Prima l’annuncio clamoroso: è possibile ottenere cellule staminali senza danneggiare gli embrioni dai quali sono state tratte, superando così gli ostacoli ‘etici’ al loro uso. Poi la gogna mediatica: si tratterebbe di un falso, simile almeno in parte a quelli del famigerato coreano Hwang Woo-Suk, visto che nel procedimento gli embrioni sono stati in realtà tutti distrutti. I lettori di
Bioetica sanno bene che in questo campo le deformazioni operate dai media sono la regola; e il caso di Robert Lanza, che ha condotto queste ricerche, non fa eccezione. Cerchiamo di capirne un po’ di più.
Manipolare un embrione...
Circa quattro giorni dopo la fecondazione dell’ovulo, l’embrione umano entra nella fase di sviluppo della blastocisti. Si tratta di una sfera cava, delimitata da uno strato di cellule detto trofoblasto (che andrà a formare la placenta), al cui interno si trova una cavità ripiena di liquido detta blastocele e, annidata in un punto della parete interna, una masserella di alcune decine di cellule, l’embrioblasto o nodo embrionale o bottone embrionale (il primo termine è usato talvolta per indicare uno stadio più precoce), che andrà a formare l’embrione vero e proprio. La procedura normalmente seguita per ottenere cellule staminali embrionali consiste nell’estrarre l’embrioblasto, formato da cellule pluripotenti, capaci cioè di dare origine indifferentemente a qualsiasi tessuto del corpo umano. Ovviamente, in questo modo lo sviluppo dell’embrione si arresta; e ciò crea ad alcuni un problema morale che, negli stati imperfettamente laici dell’Occidente, diventa un problema anche per chi ha una morale differente.

La nuova tecnica messa a punto dal dottor Robert Lanza della
Advanced Cell Technology, una azienda californiana, cerca appunto di evitare questo problema. Essa si basa su una tecnica pre-esistente e ben sperimentata, l’analisi genetica di preimpianto. Nei paesi in cui questa è legale (diversamente che in Italia), genitori portatori di certe malattie ereditabili, o che a causa dell’età della donna o di altri fattori corrono un rischio elevato di concepire figli con anomalie nel numero dei cromosomi, possono decidere di effettuare una biopsia dell’embrione. A questo scopo si ricorre alla fecondazione in vitro: vengono creati diversi embrioni, che raggiungono lo stadio di otto cellule (antecedente a quello di morula, in cui le cellule si compattano strettamente, stadio a sua volta anteriore a quello di blastocisti). Si perfora allora la zona pellucida, che è una membrana che circonda l’embrione nelle primissime fasi di sviluppo, e con una pipetta si aspirano una o due cellule (dette blastomeri), da sottoporre a diagnosi. In genere gli embrioni sopportano senza danni il trattamento, e anzi la percentuale di quelli che si impiantano con successo sul totale dei trasferiti in utero è talvolta leggermente maggiore della percentuale corrispondente,
ceteris paribus, nella fecondazione in vitro normale (visto che le coppie che ricorrono all’analisi di preimpianto non sono in genere infertili). Tuttavia, se si va a vedere la percentuale delle gravidanze per prelievo di ovociti, i risultati sono deludenti, attorno al 20% in media (le nascite sono il 15%), cioè meno della metà di quello che si riesce tipicamente ad ottenere nella fecondazione in vitro semplice. Le ragioni sono riconducibili in parte al fatto che la diagnosi genetica talvolta non dà risultati, e bisogna quindi scartare l’embrione da cui sono stati tratti i blastomeri esaminati; ma soprattutto, è cruciale la difficoltà di congelare gli embrioni sottoposti a biopsia per utilizzarli in caso di fallimento: il perforamento della zona pellucida sembra diminuire di molto la loro capacità di sopravvivere al congelamento.
Per quanto riguarda infine la salute dei bambini nati usando questa tecnica, essa non sembra differire in modo significativo da quella degli altri bambini concepiti in vitro, anche se esiste una certa carenza di dati in proposito. (Per tutti i dati citati cfr. Joyce C. Harper
et al., «ESHRE PGD Consortium data collection V: Cycles from January to December 2002 with pregnancy follow-up to October 2003»,
Human Reproduction 21, 2006, pp. 3-21.)
I blastomeri estratti dall’embrione per la diagnosi genetica vengono distrutti nel corso dell’analisi, ma nulla vieta di farne altri usi; e poiché si tratta di cellule totipotenti, cioè di cellule ancora quasi del tutto indifferenziate, da ciascuna delle quali si può sviluppare in linea di principio qualsiasi cellula della blastocisti, comprese quelle dell’embrioblasto (ma torneremo più avanti su questo punto), ecco che si può ipotizzare di ricavarne una linea di cellule staminali, senza distruggere l’embrione di provenienza. Ed è proprio questo ciò che hanno dimostrato Robert Lanza e i suoi collaboratori, sui topi qualche tempo fa e adesso con embrioni umani: i blastomeri estratti sono stati posti in coltura, l’uno accanto all’altro; dopo qualche tempo una piccola parte delle cellule (2 su 91) ha dato origine a una discendenza di cellule pluripotenti, che appaiono praticamente identiche alle normali cellule staminali embrionali (Irina Klimanskaya
et al., «Human embryonic stem cell lines derived from single blastomeres»,
Nature, advance online publication, 23 agosto 2006).
... e manipolare l’opinione pubblicaDopo un iniziale sbandamento, dovuto all’accoglienza trionfalistica che i media hanno fatto alla nuova scoperta, le truppe degli integralisti si sono subito ricomposte, e hanno sapientemente montato lo ‘scandalo’. Un tale Richard Doerflinger, della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti (Rick Weiss, «
Critic Alleges Deceit in Study On Stem Cells»,
Washington Post, 26 agosto 2006, p. A02), si è impegnato in un calcolo matematico: se Lanza e collaboratori sostengono di aver ricavato 91 blastomeri da 16 embrioni (pp. 1-2 dell’articolo di
Nature), questo vuol dire che da ogni embrione sono state estratte in media più di cinque cellule, e che quindi gli embrioni non sono sopravvissuti all’esperimento. La ricerca non ha raggiunto i suoi scopi, dunque, nonostante affermi il contrario, e per giunta a p. 1 dell’articolo compare una foto che mostra una blastocisti in perfetta salute derivata da un embrione sottoposto a biopsia: una prova dell’intento mistificatorio di Lanza e colleghi!
In realtà, se c’è una mistificazione, non è certo Robert Lanza che l’ha compiuta. Per prima cosa, che gli embrioni fossero stati sacrificati era scritto a chiare lettere nell’editoriale che presentava la ricerca («Nel corso dell’esperimento, gli embrioni sono stati fatti a pezzi, cellula per cellula»: Helen Pearson, «
Early embryos can yield stem cells... and survive»,
Nature 442, p. 858). Per il resto, ci aiuta a capire la questione un bel post di Inyqua («
Superficialità», 29 agosto): lo scopo della ricerca
non era quello di mostrare che è possibile estrarre un singolo blastomero senza danni per l’embrione: come abbiamo visto sopra, questo si sa già, e si fa ogni giorno nella pratica ormai collaudata della diagnosi genetica di preimpianto. Lo scopo di Lanza, invece, era di dimostrare che
da un singolo blastomero è possibile derivare cellule staminali; avendo a disposizione solo sedici embrioni ha deciso di massimizzare il numero di blastomeri utilizzati, ma è evidente che se più embrioni fossero stati disponibili, il medesimo risultato si sarebbe ottenuto senza distruggerne nemmeno uno.
Ma a questa semplice verità non tutti sono arrivati. Eugenia Roccella, che sembra
costituzionalmente incapace di comprendere (o di riportare onestamente?) la sostanza di qualsiasi notizia scientifica abbia la disgrazia di suscitare la sua attenzione, commenta così («
Scienziati che ritoccano le notizie»,
Avvenire, 29 agosto):
Non era vero: il metodo messo a punto da Robert Lanza, prestigioso ricercatore americano, per ricavare linee di cellule staminali dall’embrione senza distruggerlo, era una bufala. Magari non al livello clamoroso della falsa clonazione del coreano Hwang Woo Suk, che potremmo paragonare a un classico di Totò come la vendita della Fontana di Trevi, ma certamente un’altra gaffe internazionale, molto imbarazzante per la comunità scientifica. In effetti, a leggerlo con attenzione, l’articolo pubblicato sulla rivista Nature parla chiaramente di embrioni «dismantled cell by cell», demoliti cellula per cellula, ma in un’intervista Lanza aveva lasciato capire invece che la sua tecnica superava il problema etico della sopravvivenza dell’embrione.
Ancora più grave, perché proveniente da qualcuno che, a differenza della Roccella, dovrebbe conoscere l’argomento, è la reazione di Angelo Vescovi, scienziato impegnato nel campo delle staminali adulte e sostenitore dell’astensione ai referendum del 2005 sulla procreazione assistita (Margherita De Bac, «
Staminali, falsa la svolta di “Nature”»,
Corriere della Sera, 27 agosto):
Di sicuro in quest’affare molti hanno voluto fare i furbi. Non so se c’è stato dolo o è stata una involontaria mancanza di chiarezza. Ma certo se le cose stanno così e gli embrioni non sono preservati la ricerca non meritava di comparire su Nature perché non aggiunge molto a quello che già si sapeva.
Nella migliore delle ipotesi Vescovi sta parlando a vanvera, senza aver letto l’articolo di Lanza; ma la sensazione – spero sbagliata – è che stia invece difendendo senza tanti scrupoli l’orticello delle sue staminali ‘etiche’, minacciato dalla concorrenza d’oltreoceano.
(
Continua)
Aggiornamento: in quasi perfetta sincronia con il mio post (il suo è uscito tre minuti prima), Malvino dice la sua sulla questione dello scandalo abilmente montato dalla stampa teocon («
Il caso Robert Lanza, ennesima “svista” del Foglio», 31 agosto).
Aggiornamento 2: visto che alcuni non hanno capito, ho provato a spiegarmi con un
esempio.