbiano protestato contro questa santa iniziativa. Non fa onore alla Sapienza protestare contro il papa. Capito?
A leggere gli altri scandalizzati si capisce che siamo in buona compagnia.
Mariapia Garavaglia, vicesindaco di Roma, afferma (Sessanta scienziati contro il Papa alla Sapienza. Il genetista Dalla Piccola: «Un’uscita vergognosa», Il Messaggero, 14 gennaio 2008):
«Tralasciando ogni considerazione riguardo il ruolo fondamentale rivestito dalla Santa Sede nella città di Roma, incluso naturalmente l’ambito accademico, mi limito a domandarmi e a domandare se sia concepibile da parte di chi si dichiara così onvintamente laico risolvere un problema, che poi non è tale, invocando un divieto. Mi sembra una chiara contraddizione della libertà intellettuale per definizione».
Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati di Fi, la definisce una crociata laicista, mentre Francesco Borgomeo, responsabile del programma dell’Udeur sottolinea che «i presunti difensori dell’orgoglio laico, che la laicità è una categoria del religioso e pertanto ha assunto in modo intrinseco il valore del rispetto degli altri». «Un atto di scarso rispetto nei confronti degli studenti cattolici e non» viene definito da Antonio Tajani, presidente degli eurodeputati di Forza Italia.«La cultura è confronto di idee - aggiunge - Come pensano certi intolleranti professori della Sapienza di garantire una migliore formazione degli universitari? Certe scelte, evidentemente, derivano dal fatto che sono ben pochi i docenti in grado di tener testa alle argomentazioni del teologo e filosofo Joseph Ratzinger».
Andate in pace (i corsivi sono miei).

sabato 12 gennaio 2008

Istinto morale

Un bell’articolo di Steven Pinker, che apparirà sull’edizione a stampa del New York Times Magazine di domani («The Moral Instinct», 13 gennaio 2008), fa una rassegna delle ricerche recenti sugli istinti morali, sul ruolo che l’evoluzione ha avuto nel forgiarli, e sull’irrazionalità di molti dei giudizi basati su di essi:
Which of the following people would you say is the most admirable: Mother Teresa, Bill Gates or Norman Borlaug? And which do you think is the least admirable? For most people, it’s an easy question. Mother Teresa, famous for ministering to the poor in Calcutta, has been beatified by the Vatican, awarded the Nobel Peace Prize and ranked in an American poll as the most admired person of the 20th century. Bill Gates, infamous for giving us the Microsoft dancing paper clip and the blue screen of death, has been decapitated in effigy in “I Hate Gates” Web sites and hit with a pie in the face. As for Norman Borlaug... who the heck is Norman Borlaug?
(Per Pinker, Norman Borlaug è oggettivamente di gran lunga il più ammirabile dei tre, seguito abbastanza da vicino da Bill Gates, mentre Madre Teresa non si qualifica neppure per la gara.)
L’articolo non contiene grandi novità – per esempio, quasi tutti abbiamo già letto delle situazioni immaginarie proposte dallo psicologo Jonathan Haidt:
Julie is traveling in France on summer vacation from college with her brother Mark. One night they decide that it would be interesting and fun if they tried making love. Julie was already taking birth-control pills, but Mark uses a condom, too, just to be safe. They both enjoy the sex but decide not to do it again. They keep the night as a special secret, which makes them feel closer to each other. What do you think about that – was it O.K. for them to make love?
A woman is cleaning out her closet and she finds her old American flag. She doesn’t want the flag anymore, so she cuts it up into pieces and uses the rags to clean her bathroom.
A family’s dog is killed by a car in front of their house. They heard that dog meat was delicious, so they cut up the dog’s body and cook it and eat it for dinner.
Ma vale comunque una lettura; e la conclusione di Pinker cancella ogni sospetto di relativismo, che aleggia sempre su questo genere di studi:
Now, if the distinction between right and wrong is also a product of brain wiring, why should we believe it is any more real than the distinction between red and green? And if it is just a collective hallucination, how could we argue that evils like genocide and slavery are wrong for everyone, rather than just distasteful to us?
Putting God in charge of morality is one way to solve the problem, of course, but Plato made short work of it 2,400 years ago. Does God have a good reason for designating certain acts as moral and others as immoral? If not – if his dictates are divine whims – why should we take them seriously? Suppose that God commanded us to torture a child. Would that make it all right, or would some other standard give us reasons to resist? And if, on the other hand, God was forced by moral reasons to issue some dictates and not others – if a command to torture a child was never an option – then why not appeal to those reasons directly? […]
Two features of reality point any rational, self-preserving social agent in a moral direction. And they could provide a benchmark for determining when the judgments of our moral sense are aligned with morality itself.
One is the prevalence of nonzero-sum games. In many arenas of life, two parties are objectively better off if they both act in a nonselfish way than if each of them acts selfishly. You and I are both better off if we share our surpluses, rescue each other’s children in danger and refrain from shooting at each other, compared with hoarding our surpluses while they rot, letting the other’s child drown while we file our nails or feuding like the Hatfields and McCoys. Granted, I might be a bit better off if I acted selfishly at your expense and you played the sucker, but the same is true for you with me, so if each of us tried for these advantages, we’d both end up worse off. Any neutral observer, and you and I if we could talk it over rationally, would have to conclude that the state we should aim for is the one in which we both are unselfish. These spreadsheet projections are not quirks of brain wiring, nor are they dictated by a supernatural power; they are in the nature of things.
The other external support for morality is a feature of rationality itself: that it cannot depend on the egocentric vantage point of the reasoner. If I appeal to you to do anything that affects me – to get off my foot, or tell me the time or not run me over with your car – then I can’t do it in a way that privileges my interests over yours (say, retaining my right to run you over with my car) if I want you to take me seriously. Unless I am Galactic Overlord, I have to state my case in a way that would force me to treat you in kind. I can’t act as if my interests are special just because I’m me and you’re not, any more than I can persuade you that the spot I am standing on is a special place in the universe just because I happen to be standing on it.
Peccato che quelli che beneficerebbero di più da articoli come questo siano troppo occupati a leggere e rileggere l’ultima enciclica papale...

Aggiornamento: Maurizio Colucci ha meritoriamente cominciato a tradurre l’articolo di Pinker qui.

Povero Kant

È tra i più citati, poveretto. E come spesso accade, le sue parole sono state impoverite e sostituite come nel telefono senza fili (lo ricordate? Cominci da una parola o da una frase, poi in circolo ognuno bisbiglia al suo vicino e all’orecchio la parola o la frase prescelta; l’ultimo del giro ripete a voce alta: la deturpazione è assicurata). La sua morale ridotta a un paio di righe peggio delle perle di saggeza dei Baci Perugina. Questa è una delle ragioni per le quali è imprudente affidarsi agli argomenti di autorità – soprattutto se non si perde tempo a leggere chi autorevolmente si invoca, ma ci si accontenta del sentito ripetere fino alla noia.
Povero Kant.
Anche nell’ultimo post ci tocca leggere (detto da Luigi Ferrajoli):
È uno dei principi classici della morale laica, e direi della morale in generale, la seconda massima kantiana: nessuna persona può essere trattata come un mezzo, come uno strumento per fini non suoi.
Ebbene: una copia della Critica della Ragion Pratica costerà sui venti euro, magari si trova pure usata o in versione tascabile. Consiglierei vivamente di acquistarne una, e soprattutto di leggersela prima di citare massime kantiane o imperativi categorici (non sapendo nemmeno cosa Kant intendesse). E già che ci sono riporto un passaggio che potrebbe essere molto utile:
In tutta la creazione tutto ciò che si vuole, e su cui si ha qualche potere, può essere adoperato anche semplicemente come mezzo; soltanto l’uomo, e con esso ogni creatura razionale, è fine a se stesso. Vale a dire esso è il soggetto della legge morale, la quale è santa in virtù dell’autonomia della sua libertà. Appunto per quest’autonomia ogni volontà, anche la volontà, anche la volontà propria di ciascuna persona, rivolta verso la persona stessa, è condizionata dall’accordo con l’autonomia dell’essere razionale: è limitata cioè dalla condizione di non assoggettare quest’essere a nessun proposito, che non sia possibile secondo una legge la quale possa derivare dalla volontà dello stesso soggetto passivo; perciò di non adoperar mai questo semplicemente come mezzo, ma, nello stesso tempo, anche come fine.
(Libro I. Analitica, Capitolo III, Dei moventi della ragion pura pratica)

venerdì 11 gennaio 2008

Aborto e libertà

Su Liberazione dell’8 gennaio un’intervista a Luigi Ferrajoli, docente di Teoria Generale del Diritto all’Università Roma 3, coglie molto bene (nonostante qualche sfumatura non del tutto condivisibile) alcuni punti della questione dell’aborto (Romina Velchi, «Luigi Ferrajoli: “Immorale e fanatico paragonare l’aborto alla pena di morte”», p. 4):
Aggiungo che nella penalizzazione dell’aborto c’è una contraddizione con i principi consolidati del costituzionalismo democratico, della tradizione liberale e della stessa tradizione dell’etica laica.

Cioè?
È uno dei principi classici della morale laica, e direi della morale in generale, la seconda massima kantiana: nessuna persona può essere trattata come un mezzo, come uno strumento per fini non suoi. Qui parliamo, viceversa, di imposizione alla donna di un comportamento e non semplicemente di un divieto: non si vieta solo alla donna di abortire, ma la si obbliga anche a diventare madre. Le si impone un comportamento, per altro, che significa uno stravolgimento di vita.
Vale la pena sottolineare che gli stessi che sono contro l’aborto sono anche contrari ai metodi contraccettivi che non siano “naturali”.
Appunto considero immorali queste tesi, perché ledono la dignità della donna come persona, la sua libertà personale. C’è un classico principio di Stuart Mill: sul proprio corpo e sulla propria mente ciascuno è sovrano. Per questo considero vergognoso il paragone tra la pena di morte e l’aborto. Quella di Ferrara non è soltanto una provocazione, ma un’offesa al buonsenso e alla logica.
Per il pensiero autenticamente liberale, il divieto di abortire è semplicemente inconcepibile: non si può costringere nessuno a cedere la signoria della propria sfera più intima, neppure se è in gioco la vita di altri – reali o immaginari che siano. In questo senso, come dicevo già qualche giorno fa, il dibattito sullo statuto dell’embrione è importante ma non risolutivo per la questione della liceità dell’aborto: la sua conclusione inevitabile, cioè che l’embrione non è persona, concorre certo a dare forma alla legge e la rende più facilmente accettabile, ma viene solo seconda, dopo il principio supremo dell’autodeterminazione della donna. Se qualcuno si scandalizza per questo, dovrebbe per coerenza farsi promotore dell’obbligatorietà delle donazioni di sangue e delle donazioni di rene o di midollo, allo scopo di «salvare vite umane».

giovedì 10 gennaio 2008

Bindi, Meloni e RU

Le sue premesse sono condivisibili o no (diciamo di no; le sue premesse sono pessime), ma è difficile non essere d’accordo con Giorgia Meloni quando domanda (Aborto. Meloni: Pillola Ru486 unico contributo attuale governo, DIRE, 8 gennaio 2008):
Come può il ministro Bindi parlare di tutela della maternità se l’unico contributo offerto da questo Governo al dibattito sull’aborto è l’introduzione nel nostro sistema ospedaliero di un farmaco pericoloso come la pillola RU486?
In effetti per tutelare la maternità ci sarebbero molti interventi da fare (tranne che invocare moratorie e idiozie simili); per non parlare della condizione dei consultori familiari o delle politiche di informazione sulla contraccezione o sul sesso. Di spazio per tutelare e migliorare ce n’è davvero molto. Pure troppo.
A rendere il quadro ancora più ridicolo è l’immagine che emerge di Livia Turco: sembra una temeraria ministra che introduce innovazioni a colpi di spada...

Frank Pavone contro (la tragedia del)l’aborto

Frank Pavone è il direttore nazionale di Priest for Life. Pavone è impegnato nella battaglia contro l’aborto. Ha anche un blog. In occasione del quarantesimo anniversario della enciclica Humanae Vitae si prepara a sferrare il colpo di grazia. Colpo, secondo Pavone, abbastanza lieve. Infatti Pavone è convinto che i fautori della libera scelta (e dunque della legalizzazione della interruzione di gravidanza) siano ormai prossimi alla resa finale. E che la Roe vs Wade abbia i minuti contati.
Lo scrive con tanto di decalogo delle motivazioni (Ten Reasons Why the Pro-life Movement is Winning). Alcune di queste presunte dimostrazioni sono davvero godibili. Come la prima, The survivors:
Sign 1: The survivors

The surest sign of our ultimate victory is the strong and ever-growing involvement of young people in all aspects of the fight to end abortion. And if you ask them why they’ve joined our fight, they will tell you: “It could have been me!” In speaking up for the unborn, the youth of America are also speaking up for themselves. This is an awareness and motivation that abortion advocates can do nothing to stop. And as a result, our pro-life movement receives a new strength and motivation each day from these survivors.
Oppure la terza, che dovrebbe essere una prova inconfutabile:
Sign 3: I regret my abortion

Another clear sign of progress is the wave of women and men across the world who are speaking out about how they regret having their child killed by abortion. The “Silent No More Awareness Campaign” – a joint project of Priests for Life and Anglicans for Life – provides these women and men an opportunity to share their testimonies in public gatherings, before the media, in pulpits, and in legislative hearings. As Jennifer O’Neill, the campaign’s National Celebrity Spokeswoman says, “Experience trumps theory.” These men and women are living testimony that abortion doesn’t work. Instead of “solving” a problem, abortion creates more problems of its own. Best of all, there is nothing abortion advocates can do to stop this tidal wave. In fact, it puts them in quite a dilemma. For decades now they have been saying, “Listen to the voices of women!” Now, if they practice what they preach, they hear those women’s voices repudiate the lie of abortion.
Il decalogo si chiude con la incrollabile fede in una vittoria già avvenuta. Verrebbe da chiedergli: perché combattere allora? Ma basta leggere la motivazione della già avvenuta vittoria per capire:
There is one among us who holds the keys of death and of hell. Jesus Christ is Risen from the dead! Although thought to be overwhelmed by the agents of death ... He trampled death by His death. As a result, death has been robbed of its power. “O death, where is thy sting?” Because of Christ’s Resurrection, death no longer has the final word in the human story. Our final destiny is heaven ... not the grave!
(I corsivi sono i suoi.)
Nel sito è presente anche una sezione di foto di aborti che ha lo scopo di mostrare agli americani che cosa sia l’aborto. E tanti altri link sul genere. Tra questi una campagna contro il silenzio (The Silent No More Awareness Campaign).

Il valore della vita

Omicidi: 7
Tentati omicidi: 17
Attentati con esplosivi: 41
Incendi dolosi: 174
Chi ha commesso questi crimini, e gli altri di una lunga lista? Per saperlo, andate a leggere «Un po’ di numeri» (Grendel from the Moor, 9 gennaio 2008); avrete una sorpresa. O forse no.

mercoledì 9 gennaio 2008

Ladri di identità

Se sei homeless devi pensare a nutrirti, a non prendere troppo freddo e a trovare un posto dove dormire. Può capitare però di avere altre preoccupazioni (Homeless, With a New Loss: Identity, New York Times, January 8, 2008). Può capitare che qualcuno con i tuoi dati sia stato nello stesso luogo in cui ti trovi ora qualche tempo prima. E così la dottoressa ti dice che sei già stato lì per una overdose. Ma tu non ci sei stato, non è che non te lo ricordi perché eri fatto, non ci sei proprio stato e non fai uso di droghe. Chiedi di vedere la documentazione del ricovero per overdose, ma nemmeno quello puoi fare:
She [the doctor] was in the sudden surreal position of being asked to share privileged information about one patient with another patient who might or might not have been the same person. If your identity is being used by someone else, then his overdose is not your business. You have no right to his medical information. This is a violation of Hipaa, the Health Insurance Portability and Accountability Act.

He didn’t care about Hipaa (many of us don’t care much for it), but the doctor had no choice. Though the situation was absurd, her license and a large fine were potentially at stake.