giovedì 26 giugno 2014

Che cos’è l’autonomia?

C’è una contraddizione nella richiesta di proteggere l’autonomia dei pazienti in ogni scelta terapeutica? È quanto pensa Ferdinando Cancelli, che dalle colonne dell’Osservatore RomanoAutonomia a senso unico», 26 giugno 2014, p. 5) così argomenta:

Ascoltando conferenze o dibattiti in tema di fine vita sempre più spesso capita di sentire parlare di autonomia. In genere di autonomia del paziente, molto raramente di autonomia del curante: la prima giustamente ricordata, la seconda a torto dimenticata. […]
Lo stesso atteggiamento […] si può vivere oggi in molte aule universitarie o durante incontri rivolti alla popolazione che vertano su temi bioetici sensibili, quali ad esempio la sospensione o la non messa in atto di mezzi di sostegno vitale. La discussione tende invariabilmente a mettere in evidenza l’autonomia del paziente, o meglio la sua autodeterminazione. Attraverso l’esercizio di quest’ultima, il paziente ha il diritto di chiedere, se in grado di esprimersi, la sospensione ad esempio dell’alimentazione clinicamente assistita – detta “artificiale” spesso con il non dichiarato intento di presentarla in modo già negativo a partire dall’aggettivazione – o dell’idratazione, e ciò magari anche se informato delle conseguenze potenzialmente letali di una tale scelta. Sempre più spesso si sente dire che il medico “deve” rispettare tale scelta.
Da tutto questo […] derivano alcune riflessioni. In primo luogo se è senza dubbio lecito che il paziente possa esercitare la propria autonomia chiedendo la sospensione di mezzi di sostegno vitale, possiamo affermare con altrettanta sicurezza che il medico debba accettare di mettere in pratica una tale richiesta? I soggetti morali in gioco sono due: possiamo accettare che l’autonomia di uno prevalga su quella dell’altro? Possiamo tranquillamente dire che la coscienza del medico deve essere forzata a fare ciò che non ritiene giusto? Secondariamente sorge un altro dubbio: se l’autonomia deve valere in modo assoluto, e se quindi un atto diventa lecito per il solo fatto di essere l’espressione della volontà di un paziente che lo chiede, con quale argomento potremo opporci alla richiesta di qualcuno che chiede gli vengano somministrati trattamenti evidentemente inutili dal punto di vista medico? In altre parole si ha l’impressione che l’accento venga messo su un’autonomia a senso unico: va bene concedere tutto a patto che ciò vada nel senso dell’abbreviare la vita, quanto al resto la discussione è semplicemente abolita.
Cancelli crede che sollevare queste questioni significhi porre «domande scomode» che finiscono sistematicamente ignorate (così scrive alla fine del suo intervento). Ma davvero i suoi argomenti possono provocare tanto imbarazzo? Vediamo.
Immaginiamo che, mentre sto seduto sull’autobus, si sieda dirimpetto a me una bellissima ragazza. Io la guardo rapito per un po’; poi, vinto dal desiderio di esternarle tutta la mia ammirazione, mi alzo, mi chino su di lei e le depongo un bacio gentile sulla fronte, mormorandole «Sei splendida!». Un mese dopo, io e la ragazza stiamo insieme – nell’aula di tribunale in cui mi ha trascinato con l’accusa di molestie sessuali. Il mio avvocato ha tentato una prima linea di difesa: «Quella del mio assistito non può essere considerata in nessun caso una violenza: un bacio tanto casto è oggettivamente la cosa più distante da una molestia! La querelante avrebbe dovuto essergliene grata, in quanto espressione di un moto sincero di ammirazione, e non cedere invece a una repulsione del tutto soggettiva». Questi argomenti non hanno commosso l’accusa, che replica: «Non esistono molestie oggettive o soggettive, quando si tratta di varcare la soglia più intima della sfera corporea altrui. In questi casi è l’altra persona che decide cosa è accettabile e cosa non lo è; è la sua scelta autonoma che va rispettata, non l’idea “oggettiva” di ciò che è bene per gli altri che il soggetto può avere. La querelante non aveva invitato in nessun modo l’accusato ad avvicinarsi, anzi l’aveva guardato in tralice, con una chiarissima espressione di rifiuto». Il mio avvocato risponde a sua volta: «È senza dubbio lecito che una donna possa esercitare la propria autonomia opponendo un rifiuto a certe avances; ma possiamo affermare con altrettanta sicurezza che un uomo debba accettare di accondiscendere a una tale richiesta? I soggetti morali in gioco sono due: possiamo accettare che l’autonomia di una prevalga su quella dell’altro? Possiamo tranquillamente dire che la coscienza dell’uomo deve essere forzata a fare ciò che non ritiene giusto? Secondariamente sorge un altro dubbio: se l’autonomia deve valere in modo assoluto, e se quindi un atto diventa lecito per il solo fatto di essere l’espressione della volontà di una donna che lo chiede, con quale argomento potremo opporci alla richiesta di una donna che chieda che un uomo la inviti a pranzo in un ristorante alla moda o le compri un vestito di marca?».
Ora, qual è l’ovvio problema di questo argomento? Il punto è che la ragazza non mi ha chiesto di fare qualcosa, ma piuttosto di non fare; fra la mia pretesa di baciarla e la sua volontà di non essere baciata non c’è nessuna simmetria. Fare e non fare possono essere talvolta indistinguibili da un punto di vista morale, ma la loro distinzione corrisponde comunque a un’intuizione profonda, che non è possibile contraddire senza stravolgere tutta la nostra vita sociale. Ed è proprio questo che rivendichiamo quando difendiamo la nostra autonomia (la parola stessa dovrebbe renderlo chiaro): di essere lasciati soli, di non subire gli atti altrui – in particolari quegli atti che, come baci o trattamenti sanitari, entrano nella sfera del nostro corpo. Ciò ovviamente non significa che non si possa pretendere mai nessuna prestazione da nessuno; se io e la ragazza fossimo attori, e il copione prevedesse il mio bacio, allora lei sarebbe effettivamente tenuta a lasciarsi baciare. Ma in questo caso c’è un contratto, che appunto può stabilire che si debbano compiere certe azioni, e stabilire una penalità per chi ci ripensa e si rifiuta. (Esistono altre eccezioni che non posso esaminare in questa sede, tranne una che vedremo tra un attimo.)
Torniamo al tema iniziale della sospensione di un trattamento sanitario. Come risponde chi la pensa come l’articolista dell’Osservatore Romano all’argomento che ho presentato? Il più delle volte si tenta di far passare quella che è in realtà un’astensione come se fosse invece un’azione: per esempio, nella sospensione della nutrizione artificiale si cerca maliziosamente di focalizzare lo sguardo sull’azione di rimuovere il tubo, passando sotto silenzio l’omissione ben più importante che l’ha preceduta: quella che consiste nel cessare di riempire la sacca che al tubo è collegata. Oppure si mette in rilievo l’azione umana – come l’atto di spegnere il ventilatore meccanico – che interrompe però un’altra azione di peso assai maggiore, sia pure automatica. In ogni caso, esistono delle azioni molto particolari che è sempre doveroso compiere: se ti invito a casa mia, ma per un impegno imprevisto sono costretto a congedarti anzitempo, tu non puoi protestare dicendo che ti voglio costringere a fare qualcosa contro la tua volontà; se mi chiedi di parcheggiare la tua macchina nel posto a me riservato ma la piazzi con la ruota sul mio piede, non puoi rispondere alla mia richiesta affannosa di spostarla immediatamente sostenendo che non sei un benefattore dell’umanità da cui si possano pretendere atti di cortesia a piacimento. Se mentre sto assumendo un farmaco ci ripenso e ti chiedo di chiudere il rubinetto e staccarmi la flebo non puoi negarmelo con la scusa che queste sono azioni e non omissioni. Chi ottiene il permesso di accedere alla sfera privata altrui ha sempre anche il dovere di abbandonare quella sfera privata a semplice richiesta, e l’azione che compie uscendo non è che la necessaria inversione di quella che ha compiuto entrando.

Se domande come quelle di Ferdinando Cancelli finiscono così spesso nel cestino, in conclusione, non è perché sono scomode, ma perché ignorano – o sembrano ignorare – le basi elementari di una democrazia liberale.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

"In primo luogo se è senza dubbio lecito che il paziente possa esercitare la propria autonomia chiedendo la sospensione di mezzi di sostegno vitale"
Questo non mi è chiaro. Se con "mezzi di sostegno vitale" sono inclusi anche l'alimentazione e l'idratazione, a me risulta che nessuno possa chiedere l'interruzione. Lo stesso dicasi della respirazione artificiale: se la interrompo muoio.

"...possiamo tranquillamente dire che la coscienza del medico deve essere forzata a fare ciò che non ritiene giusto?".
Quindi il problema sta tutto nella salvaguardia del diritto all'obiezione?, che tra l'altro è a dir poco abusato. Se il problema consiste in ciò, non si dovrebbe avere niente da ridire se il medico - a prescindere dalle sue credenze personali - vuole rispettare le volontà del paziente.

"se l’autonomia deve valere in modo assoluto, e se quindi un atto diventa lecito per il solo fatto di essere l’espressione della volontà di un paziente che lo chiede, con quale argomento potremo opporci alla richiesta di qualcuno che chiede gli vengano somministrati trattamenti evidentemente inutili dal punto di vista medico?"
Ma questa è la parodia di un etica della qualità della vita. Cancelli sembra intendere qui l'autonomia come volontà palesemente non competente. Neanche nella "nazista" Olanda - come i cattolici integralisti amano chiamarla - basta solo la richiesta del paziente.

"In altre parole si ha l’impressione che l’accento venga messo su un’autonomia a senso unico: va bene concedere tutto a patto che ciò vada nel senso dell’abbreviare la vita, quanto al resto la discussione è semplicemente abolita".
Impressione sbagliata perché la valorizzazione del concetto di autonomia dovrebbe garantire, a chi lo vuole (ripeto, a chi lo vuole) di decidere di porre fine alla propria vita; tutti gli altri che in situazioni analoghe vogliono vivere nonostante tutto, avrebbero tutto il diritto di farlo perché il loro parere, al pari dei primi, ha valore vincolante.

Forse però Cancelli non ha tutti i torti. Forse è molto più convincente la posizione della sacralità della vita: che tu sia ateo, mussulmano, shintoista, agnostico, quali che siano i tuoi desideri riguardo ad una malattia grave che ti sta condizionando pesantemente la vita, sappi che abbiamo deciso noi per te e faremo tutte le pressioni necessarie in ogni sede istituzionale per garantire a te il diritto di scegliere ... quello che noi crediamo sia giusto per te. E tutto questo lo facciamo perché è per il tuo bene; noi ti amiamo.

Brad

paolo de gregorio ha detto...

Mentre leggevo la prima parte del commento di Cancelli mi chiedevo: ma davvero queste persone non si rendono alcun conto del fatto che la situazione non sia simmetrica tra paziente e curante, perché si sta parlando di intervenire su una persona? Poi ho letto le tue ipotetiche arringhe e mi son detto: ma non è che anche in quel caso non se ne renderebbero conto? La mia ipotesi, quindi, è che per alcune persone è vero che sei libero di avvicinarti e invadere lo spazio personale di una persona, una donna nel tuo esempio, e che impedirlo farebbe crescere l'autonomia di quella persona a dismisura al punto da rendere ciò equivalente al soddisfare a qualunque sua richiesta. Se non protestano contro il modo in cui la società e le leggi hanno codificato questi casi sarebbe in tal caso per pura convenzione: "io ho diritto di invadere lo spazio personale e la libertà di chiunque, se io nel mio intimo sono convinto di farlo con le migliori intenzioni, ma in alcuni casi ho somatizzato i divieti imposti dalla società e preferisco evitare, per non creare scandalo. In quei casi in cui intravedo vuoti normativi [presunti tali], trovo spazi per tentare di tornare ad esercitare questa mia assoluta prerogativa".

È solo una suggestione, ma mi rende più coerente il quadro. In fondo, nella storia delle religioni persino le condanne a morte sono state talvolta razionalizzate come un'opera di bene e meritoria rivolta al condannato, a cui veniva data opportunità di salvarsi in extremis.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Paolo: credo che queste persone si muovano in realtà partendo da un paradigma completamente differente da quello liberale, in cui esistono beni oggettivi che possono e devono essere imposti a tutti, anche a costo di violenze inaudite. Il problema per loro nasce quando cercano di adattare questo paradigma a quello nuovo, a cui sono costretti a prestare almeno un lip service; i meno abili se ne escono con questi paralogismi incredibili - ma si tratta comunque di un compito impossibile, versare vino vecchio in otri nuovi.

paolo de gregorio ha detto...

Giuseppe, allora se vuoi la mia era stata una realizzazione in questo senso. Volevo sottolineare che nel tuo paragone con una situazione astratta, mettevi a nudo l'inconsistenza dell'argomentazione a beneficio solo di chi già ha, in qualche modo, assimilato la lezione liberale, ma che per condizionamenti pregressi od attuali non riesce ad adattarla ad altre situazioni. In qualche modo invece il paragone (ipotizzo) non esercita alcuna opera di convincimento verso chi, in realtà, ritiene sempre giusto intervenire nella sfera fisica e personale degli altri, ma si è solo abituato a non farlo quando sa che ciò renderebbe scandalo. Probabilmente, invece di riconoscere la correttezza del paragone e dedurne la propria incoerenza almeno esteriore, e di riconoscere che in tante altre situazioni vorrebbe limitare la libertà altrui anche se non chiede mai esplicitamente di farlo, tenterà di ricercare improbabili sofismi per dichiarare fallace il paragone.

Il paralogismo, quindi, avrebbe una sua coerenza entro quel sistema di pensiero sommerso, se tale sistema fa ritenere appunto la propria accezione di bene come precedente ai desiderata del soggetto, sia che si tratti di azioni passive che attive: "non ti porto a cena su tua richiesta perché io giudico, dalle tue intenzioni, che non sarebbe per il tuo bene, e se ti bacio in fronte io giudico che le mie intenzioni sono per te un bene e quindi accettabili".

Il quadro si complica perché, a volte, queste stesse persone arrivano al punto di rivendicare alcune conquiste liberali come fossero proprie. Per mettere insieme le cose posso solo ipotizzare che siamo in una perversa situazione psicologica, in cui si indossa una maschera e ci si fa esplicitamente vanto di ciò che si aborre, per compiacere il prossimo e continuare a galleggiare senza farsi relegare ai margini della società. Le battaglie su cui ci si concentra diventano quelle che riguardano temi non ancora del tutto definiti, perché nuovi, e quindi in qualche modo quei temi che creano più resistenze (e quindi alleati) anche in chi ha impostazione almeno vagamente liberale ma ha innate tendenze alla conservazione, o teme il progresso.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Beh, in realtà chi ritiene «sempre giusto intervenire nella sfera fisica e personale degli altri» è più uno psicopatico violento che un cattolico. Il cattolico non cerca propriamente di realizzare ciò che lui ritiene un bene, ma ciò che la dottrina della Chiesa etichetta come tale. Non credo che baciare belle sconosciute sulla fronte sia accettabile per il magistero, ed è per questo che il mio esempio poteva servire a mettere in rilievo un'incoerenza. Ma naturalmente hai ragione, se capisco bene il tuo pensiero: questa incoerenza vale solo per chi cerca di servire due padroni, il liberalismo e l'integralismo.

paolo de gregorio ha detto...

Sì, volevo dire un po' quello, in particolare paventando il fatto che il liberalismo lo si serva per opportunismo, l'integralismo per soddisfazione personale e convinzione.

Sulla questione di definire il cattolico, il discorso per me sarebbe lunghissimo e io stesso non ne sono mai venuto a capo, tanto che tra chi si dichiara tale tu trovi chi del magistero ignora il contenuto, chi ne assorbe solo ciò che gli conviene, fino a chi lo conosce e lo supera "a destra" quando rinnega lo stesso primato papale.
Tendenzialmente, non riconosco tanto spesso al credente un sincero convincimento nella supremazia del magistero che sia talmente radicato da far sovrascrivere le proprie innate preferenze (e questo spesso è persino un bene): penso più che esso sia un tramite per ricercare una conferma fuori di sé di un proprio sistema di pensiero, un'accezione di bene di cui la dottrina divenga un'efficace e strutturata veicolazione. Il prezzo minimo da pagare è quello di ogni tanto prendere per buono quello che viene da esso, anche se estraneo al proprio desiderio iniziale; oppure di scartarlo apertamente.

Dico ciò per precisare che dalla mia prospettiva il credente insegue il bene secondo il proprio punto di vista anche quando appare affidarsi all'etichetta posta dalla dottrina (anche perché può sempre scartare, e tipicamente lo fa, le etichette che non gli piacciono). Tornando al tema del bacio, per me conta che per una certa tipologia di credente quel bacio in fronte sarebbe lecito se fosse ammesso in un ipotetico schema di valori morali, a nulla ostando l'eventuale contrarietà della persona seduta di fronte. Il fatto che la dottrina non prescriva questa possibilità è accidentale e come accidentale riconosciuto. Ripeto, il punto che sottolineavo è che in questo quadro, comunque, l'autonomia del prossimo non è riconosciuta in senso assoluto né in forma passiva né attiva, essendo subordinata al bene superiore.

paolo de gregorio ha detto...

Giuseppe, forse il commento mi è uscito un po' contorto, provo a rifrasare semplificando e sintetizzando. Ti do ragione quando sostieni che non credi "che baciare belle sconosciute sulla fronte sia accettabile per il magistero", ma la questione è se per una particolare tipologia di credente sia questo il solo motivo per cui sia sbagliato farlo, e non perché venga riconosciuta l'autonomia oggettiva di cui parli. Se le cose stanno così, il paragone non fa breccia perché non vi si riconosce al suo interno la giustificazione morale che per noi è fondante.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Paolo: d'accordo su quello che dici. Personalmente sono sempre più convinto che il cattolicesimo integralista funzioni come un'ideologia (nel senso marxiano del termine) che sostiene un particolare assetto sociale, al centro del quale - non è una scoperta molto originale - c'è la famiglia tradizionale. Praticamente tutto quello che i cattolici integralisti dicono è direttamente funzionale alla conservazione di questo tipo di famiglia: aborto, contraccezione, omosessualità, forse persino eutanasia. Non si tratta dell'opinione di singoli ma del collante ideologico del gruppo.

Anonimo ha detto...

Che accade se in un autobus uno zelante cattolico vedesse un signore di fede identificabile come non cristiana che - almeno all'apparenza - sembra stare malissimo e, contro la volontà di questi, lo battezzasse secondo il rito e con materia opportuna?

Giuseppe, inter nos: che io sappia, non c'è modo di misurare la salute di qualcuno se non in funzione della presenza o dell'assenza di malattie. Tant'è che alcuni medici, molto attenti a non cadere in trappole linguistiche, preferiscono non dire che il tal paziente gode di ottima salute, piuttosto che non ha riscontrato segni patologici.

Un saluto

Giuseppe Regalzi ha detto...

Shostakovich:

;-)