venerdì 31 agosto 2007

Le parole e la realtà, ancora

Dichiarazione di Alessandro Capriccioli, membro dell’Associazione Coscioni:

Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, ha ieri affermato che “L’aborto è sempre un male, ma la selezione embrionale aggiunge ingiustizia ad ingiustizia, tanto più se ricordiamo che ci sono famiglie disposte ad adottare un bambino down e che il mongolismo consente oggi di condurre una vita felice”.
Da fratello di persona con Sindrome di Down, sono ben consapevole (e me ne rallegro) del fatto che negli ultimi anni la qualità della vità delle persone con Trisomia 21 sia decisamente migliorata; l’equazione proposta da Casini, secondo la quale le persone con Sidrome di Down condurrebbero oggi una vita felice, è tuttavia a dir poco semplicistica, poiché non tiene conto delle grandi difficoltà che molte famiglie in cui vive una persona con Trisomia 21 debbono tuttora affrontare quotidianamente.
Ha idea, Casini, degli sforzi che occorrono per assicurare a una persona con Sindrome di Down un livello di vita non felice, ma appena accettabile? È consapevole, Casini, che in taluni casi l’esito di quegli sforzi, per quanto convinti e incessanti, può essere tanto modesto da generare in coloro che li hanno posti in essere angosciosi sensi di colpa? Ha riflettuto, Casini, sul dramma di alcuni genitori, che si domandano chi potrà provvedere, dopo di loro, ai bisogni di un figlio con Sindrome di Down? Ha nozione, Casini, delle problematiche di ordine psicologico che le persone con Sindrome di Down debbono fronteggiare, allorché si rendano consapevoli della loro condizione e si trovino a doverla affrontare?
La risposta a queste domande è tutta nella parola che il Presidente del Movimento per la Vita sceglie per il suo comunicato: “mongolismo”; parola desueta già trent’anni fa, inesatta, antiscientifica e mortificante, unanimemente respinta da tutti gli operatori del settore.
Una parola che la dice lunga sulla superficialità con la quale Casini ha inteso affrontare la tematica della Sindrome di Down e dell’eventuale scelta di interrompere la gravidanza da parte delle donne cui essa viene diagnosticata: una superficialità che, a prescindere dalla rispettive posizioni sul tema dell’aborto terapeutico, è oggettivamente offensiva per le persone con Trisomia 21 e per le loro famiglie. Una superficialità della quale il Presidente del Movimento per la Vita farebbe bene a scusarsi.

Il colto parlamentare

Francesco Agnoli polemizza con un intervento di Carlo Flamigni («Flamigni cura te stesso», Il Foglio, 30 agosto 2007, p. 2):

Il tenore dell’articolo è tutto qui: insulti ad un famoso e valoroso parlamentare, peraltro assai colto
Si chiederanno i miei lettori: chi sarà mai questo «assai colto» parlamentare? Forse il bibliofilo Oliviero Diliberto? Nooo, impossibile che un comunista possa piacere ad Agnoli. Allora il filosofo Rocco Buttiglione, che parla e scrive – pensa un po’! – in tedesco? Fuocherello; ma non è lui. Il modello di cultura in questione è... (rullo di tamburi) è... l’Onorevole Capogruppo... Luca Volontè!
Sbigottimento del pubblico: Luca Volontè?? Come sarebbe, Luca Volontè? Cos’è, uno scherzo? Ma è proprio lui, sì – di cui Carlo Flamigni aveva detto, suscitando appunto la protesta dell’Agnoli:
cognome e numero straordinario di anacoluti che caccia nei suoi discorsi lo fanno identificare come un cittadino francese che sta imparando – forse un po’ lentamente, ma nessuno è perfetto – l’italiano.
Siete più propensi a dare ragione a Flamigni che ad Agnoli? Pensate che il giudizio di quest’ultimo sia leggermente azzardato? Beh, siate clementi: valutate anche chi è che lo ha emesso...

giovedì 30 agosto 2007

Eugenetica, ignoranza e il Blocco 10 di Auschwitz

In questi giorni il riferimento all’eugenetica è quasi onnipresente, ossessivo direi. E completamente sbagliato. A ripeterlo per l’ennesima volta si ha l’impressione di essere tocchi (ma forse lo sono di più quelli che iniziano e ai quali si è tentati di rispondere, no?). A testimonianza dell’abisso riporto un paragrafo del capitolo che avevo scritto sulla eugenetica e che è decisamente scioccante (è il capitolo nono, per intero sta qua).

Auschwitz: il Blocco 10
La visione biomedica e l’ideologia razziale sono alla base di una espressione dell’eugenetica negativa per alcuni aspetti ancora più atroce delle uccisioni dirette: la sterilizzazione. Gli individui in buone condizioni fisiche potevano essere sfruttati per lavorare, invece che eliminati; a condizione, però, che fosse loro impedito di trasmettere il loro sangue impuro, propagando l’infezione razziale. La Legge sulla Sterilizzazione (14 luglio 1933) aveva giustificato la sterilizzazione chirurgica di mezzo milione di cittadini tedeschi indegni di riprodursi; ma questa prima fase del progetto di ‘igiene razziale’ era costato quattordici milioni di Reichsmark, troppo per ampliare la sterilizzazione al mondo. L’obiettivo era di trovare un metodo economico e veloce per la sterilizzazione di massa. I campi di concentramento erano il luogo ideale per sperimentare metodi alternativi alla costosa chirurgia. Erano disponibili cavie umane in assenza totale di limiti morali.
Il Blocco 10 di Auschwitz era composto principalmente da prigioniere; era un luogo inaccessibile agli sguardi esterni e all’interno si consumarono crimini atroci camuffati da esperimenti medici e scientifici. Le condizioni di vita nel Blocco 10 erano migliori delle condizioni del Lager, perché altrimenti il materiale da esperimento non sarebbe stato adatto. Le cavie non dovevano morire prima di avere svolto il compito assegnato loro. Una parte del Blocco 10 era esclusivamente destinata alla ricerca sulla sterilizzazione. La principale autorità medica in questo settore era Carl Clauberg, sostenuto da Himmler nella ricerca di un metodo economico e efficace di sterilizzazione di massa. Clauberg usava un metodo sperimentale: iniettava una sostanza caustica nella cervice uterina allo scopo di ostruire le tube di Falloppio. Scelse donne diverse per costituzione ed età, con preferenza verso quelle che avevano avuto figli. A tutte faceva diverse iniezioni nel corso di alcune settimane per provocare ostruzioni e danni nell’apparato riproduttivo, che egli verificava tramite radiografie. Molte delle donne morivano a causa di infezioni. In una lettera scritta a Himmler emergono gli obiettivi criminali della ricerca di Clauberg, intrisa di ideologia politica. Clauberg sottolinea l’importanza della politica demografica negativa, e la possibilità di sterilizzare senza interventi chirurgici donne indegne di riprodursi: la sterilizzazione eugenica per mezzo di farmaci.
Un altro programma di sterilizzazione di massa venne portato avanti da Horst Schumann tramite i raggi X: in poco tempo e con una spesa molto bassa potevano essere sterilizzate molte persone. L’ideale per preservare gli ebrei in grado di lavorare, ma per impedire loro di riprodursi. L’esperimento prese il via nel Blocco 30 di Birkenau, in cui i soggetti sperimentali – spesso all’oscuro di ciò che stava per accadere – venivano fatti entrare in una saletta di attesa, introdotti uno per uno nel laboratorio e sottoposti a raggi X. Le donne venivano inserite in due lastre che comprimevano la schiena e l’addome prima di subire le radiazioni; gli uomini poggiavano i testicoli e il pene su una speciale lastra. Molto spesso le donne riportavano gravi ustioni e sintomi di peritonite. Qualche tempo dopo le ovaie erano asportate chirurgicamente, con un intervento invasivo e grossolano che implicava complicazioni di varia natura, emorragie, infezioni, morte. L’intervento durava pochi minuti, dopo una rozza e dolorosa puntura lombare per l’anestesia parziale. “Presero noi perché non avevano conigli”, raccontò una giovane ebrea greca sopravvissuta all’intervento e alle gravi conseguenze.
Gli uomini riportavano scottature nell’area intorno ai genitali. Le vittime raccontarono della raccolta dello sperma tramite un apparecchio ideato da Schumann stesso (una specie di bastone introdotto nel retto che stimolava la prostata e provocava l’eiaculazione), dell’asportazione di uno o entrambi i testicoli in leggera anestesia. Le conseguenze di questi brutali interventi erano emorragie, setticemia, perdita di tono muscolare derivante dalle ferite. Molti morivano in poco tempo. Un gruppo di giovani polacchi dovette essere sottoposto a dosi particolarmente massicce di raggi X, tanto che i loro genitali marcirono.
Il delirio di sperimentazione godeva di assoluta libertà in assenza di ostacoli morali: la più potente arma di assoluzione si radicava nell’idea che quelle persone erano comunque condannate a morte, e pertanto non si stava procurando loro alcun danno.

Le parole e la realtà

Su un forum dell’Occidentale, organo della Fondazione Magna Carta (fondata e poi abbandonata da Marcello Pera) si parla dell’aborto. Alla nostra Inyqua, che lì dibatte, replica un certo Paolo:

Come mi piacerebbe vivere in un mondo in cui la parola dice semplicemente la realtà, senza pudori né sensi di colpa.
Purtroppo il mondo contemporaneo rifiuta la realtà – una forma di schizofrenia? – e nel rifiuto della realtà la parola è usata per nascondere e/o adulterare la realtà.
Cosicché ciò che nacque per esprimere la realtà – la parola – tradisce la realtà.
Ma questo abuso della parola ed il travisamento della realtà non sono senza colpa ne senza pena: la realtà negata prima o poi riemerge dalle fogne interiori in cui il mondo s’illude di nasconderla ed un profeta torna a chiamare per nome le cose.
Cara Inyqua hai mai assistito dal vivo ad un aborto?
Non credo, altrimenti sapresti per esperienza che si tratta di un omicidio.
Non entro nel merito se necessario o inutile, se legale o illegale, se morale o immorale. Prima di qualificare con attributi il fatto dell’aborto, è necessario un punto fermo, un punto di partenza certo e non equivoco, l’apprensione della realtà, il coraggio di dire pane al pane senza nascondersi dietro le formule fumose con cui noi post-moderni cerchiamo di fuggire dalla realtà nuda e cruda.
Cartesio trovò nel proprio cogito il punto di ormeggio della sua nave in balia del dubbio. Un ormeggio molto instabile...
Husserl, Buber e Levinas, indicano un altro punto su cui far leva per uscire dall’incertezza totale in cui il dubitare ci lascia: l’incontro con l’altro, l’apertura al tu, realtà primordiale e precedente l’io, la simpatia per il fenomeno.
Ed il primo tu che ciascuno di noi sperimenta è il volto della propria madre.
Ed ecco la risposta di Inyqua:
Per Paolo: sono un medico. Non solo ho assistito ad aborti, ma anche alla vita di chi ha una gravissima malformazione incompatibile con la vita stessa se non per pochi, terribili mesi. Ho assistito alle legittime speranze e paure delle coppie alle quali viene fatta una diagnosi prenatale terribile. Ho visto famiglie dove altri figli venivano distrutti ed abbandonati per poter seguire a volte con commovente ma inutile determinazione quell’unico figlio disabile (e non sto parlando di disabilità che consentono comunque una vita ‘piena’...). Altro che Cartesio: la realtà è un’altra cosa. Cosa cambia nella vita di una donna, di una coppia, spesso di una famiglia non è roba da articoletto su Famiglia Cristiana: è una drammatica realtà. Sulla quale è legittima UNA SCELTA, quella stessa scelta che volete negare PER LEGGE. Vergognatevi.
Le parole, e la realtà.

Il problema non è l’aborto

Uno crede di aver capito gli argomenti dei propri avversari, di averne ricostruito la logica – magari speciosa, ma almeno riconoscibile – ed ecco che quelli rimescolano le carte, e non capisci più nulla – o magari, chissà, capisci finalmente davvero.
Prendiamo la cosiddetta eugenetica: cos’è che turba tanto nelle varie diagnosi di preimpianto (condotte sugli embrioni ottenuti per fecondazione artificiale) o prenatali (sui feti nel grembo materno), spingendo periodicamente ad accessi di indignazione e a condanne senza appello? Fino a ieri, sembrava che la ragione fosse questa: l’embrione (e a maggior ragione il feto) è un essere umano come noi, ed ucciderlo solo perché affetto da qualche patologia – anzi, perché non conforme a un ideale di ‘perfezione’, che imporrebbe di avere solo figli bellissimi e intelligentissimi – è atto inumano ed esecrabile. Quante volte abbiamo sentito la stessa tiritera, che «un malato non si cura ammazzandolo»? Che per coerenza dovremmo rendere lecita anche l’uccisione dei disabili adulti, per risparmiare loro inutili sofferenze? Una posizione chiara, dunque, sebbene basata sull’errore mostruoso di considerare un embrione come se fosse già una persona, e sulla pretesa illiberale di imporre a tutti questa superstizione.

Questo fino a ieri. Ma oggi scopriamo che le cose non stanno così: ce lo rivela, fin dal titolo, un editoriale anonimo del Foglio: «“Eugenetica preconcezionale” all’Asl» (29 agosto 2007, p. 1). È successo che un lettore ha segnalato che sul portale web di un’Asl milanese sarebbe presente la sezione «eugenetica preconcezionale»; quelli del Foglio raccolgono la soffiata, la verificano, scoprono che – orrore! – la stessa cosa succede nel portale della Regione Umbria. Il riferimento è alle analisi che si effettuano normalmente prima di concepire un figlio, per evidenziare la possibilità di malattie genetiche trasmissibili: come la verifica che i due aspiranti genitori non siano affetti entrambi da microcitemia, per esempio, che risulterebbe in una probabiltà su quattro di dare vita a un bambino talassemico.
A questo punto uno si aspetterebbe una condanna dell’uso della parola «eugenetica», e un sermoncino sul fatto che mentre se ne nega la pratica ecco che se ne usa il nome. E il Foglio sermoneggia, in effetti; ma non si ferma lì. Perché oltre alla parola condanna anche la pratica:

si vuole, semplicemente, migliorare la specie, fabbricando i figli secondo il desiderio, trasformando la medicina da cura a selezione e piazzandola sul sito delle Asl, accanto alle visite ginecologiche […]
un’eugenetica preconcezionale da consultorio (quindi anche un codice che stabilisca non solo chi ha diritto di venire al mondo, ma anche chi ha diritto di procreare, perché ha i geni a posto, e chi non soddisfa gli standard di qualità, ma può comunque affidarsi a un tavolo di laboratorio). L’eugenetica non è più un fantasma che si aggira per l’Europa, è un servizio gentilmente offerto dalle Aziende sanitarie locali.
E allora capisci che l’«omicidio dei non-nati» non c’entra nulla (un’analisi preconcezionale, per definizione, si effettua molto prima che si arrivi alla formazione di un embrione), e che forse è solo un pretesto. Se anche la più banale delle misure preventive viene condannata; se chi vuole un figlio è condannato perfino a non sapere se c’è qualche pericolo di malformazione (non esiste naturalmente da nessuna parte un codice che stabilisca chi ha «diritto di procreare»: l’anonimo vaneggia); questo vuol dire che è l’autonomia, l’elementare possibilità di una scelta a dare veramente fastidio. Immagino che per il Foglio anche una donna che semplicemente desideri un figlio sano abbia già «peccato nel suo cuore». Ma cosa c’è di più umano del desiderio di un bambino sano?
In questa follia, in queste condanne concitate e frenetiche, in questa schiuma di rabbia rappresa, l’ideale covato non è del resto più l’umanità ma il gregge, che tutto patisce, che non ha nessun desiderio, se non quello dei suoi pastori – e dei loro cani.

Memoria corta sui privilegi stradali del Vaticano?

Quando la memoria avanza in direzione contraria ai propri interessi può capitare che si verifichino dei vuoti qua e là.
Impossibile, sulla polemica tra il Vaticano e la tracotanza della Unione europea (aiuti illegali di Stato?), non ricordare i privilegi di cui il Vaticano gode rispetto alle ZTL.
Ne avevamo scritto qualche tempo fa. Tutto immutato?, e tutto dimenticato?

1. Pedaggi privilegiati per la categoria “Vaticano”: il Comune di Roma ribassa la tariffa di accesso ZTL in onore dei Patti Lateranensi
2. La protesta delle associazioni contro gli aumenti ZTL
3. La risposta del Comune di Roma

mercoledì 29 agosto 2007

Aborto clandestino

Il 1962 è l’anno in cui Edward Kienholz fece The Illegal Operation (nella foto). È anche l’anno in cui Sherri Finkbine ha un terribile mal di testa e prende un farmaco contenente Thalidomide. Sherri è incinta (del suo quinto figlio). Il Thalidomide è sospettato di essere causa di gravi malformazioni fetali. Sherri chiede di poter abortire, ma in Arizona l’aborto è illegale e nonostante le indicazioni dei medici non viene permesso nemmeno in questa estrema circostanza.
Sherri e il marito devono andare in Svezia per interrompere lo sviluppo di quel feto senza gambe e senza un braccio. I due sono oggetto di una vera e propria campagna denigratoria da parte dei media e di radio vaticana. Ricevono minacce di morte per telefono e vengono licenziati (lei dalla tv, lui dalla scuola).
Nell’ennesima occasione in cui la 194 è sotto tiro, è forse utile ricordare storie come questa. E ricordare l’intento della scultura di Kienholz, in nome delle migliaia di donne americane che ogni anno (prima di Roe vs. Wade) si sono sottoposte a aborti illegali, alcune pagando con la morte, molte con danni permanenti, tutte l’umiliazione e il pericolo di affidarsi alle mammane.
(LACMA’s ‘SoCal’ dreaming, Los Angeles Time, 28 agosto 2007).
Nel mondo, ovviamente, le donne che ricorrono agli aborti clandestini sono molte, molte di più.

martedì 28 agosto 2007

L’aborto ‘selettivo’

Cosa pensa la senatrice Paola Binetti del caso dell’ospedale San Paolo, dove è stata abortito per errore un feto sano al posto di uno affetto da trisomia 21 (che dà luogo alla sindrome di Down)? Ne pensa qualcosa di strano («“Questa è eugenetica. Arrivato il momento di rivedere la 194”», Corriere della Sera, 27 agosto 2007, pp. 8-9):

In questo caso, poi, aggiungerei subito come premessa che quello che è stato praticato al San Paolo non è un aborto terapeutico ma un aborto eugenetico. Sì, insomma, si è voluto appositamente uccidere il feto malato e salvare quello sano. Quello che non ha funzionato è proprio la selezione.
Il ragionamento della senatrice sembrerebbe essere questo: ci sono due feti; visto che uno è sano, si rigetta l’altro, perché giudicato di qualità ‘inferiore’. Questo spiegherebbe perché la Binetti si affanni a distinguere «questo caso» dagli altri, l’«aborto eugenetico» («quello che è stato praticato al San Paolo») dall’«aborto terapeutico». E del resto anche Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, trova qui qualcosa di speciale (Simona Ravizza, «Aborto selettivo: bufera sull’ospedale», Corriere della Sera, ibidem):
L’aborto eugenetico apparentemente non è consentito, ma oramai viene accettata l’idea che ci possano essere discriminazioni tra esseri umani. La selezione embrionale aggiunge ingiustizia a ingiustizia.
Su linee analoghe si muove Lucetta Scaraffia, che su Avvenire di oggi rispolvera persino la balla della Svezia immune dall’aborto dei feti down («Se il senso morale si è atrofizzato», 28 agosto, p. 1).
Ma naturalmente le cose non stanno così. Nel caso del San Paolo, la scelta della madre non è certo dipesa dal numero dei feti: ce ne fosse stato uno solo, affetto dalla trisomia, sarebbe stato ugualmente abortito (non è una illazione: dopo l’aborto del feto sano è stato abortito anche quello malato). Non siamo dunque di fronte a una «selezione»; né la motivazione di questa scelta è la ricerca di una indefinita (e indefinibile) perfezione, ma più semplicemente il desiderio umanissimo di avere un figlio sano, di non consumare con sacrifici enormi la propria esistenza dietro un bambino che non sarà assistito da Binetti Casini e Scaraffia, ma dai suoi genitori. Ci troviamo insomma – checché se ne dica – nell’ambito previsto dalla legge 194 (art. 6):
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: […] b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Il caso del San Paolo rientra dunque – al di là dell’errore deprecabile – nella legalità, ed è inoltre moralmente legittimo (a 18 settimane un feto non è certo ancora una persona).

Di fronte al ripetersi sempre più frequente di attacchi al diritto all’aborto è forse giunto il momento di lanciare un monito agli apprendisti stregoni: uno Stato che neghi o significativamente intralci l’autodeterminazione dei propri cittadini, e che in particolare non riconosca la signoria piena e incontrastata di una donna sul proprio corpo e sulle proprie scelte di vita, costringendola anzi al ruolo di incubatrice naturale solo perché qualche superstizioso possa poi ricavare edificazione morale dalla contemplazione di bambini malati, è uno Stato autoritario, che si rende autore di una aggressione nei confronti dei propri soggetti. Uno Stato come questo è uno Stato illegittimo, contro il quale la resistenza – in qualsiasi forma – diventa non solo ammissibile ma doverosa. Sapienti sat.

domenica 26 agosto 2007

Pacs nel Quattrocento?

Sul numero di settembre del prestigioso Journal of Modern History, Allan A. Tulchin della Shippensburg University offre le prove documentarie dell’esistenza nell’Europa del 1400 di un istituto giuridico affine alle odierne unioni civili, e come queste aperto anche alle coppie omosessuali («Same-Sex Couples Creating Households in Old Regime France: The Uses of the Affrèrement»; riassunto in «Are civil unions a 600-year-old tradition?», EurekAlert, 23 agosto 2007):

in late medieval France, the term affrèrement – roughly translated as brotherment – was used to refer to a certain type of legal contract, which also existed elsewhere in Mediterranean Europe. These documents provided the foundation for non-nuclear households of many types and shared many characteristics with marriage contracts, as legal writers at the time were well aware, according to Tulchin.
The new “brothers” pledged to live together sharing ‘un pain, un vin, et une bourse’ – one bread, one wine, and one purse. As Tulchin notes, “The model for these household arrangements is that of two or more brothers who have inherited the family home on an equal basis from their parents and who will continue to live together, just as they did when they were children.” But at the same time, “the affrèrement was not only for brothers,” since many other people, including relatives and non-relatives, used it.
The effects of entering into an affrèrement were profound. As Tulchin explains: “All of their goods usually became the joint property of both parties, and each commonly became the other’s legal heir. They also frequently testified that they entered into the contract because of their affection for one another. As with all contracts, affrèrements had to be sworn before a notary and required witnesses, commonly the friends of the affrèrés.”
Tulchin argues that in cases where the affrèrés were single unrelated men, these contracts provide “considerable evidence that the affrèrés were using affrèrements to formalize same-sex loving relationships. […] I suspect that some of these relationships were sexual, while others may not have been. It is impossible to prove either way and probably also somewhat irrelevant to understanding their way of thinking. They loved each other, and the community accepted that. What followed did not produce any documents.”
Non risulta che queste circostanze abbiano causato la distruzione della società dell’epoca...

venerdì 24 agosto 2007

Francesco Agnoli e la clonazione

Francesco Agnoli esercita questa settimana i suoi talenti sulla clonazione («Il trono vacante», Il Foglio, 23 agosto 2007, p. 2), con i risultati che si possono facilmente immaginare:

Dal punto di vista teologico la clonazione è un urlo contro Dio, una bestemmia senza precedenti, dal momento che tenta di negare la creazione dell’uomo da parte di Dio, cioè la dipendenza dell’uomo, e la Trinità, e cioè la relazione come aspetto costitutivo dell’essere... tutto in perfetta sintonia col pensiero panteista e deista.
Bisogna riconoscere che ad Agnoli non difetta l’originalità: che la clonazione tenti di negare la Trinità – e per giunta in «sintonia col pensiero panteista e deista», mica banalmente ateo e materialista! – è un’idea che non mi era mai capitato di incontrare prima, e che qualcosa mi dice non incontrerò mai più in futuro. Ma ho una perplessità: anche la creazione di Eva a partire da una costola di Adamo nega «la relazione come aspetto costitutivo dell’essere»? Scommetto che Agnoli risponderebbe di no, ma il dubbio rimane...
Si tratta però, di un tentativo destinato a fallire. Il fallimento è insito nella speranza, infondata teologicamente, di poter creare, di poter infrangere la morte attraverso un [sic] tecnica di duplicazione di se stessi, che però non è in grado di riprodurre altro che l’aspetto fisico, l’involucro esterno dell’uomo. Come due gemelli sono geneticamente identici, ma rimangono due persone diverse, così accadrebbe qualora arrivassimo veramente a realizzare processi di clonazione. C’è un quid, l’anima, su cui la tecnica non ha alcun potere. È così evidente! Ma non a tutti: i riduzionisti credono che tutto stia nel Dna, e si affannano a ritenere di aver esaurito il mistero della vita tramite la sua decifrazione. Interessante a questo proposito il fatto che il primo manifesto a favore della clonazione, pubblicato nel 1977 e firmato da biologi come Crick e Dawkins e umanisti come Isaiah Berlin, affonda le sue radici nell’evoluzionismo darwiniano, e in particolare nella affermazione riduzionista di Darwin secondo cui non esisterebbe differenza di qualità ma solo di quantità tra l’uomo e l’animale. Recita il manifesto: “Per quel che la scienza può stabilire le capacità umane sembrano diverse per grado, non per tipo, da quelle riscontrabili negli animali superiori. Il ricco repertorio umano di pensieri, sentimenti, aspirazioni sembra derivare da processi elettrochimici del cervello e non da un’anima immateriale …”.
Temo che qui Agnoli stia facendo un po’ di confusione – e non solo sulla data del manifesto a favore della clonazione, che è del 1997, non del 1977 («Declaration in Defense of Cloning and the Integrity of Scientific Research», Free Inquiry 17, n. 3). Che la clonazione possa servire a «infrangere la morte» non è mai stata una pretesa di chi difende questa tecnica ma, semmai, uno spauracchio agitato dai suoi detrattori. Né serve invocare l’anima e le sue proprietà per rendersene conto: basta l’ovvia considerazione che le memorie di una persona, che ne costituiscono l’individualità, sono il prodotto dell’esperienza (e del resto si dimostra facilmente che la stragrande maggioranza delle connessioni cerebrali non possono essere determinate dai geni).
Quanto al riduzionismo del Dna, perché Agnoli non si occupa di quello che succede in casa propria, invece di cercare di attaccare pretestuosamente gli altri? Chi è oggi che decanta in continuazione l’umanità del concepito, solo perché possiede un set completo di certi geni? Qual è l’agenzia che ci martella continuamente con l’appello a considerare un embrione privo di coscienza esattamente uguale a una persona capace di pensiero – in altre parole, uguale a una persona dotata di qualcosa che possiamo metaforicamente chiamare benissimo «anima»? Chi propaganda questo repellente riduzionismo, da cui trae i più orrendi e infami corollari, come l’obbligo per una donna di dare vita alla progenie del suo stupratore? Il vero pericolo per la nostra umanità è qui, non in una tecnica – la clonazione – che se anche fosse un giorno abbastanza sicura per essere applicata agli esseri umani rimarrebbe circoscritta a pochi casi particolari, e che comunque consiste in nient’altro che nella creazione di un gemello quasi identico e più giovane di una persona esistente. Si potrebbe persino clonare Francesco Agnoli e, facendo adottare il bambino da una coppia con i giusti requisiti, si avrebbe la certezza quasi matematica di non ottenere come risultato un altro reazionario poco informato...

mercoledì 22 agosto 2007

È l’effetto Volontè?

Rimini, 21 agosto (Alice Notizie).

martedì 21 agosto 2007

Il creazionista e la censura

Harun Yahya (nome d’arte di Adnan Oktar), miliardario turco creazionista e antisemita, ha ottenuto da una corte turca il blocco di tutti i blog della piattaforma Wordpress, perché alcuni di questi contenevano materiali che a suo dire lo diffamavano. Come risultato, un milione di blog non sono più visibili in Turchia almeno dal 17 agosto. Il fondamentalista ha rivendicato l’azione legale in una lettera a un responsabile della Wordpress.
Yahya ha firmato il famigerato Atlante della creazione, un lussuoso volume di quasi 800 pagine ripieno della più trita propaganda creazionista, che è stato distribuito gratuitamente in tutto il mondo (Italia compresa).

È difficile prendere sul serio certi pagliacci; ma, come si vede, è necessario, prima che comincino a fare danni su larga scala...

Figli di uno stupro

Tarcisio Bertone ha rilasciato le seguenti dichiarazioni – tra le tante («No all’aborto anche dopo uno stupro», Il Corriere della Sera, 21 agosto 2007):

Bisogna salvare la vita anche se è frutto di violenza […].
Non si può aggiungere a omicidi altri omicidi, l’uccisione di altre persone. Anche se sono persone in fieri, sono persone, sono soggetti umani, con tutta la loro dignità di esseri umani.
Prosegue la polemica verso Amnesty, colpevole di una svolta abortista. La posizione della Chiesa è discutibile e molte delle ragioni sono state già esposte. Tuttavia si dimentica spesso di rilevare un aspetto importante: prendere sul serio la personalità giuridica e morale degli embrioni implica questa posizione (in generale e in particolare). In fondo, che colpa avrebbe l’embrione della violenza che la donna ha subito? Nessuna. E di certo la gravidanza non è pericolosa per la salute della donna (almeno non necessariamente, e forse la pericolosità psicologica di una gravidanza originata da uno stupro non è una ragione abbastanza forte da giustificare l’omicidio di un innocente). Dunque: il problema non è tanto questa posizione della Chiesa (per quanto emotivamente graffiante), ma soprattutto le strategie difensive della possibilità di abortire. Che portano dritte dritte a questo: la difesa più forte del diritto (o della scelta, se si preferisce) di abortire rimane soltanto la critica alla personalità dell’embrione. Le altre strade si intrecciano e si ritorcono contro se stesse.

lunedì 20 agosto 2007

Acrobazie

In Gran Bretagna, un uomo che si trova costretto a urinare in pubblico, lo può fare solo se mira alla ruota posteriore della sua auto e tiene la mano destra sul veicolo.
E non è la legge più stupida.

L’aborto è un diritto

La decisione di Amnesty International di difendere il diritto delle donne all’aborto in casi di stupro, incesto o altre violenze, o quando la gravidanza metta in pericolo la loro vita o la loro salute, sta com’è ovvio suscitando ampie reazioni. Su Avvenire di ieri, Eugenia Roccella lancia una prima bordata contro l’organizzazione («Questi paladini che non vedono e si adeguano», 19 agosto 2007, p. 1):

L’aborto non si può considerare un diritto, anche le femministe lo sanno e lo dicono: è una tragica realtà, che dovremmo sforzarci di arginare, per tentare di ridurre i 46 milioni di aborti che ogni anno si praticano nel mondo.
L’articolo prosegue poi con alcune confabulazioni complottistiche sulla volontà dei «poteri forti dell’antinatalismo» e dell’«Onu» di imporre aborto e sterilizzazione nel Terzo Mondo (mancano, per ora, i black helicopters...). Non vale la pena di confutare la propaganda della Roccella (notiamo solo di sfuggita la fortuna crescente del paralogismo «non è un diritto, è una realtà», introdotto per la prima volta – credo – da Adriano Pessina a proposito dell’eutanasia); chiediamoci piuttosto: l’aborto è davvero un diritto?

La risposta non può che essere una sola: sì, il diritto ad abortire è un corollario inevitabile del diritto fondamentale all’autodeterminazione e alla signoria sul proprio corpo. Non riconoscere il diritto all’aborto significa che qualcuno – non importa se singolo, comunità o Stato – può diventare padrone del corpo di una persona e farne il proprio strumento, irrompendo violentemente nella sfera più intima dell’altro. Se l’aborto non è lecito, se si può impunemente trasformare una donna in un’incubatrice naturale contro la sua volontà, tutto diventa possibile: estrarre il sangue o prelevare un rene con la forza, imporre a una coppia di avere il numero di figli che altri reputeranno conveniente, etc. L’aborto rientra insomma nella sfera dei diritti negativi, cioè dei diritti alla non interferenza (può poi eventualmente trasformarsi anche in diritto positivo, se lo Stato eroga cure mediche gratuite ai cittadini). E non si può obiettare che in questo modo non si tiene conto che nell’aborto è coinvolto un altro essere umano: come ha dimostrato in pagine giustamente celebri Judith Jarvis Thomson, se anche per assurdo l’embrione o il feto nei primi mesi di sviluppo fossero persone autocoscienti, il diritto all’aborto rimarrebbe inalienabile.

Ma c’è qualcosa d’altro da dire; qualcosa che tutte le persone di buon senso implicitamente ammettono, anche se per qualche ragione non viene mai o quasi mai affermato pubblicamente. L’aborto non è solo un diritto. La vulgata politicamente corretta insiste nel presentarlo come male minore, inevitabile dramma per tutte le donne; ma la verità è che per moltissime donne l’aborto è un bene. Come ha detto una volta Katha Pollitt:
L’aborto legale è una cosa buona, e non solo perché impedisce quello clandestino. Senza aborto, le donne sarebbero meno sane, meno educate, meno in grado di realizzare i loro doni e i loro talenti, meno libere di scegliere i propri compagni; i bambini sarebbero accuditi peggio; il sesso sarebbe rovinato dalla paura della gravidanza, come era la norma nei bei tempi andati; le famiglie sarebbero ancora più guaste di quanto non siano già adesso; ci sarebbero ancora più madri singole, più divorzi, più povertà, e più gente infelice che si sentirebbe oppressa dalle circostanze. Sentiamo sempre parlare del rimorso e del rimpianto, e conosco alcune donne che hanno abortito e che provano questi sentimenti; ma non sentiamo mai del rimorso e del rimpianto provati dalle donne che sono andate avanti e hanno avuto il bambino, né sentiamo parlare molto delle donne che si sentono completamente sollevate e grate che l’ospedale fosse lì per loro e che possono continuare a vivere le loro vite – vite che sono buone e morali.
Grazie, grazie di cuore ad Amnesty International per essersi unita alla buona battaglia.

domenica 19 agosto 2007

OT: Romanzo Criminale

L’ho visto dopo ritrosie e pregiudizi e il mio giudizio a posteriori è: peggio di quanto avessi immaginato. Nessuna tensione, fotografia patinata e soave, facce note sovrabbondanti e senza capacità di nascondersi, poca cura nel clima dell’epoca e così via. Sembra di vedere una fiction su una banda di balordi bonaccioni, balordi senza alcuna ferocia, non un film sulla banda della magliana. Per non parlare dell’effetto speciale (?) nella bomba alla stazione di Bologna (che hanno usato un commodore 64?).
Salvo: Gianmarco Tognazzi (dottor Carenza), Antonello Fassari (Ciro) e Elio Germano (il sorcio). Claudio Santamaria (il Dandi).

Romanzo Criminale (2005), regia di Michele Placido.

sabato 18 agosto 2007

Aborto come number one killer

La propaganda antiabortista si somiglia. Ecco le dichiarazioni odierne di Day Gardner, presidente del National Black Pro-life Union, che starebbero bene in bocca al nostrano Antonio Socci.
L’andamento è il seguente: si comincia parlando della violenza nel mondo, dei giovani spaesati, della cultura della morte e si arriva ad attribuire la responsabilità di tutto lo schifo alla cultura dell’assassinio di milioni di innocenti. Gli innocenti vittime degli aborti legalizzati (African American Crime Statistics No Surprise Given Pro-Abortion Culture, LifeNews, 17 agosto). Ovviamente è piuttosto raro che siano nominati i numeri delle morti e delle gravi complicazioni dovute agli aborti clandestini nel mondo. Un numero spaventoso di donne che muoiono o riportano danni irreversibili. Ma, si sa, per gli assassini nessuna pietà.

The answer can never be to protect and respect the lives of “some” people and not the lives of others. It must be ALL – or for many, sadly, it will be nothing!
Abortion is the number one killer of African Americans – killing more black people than heart attacks, stroke, HIV-AIDS, accidents, cancer, violent crime and all other deaths – COMBINED! More than 15 million black people – lost to abortion since 1973.
LifeNews offre altre letture appassionanti sull’argomento e dintorni. Solo per fare qualche esempio:
Illinois Pro-Life Advocates Rally to Protest New Aurora Abortion Center, 17 agosto.
Fred Thompson Explains Abortion Lobbying, He’s “Unabashedly” Pro-Life, 17 agosto.
Associated Press Falsely Claims Abortions Don’t Cause Infertility Problema, 16 agosto.
New Study Wrongly Claims Dangerous Abortion Drug RU 486 is Safe, 16 agosto.
(Qui l’abstract dello studio sulla RU486 pubblicato su un giornaletto).

Il modello dell’astinenza

Hannah Kiefer ha 20 anni ed è Miss Virginia 2007 (Miss Virginia Winner Promotes Abstinence in Face of Abortion Controversies, LifeNews, 16 agosto 2007).
Vuole essere un modello per i giovani e consiglia loro di aspettare fino al matrimonio: l’astinenza è la scelta migliore, secondo la reginetta. Ed è il modo giusto di porsi rispetto a Roe vs. Wade.

Young people in today’s world do not have role models and what better way to encourage teens to make right decisions than to live as an example of someone not far from their age who has set goals and obtained them […]
Abstaining from those downfalls allows a young person to empower themselves to graduate and go on to college for a better a future […]
I volunteer for a nonprofit organization based in Roanoke called Abstinence Education of Virginia.
(Se si hanno rapporti sessuali non si riesce a studiare? o a raggiungere i propri obiettivi?).
Non è solo un consiglio veloce e destinato ad essere travolto da paillettes e corone: Hannah è direttrice dell’Abstinence Education of Virginia at Hollins University.
Nelle presentazione si legge:
We focus on helping adolescents make healthy choices about their future and creating a supportive environment for abstinence education across the Commonwealth.

venerdì 17 agosto 2007

Coldiretti e Calabria contro gli OGM

Nella Seduta n. 36 del 01/08/2007 del Consiglio regionale della Calabria il punto 6 dell’Ordine del giorno era: Progetto di legge n. 174/8^ di iniziativa popolare recante: Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli regionali (art. 40 comma 2 Statuto).

Di che si tratta? Di una iniziativa della Coldiretti (e forse si comincia a capire che aria tira), che ha raccolto un milione (!!) di firme, a sostegno di una legge “sull’origine dei prodotti agroalimentari italiani, dell’introduzione nell’ordinamento nazionale dell’obbligo di indicare nell’etichettatura dei prodotti agroalimentari il luogo d’origine della materia agricola prima impiegata”.
L’obiettivo? “Garantire una corretta e completa informazione ai cittadini circa la provenienza dei prodotti destinati al consumo alimentare nonché di tutelare il vero made in Italy agroalimentare”.
E poi la difesa contro i prodotti esteri scadenti (aggiungerei anche contro i prodotti indigeni scadenti, non forziamo il patriottismo), pubblicizzazione dei prodotti agricoli locali e così via (i dettagli all’articolo 1, Finalità).
Compare (sempre in articolo 1), forse non tanto a sorpresa:

c) vietare la somministrazione di alimenti contenenti organismi geneticamente modificati da parte dei gestori dei servizi di ristorazione collettiva pubblica, nel rispetto del principio di precauzione di cui all’articolo 7 del Reg. (CE) 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio del 2002;
Altro che etichettatura!
L’articolo 7 menzionato afferma:
Principio di precauzione

1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

2. Le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono proporzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di altri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente.
Quali valutazione ha fatto la Coldiretti? Su quali ricerche? Quali sarebbero gli effetti dannosi degli OGM? È sorprendente che nella proposta di legge non ci sia nemmeno un tentativo di argomentare la condanna assoluta verso gli OGM. Nemmeno un tentativo.

Gli articoli 2 e 3 ribadiscono “l’obbligo generalizzato di non impiegare prodotti contenenti organismi geneticamente modificati nell’ambito della ristorazione collettiva pubblica, con contestuale previsione di criteri di preferenza per l’aggiudicazione del servizio di mensa o di ristorazione collettiva pubbliche”. Aspettiamo con ansia di conoscere la decisione del Consiglio regionale della Calabria.

Eccoli per esteso gli articoli 2 e 3.
Articolo 2
Divieto di somministrazione di alimenti contenenti organismi geneticamente modificati

1. In attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, lett. a) della presente legge, e fatto divieto ai soggetti gestori dei servizi di ristorazione collettiva pubblica di somministrare cibi e bevande contenenti organismi geneticamente modificati nonché alimenti ottenuti da animali nutriti con mangimi contenenti organismi geneticamente modificati.
2. La violazione del divieto di cui al precedente comma e considerata grave inadempimento ai sensi dell’articolo 1455 del codice civile e comporta la risolubilità del contratto di appalto del servizio di ristorazione.

Articolo 3
Incentivi per l’utilizzo dei prodotti agricoli regionali nei servizi di ristorazione collettiva pubblica

1. I bandi per gli appalti del servizio di mensa o risto-razione collettiva pubblici, emanati dalla Regione o enti da essa controllati, partecipati o promossi, dalle Province o dai Comuni, devono prevedere, quale titolo preferenziale per l’aggiudicazione, l’utilizzazione di prodotti agricoli regionali in misura non inferiore, in termini di valore, al 50 per cento dei prodotti agricoli, anche trasformati, complessivamente utilizzati su base annua.
2. L’utilizzazione di prodotti agricoli regionali nella preparazione dei pasti forniti dai gestori dei servizi di ristorazione collettiva pubblica deve risultare espressamente attraverso l’impiego di idonei stru-menti di informazione agli utenti dei servizi.

Faccia da... (non lavatrice)

Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, in un’intervista rilasciata al gr di Radio Vaticana, dichiara (Cesa (Udc): grande centro possibile contro testamento biologico e coppie di fatto, Vivere & Morire, 13 agosto 2007):

Abbiamo di fronte a noi, a iniziare da settembre, dalla ripresa parlamentare, delle sfide molto serie e molto delicate. Mi riferisco al discorso dei Dico, si chiameranno Cus ma sono la stessa cosa; mi riferisco al problema del testamento biologico; a tante questioni rispetto alle quali penso che sia importante avere nel nostro Paese un’unità, diciamo un partito, che difenda con maggior forza questi valori.
(Poi, naturalmente, noi si fa un po’ come ci pare e si spera nessuno ci colga in flagrante e se dovesse capitare possiamo sempre rispondere che cosa c’entra la nostra vita privata?)
L’incauto Cesa, però, facendo la suddetta dichiarazione sembra definire i Cus e il testamento biologico valori da difendere (o forse è stato il giornalista che ha ammischiato le cose?).

giovedì 16 agosto 2007

La razza maschia e il femminile sigillo di vastità

Il poeta si interroga sulla violenza contro le donne (Quel sigillo di vastità che ci muove all’ira, Avvenire, 15 agosto 2007). Non contro “la donna”, ci tiene a specificare, perché sarebbe un linguaggio troppo ideologico e formale ma contro Chiara, Luciana e le altre (ne avrebbe potuto elencare almeno qualche altra vista la sua premessa).
Il poeta domanda:

Cosa scatta in un uomo, come me, come chiunque tra coloro che leggono per diventare da amante assassino, o da desideroso di una bellezza, suo violento e feroce distruttore?
Il corsivo è mio e il poeta ha omesso una preposizione semplice (“a”) che avrebbe semplificato la lettura ed evitato ambiguità, perché scritta così sembra – almeno ad una prima e forse annoiata lettura – che “amante assassino” sia la condizione di partenza, mentre la domanda sarebbe: cosa trasforma un uomo da amante a assassino? Ha anche pasticciato con le virgole, ma la poesia non si fa imbrigliare da regole asettiche e offensive.
Veniamo al tentativo di risposta.
Ma nel silenzio della nostra coscienza, di noi uomini, razza maschia, qualcosa forse possiamo confessarcelo. Qualcosa che non sia solo un luogo comune. […] Diciamo che a volte nelle donne qualcosa ci fa rabbia. Diciamo che qualcosa a volte ci può fare arrabbiare. Intendo le volte che vorremmo possedere il loro fascino e il mistero della loro personalità, la loro vasta natura che ospita e nutre la vita. Le volte che qualcosa di loro ci sfugge. C’è qualcosa in loro, nella loro natura, che non si riduce all’immagine che ce ne facciamo. Ai desideri che ne abbiamo. C’è nelle donne qualcosa che sfida la tendenza al potere, al possesso che segna gli uomini. C’è come un terreno inarrivabile. Una zona che continuamente eccede la misura che vogliamo. Che sfugge alle mani delle nostre previsioni e delle nostre voglie. C’è nella loro natura, per come Dio le ha fatte, uno spazio così immenso, così straordinario che vorremmo possedere e invece si dimostra più grande dei nostri sforzi e della nostra presunzione. Dio, per così dire, le ha fatte più grandi di quel che vorremmo. E allora scatta l’ira. Che è contro le donne, e in un certo senso, contro Chi le ha fatte così. Il possesso amoroso, o perfino solo il possesso sessuale, a volte sono vissuti purtroppo come potere di noi, uomini, su di loro. Una formidabile macchina che produce immagini, stili, messaggi di ogni genere, eccita questo genere di pensiero. Macchina le cui leve sono spesso in mani maschili, ma a cui spesso anche donne accondiscendono in cambio di soldi e di fama. La ira di noi uomini, che esplode in troppi episodi, tragici e manifesti, ma anche occulti e subdoli, si nutre da questo odio che ci prende per la grandezza delle donne. Per quel sigillo di vastità che Dio ha messo in loro. Per quel loro meraviglioso essere più profonde della immagine che ce ne facciamo. Non a caso Dio ha scelto una donna, che oggi si festeggia, per trovare uno spazio adeguato al Mistero della sua incarnazione. Ogni offesa alla donna è, si può dire, un’offesa a questa stessa preferenza di Dio. A questo suo sapere come sono fatte. Diciamocelo, che vorremmo noi uomini essere il loro dio. Finendo per essere così, un dio violento. O meglio divenendo bestie.
Traduzione in prosa: Dio ha fatto le donne più fighe della razza maschia, gli uomini se la prendono e le aggrediscono a volte fino a ucciderle, questa grandezza delle donne si rivolge contro di loro e contro Dio stesso (responsabile di averle fatte troppo grandi). Questo sentimento è peggiorato da una “macchina” spinta da papponi e troie. Picchiare una donna significa offendere Dio. Gli uomini vorrebbero essere il dio (con la “d” minuscola) delle donne. Gli uomini finirebbero così per diventare un dio violento. O meglio, bestie. (Non è che sia molto più chiaro del testo poetico.)

Dubbi: che significa essere più profondo di una immagine? Come si sigilla la vastità, con la ceralacca?

Punto di svolta

Alok Jha, «Scientists warn on climate tipping points», The Guardian, 16 agosto 2007:

Some tipping points for climate change could be closer than previously thought. Scientists are predicting that the loss of the massive Greenland ice sheet may now be unstoppable and lead to catastrophic sea-level rises around the world.
In drawing together research on tipping points, where damage due to climate change occurs irreversibly and at an increasing rate, the researchers concluded that the risks were much greater than those predicted by the latest report by the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).
If the Greenland ice sheet melted completely, for example, it would raise global sea levels by seven metres. According to the IPCC report, the melting should take about 1,000 years. But the study, by Tim Lenton of the University of East Anglia, showed the break-up could happen more quickly, in 300 years. Professor Lenton said: “We know that ice sheets in the last ice age collapsed faster than any current models can capture, so our models are known to be too sluggish.”
His study identified eight tipping points that could be passed by the end of this century. They include the destruction of the Amazon rainforest, the melting of the west Antarctic ice sheet, and a collapse of the global ocean current known as the thermohaline circulation. If that circulation stopped, the Indian monsoons and the gulf stream could be shut down.
Prof Lenton said the IPCC way of working, including multiple reviews, caused it to issue more conservative reports than his team’s studies. He added that the inevitable collapse of the Greenland ice sheet was closer than thought because of the latency in the Earth’s climate system. “If you could stabilise the greenhouse gas levels to today’s level, you’ll still get some further warming [by 2100].”
A global average temperature rise of just 1C would be enough to slip the Greenland ice over the edge. The IPCC’s prediction for 2100 is a rise of 1.1C-6.4C.

La Chiesa al di sopra della legge

Forse il miglior commento apparso finora all’incredibile intervista a Vittorio Messori per La Stampa, apparsa sabato scorso: Antonio Scurati, «La Chiesa nemica di se stessa», La Stampa, 15 agosto 2007, p. 1.

L’estate dei preti pedofili. Pedofili e santi. Forse così sarà ricordata l’estate del 2007. Corriamo il rischio che, di qui a cent’anni, quando gli storici si volteranno indietro a studiare la stagione che stiamo vivendo, vi individueranno l’origine di una trasformazione sconvolgente in seno alla Chiesa cattolica, il momento in cui la perversione sessuale cominciò a essere rivendicata quale privilegio ecclesiastico, l’abuso sull’infanzia e ogni altra manifestazione di sessualità patologica cominciarono a essere ritenute il normale contraltare della vocazione religiosa e la Chiesa tutta cominciò a essere percepita da gran parte della popolazione come un luogo separato dalla società, sottratto alle leggi e alle norme che governano la normale convivenza civile, un luogo al tempo stesso superiore e inferiore ad essa.
La Chiesa come arca di vizi demoniaci e angeliche virtù, che prende il largo in un mare sacro, per una navigazione terribile ma forse salvifica, su rotte comunque remote rispetto alla terra sottoposta alla legge degli uomini, quegli uomini che affannosamente la calcano, giorno dopo giorno, portando il loro fardello di piccole speranze e piccoli peccati. L’estate 2007 verrà forse ricordata come l’inizio di una regressione verso un passato arcano, al tempo stesso splendido e oscuro, verso un medioevo di grandi peccatori e grandi cattedrali.
Probabilmente questa rimarrà soltanto una fantasia ferragostana, suggerita dalla canicola e dai pasti abbondanti, ma è suggerita anche dai fatti delle ultime settimane e, soprattutto, da alcuni autorevoli commenti che li hanno accompagnati. Sabato scorso, sulle colonne di questo giornale, Vittorio Messori, uno dei più colti e stimati intellettuali cattolici, coautore di ben due papi (ha scritto libri a quattro mani sia con Benedetto XVI sia con Giovanni Paolo II), in una sconcertante intervista, ha dichiarato di non trovare nulla di scandaloso in un uomo di Chiesa che ogni tanto «tocchi qualche ragazzo» se poi «ne salva a migliaia». Dopo aver ricordato che molti santi e beati della Chiesa erano psicopatici vittime di gravi turbe della sessualità, Messori si è spinto fino a dichiarare che la pedofilia – forse il più odioso tra tutti i crimini, stando al senso comune – sarebbe, secondo un certo «realismo della Chiesa», nient’altro che «un’ipocrita invenzione». Poiché la linea di demarcazione tra l’adulto e il bambino sarebbe sempre in qualche misura convenzionale, non ci sarebbe nessuna sostanziale differenza tra un rapporto omosessuale consensuale tra due adulti e gli abusi di un adulto su di un bambino.
L’aberrante argomentazione di Messori – che io sinceramente mi auguro di aver frainteso – mira a scagionare preventivamente un prete come don Gelmini dalle accuse di molestie sessuali. Non con il dichiararlo innocente, ma con il ritenerlo esente dalla legge penale e morale, anche se colpevole. La sua presunta «santità» lo collocherebbe in uno stato d’eccezione sottratto alla giurisdizione umana.
Da leggere tutto.

mercoledì 15 agosto 2007

Se rallentiamo ancora, andiamo a marcia indietro

È solo il finale di un discorsetto che fa sorridere per l’ingenuità, ma forse è perché si mirava alla divulgazione ampia e la semplificazione ha preso la mano a Gianni Vattimo (Il progresso scientifico? Facciamolo rallentare, la Stampa, 14 agosto 2007, sottotitolo: L’etica della responsabilità strumento contro i fanatici della “verità a tutti i costi”). Oppure gli atroci dubbi sul pensiero debole non erano solo critiche maligne.

Clonare o non clonare esseri umani? Per adesso la domanda non è così urgente, ma potrebbe diventarlo in un futuro non tanto remoto. Sarebbe bello che in questioni come queste si potesse decidere solo in riferimento alla natura, come vorrebbe soprattutto la Chiesa. Ma la natura non ha una voce così univoca, e del resto l'uomo è naturalmente sopravvissuto fino ad oggi perché non l’ha rispettata nella sua mitica intoccabilità. Il «principio di precauzione» che giustamente si invoca è solo un esempio di etica della responsabilità che anche e soprattutto gli scienziati non ignorano, e che vale anzitutto contro ogni fanatismo della «verità a tutti i costi». Ma, di nuovo, il problema diventa allora di riconoscere dei limiti che sono bensì nella cosa stessa - per esempio nel caso degli OGM - e però anche sempre nella «compatibilità» sociale di quel che si fa. Così, nel caso della clonazione, oggi la coscienza collettiva è forse preparata ad accettarla in termini parziali (clonare fegati e budella varie, se possibile) ma non se si tratta di individui interi come noi. Oltre tutto non ce n’è bisogno, dunque sarebbe una cosa da pazzi. Ma il «progresso della scienza»? Può rallentare un po’. Tutti preferiamo vivere in una società più umana, e dunque anche più consueta e familiare, piuttosto che in un mondo magari «migliore», ma in cui non ci riconosceremmo più.
Menomale che almeno Vattimo abbia sollevato qualche dubbio sull’efficacia e la sensatezza del criterio “riferimento alla natura”. Tuttavia l’inutilità e l’ambiguità del riferimento alla natura permane in tutta la sua violenza e in tutta la sua sciocchezza (tralascio il rinforzo “come vorrebbe soprattutto la Chiesa”, immancabile presenza). Ne è una prova il richiamo al principio di precauzione e alla sua presunta efficacia, oltre che al suo indubitabile profilo morale (il principio di precauzione è uno strumento fallace e illusorio, spesso dannoso).
Sul significato dei “limiti che sono bensì nella cosa stessa” non saprei bene come orientarmi. Sembra essere una specie di limitazione intrinseca parmenidea dell’essere che autolimita se stesso (sono andata bene?), ma non saprei come usare questo principio di autolimitazione. Cosa farmene, insomma, e come riconoscerlo: è la cosa stessa che mi informa dei propri autolimiti? La verifica della compatibilità sociale non aiuta a chiarire di molto come e perché limitare una “cosa”. Come si giudica se un prodotto o una ricerca sono socialmente compatibili?

Sulla clonazione c’è il gran finale.
1. È prematuro domandare perché ancora tecnicamente azzardato (concordo solo sulla seconda metà dell’affermazione; sulla prima ho molte perplessità: discutere “in anticipo” offre molti vantaggi, per esempio avere il tempo di conoscere gli estremi di quanto si sta discutendo senza attaccarsi alle scuse dell’emergenza. La mia perplessità coinvolge anche l’inferenza).
2. Non c’è bisogno della clonazione quindi è una cosa da pazzi (discutibile che non ce ne sia bisogno e ambiguo l’uso del termine “bisogno”; in alcuni scenari potrebbe essere l’unico modo per procreare e in assenza di danni non sembra legittimo vietarlo o scandalizzarsi – o meglio, chi vuole si scandalizzi pure ma non rompa a chi avesse bisogno di fare ricorso a questa tecnica. L’inferenza è del tutto strampalata: sia perché la premessa è discutibile, sia perché il fatto che di qualcosa non ci sia bisogno non significa che quel qualcosa sia “da pazzi”. Del pensiero debole c’è forse bisogno? Difficile sostenerlo qualora si intenda “bisogno” nel senso che non ci sono alternative, tuttavia non è questa la ragione per cui il pensiero debole potrebbe essere giudicato “una cosa da pazzi”).
3. Clonare fegati e budella varie (non un solo tipo di budella, ma varie. Non siamo andati troppo nel trash?).

Infine, l’implicita identificazione tra un mondo ove la scienza sia tenuta a freno e un mondo consueto, familiare, più umano (una versione filosofica della famigliola Barilla) è davvero patetica, erronea, pericolosa e ridicola. E sarebbe consigliabile che Vattimo non parlasse a nome di tutti: se lui non si riconoscerebbe in un mondo scientifico, non è detto che tutti gli altri proverebbero la stessa tenera attrazione per una allucinazione di Arcadia.

Tratta di esseri umani?

A conferma di quanto dicevamo qualche giorno fa sui pericoli del Culto dell’embrione, ecco un passo rivelatore da un articolo di Luca Marini, vicepresidente del Comitato Nazionale per la Bioetica («Si loda (e si finanzia) come ricerca ma è tratta di esseri umani», Avvenire, 14 agosto 2007, p. 2):

Mediante strumenti (il finanziamento della ricerca) formalmente neutrali e socialmente utili, sono state legittimate sperimentazioni che hanno già aperto la strada a una nuova forma di tratta degli esseri umani: il commercio transfrontaliero di embrioni destinati ai laboratori scientifici
Qualsiasi persona decente, di fronte alla richiesta di giustificare la propria avversione per la «tratta degli esseri umani», invocherebbe senza dubbio la sofferenza atroce dello schiavo sottratto alla sua terra e ai suoi cari, costretto a viaggiare come una bestia (ieri su una nave negriera, oggi su un container), sottoposto a una disciplina crudele, alla minaccia di punizioni corporali o di una morte senza pietà, privato di ogni libertà e di ogni speranza di riacquistarla.
Non così Luca Marini e chi la pensa come lui: ogni sofferenza, visto che l’embrione non ne può provare alcuna, dev’essere secondaria – al massimo un’aggravante minore – per la condanna della «tratta». La giovane emigrata costretta con le minacce a prostituirsi e l’embrione in provetta arrivato dall’estero hanno in comune soltanto un’identità biologica (il Dna cellulare): quindi sarà questa a contare veramente. La «tratta degli esseri umani» è sbagliata perché è sbagliata, non perché qualcuno ne soffre atrocemente.

Il pericolo del Culto dell’embrione non sta, credo, soltanto nel rendere difficile o impossibile l’aborto o la ricerca sulla staminali, ma anche in questa barbara svalutazione di ciò che è umano, in questa discesa dalla concretezza della persona umana calpestata e sofferente all’astrattezza di un principio algido e sostanzialmente indifferente.

Bush nel 2016

«George W Bush to undergo stem cell therapy», The Stem Cell, 14 agosto 2007:

August 9, 2016 – Christopher Thomas Scott, London Correspondent, World Press International.
British authorities, including former Prime Minister Tony Blair, greeted a gravely ill George W. Bush, aged 70, as he arrived on a hospital gurney to a subdued gathering at Heathrow International Airport. Bush suffers from Guillain-Barré (ghee-yan bah-ray) Syndrome (GBS), an immune system disorder that mercilessly attacks the body’s nervous system. In its severe form, it causes paralysis of the legs, arms, breathing muscles and face. GBS affects thousands of Americans every year. In acute cases such as Mr. Bush’s, the pulmonary complications can be deadly.
Bush’s sickness came on suddenly after suffering a bout of flu at his ranch in Crawford, Texas. As his condition worsened, family members consulted with specialists at Washington’s newly rebuilt Walter Reed Medical Center. Within hours, he was rushed to London on a specially equipped plane staffed with medical personnel. He entered the prestigious King’s College Stem Cell Therapy Institute, where treatments for autoimmune diseases such as type I diabetes, rheumatoid arthritis and GBS show great promise. […]
Bush’s treatment is becoming standard care for Europeans but is virtually unknown in America. Clinicians will begin by using a technique called nuclear transfer – also known as therapeutic cloning. Using a very fine glass needle, the nucleus – containing genetic material or DNA – is gently suctioned from a skin cell donated by Bush’s daughter, Jenna. The nucleus is transferred into a human egg stripped of its DNA. A small pulse of electricity prompts the egg to divide. After a few days, a clump of cells from the inside of the egg are removed and put into a plastic dish where they begin to multiply, forming an immortal line of embryonic stem cells.
The cells made from his daughter’s DNA, while not genetically identical, must be used because the elder Bush’s cells are defective. Doctors first will attempt to fix his faulty immune system by replacing his rampaging white blood cells with healthy, specialized stem cells made from the “Jenna line.” The procedure involves a mild dose of chemotherapy and drugs to prevent rejection of the new cells. Once he has stabilized, a different chemical cocktail will induce the embryonic line to produce a fresh supply of neural stem cells. They will be injected into his brain to replace motor neurons damaged by the disease. Drugs discovered using the outlawed chimeric mice will stabilize Bush while he recovers. Thanks to the new technologies, thousands of patients suffering from autoimmune disease now lead vastly improved lives.
News of Bush’s sickness and treatment sent shock waves through Washington. Religious conservative Pat Robertson, the keynote speaker at a Tennessee conference for geologists studying intelligent design, called for Bush’s immediate imprisonment upon his return to Texas. […]
Meanwhile, Congress called a special session to discuss the issue of a pardon for the former president. When asked after considering Bush’s grave condition if the cloning act ought to be amended to allow therapies using embryonic stem cells, Senate Majority leader Brownback said, “No.” “God is punishing him for the sins he committed during college. His family can be forgiven for trying to make him well. But we must think of all the cloned human beings – the walking, talking embryos reaching out to us with their little hands – that were murdered as a result of this therapy. We must respect their lives more than the life of suffering humans, even humans that are former American presidents. I wish him good luck during his long convalescence in England.”
È fin troppo ovvio che qualcosa del genere, prima o poi, accadrà: se non con George W. Bush, sicuramente con qualche altro avversario della ricerca sulle staminali embrionali.
Sarebbe forse il caso di cominciare a fare l’elenco di quanti in Italia si sono opposti e si oppongono allo sviluppo di queste terapie: uomini politici, uomini di Chiesa, giornalisti, opinionisti, etc., e di vigilare perché in futuro siano posti in fondo alle liste di attesa per i trattamenti corrispondenti. Ma con un’altra facile profezia si può già ora essere certi che molti di loro si troveranno piuttosto in cima a quelle liste...

Mamme, come capire se vostro figlio si droga?

Mi era sfuggita questa approfondita inchiesta del Corriere Salute (Come capisco se mio figlio beve o si droga?, 25 settembre 2006) su come scoprire se il proprio figlio adolescente abusa di sostanze alcoliche o stupefacenti e rispettive soluzioni. A loro però è sfuggita una inchiesta molto più approfondita, soprattutto più immediata perché fa uso di immagini. Altro che Nas nelle scuole!
Qui i dettagli della caccia.

martedì 14 agosto 2007

Viviamo in una simulazione?

John Tierney, «Our Lives, Controlled From Some Guy’s Couch», New York Times, 14 agosto 2007:

Until I talked to Nick Bostrom, a philosopher at Oxford University, it never occurred to me that our universe might be somebody else’s hobby. I hadn’t imagined that the omniscient, omnipotent creator of the heavens and earth could be an advanced version of a guy who spends his weekends building model railroads or overseeing video-game worlds like the Sims.
But now it seems quite possible. In fact, if you accept a pretty reasonable assumption of Dr. Bostrom’s, it is almost a mathematical certainty that we are living in someone else’s computer simulation.
Agghiacciante, no?

Pasqua 2027

Mario Gazzola, «Confiteor», Carmilla, 14 agosto 2007:

Solo l’amore di Gesù toglie lo sporco dalle nostre vite miserabili! – tuona il Papa altissimo e immenso dall’olocast sopra la mia testa. Sono in una cattedrale antica e buia, molto più grande dell’olochiesa della mia parrocchia. Guardo il confessionale. Oscuro, immobile, silenzioso, chiuso dalla sua tendina viola. Mi fa un po’ paura. Sembra vuoto ma so che non lo è. Lo so che lui è dentro. È dentro con la mia amica e presto toccherà a me.
Non voglio. Ho paura!
Da leggere.

Non funzionano

Nicholas Bakalar, «Adolescence: Abstinence-Only Programs Not Found to Prevent H.I.V.», New York Times, 14 agosto 2007:

Abstinence-only programs for H.I.V. prevention do not work, according to a review of randomized, controlled trials. The analysis, published in the August 4 issue of The British Medical Journal, covered 13 studies involving more than 15,000 young Americans.
Most of the programs were based in schools and directed at children in grades five through eight. One was intended for adults ages 18 to 21. There were various control groups, including some in modified programs and in some cases in no program at all. Compared with those control groups, abstinence-only programs had no significant effect in either decreasing or increasing sexual risk behavior.
Seven of the trials tracked sexually transmitted infections, finding no significant short- or long-term benefit to abstinence-only programs. None of the programs made any significant difference in preventing pregnancy, reducing unprotected sex, or delaying sexual initiation.
“We hope our review encourages a closer look at the empirical research regarding H.I.V. prevention programs,” said Kristen Underhill, the lead author and a research officer at the University of Oxford. “It appears that this evidence base is frequently neglected in debates over abstinence-based prevention.”

lunedì 13 agosto 2007

Immigrati nel Luna Park del Mediterraneo (non è un parco giochi)

Luca Volontè (Immigrati ubriachi, rissa nel Cpa, Il Giornale, 13 agosto 2007) commenta a proposito di un tafferuglio – da tanto volevo usare questa parola – scoppiato in un centro di prima accoglienza a Foggia. Senza chiedersi le ragioni dello scambio poco cordiale di sassi tra immigrati e forze dell’ordine, ma forse Volontè condivide con il suo idolo l’onniscienza:

È l’ennesimo gesto che dimostra come l’Italia sia ormai considerata il Luna park del Mediterraneo, dove tutto è lecito e la violenza contro la polizia diviene un vanto […]. Se il premier Prodi […] si vanta nelle foto con gli ambulanti abusivi è chiaro che agli immigrati che sbarcano non si riesce a chiedere nessun rispetto delle leggi. Ci vogliono misure draconiane, altro che accoglienza [!].
Non sapevo che Luna park (avrei scritto Luna Park, ma pazienza) avesse una accezione tanto negativa. Anche perché non è tutto lecito in un Luna Park (per esempio devi pagare il biglietto), a meno che Volontè non pensasse al paese dei balocchi pinocchiesco e si sia confuso. Magari da piccolo si sentiva in colpa quando mamma e papà lo portavano alla fiera paesana con le giostre, e quando gli hanno raccontato a grandi linee (già da piccolo mostrava insofferenza alla lettura) la storia di Pinocchio ha capito che tipo di punizione divina avrebbbe ricevuto se avesse continuato a frequentare tali luoghi di perdizione. Da altri racconti, poi, ha imparato che con le bestie non bisogna manifestare incertezze o debolezze, ma avere il polso fermo e nessuna pietà. Altrimenti se ne approfittano.

Samek Ludovici e la Bomba

Qualche giorno fa Giacomo Samek Ludovici commemorava a modo suo la ricorrenza del lancio della bomba atomica su Nagasaki («Diamo un orizzonte d’umanità alla straordinaria e tragica scienza», Avvenire, 8 agosto 2007):

Era il mattino del 9 agosto 1945 quando un bombardiere B-29 sganciò su Nagasaki una bomba nucleare, come quella già lanciata il 6 agosto su Hiroshima. Le due bombe ebbero effetti devastanti e produssero ovunque distruzione e morte: morirono, all’istante o in seguito, per le radiazioni, tra sofferenze atroci, circa 150.000-200.000 persone, in maggior parte civili inermi. La ricorrenza di quest’ignominiosa sconfitta dell’umanità dovrebbe fare riflettere in questi tempi in cui, per fare solo pochi esempi, in Italia è ripreso il dibattito sulla fecondazione artificiale, in Inghilterra il rapporto parlamentare per la revisione della legge circa le pratiche procreative chiede che si possano produrre embrioni umani per avere pezzi di ricambio, e in Spagna, Belgio, Svezia, Giappone, Australia, Israele, Corea, Singapore e nella stessa Inghilterra è stata già approvata la clonazione terapeutica. Se la storia è magistra vitae, l’indicazione ricavabile dalla distruzione delle due tristemente note città giapponesi è quella della necessità di una limitazione etica e legislativa della scienza. Invece, sono sempre più numerosi gli scientisti che reclamano l’immunità per la scienza e rifiutano che il suo esercizio sia disciplinato; tutt’al più, alcuni ritengono che, se una limitazione dev’esserci, non deve avvenire tramite leggi dello Stato, bensì solo mediante un’autoregolamentazione degli scienziati. Ma che tale autolimitazione sia tutt’altro che scontata lo dimostra appunto la vergognosa pagina scritta a Hiroshima e Nagasaki.
Samek Ludovici trasforma dunque Hiroshima e Nagasaki in due esperimenti scientifici. Il presidente Truman, il segretario alla difesa Henry L. Stimson, il generale Leslie Groves, la guerra stessa, impallidiscono e quasi scompaiono, lasciando sulla scena solo un gruppo di mad scientists, che decidono autonomamente di far scoppiare due bombe atomiche per «vedere l’effetto che fa», respingendo con sdegno ogni limitazione alla libertà di ricerca.
Nessuno nega, naturalmente, il ruolo decisivo degli scienziati nella costruzione delle bombe, e anzi anche nella decisione di avviare il Progetto Manhattan, a partire dalla lettera di Einstein e Szilárd a Roosevelt; ma come tutti sanno – tranne Samek Ludovici – questo coinvolgimento era stato determinato dal timore che la Germania nazista sviluppasse per prima armi atomiche (timore che si rivelerà poi infondato, ma soltanto a guerra finita); non a caso, molti degli scienziati impegnati erano ebrei esuli dall’Europa invasa dai tedeschi. La curiosità scientifica avrà anche avuto un ruolo, ma questo praticamente scompare di fronte alle esigenze militari e politiche dell’epoca: quella di Samek Ludovici è la visione allucinata di un moderno cacciatore di streghe.

Ancora più di questa falsificazione della storia, tuttavia, dà da pensare l’equivalenza morale che il nostro (come tanti dei suoi compari) instaura fra la morte atroce di centinaia di migliaia di persone innocenti e le moderne pratiche procreative. Il culto dell’embrione dà qui il suo frutto ultimo e più avvelenato: se, al fine di contrastare aborto e fecondazione in vitro, si fa della morte di ogni embrione un assassinio, allora il fatto che con la morte di una persona scompaiono anche le sue speranze, i suoi sogni, i suoi affetti, la sua coscienza, diventa necessariamente irrilevante, visto che l’embrione non possiede nulla di tutto ciò. La morte viene ridotta a puro fatto biologico, semplice interruzione del metabolismo, unico denominatore comune fra l’ovocita fecondato e lo scolaro morto a Hiroshima; e al medesimo modo viene ridotta a puro fatto biologico la stessa umanità. Il culto dell’embrione, con i suoi sacerdoti e i chierichetti alla Samek Ludovici, rappresenta oggi senza ombra di dubbio il massimo pericolo per l’umanesimo.

domenica 12 agosto 2007

Ciò che era prima del caso (ovvero: “e la scimmia?”)

Già il titolo è uno spasso (Se tutto è frutto del caso, come spiegare ciò che era prima del caso? La Chiesa, i laici, la fede e la scienza, Libertà, 12 agosto 2007) e insinua il sospetto che le idee dell’innominato estensore siano molto confuse.
Il contenuto dell’articolo è delirante e infarcito di errori ortografici (solo per fare un esempio, regolarmente la terza persona del verbo essere viene scritta “e” + apostrofo; ho corretto perché mi provocava un senso di malessere). Il livello argomentativo e la confidenza con l’evoluzionismo sono talmente poveri da non meritare nemmeno uno sforzo nel rispondere in modo puntuale (il pensiero di Bioetica è stato poi spesso espresso al riguardo).

Si è sentito da parte di scienziati, luminari del sapere, che gli avvenimenti in natura se non ancora spiegati in tutto, la scienza li spiegherà certo in futuro, e, quindi esula come principio di accogliere qualcosa che non può dimostrare.
Tutto ciò che accade ha la sua spiegazione, è stato detto, basta attendere i futuri progressi della scienza e non ci sarà più motivo di chiamare in causa qualcuno: Dio.
Anche l’origine dell’uomo non presuppone l’intervento di un Creatore, in quanto, così spiegano, l’uomo non è altro che un frutto della naturale evoluzione di un animale già esistente che ci assomiglia molto: la scimmia! Sorge spontanea la domanda: e la scimmia?
La scimmia nasce da insicurezze personali, da paure e insoddisfazioni che portano l’individuo a cercare un modo per mettere a tacere o per ridurre la sofferenza del vivere. Poco importa la sostanza, ma la scimmia non ti lascia più in pace, senti il suo respiro sul collo e appena ti giri per guardarla negli occhi, lei gira insieme al tuo corpo e se sei veloce puoi solo vedere di sfuggita la scia della sua lunga coda. Ma che c’entra con Dio? Forse potrebbe essere una dimostrazione della sua inesistenza. Se Dio esistesse e fosse buono e onnipotente e tutto il resto nessuno ricorrerebbe alla scimmia.
Se si potesse dimostrare l’esistenza o meno di un Creatore solo con l’uso dell’intelligenza, questo traguardo sarebbe motivo di grande ingiustizia nei confronti di chi ne fosse meno dotato, e non avrebbe senso parlare di “fede”.
Se fosse concretamente, oggettivamente dimostrabile come pretende certa scienza per credere l’esistenza di un Dio creatore, non ci sarebbero motivi per non credere, e tutti, scimmie comprese, dovrebbero credere per evidenza, per obbligo, non per adesione del cuore e della mente.
Quale scienza? Le scimmie che credono in Dio? Le scimmie che credono? Devo essermi persa qualcosa nel dibattito recente sulle credenze se si afferma senza battere ciglio che le scimmie credono (allo stesso modo in cui ciò si predica degli umani – predica nel senso di predicato e non di predica “ti faccio la predica”)
L’atteggiamento che negasse l’evidenza dimostrerebbe l’ottusità demenziale ed invero l’addio alla laicità tanto osannata oggi, sarebbe un riconoscimento all’intelligenza e l’idea stessa di laicità, ove tutto è lecito per il soddisfacimento del singolo, sarebbe immolata quale sacrificio solo sull’altare del proprio egoismo.
Qui mi sono persa. Chi nega l’evidenza (cioè l’esistenza di Dio) dimostrerebbe l’ottusità demenziale (di chi nega l’esistenza di Dio, cioè l’evidenza) e dimostrerebbe (dimostrerebbe? Mi sarei aspettata implicherebbe) l’addio alla laicità (ma la laicità non è necessariamente coincidente con la negazione dell’esistenza di Dio; sarebbe stato meglio dire l’addio all’ateismo). Da “ove tutto è lecito” alzo le mani, non riesco a capire.
La mia perplessità sull’addio alla laicità aumenta quando ci si sofferma sul significato di “laico”:
oggi è udita (sic, il soggetto dovrebbe essere il significato di “laico”), da una parte come una parolaccia dispregiativa che indica solo uno stato di apostasia e di autarchia, dall’altra, una parola che indica l’apice della libertà senza ma e senza se. Nulla di più falso, è utile fare anche qui un poco di chiarezza: la laicità non significa ateismo o altre amenità, in quella parola può coesistere il laico credente e il non credente, non tutti i cattolici sono ecclesiastici così come tutti i non credenti sono anticlericali.
Non é (sic) la laicità la strada maestra per giungere a dimostrare o negare l’esistenza di un Creatore. Sforzandosi di cercare le leggi che regolano l’universo, la scienza non potrà mai dire, anche se potesse sperimentarle tutte, che non c’è stato un Datore di quelle leggi. Il teorema dell’inesistenza di un Creatore non potrà mai essere dimostrato, mentre tutto concorre a dimostrare l’opposto.
Tutto cosa? Il resto è un capolavoro di idiozia, la sagra del luogo comune sulla casualità contro il disegno intelligente, il Creatore, Dio e le scimmie. Mi limito a riportarlo.
In una certa dialettica che si professa laica è evidente uno sforzo, un accanimento ben preciso, disposto anche a meschine violenze mentali pur di togliere di mezzo quel Creatore che ci interpella dentro. Non è la laicità che potrà negare quel Qualcuno, per il solo fatto da non poter dimostrare il rapporto che si sviluppa tra il Creatore e la creatura, ma solo certificare un metodo, un presunto stato di fatto di orgoglio esistenziale e di materialismo allo stato puro.
Questo è il dramma del giorno d’oggi: l’uomo non si riconosce più come creatura e cerca di dimostrare, con un’intelligenza che si autoviolenta e un orgoglio certo degno di miglior causa, di essere un nulla, semplice materia assemblata casualmente.
Il fatto è che questa laicità non credente ha il coraggio di parlare di dignità della vita umana! Ma il “caso” origina dignità? E, se, per pura ipotesi, ci ritenessimo veramente frutto del caso, che affidamento darebbe la nostra logica, la nostra intelligenza?
Che senso avrebbe parlare del bene e del male, se tutto non è altro che combinazione fortuita di particelle di pulviscolo cosmico, e mai sapremo il perché di esistere?
La laicità non credente come spiega il passaggio della materia inerte a quella vivente? Chi trasmette il soffio di vita? Il caso? O solo tutto questo, molto mode, è solo la negazione di un’evidenza creatrice, imponendo idee di una minoranza nel nome di una libertà libertaria, dove tutto è fortuito. L’ineluttabilità della morte è l’unica certezza, e tra la nascita e la dipartita è certa solo la schiavitù di un’esistenza di vita: tutto e’ casistica, l’incontro della vittima e l’aggressore, una pura coincidenza, la morale un giogo pesante, il successo, il traguardo agognato il potere, pur calpestando i diritti di tutti.
La scienza ha il compito importante di studiare l’evoluzione della vita, scoprire i meccanismi, le leggi che regolano l’universo, cioè ciò che già esiste, ma anche se riuscisse a risalire le origini, all’inizio dell’evoluzione, come potrebbe spiegare “il principio” in base ad una ragione che si sarebbe formata casualmente “dopo”? Se tutto è frutto del caso, come potrà spiegare ciò che era prima del “caso”?
Quando avrà scoperto, compreso, sperimentato, ciò che esiste, o esisteva, la scienza ha adempiuto il suo compito, non sarà in grado di spingersi oltre perché lì e solo lì, comincia il “mistero” comprensibile soltanto attraverso un’adesione di fede che, noi laici credenti, sentiamo in piena sintonia con ciò che ci troviamo, senza nostro volere, dentro, e che sola può spingerci oltre il tangibile ed abbracciare l’origine di tutto!
Il noto giornalista Ferrara, dichiarandosi non credente, disse: “oggi, mi ritengo un uomo fortunato perché sono nato e vivo in un paese in cui l’educazione morale ha profonde radici di giustizia sociale cristiana e mi rallegro! Non mi è stato imposto questo o quest’altro credo, ma sono stato libero di aderire a ciò che la tradizione portava, nel vivere quotidiano, secondo il proprio credo, senso ed intimità personale”.
Il direttore Feltri, in una trasmissione ribadì: “con questo, pur dichiarandomi laico non credente, non mi scandalizzo a ciò che la Chiesa dice, è il suo primo dovere e mandato. Diffido invece di quei politici che dichiarano di professare quel credo, rigettano e criticano le ammonizioni pronunciate su una condotta immorale perché non aderente allo spirito a cui si dichiarano di appartenere in quella comunità, accusando poi, il mittente ecclesiastico di metodi inquisitori e cesaropapisti”.
(Gran begli esempi Ferrara e Feltri!).
Purtroppo quei politici che manifestano con atti codesto pensiero contrario, chiedono i voti e il sostentamento alle loro idee proprio a quella comunità che loro dicono di abiurare e la tacciano di becero bigottismo, nel momento stesso che si fa notare la contraddizione!
Nel nome di quella laicità, l’ipocrisia impera, ma nessuno li obbliga, nemmeno la Chiesa: abbiano il coraggio di ammettere che si è fuori da quella comunità con tutte le conseguenze del caso! E no! Allora l’immagine si offusca, l’onore si macchia, si è liberticidi, e si ricorre con alterigia: dov’è la carità a cui voi nel proclamare aderite?
La morale cristiana ha il diritto di conoscere anche che cosa succede sotto le lenzuola, e pretende che la parola “amore” non venga svilita in strani congiungimenti innaturali o invocare diritti esistenti ad altro status familiare e qui ci fermiamo per quella carità di pensiero che voi reclamate.
Il maestro regista Olmi disse che la sua data di nascita non fu quella anagrafica ma fu quell’attimo, che suo padre e sua madre si videro per la prima volta, lì scoccò quella scintilla che gli diede la vita: ossia l’amore! E allora, se conseguente da uno sguardo scaturì la vita (questo è dimostrato e dimostrabile), perché allora negare che anche il creato sia un atto d’amore, totalmente gratuito, e quello sguardo d’Amore che genera la vita, ci accompagna in ogni secondo della nostra esistenza?
Sveglia cristiani! Il nostro Dna può anche discendere dalle scimmie, con tutto il rispetto delle stesse che sono creature di Dio, la nostra fede é un dono e non un caso. Noi non siamo una casualità di idee, materie e liquidi, la vita che pulsa in noi è un dono e non un accidente più o meno piacevole tra un uomo e una donna, non certamente proveniente da uomo-uomo e donna-donna!
Il lassismo, un falso buonismo ci ha portato a dire: tanto non tocca a me! Divorzio, aborto, eutanasia, e ora anche il testamento biologico e i Dico. E se la pensiamo contro perché così indica la nostra fede, morale ed educazione, siamo tacciati di becero fondamentalismo, quando ci va bene invero dichiarati retrogradi, incivili, oppressori di diritti, da una minoranza che vuol divenire maggioranza pur non essendola. Lo specchietto delle allodole divengono i sacrosanti diritti del singolo, il mancato rispetto di regole di convivenza (stato da loro liberamente scelto, come il partner), e il diritto di farla finita quando la morte tarda ed altro dello stesso tono!
Questi laici sono pronti a commuoversi per una scatola di micini o cani che vengono uccisi (che cos’è una scatola di micini? Ndr), tutti pronti a gridare al colpevole e punirlo nel nome di una morale e di una civiltà moderna e nel contempo assolvere altri simili umani (casomai, senza dubbio: discendenti dalle scimmie) che fanno morire milioni di bambini, perché tale medicina o medicamento é (sic) coperto da brevetto o con pochi spiccioli di moneta, diversamente usati, nutrirli e guarirli!
Altresì fanno girotondi, cortei, marce e scioperi, in omaggio ad una idea politicizzata, servi di un potere umano di chi, con arte induce ad una lotta tra poveri, non perché venga riconosciuto un qualsiasi diritto, ma soltanto per il consolidare il potere di chi le ha proposte, in cui, il rivelabile amore per il prossimo è irriconoscibile e una remota disastrosa possibilità che ciò possa evidenziarsi.
L’illustre Machiavelli in una sua celebre frase disse: “dividi et impera” e poiché l’unica Unità, oggi esistente, pur scossa da terremoti morali ed umani ma con il nocciolo duro è la Chiesa, tutto è messo in atto, affinché la stessa si divida e si spacchi su questioni pseudo morali e pseudo diritti umani, trovando terreno fertile nella maldicenza, nel terreno anticlericale e dalle sciagurate notizie di comportamenti errati del clero: pedofilie, omosessualità, violenze di vario genere comprese quelle sessuali.
Un monaco Shaolin sentenziò che per distruggere una fede basta distruggere l’immagine che essa evoca e così facendo si distrugge ciò che in se stessa rappresenta.
In un’aurea paginetta lessi questa prosa che indica la ragione della mia fede:
“Uomini semplici” io rimango sempre alle porte dell’uomo semplice che è cosciente del proprio nulla. Le mie parole sono di viva attualità per il vostro mondo che ripone tutte le sue sicurezze nei beni materiali. Sono condanna per gli uomini del potere che, sicuri della loro umanità, pensano di essere autosufficienti e dispongono di uomini e cose senza alcun riferimento alla legge di Dio. La vostra salvezza non sta nella scienza e nella cultura, sta nelle mie parole.