

Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
Dal 28 dicembre 1988 al 28 febbraio 2009 sono riportati 29 decessi a seguito di mifepristone. Non è possibile calcolare il numero dei pazienti esposti, perché le dosi utilizzate per le diverse indicazioni sono variabili. Dodici decessi sono a seguito di ‘uso compassionevole’ e diciassette a seguito di aborto medico, confermando tutte le segnalazioni risultate dalle inchieste giornalistiche, ed aumentandone il numero.Come valutare queste «rivelazioni», in particolare per quanto riguarda l’unica informazione autenticamente nuova, cioè quella sui dodici morti in seguito all’uso compassionevole del farmaco?
La decisione dell'Ordine dei medici: archiviato il 21 maggio il fascicolo che riguardava il neurologo dell'Englaro, la ragazza morta dopo 17 anni di coma. Secondo il collegio giudicante di Bergamo non c'erano sufficienti elementi per procedere
"Non si è aperto un procedimento disciplinare - precisa - perché il collegio giudicante, composto da 15 camici bianchi, ha ritenuto che non ci fossero elementi sufficienti". Ma Pozzi non può fornire altri dettagli. "In un procedimento disciplinare vero e proprio - spiega Pozzi - c'è il diritto, di chi ne ha interesse, a conoscere le motivazioni. Nell'archiviazione, invece, solo il diretto interessato può chiedere di conoscere la documentazione".
Pozzi spera che ora si plachino le polemiche su un caso che "ha fatto prevalere, nei sostenitori dell'uno e dell'altro schieramento toni violenti e aggressivi, non raggiunti nemmeno dalle tifoserie del calcio più estremo".
Dopo un’attesa durata quasi 600 giorni la pillola abortiva, la Ru 486, incasserà il via libera dall’Agenzia italiana del farmaco entro fine giugno.Difficile dire se ci sarà qualche estremo colpo di coda degli integralisti; da tenere d’occhio in particolare il duo Sacconi-Roccella, il cui senso della legalità ha mostrato la propria (scarsa) misura nelle ultime fasi del caso Englaro.
A meno di nuovi colpi di scena la pillola della discordia sarà, infatti, all’esame del Cda dell’Aifa a fine mese. E l’autorizzazione per il mercato italiano è pressoché scontata, dopo che martedì scorso si è trovato l’accordo con l’azienda produttrice, la Exelgyn, sul prezzo del medicinale. Un passaggio delicato, questo, che finora aveva fatto slittare più volte l’annunciato via libera atteso in un primo momento per la primavera dell’anno scorso dopo l’avvio della procedura iniziata il 10 novembre del 2007. A questo punto tutti i passaggi formali e burocratici, tranne appunto il sì del Cda, sono stati superati e trattandosi di una procedura europea di mutuo riconoscimento – la Ru 486 è già venduta nella maggior parte dei Paesi Ue oltre che negli Usa – non sarà più possibile bloccare l’«Aic» (l’autorizzazione all’immissione in commercio).
Roma, 19 giugno, 20:42 - (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Ventinove morti a fronte dei 16 decessi attribuiti ufficiosamente alla pillola abortiva RU486. È questo il nodo principale della nuova documentazione che il ministero del Welfare ha inviato al Comitato tecnico scientifico dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) per avere ulteriori chiarimenti sul farmaco. La documentazione, in possesso dell’ADNKRONOS SALUTE, è stata stilata dalla consulente del sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, Assunta Morresi, alla luce delle risposte avute dalla stessa azienda produttrice della contestata pillola, l’Exelgyn, che di fronte alle questioni poste dal ministero ha inviato nuovo materiale sul farmaco. «Dal 28 dicembre 1988 al 28 febbraio 2009 – si legge nel documento – sono riportati 29 decessi a seguito di mifepristone. Non è possibile calcolare il numero dei pazienti esposti, perché le dosi utilizzate per le diverse indicazioni sono variabili. Dodici decessi sono a seguito di ‘uso compassionevole’ – si legge ancora nel documento – e diciassette a seguito di aborto medico», «confermando tutte le segnalazioni risultate dalle inchieste giornalistiche, ed aumentandone il numero. È poi segnalato – sottolinea il documento – un caso di amputazione parziale di una gamba, a seguito di una infezione dopo aborto medico». «L’applicant – scrive Morresi riferendosi all’azienda produttrice – non ritiene sussistere alcun legame tra i decessi segnalati e la somministrazione di mifepristone. Tale segnalazione però muta completamente il quadro di riferimento del farmaco. I dati comunicati attualmente dalla ditta non sono a conoscenza dell’opinione pubblica, e non sappiamo quali e quanti siano noti ad Emea», l’ente regolatorio europeo, «e Fda», il corrispettivo statunitense. Altri punti critici segnalati nel documento inviato all’Aifa riguardano il mancato esame della letteratura che effettua nuove stime sulla reale efficacia dell’aborto medico; e le lacune sul fronte degli effetti collaterali conseguenti all’uso del farmaco.Da notare che la nuova documentazione era stata fornita dall’azienda al sottosegretario a condizione di non essere resa pubblica (Adnkronos delle 15:54). Vatti a fidare della Roccella...
Dopo una lunghissima discussione, durata anni, il Bundestag ha dato il via libera alla legge che regolerà in Germania il testamento biologico che esiste già da anni. In futuro i medici dovranno obbligatoriamente attenersi alle indicazioni scritte e controfirmate dal paziente nella sua Patientenverfügung (Testamento biologico). Desta dubbi e perplessità il fatto che la nuova normativa non prevederà più una distinzione tra malattie curabili ed incurabili: «Conterà sempre e comunque la volontà der paziente», ha sottolineato Joachim Stünker, l’esperto di diritto della Spd che ha visto accogliere la sua proposta di legge, votata da 320 deputati su 566 votanti, 240 i contrari. La nuova normativa, inoltre, prevede che, nei casi in cui non ci sia un Testamento biologico, la decisione di proseguire o meno le cure possa essere affidata ai medici o ai fiduciari del paziente e, nell’eventualità che questi ultimi non siano in grado di giungere ad una posizione unanime, l’ultima parola spetterà al giudice tutelare.Visto il tono accorato, viene quasi da pensare che la redazione di Avvenire abbia per un attimo considerato la possibilità di listare a lutto la pagina (la Germania era stato fin qui un paese abbastanza ‘affidabile’ in tema di bioetica)...
Ha espresso i suoi dubbi sulla decisione presa dal Bundestag anche il presidente della Deutschen Bischofskonferenz, Robert Zollitsch, attraverso un comunicato diffuso sul sito Internet della Conferenza episcopale di Germania. «Esprimiamo i nostri dubbi poiché le decisioni prese da una persona anticipatamente non è detto che siano le stesse nel momento in cui si ammala».Ma se una persona si ammala e rimane cosciente, allora il testamento biologico non si applica: è uno strumento che vale solo per i malati in stato di incoscienza. Viceversa, se la persona si ammala e perde coscienza, allora non può cambiare idea; l’approssimazione migliore della sua volontà rimane quella espressa a suo tempo nel testamento biologico.
nel testo si legge che la nutrizione artificiale è un trattamento medico «in grado di modificare la storia naturale della malattia». Ma la nutrizione, di per sé, non può modificare l’evolversi di una malattia: i gravi danni neurologici per cui spesso si rende necessaria l’alimentazione assistita non si modificano – purtroppo – con apposite diete. Non è stato il sondino naso gastrico a permettere ad Eluana, nei suoi diciassette anni di stato vegetativo, di mantenere il ritmo sonno/veglia, respirare autonomamente, e via dicendo: la storia naturale della sua malattia è stata modificata dall’intervento di rianimazione effettuato dopo l’incidente, e non dalla nutrizione artificiale. È proprio questo il motivo per cui la nutrizione non è una terapia: non cura niente, offre solo sostentamento. Al contrario, sospendere la nutrizione artificiale modifica sicuramente la storia naturale di ogni malato: senza mangiare muoiono tutti, indipendentemente dall’esistenza o meno di una patologia.L’errore logico nel ragionamento della Morresi è abbastanza evidente; se il lettore l’avesse mancato la prima volta, basterà rileggere il brano una seconda volta. Trovato? Esatto: è proprio l’equiparazione fra modifica della storia naturale della malattia e cura o terapia. Esiste una miriade di trattamenti sanitari – da tutti riconosciuti come tali – che non curano, offrendo solo sostentamento. La dialisi non cura l’insufficienza renale; ma modifica ovviamente il corso della malattia: senza di essa siete morti in breve tempo. La ventilazione artificiale non è una terapia in senso stretto per l’insufficienza respiratoria; ma senza respiratore il corso della malattia è rapidamente fatale. Il pacemaker non vi fa sparire la bradicardia. La nutrizione artificiale non cura i danni cerebrali che vi impediscono di nutrirvi autonomamente; ma come nota la stessa Morresi, «sospendere la nutrizione artificiale modifica sicuramente la storia naturale di ogni malato: senza mangiare muoiono tutti» (va scontata ovviamente la generalizzazione tendenziosa: non ogni malato è sottoposto ad alimentazione artificiale, ma solo quelli la cui patologia consiste, fra l’altro, nell’incapacità di alimentarsi da soli).
lo scorso 5 aprile a San Pellegrino Terme le associazioni dei familiari riunite nei coordinamenti nazionali La Rete - Associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite e la Federazione nazionale associazioni trauma cranico (Fnatc) hanno sottoscritto una Carta – la Carta di San Pellegrino, appunto – che definisce alimentazione e idratazione come «atti dovuti».Quello che dovrebbe far riflettere è questo tentativo – francamente un po’ mostruoso – di confondere ciò che è dovuto con ciò che è obbligatorio, e ciò che è libero con ciò cui non si ha diritto. Tentativo, oltretutto, compiuto strumentalizzando e spaventando «chi vive sulla propria pelle situazioni così difficili». Vergogna.
Un’affermazione secca, decisa, chiara: i familiari di persone gravemente disabili, che non riescono a nutrirsi autonomamente, chiedono semplicemente che ai loro cari non vengano mai a mancare cibo ed acqua. Il fatto che siano o meno terapie non è neppure preso in considerazione: evidentemente è di secondaria importanza per chi vive sulla propria pelle situazioni così difficili. Ed anche questo dovrebbe far riflettere.
In accordo con una vasta ed autorevole letteratura scientifica, la nutrizione artificiale è trattamento assicurato da competenze mediche e sanitarie, in grado di modificare la storia naturale della malattia, calibrato su specifici problemi clinici mediante la prescrizione di nutrienti, farmacologicamente preparati e somministrati attraverso procedure artificiali, sottoposti a rigoroso controllo sanitario ed infine richiedente il consenso informato del paziente in ragione dei rischi connessi alla sua predisposizione e mantenimento nel tempo. La sua capacità di sostenere funzioni vitali, temporaneamente o definitivamente compromesse, ne motiva l’impiego, in ogni progetto di cura appropriato, efficace e proporzionato, compresi quelli esclusivamente finalizzati ad alleviare le sofferenze. In queste circostanze, le finalità tecniche ed etiche che ne legittimano l’utilizzo definiscono anche i suoi limiti, quelli sui quali può intervenire la scelta informata e consapevole, attuale o dichiarata anticipatamente del paziente e la libertà di scienza e coscienza del medico.Sul piatto negativo della bilancia va posta invece l’assurda invocazione del «diritto all’obiezione di scienza e coscienza rispetto ai contenuti delle dichiarazioni anticipate».
Un altro punto controverso è la vincolatività delle dichiarazioni anticipate. Viene obiettato: se non posso farle rispettare, sono quasi inutili. E sono discriminato rispetto al paziente cosciente. È così?Come si vede, vecchi argomenti, mille volte rimasticati e rigurgitati; e mille volte confutati. Pazienza, andiamo alla milleunesima.
Direi proprio di no. Innanzi tutto la Convenzione di Oviedo dice che le volontà espresse in precedenza saranno prese in considerazione, non che saranno eseguite. E del resto questo è scontato anche nell’alleanza terapeutica con un paziente cosciente: quale medico esegue pedissequamente i voleri di un paziente, se non condivide in scienza e coscienza diagnosi e terapia?
Ci possono essere varie ragioni per questo risultato. Può darsi che la gente che vive in paesi più turbolenti cerchi rifugio nella religione, o che la religione non sia un mezzo adeguato per organizzare le società moderne. O può darsi che qualche altro fattore o combinazione di fattori (democrazia? libertà di parola? istruzione? welfare governativo?) generi cittadini che sono allo stesso tempo pacifici e non religiosi.Per risultati analoghi, ma più analitici, si può vedere Gregory S. Paul, «Cross-National Correlations of Quantifiable Societal Health with Popular Religiosity and Secularism in the Prosperous Democracies: A First Look», Journal of Religion & Society 7, 2005.
In ogni caso, questo è un altro colpo all’idea che la secolarizzazione porti al crollo delle strutture sociali. Di fatto, i paesi con più atei sono i più pacifici.
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.L’aggettivo «naturale», si sostiene, limiterebbe l’applicazione dei diritti alle unioni eterosessuali; queste sole, appunto, sarebbero «naturali», nel senso di «normali» o di appartenenti a un mondo «naturale» contrapposto al mondo umano, ovvero a uno stato di natura contrapposto a quello di cultura. Questa però è una versione «ingenua» ed essoterica dell’argomento, contro la quale è fin troppo facile obiettare che «normale» è concetto troppo vago per avere una qualsiasi utilità morale o giuridica, e che l’omosessualità preesiste alla nascita della cultura e dell’uomo stesso (i famosi pinguini omosessuali...). In realtà, la versione originale del richiamo alla naturalità, quella che usano gli autori più smaliziati, è che per «natura» si deve intendere la finalità essenziale dell’uomo, una potenzialità intrinseca che tutti sarebbero tenuti a rendere attuale, o almeno a non ostacolare in nessun modo; per cui, per esempio, dall’esistenza di sessi opposti si deve dedurre che solo l’unione eterosessuale – l’unica conforme alla legge naturale, all’ordinamento essenziale del mondo – è buona. Tutto ciò che in natura o nella società contraddice questa finalità è per costoro un’aberrazione senza significato.
Sin dall’inizio dei lavori della Sottocommissione, nella stesura della Costituzione, si è detto che la fondamentale preoccupazione è quella di negare la teoria dei «diritti riflessi», che fu il fondamento dello Stato fascista. Lo Stato fascista, infatti, aveva come suo fondamento la teoria giuridica che tutti i diritti sono creati e concessi dallo Stato, che può ritirarli in qualunque momento. Negando questa teoria, si vuole affermare che lo Stato non fa che riconoscere e tutelare dei diritti anteriori alla Costituzione dello Stato, che sono diritti dei singoli, diritti delle società o comunità naturali. Con una dichiarazione come quella proposta, ci si ricollega alla cosiddetta tradizione giuridica occidentale che da Aristotile, attraverso il Cristianesimo, è arrivata fino ad oggi.Aldo Moro, 15 gennaio 1947:
Affermando che la famiglia «è una società naturale» – oppure «di diritto naturale», secondo la proposta del Presidente – si afferma che la famiglia è un ordinamento giuridico e che lo Stato non fa che riconoscere e proteggere questo ordinamento giuridico anteriore allo Stato stesso.
La famiglia è una società naturale. Che significa questa espressione? Escluso che qui «naturale» abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui «naturale» sta per «razionale».Lodovico Benvenuti, 17 marzo 1947:
D’altra parte, non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuole negare che vi sia un sempre più perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia; ma quando si dice: «società naturale» in questo momento storico si allude a quell’ordinamento che, perfezionato attraverso il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare.
Quando si afferma che la famiglia è una «società naturale», si intende qualche cosa di più dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come società naturale, la quale abbia le sue leggi e i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare. Vi è naturalmente un potere legiferante dello Stato che opera anche in materia familiare; ma questo potere ha un limite precisamente in questa natura sociale e naturale della famiglia.
Qui, onorevoli colleghi, abbiamo la restaurazione del diritto naturale sulla forma positiva. Il concetto è evidente: prima dello Stato, indipendente dallo Stato, esiste un diritto acquisito dei cittadini, e della famiglia in particolare, che resiste al diritto dello Stato, di fronte al quale lo Stato non ha libertà di scelta; nel quale, quindi, il diritto dello Stato non può e non deve intervenire; e, ove lo faccia, lo farà in virtù della forza di coazione di cui è munito, ma violando il diritto. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, l’articolo 147 del Codice civile fascista, ove si diceva che l’educazione e la istruzione della prole devono essere conformi al sentimento nazionale fascista: il che significava che i genitori italiani, per essere in regola con la legge, dovevano educare i loro figliuoli a detestare la libertà e a servire l’oppressione. Queste sono le aberrazioni a cui può arrivare una legislazione, quando dimentichi che la famiglia è una società di diritto naturale.Umberto Merlin, 15 aprile 1947:
Noi diciamo che questo concetto è affermato con le parole «la famiglia è una società naturale», per dimostrare questa semplice verità che la famiglia ha dei diritti primordiali, propri, che lo Stato non deve concedere come una graziosa concessione, ma che deve semplicemente riconoscere perché sono preesistenti alla sua organizzazione.Camillo Corsanego, 22 aprile 1947:
Però quello che importa è di affermare nella Carta Costituzionale che lo Stato non crea i diritti della famiglia, ma li riconosce, li tutela e li difende perché la famiglia ha dei diritti originari, preesistenti, e lo Stato non deve fa altro che dare loro la efficace protezione giuridica.Rimane da notare una cospicua incongruenza dell’art. 29: se la famiglia è una società naturale, che precede il diritto organizzato, com’è possibile che la si affermi fondata sul matrimonio, che è invece tipicamente un istituto dei diritto positivo? Della contraddizione si era accorto Piero Calamandrei, che – senza che nessuno intervenisse a contraddirlo – così parlava nella seduta del 23 aprile 1947:
Il legislatore non può «il libito far licito in sua legge». Qui noi stiamo costruendo una Carta costituzionale la quale codifica, cioè dà forma giuridica, ai diritti di libertà: diritti di libertà della persona, diritti di libertà del lavoro, diritti di libertà umana, diritti della famiglia che sono anteriori alla legge positiva scritta. Non facciamo qui la disquisizione teorica sulla esistenza, e sul significato che gli studiosi danno alle norme di diritto naturale; è certo che la legge scritta deve conformarsi a certe norme che preesistono al legislatore, che sono anzi le sue ispiratrici. Avviene questo anche quando si codificano norme particolari, quando per esempio nel Codice penale si pone la discriminante della legittima difesa e si dice che si può impunemente uccidere il fur nocturnus che viene durante la notte a turbare i nostri sonni, a rubarci il nostro peculio. Che cosa fa il legislatore in questo caso? Il legislatore non fa altro che dare formula giuridica a un diritto preesistente, Ulpiano stesso fin dai suoi tempi lo aveva insegnato: vim vi repellere licet idque ius naturae comparatur.
Noi siamo contro il concetto fascista: «tutto per lo Stato, tutto nello Stato, nulla contro lo Stato», e respingiamo la dottrina totalitaria la quale, considerando lo Stato unica fonte di diritto, vorrebbe che individui ed enti possedessero solo quel tanto di diritti che allo Stato – feudo del partito dominante – piacesse consentire.
Dal punto di vista logico ritengo che sia un gravissimo errore, che rimarrà nel testo della nostra Costituzione come una ingenuità, quello di congiungere l’idea di società naturale – che richiama al diritto naturale – colla frase successiva «fondata sul matrimonio», che è un istituto di diritto positivo. Parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè, in sostanza, da un negozio giuridico è, per me una contraddizione in termini.E concludeva, saggiamente:
Ma tuttavia, siccome di queste ingenuità nella nostra Costituzione ce ne sono tante, ce ne potrà essere una di più […].Infine, quale che siano le nostre conclusioni sul significato dell’art. 29, una cosa è certa: come ricordava l’appello di 23 costituzionalisti nel febbraio 2007, la Costituzione
non impone affatto alla Repubblica di riconoscere come famiglia solo quella definita quale «società naturale fondata sul matrimonio». […] Il riconoscimento giuridico di altre tipologie di famiglia non comporterebbe alcun disconoscimento dei diritti delle famiglie fondate sul matrimonio e non potrebbe quindi violare il disposto dell’articolo 29, primo comma, della Costituzione. Il fatto che la Costituzione garantisca in modo particolare i diritti della famiglia fondata sul matrimonio non può in alcun modo avere come effetto il mancato riconoscimento dei diritti delle altre formazioni famigliari.
Susan Hill, presidente della National Women’s Health Foundation, che conosceva il dottor Tiller da più di vent’anni e indirizzava donne e ragazze alla sua clinica, ha detto in un’intervista telefonica: «Mandavamo i casi davvero tragici sempre da Tiller». Questi casi comprendevano donne cui era stato diagnosticato un tumore e che avevano bisogno di un aborto per poter accedere alla chemioterapia; donne che avevano appreso a gravidanza ormai avanzata che i bambini tanto desiderati soffrivano di malattie fatali; e vittime di stupri talmente giovani che non si erano rese conto per mesi di essere incinte. «Gli mandavamo undicenni, dodicenni che erano andate troppo in là perché chiunque altro le visitasse», ricorda Hill. «Le undicenni non dicono niente a nessuno. A volte non sanno neppure di aver cominciato ad avere le mestruazioni».Da leggere tutto.
Da quando si è diffusa la notizia dell’omicidio del dottor Tiller, i ricordi personali di persone che hanno fatto ricorso alle sue cure hanno cominciato ad apparire in rete. Un commentatore ha raccontato sul blog Balloon Juice la storia di come sua moglie avesse scoperto all’ottavo mese di gravidanza di essere incinta di due gemelli siamesi. «Non era tanto il fatto che fossero siamesi il problema, ma il modo in cui erano uniti: nel migliore dei casi solo uno di loro sarebbe sopravvissuto all’operazione di separazione, ed era più che probabile che avrebbe vissuto una vita breve e dolorosa, punteggiata da operazioni e trapianti». Marito e moglie avevano scelto di interrompere la gravidanza tanto attesa, invece di portare al mondo un bambino solo per farlo soffrire e morire. «L’incubo della nostra decisione e di quello che è seguito è stato reso sopportabile solo dal calore e dalla compassione del dottor Tiller e dei suoi bravi collaboratori». […]
Anche link a vecchie storie si stanno diffondendo sui media sociali e sui blog. Un articolo del 2001 pubblicato originariamente su Glamour racconta l’esperienza di Gloria Gonzalez, che aveva appreso che le gemelle di cui era incinta erano gravemente malate e stavano mettendo a repentaglio la sua stessa salute. «In quanto cristiana e in quanto donna sposata che voleva con tutte le forze avere un figlio, non avevo mai pensato granché all’aborto. Come molti altri, immaginavo che solo donne con gravidanze indesiderate vi facessero ricorso». Tuttavia, dopo aver consultato assieme al marito parecchi medici e il loro pastore, «capimmo cosa dovevamo fare. Lasciare che le bambine morissero da sole non era una scelta possibile, perché ritenevamo che stessero soffrendo e mettendo allo stesso tempo in pericolo la mia salute». Il sito web A Heartbreaking Choice, che raccoglie storie di donne che hanno scelto di interrompere una gravidanza voluta, ha una sezione dedicata a «Storie del Kansas», da parte di donne che hanno fatto il viaggio fino a Wichita dopo aver ricevuto diagnosi nefaste a gravidanza troppo inoltrata per ottenere aborti legali nei loro stati di origine.
[S]econdo i parametri e gli stilemi morali della cultura abortista, questo delitto dovrebbe essere ascritto alla coscienza solitaria di chi lo ha compiuto pensando di fermare una strage e alla sua insopprimibile vocazione ad esprimersi nella libertà; dovrebbe essere perdonato seduta stante, se non lodato, osannato come espressione della libertà e autonomia di una coscienza volta al bene. Infatti è con queste indulgenti e vischiose ragioni che oggi l’aborto viene giustificato, serialmente praticato, considerato un atto di autonomia della persona senza conseguenze troppo serie sulla vittima dell’atto. È con l’appello alla coscienza, trascurando e per cosi dire nascondendo la parola “delitto” o “peccato”, che si convive moralmente con il fatto indifferente dell’abolizione chirurgica di milioni di esseri umani, soprattutto donne (in Asia). Un antiabortista serio non si appella alla coscienza per giustificare un assassinio. Dovrebbero precludersi questa via facile e spregevole anche gli abortisti, questi idealisti.Per comprendere appieno la logica alla base dell’articolo bisogna leggere anche il resto, là dove Ferrara parla dell’«impronta della coscienza personale, di quel dialogo o contatto diretto con il Dio moderno che autorizza ogni atto frutto di profonda convinzione, di chiamata, di vocazione dell’individuo solitario», e conclude che «non si uccide un uomo per ragioni morali personali».