lunedì 30 aprile 2007

Inesistenti contraddizioni


Mi era sfuggito questo pezzo di prosa davvero ignobile (per usare le parole di chi me lo ha segnalato): Di omofilia e omofobia, Il Foglio, 28 aprile 2007. Sottotitolo: La chiesa cattolica è contraddittoriamente accusata di omofilia e di omofobia patologiche. Nella mozione di Strasburgo si è rischiato un secondo caso Buttiglione. Qui si discute il problema, che è interessante.
Firmato (vedi accanto):

Perché la chiesa cattolica è accusata da chi non la ama di essere patologicamente omofila e patologicamente omofoba? Il principio di contraddizione dovrebbe impedirlo, invece succede.
Già solo l’incipit meriterebbe una dissertazione filosofica implacabile. E noiosamente lunga. Cerco di essere sintetica.
Il principio succitato è quel principio “secondo il quale io non posso affermare e negare nello stesso tempo, e prendendo i termini nello stesso senso, un predicato di un soggetto” (questo dice Gabriele Giannantoni, e io lo cito volentieri e con un po’ di nostalgia – era un gran maestro il Gabriele!)
Insomma non posso dire di X che è A e non-A. Per i nostri intenti è utile tenere a mente quel “prendendo i termini nello stesso senso”. Intendendo i termini “omofilia” e “omofobia” in senso letterale potremmo anche avallare il richiamo al principio di contraddizione e riscontrare che è contraddittorio predicare al contempo filia (amicizia, simpatia, tendenza, affinità, favore) e fobia (paura di carattere patologico) verso qualcuno.
Suonerebbe strano, insomma, dirsi al contempo affini e spaventati da X. Se provo simpatia per Mario non dovrei allo stesso tempo esserne spaventato. Ma se spostiamo l’attenzione sulla inevitabile contraddizione che caratterizza alcuni sentimenti umani la situazione si complica. Se poi leggiamo oltre ci rendiamo conto che “omofilia”, per il proboscideo, non ha affatto il significato di volere bene agli uomini (sentimento più o meno sessualmente connotato), ma di abuso:
Il Vaticano ha ammesso drammaticamente le sue insufficienze nel controllo e nella dissuasione di fenomeni di abuso omofilo in alcune importanti diocesi americane, e non solo in esse.
(I corsivi sono miei.)

Allora la contraddizione tra “essere omofobi” e “abusare sessualmente di qualcuno” (che sia dello stesso sesso è poco rilevante) non ha più quella cristallina chiarezza esistente tra il predicare A e non-A di X. “Abuso omofilo” si avvicina ad essere un ossimoro.
Mi auguro che il fatto di avere ammesso inadeguatezza nel controllare e nel dissuadere dagli abusi non voglia suonare come una giustificazione o, peggio, una assoluzione verso gli abusi compiuti e verso i responsabili degli abusi. Né da parte della chiesa, né da parte del quadrupede ingombrante.
Per quanto riguarda le “alcune importanti diocesi americane” (ove sottolineo “alcune”) non posso che rimandare per l’ennesima volta alla mappa degli abusi (dal sito di Deliver Us from Evil) e al database di quanti sono usciti fuori dal controllo della chiesa e non sono stati dissuasi dallo stuprare.
Ma, al di là delle manipolazioni interessate e delle montature mediatiche wasp (white anglo saxon protestant) che pure ci sono state, la chiave di tutto, per le persone informate e non prevenute, è sempre stata questa: nel suo ordine, la chiesa tende a derubricare quel che noi consideriamo reato in peccato, inosservanza comportamentale o violazione canonica dentro una comunità sociale di amore che ha per tema decisivo la salvezza dell’anima di ogni peccatore. Ecco perché al posto delle denunce tempestive, nella diocesi di Boston e in altre ci furono, in misura sicuramente minore di quel che suggerisce la campagna anticattolica sviluppatasi negli anni scorsi, provvedimenti blandi, trasferimenti, tentativi di correzione nel silenzio (e anche al fondatore dei Legionari di Cristo, gravemente sospettato di abusi omofili, è stato risparmiato un pubblico processo).
La chiave di tutto: il reato diventa l’errore di una pecorella smarrita; siccome ogni peccatore deve avere salva l’anima si insabbia l’abuso; alla voce “salvezza dell’anima” si evita il pubblico processo. Ecco perché! Ora sì che è chiaro. E che cosa ne è dei bambini abusati? Di quanti in nome di Cristo sono stati costretti a soddisfare i bisogni carnali di chi avrebbe dovuto badare alle loro anime? Di quelli che non si toglieranno mai più di dosso lo schifoso odore degli umori sessuali e mai più dalla orecchie il frusciare delle lunghi vesti scure?
Dunque quella chiesa che è percepita come omofila, luogo di una vocazione omosessuale diffusa e mal controllata, spesso trasformata in violenza psicologica o altro, è in realtà una comunità monosessuale in cui si manifestano problemi tipici di altre comunità simili (basti pensare al concetto ironico inglese di “autonomia della flotta” per spiegare la sessualità dei marinai), e questi problemi sono accuditi con l’intenzione di correggere i comportamenti e salvare le anime, cioè offrire una speranza di redenzione individuale a ciascuno. Non è indulgenza omofila, per così dire, è solo che la chiesa fa il suo mestiere, per così dire.
Vorrei appellarmi ad un altro principio: quello dell’onestà. Un conto è la questione sessuale tra consenzienti (che scopino, che si fottano fino a non poterne più); un altro conto è la violenza e l’abuso. Quanto al mestiere della chiesa, niente di nuovo.
Ed ecco il gran finale.
Se ci riflettete lo stesso vale per la presunta omofobia “malata” della chiesa, l’altra e contraddittoria accusa che le viene rivolta. La chiesa, come tutti sanno, accoglie, confessa, assolve gli omosessuali, e nella realtà della sua vita e anche della sua dottrina li ama, li predilige come pecorelle smarrite, e da molto tempo ormai la chiesa-istituzione è molto laica nell’affrontare questa questione sociale (non scordiamoci che l’omofobia era la regola sociale diffusa fino a tre decenni fa, per esagerare, anche nella società civile occidentale, ed è legge nel mondo islamico). Li ama dunque, e tuttavia, anche qui, vuole correggere quei comportamenti, li ritiene significativi, non omologabili alla costruzione di amori e famiglie biparentali classiche. Insomma, anche qui la chiesa corregge, ha un modello, una dottrina sociale, un catechismo, una sua idea di verità da proporre. Ed eccoci al punto chiave. Dai tempi del caso Buttiglione, che si ripete in forma meno grave con la parte della mozione antiomofoba approvata ieri l’altro a Strasburgo in cui si cerca di coinvolgere la chiesa nell’accusa di omofobia (per il resto la mozione va benone), si è visto che l’Europa politica, per come si esprime nelle sue classi dirigenti euroburocratiche del Parlamento europeo, tribuna laicista quant’altre mai, vuole stangare la presunta omofobia della chiesa e, anche se non lo sappia, esprime in questo la stessa cultura anticattolica delle campagne sull’omofilia della chiesa. Una chiesa che si proponga di correggere i comportamenti, madre e maestra, è inaccettabile in una società neosecolarista, poco laica, intollerante verso qualunque principio educativo che alluda a qualcosa piuttosto che al niente, quando questo qualcosa abbia un contenuto oggettivo di verità. L’omofobia va messa al bando, certo, ma anche la pedagogia cattolica? È laico questo? No.
Di Buttiglione abbiamo già detto. Della laicità pure. Così della idiozia e di tante altre amenità. Una sola scottante questione rimane inevasa: ma l’elefantino ci fa o ci è? Tertium non datur (oppure sì?).

La temperatura di fusione dell’inferno

È uno dei trucchi retorici preferiti dai fondamentalisti, soprattutto (ma non solo) quando cercano di contrastare la teoria dell’evoluzione: anche la scienza – dicono – contiene in sé un irriducibile elemento fideistico, e non può quindi accampare pretese di superiorità nei confronti della religione. Possono essere gli assiomi o i principi di partenza, o il fatto che il pubblico deve necessariamente fidarsi di quello che dicono gli scienziati: in ogni caso, c’è una credenza che non può essere giustificata empiricamente – proprio come nel cristianesimo.
Questa strategia argomentativa diventa però controproducente, se portata alle logiche conseguenze: se alla fine ciò che conta è la credenza irrazionale, allora che cosa distingue la scienza dalla pseudoscienza? Davvero non c’è differenza tra chi pensa che la terra sia sferica e chi la immagina piatta? E, peggio ancora, che cosa distinguerebbe le varie fedi religiose? Cosa renderebbe differenti gli insegnamenti di Ron Hubbard da quelli di Cristo?
Altre volte il paragone rimane limitato, e confutarlo è meno immediato (e un po’ più interessante); vorrei esaminere qui uno di questi tentativi.

Berlicche è uno dei molti blog di integralisti cattolici (l’autore, Antonio B., appartiene a Comunione e Liberazione), dove trovi ciò che normalmente si trova in tutti gli altri: l’orientamento politico rigorosamente di destra; l’esibizione talvolta un po’ stucchevole delle gioie della vita cristiana, unita da una parte a dichiarazioni vagamente untuose di umiltà e dall’altra al disprezzo manifesto per chi cristiano non è, disprezzo venato a volte di razzismo (l’autore dice per esempio dei Giapponesi, in un commento, che «sono un esempio pratico e fulminante di come la mancanza di Cristo possa portare la violenza sugli altri uomini a livelli difficilmente immaginabili, pur in mezzo ad un formalismo e moralismo a noi (fortunatamente) ignoti»: si può supporre, generosamente, che B. non ignori le statistiche che pongono costantemente il Giappone in fondo alle classifiche mondiali dei tassi di criminalità, e che si stia riferendo a qualche forma più sottile di violenza, ma allora con lo stesso ragionamento se ne dovrebbe dedurre che da noi si ammazza di più per la presenza di Cristo...). Un elemento più originale, che ha fatto la fortuna del blog, è la prosecuzione delle Screwtape Letters di C.S. Lewis, in cui Berlicche – il diavolo che elargisce consigli al maldestro Malacoda – tende spesso a incarnare i valori degli odiati «laicisti»: un esercizio, insomma, di letterale demonizzazione.
Recentemente B. ha dedicato due post al paragone tra scienza e fede. Nel primo, «Vedere l’infinito» (11 aprile 2007), azzarda un paragone tra conoscenza dei buchi neri e conoscenza di Dio:

Un buco nero, per definizione, è un oggetto astronomico che non solo non si vede, ma non si può vedere. La sua caratteristica è di avere una attrazione gravitazionale così forte che la luce (e ogni altra cosa) non ce la fa ad uscire da esso: è attirata inesorabilmente indietro, curvata, ingoiata.
Il buco nero è così “visibile” solo indirettamente, osservabile solo dagli effetti che la sua presenza ha su quanto lo circonda.
La conoscenza di un buco nero, quindi, è ancora scientifica o no?
Se di esso non è possibile fare ipotesi, perché oltre il suo confine, il suo orizzonte degli eventi niente ritorna, la conoscenza di esso non diventa una conoscenza di fede?
Se di Dio è possibile solo una conoscenza indiretta, come è differente questo dall’ipotizzare l’esistenza di un buco nero? Si può dire per questo che il buco nero non c’è, che Dio non c’è?
Qui B. introduce una distinzione insostenibile tra l’osservazione diretta di un oggetto e l’osservazione tramite gli effetti che esso ha su ciò che lo circonda: anche la luce emanata da un corpo visibile non è altro che un effetto fisico, che non ci fa certo conoscere l’oggetto in sé. Il buco nero ha effetti fisici imponenti, che ci permettono di misurarne con precisione le caratteristiche (le coordinate spazio-temporali, la massa, la carica, il momento angolare), e non è meno conoscibile – per quanto riguarda queste proprietà – di qualsiasi altro ente fisico. Si potrebbe sostenere tutt’al più che i buchi neri sono troppo fuori mano per misurarne tutte le proprietà, ma d’altra parte è proprio per questo che per la scienza la loro esistenza – checché ne pensi B. – non è un dato acquisito al di là di ogni dubbio.
Il secondo post («Conoscere l’inconoscibile», 12 aprile) è più interessante, e ci porta al tema di apertura.
mettiamo che vi dica, che so... che la superficie del Sole è solida. O che il polo nord di Saturno è un enorme esagono. E che all’altro polo c’è un buco in cui ci potrebbe cascare la Terra dentro. O che le stelle sono diamanti. O che il cielo è la casa di Dio. Voi potreste dubitare di quello che dico, e ne avreste tutte le ragioni. Chi sono io per voi?
E quindi occorre verificare.
Ma non sempre si può, non tutti possono andare fino a Saturno per guardarne i poli. […]
E quindi scatta quell’altro meccanismo della conoscenza che si chiama certezza morale. Anche se mi sembra impossibile che il polo di Saturno, o di Giove, sia a forma di esagono, siccome mi conosci e sai che di me ci si può fidare allora ci credi, fino a prova contraria.
Prendiamo ad esempio una cosa come il battesimo, o la confessione. Che possano rimettere, perdonare i peccati è certamente qualcosa che esula dall’indagine fisica. Non c’è, e probabilmente non ci sarà mai, un misuratore di Grazia, un indicatore tarato di peccato.
Alla fine del post B. offre i link che provano la veridicità dei fenomeni astronomici straordinari che ha citato. La logica, apparentemente, tiene: se affermazioni fisiche come «l’accelerazione gravitazionale nominale alla superficie terrestre è di 9,81 m/s2» o «il punto di ebollizione dell’acqua è di 100°C al livello del mare» sono in linea di principio accessibili alla mia esperienza diretta, affermazioni straordinarie a proposito del pianeta Saturno o di altri astri sembrerebbero accettabili solo per fede in chi ce le comunica, non diversamente (mutatis mutandis, è ovvio) dai fatti straordinari del Vangelo a noi pervenuti per la trasmissione apostolica. Ma è proprio così?
Diciamo subito che due delle affermazioni non sono poi così straordinarie, tanto che non è forse un caso che B. le riporti imprecisamente: al polo sud di Saturno non c’è «un buco in cui ci potrebbe cascare la terra dentro», ma l’occhio di una sorta di uragano stazionario; che questo possa (quasi) contenere il nostro mondo non è poi così incredibile, in un pianeta la cui superficie è 84 volte quella terrestre. E non è vero che «le stelle sono diamanti»: lo sono solo alcune nane bianche; il fatto – in sé non particolarmente straordinario – che i loro nucleo fosse composto di carbonio, e che sia stato sottoposto a una pressione enorme, rende l’esistenza di un gigantesco diamante al loro centro non meno credibile di quella di un normale diamante terrestre.
Le cose cambiano con l’esagono di Saturno. Qui B. ha assolutamente ragione: questo è un fenomeno straordinario e inatteso, che nessuno fino ad ora è riuscito a spiegare in maniera soddisfacente, e che sembra sfidare – con la sua apparenza geometrica e perfettamente regolare – la nostra intuizione fisica. C’è però un ma: scrive B. che «non tutti possono andare fino a Saturno per guardarne i poli»; ma in realtà, e in un certo senso, è proprio quello che è successo. Tutti possiamo guardare i poli di Saturno come se ci trovassimo lì, grazie alle foto della sonda Cassini in orbita attorno al pianeta; è proprio così che abbiamo scoperto l’esagono misterioso al polo nord e l’uragano gigante al polo sud. Se un astronomo avesse riferito di avere intravisto l’esagono con il suo telescopio, senza poterne scattare le foto, lo scetticismo sarebbe stato generale e, penso, legittimo.
Si dirà: vabbè, in fondo così si sposta soltanto il discorso; rimane vero che si crede all’esistenza dell’esagono perché si ha fede nella Nasa, e nelle foto che sostiene di avere ricevuto dalla sonda. Ma anche questo sarebbe sbagliato: in realtà, quando accettiamo la veridicità delle foto, non lo facciamo perché abbiamo fede nella veracità della Nasa. Noi valutiamo quale sia il miracolo maggiore: che esista un fenomeno al momento inspiegabile su un pianeta dalle caratteristiche fisiche molto diverse da quelle a cui siamo abituati sulla terra, o, viceversa, che alla Nasa sia in corso un complotto che coinvolgerebbe come minimo decine di persone. Se le foto avessero mostrato al polo nord di Saturno il volto sorridente di Topolino, non ci sarebbe stata fiducia che tenesse: saremmo tutti stati certi di una burla, per quanto folle e colossale.
Chi mi legge ricorderà certamente chi è stato per primo a utilizzare questo ragionamento: sì, si tratta proprio di David Hume, nel saggio «Of Miracles», dove il medesimo argomento viene utilizzato per negare credibilità a ogni storia di miracoli. Ciò che ci induce a credere alla presenza di un esagono tra le nubi di Saturno non può essere utilizzato, temo, per dimostrare i prodigi della storia sacra.
Veniamo infine all’ultima, e più interessante, delle meraviglie astronomiche che Antonio B. ha ritenuto di invocare. Il sito The Surface Of The Sun ci informa in un linguaggio accessibile della clamorosa scoperta compiuta grazie agli osservatori spaziali SOHO, Trace, Yohkoh ed altri: contrariamente a tutto quello che si credeva vero, la superficie del Sole è solida, non gassosa, e composta di ferrite (cioè di minerale di ferro), non di idrogeno e di elio con tracce di altri elementi. Immagini suggestive ci mostrano l’aspetto di questa superficie, che giace al disotto della fotosfera (la superficie visibile dell’astro). Si tratta di una novità assolutamente incredibile – e per una buona ragione: perché non è vera. Il sito è opera di un crank, tale Michael Mozina, che non sembra avere nessuna qualifica accademica, e le cui idee non trovano alcun riscontro nella letteratura scientifica. B. si è fatto ingannare dall’apparenza relativamente seria del sito.
Si dirà che questo non dimostra nulla: non ci fidiamo del primo Carneade, abbiamo fede negli scienziati con PhD; non ci fidiamo del Testimone di Geova che bussa alla nostra porta, ci fidiamo del fine teologo laureato alla Gregoriana. Una questione di fede, in ogni caso. Ma le cose non stanno così.
Sarebbe possibile dubitare del sito di Mozina anche senza sapere assolutamente nulla dello stato della ricerca sul sole o della biografia dell’autore. La temperatura media della fotosfera solare è di 5800 gradi Kelvin; il punto di ebollizione del ferro è di 3134 K. Com’è possibile che sotto la fotosfera ci sia ferro solido? (E stiamo trascurando il fatto che la temperatura aumenta con la profondità, mentre la pressione atmosferica rimane sempre al disotto di quella al suolo terrestre.) Ancora: la densità del ferro, poco sotto il punto di fusione, è di 7.000 kg/m³, quella media del sole di 1.400 kg/m³. Quindi il sole sarebbe composto in gran parte di elementi più leggeri del ferro; ma allora com’è possibile che la crosta non sia sprofondata verso il centro, in particolare all’epoca della formazione? Questa è fisica elementare; e anche se fosse possibile elaborare modelli sofisticati per rendere conto di queste anomalie (che Mozina comunque non ci offre), almeno qualche sospetto dovrebbe nascere.
Non la fede ci deve dunque guidare nella valutazione delle affermazioni straordinarie, ma il senso critico, e la conoscenza di qualche cognizione di base. Non voglio tuttavia insinuare che queste due ultime qualità manchino assolutamente ad Antonio B. (anche se la notizia che fa l’ingegnere genera in queste circostanze una leggera apprensione...); probabilmente, a furia di pensare al diavolo, gli sarà venuto facile assimilare il sole all’inferno: caldissimo, ma con una solida, indistruttibile struttura.

Aggiornamento: ho cancellato il nome originale dell’autore di Berlicche; la spiegazione si trova nei commenti.

domenica 29 aprile 2007

20 + 20 non fa 40!

Nel documento Alleati con la famiglia, redatto dal Centro Aiuto Vita Ingauno e che i volontari del centro stesso ci hanno gentilmente inviato per posta elettronica, oltre a sottoscrivere il Manifesto “Più famiglia” e ad esprimere il sostegno all’iniziativa del 12 maggio a piazza San Giovanni si offrono dettagli organizzativi (tipo treno o pullman).

COSTI VIAGGIO IN TRENO:
adulti singoli 20 euro, coppie di sposi 30 euro, figli a seguito se minori di 10 anni gratis, maggiori di 10 anni 10 euro ciascuno.
(Il corsivo è mio.) Siamo o non siamo alleati con la Famiglia? (è una esortazione vero? voce del verbo allearsi? altrimenti sarebbe Alleati della famiglia.)

Il prete felice

La convinzione che i preti sono infelici e frustrati sarebbe, secondo il nostro Giacomo Samek Lodovici, molto diffusa (e commenta, “temiamo”). Ma niente paura, perché oggi (Fare il prete la professione più felice, Avvenire, 29 aprile 2007),

Giornata delle vocazioni, possiamo riferire di uno studio che smentisce completamente questa visione. Infatti, da una ricerca del General Social Survey dell’Università di Chicago, risulta che i membri del clero sono la categoria “professionale” più felice e gratificata negli Stati Uniti. Il dato si riferisce al periodo 1972-2006 ed è stato ricavato su un campione di più di 50.000 americani. I ricercatori si aspettavano che le professioni più gratificanti fossero quelle più prestigiose e remunerate. Invece, a dispetto del disprezzo con cui sono spesso visti e del loro modesto salario, i più soddisfatti del loro lavoro sono risultati proprio preti e pastori.
Facciamoci due conti: non rischiano il licenziamento, non rischiano proprio niente direi (follia a parte, ma questo è un rischio equamente distribuito, e poi andrebbe affrontato all’origine, all’epifania della vocazione), non vanno in cassa integrazione, se peccano sono perdonati (e siccome per molti vale l’equivalenza peccato=reato la cuccagna si allarga!), godono di una rispettabilità e di una affidabilità che per molti è gravoso conquistare (sì, magari un po’ di smalto è venuto via per quelle malelingue che raccontato di abusi e violenze su bambini e su altre persone in nome di Gesù, ma si sa che le malelingue vanno tenute a bada e che farebbero di tutto per rovinare il prossimo), hanno un potere assolutorio (vero o presunto) che riempie di presunzione e di crassa soddisfazione, coltivano la filastrocca che gli sbagli sono sempre rimediabili e perdonabili, un paio di preghiere e l’anima torna candida, al contrario della fedina penale dei civili. La descrizione della felicità (professionale)!
Vi risparmio l’apologia su dovere-amore del Lodovici.

Nomination proposta per Roberto Calderoli

Al prestigioso premio che porta il suo nome, il nome del Sommo Cavadenti Padano inopinatamente prestato alla politica.
Roberto Calderoli commenta la nuova legge in tema di immigrazione al vaglio:
«Dopo gli ultimi casi di cronaca nera, protagonisti gli immigrati, ora mi sento di dire che se mai dovesse essere approvata quella legge ricorreremo al referendum abrogativo» (Calderoli: «È colpa degli immigrati», E Polis, 29 aprile 2007).
Merita il premio (per l’ennesima e non certo ultima volta) per essere riuscito a coprire di ridicolo un avvenimento drammatico come la morte di una ragazza, morte tanto assurda come quella di Vanessa Russo.

Bomba contro aborto

Arrest Made in Bomb at Texas Clinic, Washington Post, 27 aprile 2007:

A 27-year-old man has been arrested in connection with a makeshift bomb that was found outside a clinic where abortions are performed, authorities said Friday.
Paul Ross Evans has been charged with use of weapons of mass destruction, manufacture of explosive material and violating freedom of access to clinic entrances, according to a statement issued by the Austin Police Department.
“We’ve got an ongoing investigation into him and all of his particulars,” said Erik Vasys, a spokesman for the FBI. Evans was on parole for a burglary conviction, authorities said.
The bomb was discovered Wednesday, and authorities had asked area abortion providers to be vigilant after a U.S. Supreme Court ruling last week that banned a type of late-term abortion.
The bomb was found in a bag in the parking lot of the Austin Women’s Health Center. After an employee found the package, a bomb squad detonated the device.
It contained an explosive powder and two pounds of nails, said David Carter, assistant police chief.
Had the bomb detonated, it could have injured people 100 feet away, police said.
(Continua)

sabato 28 aprile 2007

Ariel: un pullo per Piero Welby

Mina Welby è la madrina di Ariel, come lei stessa racconta (in Ricordo di Piero), uno dei quattro pulli di falchi pellegrini che vivono nel sottotetto di Economia Politica a Roma.
Ariel è di colore argenteo, pesa 430 grammi e ha una apertura alare di 89 centimetri (dal Forum di Birdcam).

Post-it salvavita

Valentina Montisci, Un post-it per salvare cena e matrimoni pericolanti, 28 aprile 2007, E Polis, p. 44.

A risolvere i problemi della vita di coppia ora ci pensano i post-it. Grandi oppure piccoli, profumati oppure no, di mille forme e di mille colori sono entrati nella vita quotidiana della maggior parte delle coppie inglesi. Una stella rossa, o una mela verde appoggiata al frigo in cucina risolve molto di più di un’attesa fino a tarda sera per dire al proprio compagno di portar fuori la spazzatura, di accompagnare il cane a far pipì, o di passare a prendere i propri figli a scuola. Sono soprattutto le donne, giovani e con brillante carriera d’avanti, a farne largo uso. Li sistemano un po’ ovunque: in cucina, in camera e perfino in bagno per non dimenticare nulla, per ricordare scadenze e appuntamenti al proprio partner e a se stesse. Un modo diretto per obbligare i mariti a far le cose. Un bigliettino adesivo che può essere appeso in mille posti, non si può non vedere e i destinatari sono obbligati a rispettare e esaudire le richieste senza batter ciglio.
È LA VITA CHE CAMBIA, gli impegni che si accavallano assieme alle tante attività che ogni giorno si sovrappongono e rendono sempre più difficile ricordarsi appuntamenti e priorità. E se prima il posto delle lunghe lettere d’amore o quello delle infinite conversazioni era stato preso dalle mail, ora anche la fredda missiva del pc è stata spodestata e al suo posto sono comparsi sms a volontà e i colori dei post-it. Una donna su cinque, almeno secondo il sondaggio della compagnia di assicurazione inglese per sole donne Sheilas’ Wheels, sembra usare questo metodo per non rimandare al pasto serale tutti i messaggi per il proprio lui. Si evita così di investire il partner di tutta una serie di lamentele che rovinerebbero la cena e pure l’umore di tutti e due. Lo studio ha evidenziato poi che in una vita frenetica e iper affollata rimangono soltanto dieci minuti per l’intimità, per parlare col proprio uomo in un clima di relax. Pare così quasi obbligata la scelta dei fogliettini per scambiarsi messaggi scarabocchiati in fretta e furia o veloci sms col telefonino: sono immediati, semplici, diretti e fanno guadagnare tanto tempo. E poi perché no, magari qualche volta basta fermarsi un minuto in più per non scrivere il solito “Ricordati di” ma lasciare una frase d’amore su uno sfondo pastello per ribadire al proprio compagno che non si vive di solo lavoro.

L’Italietta di Cogne

Daniela Amenta, Cogne, il dramma che non ha un finale, 28 aprile 2007, E Polis, p. 6.

Annamaria Franzoni condannata a 16 anni. Pena ridotta per le attenuanti generiche. Così ha deciso la Corte d’Appello nell’udienza numero 24, la ventiquattresima stazione di una via Crucis iniziata il 30 gennaio del 2002. Mentre la folla preme, mentre il circo mediatico va in onda, mentre la gente in fila si accaparra il numeretto per partecipare all’evento, cresce lo scollamento tra realtà e percezione della realtà. Cinque anni. Con l’unica vittima rimasta sullo sfondo di un processo fiume, un dramma all’italiana che della tragedia greca non ha né il passo, né il respiro, né – pare – un unico finale salvifico, catartico. Perché ad aleggiare sul “caso Cogne” anche domani, anche se dovessero arrivare i giorni della Cassazione e perfino dopo la sentenza della Suprema Corte resterà perpetuo l’alito del dubbio. Anche per questo Samuele è oramai una icona, il solo non protagonista di una storia stracolma di personaggi. Fin troppi, fino al limite della volgarità. Samuele trasformato in una prova, un fascicolo, un pigiamino sporco di sangue, sublimato nel seggiolino vuoto di un’altalena in quel giardino di terra montana. Anche l’orrore si metabolizza. La televisione ce l’ha messa tutta per farci ingoiare le lacrime della signora Franzoni, le tracce sul lenzuolo, i frammenti della mattanza, la villetta di legno. Satolli di immagini, parole, gemiti, flash di questa donna enigmatica e di una famiglia “tanto unita” da seppellire lo sgomento tra uno studio tv e un’aula di tribunale. Satolli e soddisfatti, tanto da non aver più spazio nel cuore per riuscire a provare pietà, inquietudine. Dunque, Samuele resta sullo sfondo di un Paese che va in gita a Cogne con la videocamera, un Paese che fa ressa davanti ai palazzi di giustizia, un Paese che si prende la libertà di formulare la propria opinione solo annusando l’alito di un microfono. Clacque, nient’altro che clacque appostata ai margini di una passerella macabra. Percezione deformata della realtà, appunto, nell’Italietta che scommette pure sui delitti, così abituata al televoto da voler dire la propria anche questa volta. Invece non c’è nulla da dire in nome del popolo italiano e del dubbio che resta incollato tra la camera di consiglio della Corte di Torino e la camera da letto di una casa in legno. Nulla da aggiungere per colmare il senso di vuoto di un’altalena spostata solo dal vento.
(Nella foto in fila per lo show in Tribunale)

Rassegna stampa personale da E Polis

Mi è capitato spesso di leggere articoli interessanti su E Polis e di dispiacermi che non ci fosse un archivio in cui fossero conservati e potessero essere consultati anche in seguito al giorno della pubblicazione.
E allora (senza nessuna aspirazione archivistica) ho pensato di postarne qui qualcuno. Cominciando da oggi. Con un pezzo di Daniela Amenta e uno di Valentina Montisci.

Caccia alle streghe a Rignano Flaminio?

C’è qualcosa di strano nella vicenda di Rignano Flaminio, che non mi pare abbia ricevuto finora l’attenzione che meriterebbe. A lume di buonsenso, persone capaci di macchiarsi di atti simili, che uniscono malvagità e temerarietà inaudite, non devono trovarsi dietro ogni angolo. Un pedofilo, certo, può coinvolgere un coniuge o un compagno di cui domina la volontà; può godere di protezioni da parte dei propri superiori, se fa parte di un’istituzione omertosa; può stringere rapporti con una rete che unisce a distanza altri criminali; ma che in un paesino di ottomila persone si trovino contemporaneamente sei persone di questa fatta (mentre di altre ancora si starebbe valutando la posizione!), e che quattro in particolare lavorino nella stessa piccola scuola, supera quasi ogni credibilità. L’isteria collettiva, come si sa, può creare mostri dove non ce ne sono, o estendere ad innocenti le colpe di uno o al massimo di due.
Poi, naturalmente, tutto è possibile; ma per adesso, l’unica mostruosità accertata è che i nomi di cittadini non ancora giudicati colpevoli né arrestati in flagranza di reato, e per i quali comunque il quadro accusatorio (per quel poco che se ne sa a questo momento) non appare proprio saldissimo, si trovino stampati su tutti i giornali.

venerdì 27 aprile 2007

Il caso (intelligente?) di Antonino Zichichi

Clima: Zichichi, “non solo colpa dell’uomo”, Il Corriere della Sera, 26 aprile 2007:

ROMA – “Non è vero che è stato dimostrato che quello che sta avvenendo è colpa dell’uomo. L’uomo nel motore meteorologico interviene al massimo al 10%, l’altro 90% ce lo dimentichiamo?”, sono, queste, le parole del professor Antonino Zichichi, lo scienziato della World Federation Scientists. Zichichi sta partecipando al convegno “Mutamenti climatici e sviluppo”, organizzato presso il Pontificio Consiglio giustizia e pace. Secondo il professore, “nessuno oggi è in grado di dire di aver capito matematicamente e scientificamente il problema, in modo da poter fare previsioni. Non si possono sbagliare le previsioni, la meteorologia non è scienza”, ha spiegato il professore. “C’è molto da fare ancora sia nello studio della struttura matematica necessaria, quindi la formulazione dei modelli, sia nelle osservabili sperimentali. Non è un caso – ha aggiunto Zichichi – se la Nasa l’anno scorso ha lanciato due satelliti per studiare il sistema che permette alle nuvole di esistere”.
Capito? Io suggerirei di scrivere una letterina a Dio, che tra il disegno intelligente e la meteorologia ha pure tanto da fare, ma visto il mittente dovrebbe scomodarsi per qualche minuto e darci una risposta: insomma, ’sta lacca per i capelli la possiamo usare oppure no?
Non mi è chiaro il nesso tra 1) Non si possono sbagliare le previsioni e 2) La meteorologia non è scienza, forse non c’è come in tutti i discorsi di Zichichi, perché andare a cercare un nesso dico io? C’è ancora molto da fare, non vi è dubbio, soprattutto in questa branca sperimentale della matematica necessaria, quella necessaria a non farti fregare il resto al mercato. E poi certo che non è un caso che la Nasa etc. etc. Ma dico, stiamo scherzando? Un caso?! È un disegno intelligente. Una mappa teleologica.

Dimenticavo. Non è mai superfluo ricordare che la World Federation Scientists (che parolone) sembra qualcosa di serio che potrebbe gettare credibilità sul groppone dello Zichichi. Ma a leggersi la storia e a conoscere i fondatori si capisce che non è certo un caso…

Il capolinea di Luca Volontè

Luca Volontè («Deriva anticlericale che alimenta l’eversione», Il Giornale, 27 aprile 2007):

L’Europa è al capolinea: a Strasburgo c’è chi vuole punire i cattolici, le famiglie naturali, gli eterosessuali – dice Volontè riferendosi alla risoluzione che condanna l’omofobia delle confessioni religiose.
C’è una potente minoranza gaia che vuole imporre l’ideologia omosessuale
[…] A Strasburgo c’è chi vuole imporre legislazioni premiali per gay e lesbiche e punire cattolici, famiglia naturale ed eterosessuali. È inaccettabile.

B16: un telegramma per il Messico. Oggetto: aborto

“Vi esorto a difendere con ferma decisione il diritto alla vita di ogni essere umano dal primo istante del suo concepimento, di fronte a qualsiasi manifestazione della cultura della morte”. Questo il testo del telegramma che Benedetto XVI ha inviato ai vescovi messicani tramite il segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone.
Perché ribadire la difesa della vita a partire dal concepimento? Perché è stato approvato dall’Assemblea legislativa del Distretto federale di Città del Messico un progetto di legge per depenalizzare l’aborto entro le prime 12 settimane di gestazione. Approvazione sostenuta da 46 voti contro i 19 contrari e una astensione. Finora, come in molte legislazioni restrittive sulla possibilità di interrompere una gravidanza, era consentito abortire soltanto nei casi di stupro, di malformazione del feto o di rischio per la vita della madre. Eccezioni a ben guardare contraddittorie, almeno le prime due: se infatti la vita è sacra a partire dal concepimento, come può una violenza carnale indebolire tale sacralità? Il concepito (che è una persona in base a questa visione) non è responsabile dello stupro, e dovrebbe essere trattato come gli altri concepiti. Proprio come un concepito malformato (non uccidiamo, infatti, i malati!).
Quella di Benedetto XVI non è stata l’unica voce contraria. Gli antiabortisti hanno sfilato portando piccole bare bianche, dimentichi insieme alle gerarchie ecclesiastiche, che le stime ottimistiche parlano di 100.000 aborti clandestini ogni anno. E dovrebbe essere superfluo ricordare che, forse, anche la vita delle donne andrebbe difesa.

(Ieri su E Polis, con il titolo Ma il Vaticano dimentica gli altri aborti)

Francesco Agnoli e l’albero della vita

Francesco Agnoli ha visitato una mostra sull’evoluzione che «imperversa» (così scrive sul Foglio del 26 aprile, a p. 2, in un articolo dal titolo «La scimmia è nuda, e lo resterà finché non impara a fare il sarto») al Museo di Scienze Naturali di Trento. Di fronte a una didascalia che dimostrava la comune discendenza tra uomini e scimpanzè in base al famoso 98% di DNA che le due specie condividono, al nostro è venuto di fare una riflessione, che così ci riporta:

poco oltre si spiega che condividiamo il 90 per cento del patrimonio genetico con i topi e il 21 con ogni verme: che le scimmie, da cui noi deriviamo, originino a loro volta dai topi e questi dai vermi? Per coerenza si dovrebbe dirlo, ma forse sembra un po’ troppo...
Agnoli, evidentemente, proietta sugli organizzatori della mostra una perplessità che è soltanto sua: se davvero «sembrasse troppo» andare oltre i Primati, cosa dovrebbero fare gli evoluzionisti? Ammettere che le scimmie primitive sono state create da Dio?
Invece, l’antenato comune tra Primati e Roditori risale a circa 75 milioni di anni fa, mentre la nostra parentela con i vermi è più lontana: 590 milioni di anni fa, o forse 630, se consideriamo alcune specie peculiari di vermi piatti. La scienza accetta pacificamente non solo che scimmie, topi e vermi discendano da un antenato comune, ma che lo stesso sia vero per tutti gli animali, le piante, i funghi, i protozoi, i batteri, etc. Chissà cosa direbbe Agnoli, se lo sapesse: lui, imparentato con una muffa!
L’origine comune di tutti i viventi trova nell’albero filogenetico della vita la sua espressione grafica più immediata. Del frutto di quest’albero Francesco Agnoli non sembra volersi nutrire; cosa aspettarsi, del resto, da quest’Adamo innocente, che non ha voluto mai stendere la mano neanche all’albero della conoscenza?

La richiesta di Giovanni Nuvoli

È difficile fare i conti con la richiesta di morte da parte di chi non sopporta più la propria esistenza, perché compromessa da una patologia incurabile e invalidante. È difficile emotivamente e umanamente. Perché si vorrebbe trovare una soluzione che non c’è.
Tuttavia questa difficoltà non dovrebbe essere usata per mettere in dubbio la legittimità della richiesta stessa. Giovanni Nuvoli ha chiesto di morire senza soffrire: di essere addormentato e scollegato dal ventilatore meccanico che simula il suo respiro. Il suo desiderio è assolutamente legittimo.
Dopo 14 mesi passati in terapia intensiva e mesi di attesa per avere un sintetizzatore vocale che gli permettesse di recuperare almeno in parte la possibilità di manifestare le proprie volontà, Giovanni Nuvoli è finalmente tornato a casa il 6 aprile scorso. Pochi giorni fa ha convocato alcuni giornalisti: ha ribadito il suo desiderio di morire e ha dichiarato di avere trovato un medico disposto a esaudire la sua volontà.
Nemmeno i dubbi circa la reale volontà di Giovanni Nuvoli, sebbene ora dissipati dalla recente dichiarazione, dovrebbero intaccare la legittimità della richiesta di morire (nelle condizioni in cui il morire è l’unica alternativa ad una caricatura di esistenza. Piergiorgio Welby diceva: “morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche”).
Accertare la volontà di morire può essere difficile, ma ciò non autorizza a considerare quella volontà inammissibile o, peggio, a turarsi le orecchie come in presenza delle Sirene.
Da un lato c’è la difficoltà, in generale, di valutare la capacità di intendere e di volere di quanti vivono una condizione patologica tanto drammatica (capacità aggredita dalla disperazione, dai dubbi, dal dolore) e le ulteriori complicazioni nel caso particolare di Nuvoli (la quasi impossibilità di comunicare senza il sintetizzatore e le insinuazioni sulle tendenze manipolatorie di Maddalena Soro, la moglie).
Dall’altro c’è la legittimità assoluta della richiesta di essere scollegato dal ventilatore meccanico e di essere sedato. Legittimità che poggia su alcuni principi che è difficile contestare. Che è immorale contestare. Primo tra tutti la libertà di decidere circa i trattamenti sanitari cui sottoporsi (o cui sottrarsi). Ogni cittadino ha la possibilità di rifiutare farmaci o terapie che giudica inappropriati. Ogni cittadino può decidere in base ai propri valori, alle proprie idee. Nessuno può obbligarlo, nemmeno in nome del “suo bene”; tantomeno in nome di un valore discutibile e non assoluto come la sacralità della vita. A questo si aggiunge la doverosità di alleviare le sofferenze di un paziente. Qualche volta l’unico modo per calmare il dolore è quello di indurre uno stato di incoscienza: la sedazione totale.
Nuvoli sta chiedendo qualcosa che ha il pieno diritto di chiedere. Sarebbe augurabile che si smettesse di ripetere cantilene insensate (“la vita è sacra”, “Nuvoli è strumentalizzato”, “questo è un omicidio”) e si cominciasse a rispondere ai tanti Giovanni Nuvoli con rispetto. Perché Nuvoli è malato, ma non è scemo. E perché meriterebbe il riconoscimento di un diritto, e non l’ipocrita pietismo di chi si sente detentore delle Verità e delle Soluzioni definitive.

giovedì 26 aprile 2007

Socci si confonde

Antonio Socci è rimasto molto turbato dal consenso che il ministro della Salute Livia Turco ha espresso in merito al ddl presentato dall’onorevole Vladimir Luxuria, che addebiterebbe al Servizio Sanitario Nazionale le spese per modificare i caratteri sessuali secondari dei transessuali (già oggi l’operazione per il cambiamento di sesso è gratuita). Socci insiste in particolare su un concetto («L’ultima della Turco: trans a spese dello stato», Libero, 25 aprile 2007):

questa “conquista” dei “trans genere” può far esplodere anche una colossale contraddizione ideologica per il movimento gay, finendo per codificare addirittura nella giurisprudenza l’idea che l’omosessualità sia una patologia bisognosa di cure sanitarie, tesi contro cui si sono sempre battuti strenuamente.
[…] quando si parla di “salute” e di rimborso del Servizio sanitario nazionale inevitabilmente si parla di patologie. E non è il movimento gay che ha sempre “fulminato” chi parlava dell’omosessualità come patologia? […] Del resto una vittoria storica del movimento gay è stata la cancellazione – da parte dell’Apa – dell’omosessualità dal manuale diagnostico, il Dsm e di conseguenza la stessa cancellazione, nel 1991, da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità dal suo manuale, l’Icd.
[…] se il problema è di competenza medica, non è forse una patologia? […] Nella delibera della Giunta Regionale toscana per giustificare questo intervento del Servizio sanitario regionale si parla del “transessualismo” come “disturbo dell’identità di genere” che è “una forma di profondo malessere che necessita delle cure adeguate”.
[…] Si tratta quindi di patologie, disturbi, malessere, assistenza e cura. E nessun rappresentante dei gruppi gay ha protestato.
Ma perché si può parlare di “patologia” e “disturbo” quando si deve giustificare il rimborso del servizio sanitario, mentre non è permesso discutendo di omosessualità e transessualità? È contraddittorio.
Come si vede, Socci non è solo turbato, ma anche molto, molto confuso. Come già la Conferenza Episcopale Italiana prima di lui, confonde l’identità di genere con l’orientamento sessuale. La prima riguarda il genere con cui mi identifico; il secondo quello per cui provo attrazione. Un transessuale è una persona che sente di appartenere al genere sbagliato: il suo sesso biologico non coincide con la sua identità di genere. Questa condizione genera molto spesso una sofferenza acuta, che può anche portare al suicidio, quando il transessuale si percepisce come prigioniero del proprio corpo; in questo caso si parla appunto di disturbo dell’identità di genere, per il quale l’unico trattamento esistente sembra essere quello ormonale e/o chirurgico. Il Gender Identity Disorder si trova per questo ancora elencato nel DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), 302.85, a differenza dell’omosessualità, che non vi compare più già dalla settima ristampa del DSM-II, nel 1974. È una condizione che, al di là della proposta di Luxuria (nel cui merito non entro), meriterebbe come si vede almeno quel rispetto minimo che consiste nel parlarne con cognizione di causa.
Ma Socci guarda il mondo attraverso le lenti deformate della propria ignoranza, e si scandalizza perché lo vede storto.

Il terrorismo dal volto umano 2


Come promesso ecco la seconda parte dell’intervista a monsignor Michel Schooyans, professore Emerito di Filosofia politica e di Ideologie contemporanee all’Università cattolica di Lovanio (Belgio), su Zenit, 26 aprile 2007.

(Domanda) Nel suo ultimo libro, “Il terrorismo dal volto umano”, lei denuncia una nuova forma di terrorismo, quello dal colletto e dal camice bianchi. In quale modo questo nuovo terrorismo favorisce il culto della morte?

Monsignor Schooyans: A differenza dal terrorismo classico, il nuovo terrorismo è tanto più efficace quanto più è discreto. Esso ricorre ad una serie di argomenti, nei quali si incontrano le scienze biomediche, la demografia, il diritto, le tecniche di comunicazione. Questo tipo di terrorismo ha l’appoggio logistico e finanziario di alcune delle più importanti organizzazioni internazionali. Questo nuovo terrorismo attacca innanzitutto l’integrità intellettuale e morale delle persone. Sembra avere un volto umano; sembra onorare la verità; sembra favorire la libertà, mentre nella realtà cerca di trascinare gli uomini nella cultura della morte.
Il senso naturale delle parole viene distorto, rivoltato per rivestire imprese omicide. Non esiste più alcun criterio per distinguere il vero dal falso, il bene dal male. La giustizia è il prodotto di un mercanteggiamento e poi di un consenso. Ne consegue che il diritto, ad esempio, deve essere salvato dall’indegnità nella quale è caduto quando viene strumentalizzato per giustificare qualsiasi azione.
(Ma che ha detto?)
(Domanda) Lei sottolinea che questo terrorismo dal volto umano è un fenomeno assolutamente nuovo. Ma cosa dire della propaganda e del lavaggio del cervello nei grandi sistemi totalitari contemporanei…

Monsignor Schooyans: Effettivamente, da tempi immemorabili, gli uomini hanno avuto la tendenza ad accettare volontariamente i loro vincoli. Questo meccanismo psicologico viene sfruttato anche ai nostri giorni, con tecniche raffinate. Ciò che costituisce una drammatica novità, è l’organizzazione su scala mondiale di un fronte comune contro la vita.
Un fronte comune, dove lavorano in sinergia giuristi, politici, medici, economisti, etici, filosofi, dai quali ci si potrebbe aspettare che essi proteggano la vita senza ambiguità. Nei fatti, ci troviamo in presenza di una nuova rivoluzione culturale, di portata mondiale, totalmente chiusa alla trascendenza e dominata dall’utopia di una società chiusa alla speranza.
Ma la parte migliore è la seguente:
Il terrorismo dal volto umano aggredisce l’essere umano poiché esso è l’immagine di Dio. Non potendo colpire Dio, le forze del male si sono scatenate contro la creatura che, attraverso la sua ragione e la sua volontà, riflette qualcosa del Suo volto divino. Davanti a coloro che rifiutano di riconoscere che essi sono finiti ed accogliere l’invito a diventare figli di Dio per sempre, la Chiesa deve offrire al mondo il messaggio di tenerezza che rianimerà la capacità di amare, sonnolenta nei cuori più induriti.
(Trovare una etichetta è alquanto difficile: Delirio?)

24 ore su 24: ovvero, sorveglianza bioetica 2

Da una agenzia del 24 aprile (AGI) abbiamo la possibilità di conoscere il parere di Sandra Monacelli, UdC, sulla vicenda di Giovanni Nuvoli.

Se qualcuno pensa di staccare la spina, chiederemo l’avvio del procedimento per omicidio. Perché la famiglia naturale di Nuvoli continua a non essere considerata e non viene fatto loro accedere al malato? La volontà espressa dal Nuvoli è la sua oppure è quella maturata in conseguenza di altre situazioni. Queste sono domande a cui andrebbero date delle risposte, come Commissione di Inchiesta sul Sistema Sanitario (quella che parlava di sorveglianza bioetica! N.d.R.) abbiamo affrontato questa situazione, incontrato tutti i soggetti interessati e definito una risoluzione approvata ad ampia maggioranza con la sola eccezione dei rappresentanti di Rifondazione Comunista rimasta a tutt’oggi inapplicata. Nella risoluzione si disponeva il trasferimento di Nuvoli in una struttura sanitaria attrezzata tipo rsa capace di garantire continuità sanitaria assistenziale 24h/24 o in subordine poteva essere disposta l’ospedalizzazione domiciliare previa garanzia di mantenimento della continuità sanitaria e assistenziale 24 ore su 24.
Gentile Signora,
ho soltanto una domanda da rivolgerle: si è mai posta il contorto problema di chi sorveglia i sorveglianti? Perché, sa, io me lo domando spesso. E da quando ho letto quel documento mi interrogo anche sulle divise che cotali sorveglianti bioetici dovrebbero indossare: sgargianti ma sobrie, visibili ma discrete, lussuose ma semplici. Un po’ come la favola di Italo Calvino...

La strada verso il nulla di Giovanni Nuvoli

La richiesta ufficiale di Giovanni Nuvoli di morire ha scatenato, come prevedibile, una ennesima accozzaglia di commenti e invettive e preghiere rivolte a chissà chi (anche a Giovanni Nuvoli stesso, come quella di Marina Corradi su Avvenire di ieri, Giovanni, osiamo dirti: «Coraggio»).
Nuvoli ha dichiarato di non avere mai cambiato idea e di avere trovato un medico disposto a esaudire la sua richiesta. Ai giornalisti che domandavano “quando, quando?” (alla faccia del buon gusto!, tutti a caccia di dettagli scabrosi: quando? giovedì o domenica, perché così sposto la messa?), Nuvoli risponde che sarà il medico a decidere. E su questo Marina Corradi si inalbera, trovando la risposta di Nuvoli inverosimile, assurda.

Che un medico, per quanto fautore dell’eutanasia, possa “decidere” quando è l’ora di dare la morte a un paziente, appare difficilmente credibile. Nuvoli è sofferente come si può esserlo nella sua condizione, ma anche mentalmente lucido. E quel gesto di somministrare dei sedativi, di staccare la spina del respiratore, non può trovare medico che lo pratichi, anche se gli venisse esplicitamente chiesto dal malato stesso. Per questo la richiesta fa pensare. Come un tacito abbandonarsi alla scelta di altri; come se, pure dal suo letto di paralisi e di respiro artificiale, il malato avvertisse il baratro di vuoto, che si apre davanti a un uomo quando dica: adesso fatemi morire.
Non ha pensato Marina Corradi che il medico avrebbe “deciso” in basi a valutazioni tecniche, e che non sembra esserci nulla di scandaloso in questo, dal momento che Nuvoli ha espresso la sua volontà? (Nuvoli vuole morire senza soffrire e ricorrerendo alla sedazione e al distacco del respiratore; sul quando saranno pure affari suoi, o no?) E in base a cosa “quel gesto di somministrare dei sedativi, di staccare la spina del respiratore, non può trovare medico che lo pratichi, anche se gli venisse esplicitamente chiesto dal malato stesso”? Non di certo in base alla possibilità di ricorrere alla sedazione, anche totale, o in base alla possibilità di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, o in base alla libertà individuale, o ancora in base ai principi del consenso informato. Allora, in base a cosa, di grazia, “non può”, che altro non sembra che la versione volgare e declinata al singolare di “non possumus”.
Considerando poi che secondo Marina Corradi la gente fronteggia
la morte incombente con forza e speranza umanamente non spiegabili; e questo da quando, dopo la ribellione più feroce e più umana, aveva accettato il suo destino, e finalmente riconosciuto che quella strada non era verso il nulla
è tutto più chiaro. Ora siamo più tranquilli.

mercoledì 25 aprile 2007

L’astinenza non basta

Uno studio dimostra definitivamente il fallimento delle politiche dell’amministrazione Bush sull’educazione sessuale, che il presidente ha preteso di ridurre alla sola propaganda in favore dell’astinenza (Arthur Caplan, «Bullheaded Bush Administration Puts Abstinence Ideology Before Lives», blog.bioethics.net, 24 aprile 2007):

In a just released major study ordered by Congress, independent researchers found that in four typical abstinence-only programs sampled from around the country there was absolutely no difference between the sexual activity of kids in these program and kids who were not. In one of the abstinence-only programs studied, the students met and got the ‘no sex’ message for an hour every day! All of the abstinence-only programs in the study had at least 50 hours of class time. The kids were in the programs for one to three years starting at about age 11.
Chastity-only sex ed had no impact whatsoever on the kids’ sexual behavior. The abstinence-only kids admitted to having sex at the same rate and starting at the same age as other students not in these classes. Whether they were in an abstinence-only class or not, by the time they reached 17 years of age, half the kids said they had had sex and half had not.
Telling kids every day “don’t have sex” – and nothing else – really does not work. American teenagers continue to get pregnant at a startling rate, leading to about 250,000 abortions every year – a higher abortion rate than in Canada, Sweden, the Netherlands or France, where sex ed consists of more than just “say no.”
The rates of sexually transmitted disease among American kids continue to outpace those in other developed nations. There is plenty of scientific evidence from the United States and Europe that sex-ed programs that talk about contraception, condoms and abstinence do a better job at preventing unwanted pregnancies and controlling sexually transmitted diseases than abstinence-only programs.

25 aprile


“Nonno, che cos’è quello?”.
“È l’altare della patria, Giovannino. In ricordo dei caduti”.
“Come dei caduti? Di quelli inciampati?”.
“No, no. Dei soldati morti”.
“In Iraq?”.
“No, figliolo, qui in Italia, tanti anni fa”.
“Nonno, ma c’era la guerra pure qui?”.
“Sì, Giovannino. Sono morti in tanti”.
“E perché c’era la guerra, c’erano i terroristi islamici?”.
“No, c’erano alcuni italiani che combattevano contro altri italiani”.
“E perché combattevano se erano tutti italiani?”.
“Avevano ideali diversi”.
“E si sono ammazzati per ideali diversi?”.
“Sì”.
“E allora che cosa si festeggia oggi?”.
“Si festeggia la libertà”.
“Nonno, io non ho capito. La libertà da cosa?”.
“Vedi, Giovannino, alcuni italiani avevano tenuto la libertà solo per loro…”.
“E perché?”.
“…e l’avevano limitata o sottratta per tutti gli altri”.
“Che vantaggio avevano nel negare la libertà agli altri?”.
“Credo che sia per via del desiderio di potere”.
“E non si può avere potere senza lasciare gli altri liberi?”.
“E che potere sarebbe? Se tu sei libero puoi scegliere di non obbedirmi!”.
“Ah. Come quando mi dici di non attraversare la strada da solo?”.
“Proprio come quando ti dico di non attraversare la strada da solo”.
“Allora tu sei come quegli italiani?”.
“Ma io lo faccio per il tuo bene. Sei ancora piccolo tu!”.
“E quando sarò grande potrò attraversare da solo?”.
“Certo. Devi solo avere un po’ di pazienza”.
“E non potevano avere pazienza pure gli altri italiani, quelli senza libertà?”.
“Loro erano grandi, Giovannino. E molti di loro hanno subito molte ingiustizie”.
“Ma allora, nonno, oggi non è la festa di tutti?”.
“Certo che è la festa di tutti”.
“Ma come può essere la festa anche di quelli che toglievano la libertà agli altri?”.

(Il nonno fa confusione tra guerre, periodi storici e monumenti; ma non è importante.)

martedì 24 aprile 2007

Il terrorismo dal volto umano

Adozione di bambini da parte di coppie ‘gay’ (perché tra virgolette?), eutanasia anche per i bambini (per gli adulti allora va bene?), liberalizzazione dell’aborto (quale soluzione?): cultura contro la vita (la vita?).
Questo è l’incipit di Il terrorismo dal volto umano (Parte I), ovvero Intervista a monsignor Michel Schooyans, Zenit, 24 aprile 2007.
E direi che può bastare. Inutile leggere oltre. Però non perdetevi il prossimo giovedì (come si annuncia in chiusura) la seconda parte dell’intervista: “Il terrorismo dal camice bianco”; il lavaggio del cervello nei grandi sistemi totalitari contemporanei; la questione dell’obiezione di coscienza.
A giovedì.

Fecondazione eterologa

Luca Volonté (PD, Volonté (Udc): “Fusione con Ds è ‘fecondazione eterologa’”, D’Onofrio (Udc): “Non c’è nuovo senza radici”, NoiPress, 20 aprile 2007):

“Dall’intervento di ieri di Fassino a quello di oggi di Rutelli emerge l’intenzione chiara di un nuovo partito democratico frutto di una vera e propria fecondazione eterologa. Entrambi i soggetti politici non pongono al centro la propria identità, ma esaltano il metodo della mediazione. Un partito senza identità, anche se nuovo, non può avere nessuna forza attrattiva e anzi rischia di allontanare gli elettori”.
“Il percorso annunciato oggi da Rutelli proprio sotto l’aspetto dei valori – sottolinea l’esponente centrista – è esattamente l’opposto di quello indicato dall’Udc”.
“Sono significativi – prosegue Volontè – gli applausi che i delegati hanno rivolto al discorso di Rutelli, quando è stata citata l’abolizione della legge Calderoli e l’entrata nell’attuale maggioranza dell’onorevole Follini, ma ancor più evidente è la grande liberazione, scandita da rumorosi apprezzamenti, all’annuncio del presidente Prodi di voler concludere la propria esperienza politica a fine legislatura: tre passaggi che contraddistinguono un momento di confusione”.
“Che il congresso della Margherita abbia valutato come priorità del Paese la crescita economica e un nuovo piano per la casa è un aspetto positivo – osserva – ma denuncia tuttavia la totale dimenticanza delle grandi sfide della bioetica per la difesa della vita umana e della centralità della famiglia nell’orizzonte dei contenuti e dell’azione politica del nuovo Pd”.

lunedì 23 aprile 2007

Terrorismo abortivo


Da una AGI di oggi da Città del Vaticano, Aborto: Vaticano, è terrorismo propagandarlo, ovvero le parole di Angelo Amato, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel suo intervento al Convegno sul terrorismo (e sottolineo terrorismo) promosso dal dicastero vaticano per i migranti:

Oltre all’abominevole terrorismo dei kamikaze c’è il cosiddetto terrorismo dal volto umano, insidioso perché usa un linguaggio politicamente corretto, come quando l’aborto viene chiamato interruzione volontaria della gravidanza e non uccisione di un essere umano indifeso o quando l’eutanasia viene chiamata più blandamente morte con dignità.
Niente di innovativo fin qui, a parte il funambolico accoppiamento di terrorismo e aborto, piuttosto la trita cantilena cattodelirante.
Il male oggi non è solo azione di singoli o di gruppi ben individuabili, ma proviene da centrali oscure, da laboratori di opinioni false, da potenze anonime che martellano le nostre menti con messaggi falsi, giudicando ridicolo e retrogrado un comportamento conforme al Vangelo.
Si fa più interessante.
Come la descrizione che segue di alcuni luoghi del male:
Le cliniche abortiste sono “autentici mattatoi di esseri umani in boccio”.
I laboratori dove si “fabbrica ad esempio la Ru 486, o dove si manipolano gli embrioni umani: i parlamenti dove si promulgano leggi contrarie all’essere umano” somigliano alle sette sataniche che praticano “un vero e proprio culto sacrilego del male”.
Sette sataniche. Però.

Verso il PD

Francesco Rutelli («Abbiamo già gli stessi orizzonti», Rutelli chiude il congresso abbracciando i Ds, l’Unità, 22 aprile 2007):

riconferma esattamente un secondo dopo l’alleanza di governo con la sinistra radicale. Il suo è un discorso che si riferisce al Partito democratico, una nuova formazione che «dovrà avere anche una funzione di stimolo al governo». Ma che già ora scompagina il campo del centrodestra, facendo sì che lo stesso Silvio Berlusconi debba riconsiderare l’idea di riunificare il suo campo attorno a una federazione o un embrione di partito unico, lo faccia riconsiderare le larghe intese.
E se è un embrione non si tocca!

domenica 22 aprile 2007

Sterile Madre, sorella della tua figlia

Sono tempi duri per gli integralisti e gli atei clericali. Questi personaggi hanno, com’è noto, un insieme di tecnologie predilette, che secondo i loro proclami dovrebbero essere più ‘etiche’ di altre, e al tempo stesso offrire gli stessi risultati, anzi migliori: le staminali adulte dimostrerebbero che non c’è bisogno delle diaboliche staminali embrionali, il congelamento degli ovociti eviterebbe di far patire il freddo ai poveri embrioncini, e così via. Lo zigote è salvo, la reputazione degli integralisti pure, non inquinata dall’accusa di tecnofobia (e i brevetti degli scienziati che si sono venduti alla santa causa potranno fruttare il centuplo).
Ma la tecnologia, per quanto aspersa d’acqua benedetta, è sempre figlia del demonio, e si rivolta alla fine contro tanto virtuose intenzioni. Pochi giorni fa, scienziati della University of Newcastle-upon-Tyne hanno annunciato di aver ricavato spermatogoni da cellule staminali del midollo, e di ritenere che con la stessa tecnica sarebbe forse possibile derivare spermatozoi dal midollo delle donne – mettendo i brividi a Stranau (al secolo Assuntina Morresi; vedi Stranau.it, 15 aprile 2007):

Molti ricercatori sono scettici sulla possibilità che una cosa del genere possa funzionare. Ma solo l’idea che qualcuno ci lavori, usi del suo tempo per vedere se una mostruosità del genere si può realizzare, fa veramente rabbrividire. Speriamo che la natura ci protegga da noi stessi.
Mentre la Morresi aspetta che la Natura faccia il proprio dovere, ecco però arrivare un altro tradimento da un’altra tecnica ‘etica’. Una donna canadese, Melanie Boivin, la cui figlia di sette anni è affetta dalla sindrome di Turner (una rara disfunzione genetica che rende completamente sterile chi ne è affetto), ha deciso di donare alla bambina i propri ovociti, congelandoli in attesa che raggiunga l’età adatta (Charlie Fidelman, «Mother’s frozen eggs might mean daughter giving birth to sister», The Gazette, 18 aprile 2007). Qualora la ragazza decidesse di utilizzarli per una gravidanza, darebbe alla luce quella che geneticamente si può definire sua sorella (o meglio, sorellastra), di cui la Boivin sarebbe al tempo stesso madre e nonna. Insomma, quella deliziosa confusione di ruoli tradizionali che manda la testa di ogni reazionario che si rispetti a vorticare come un giroscopio impazzito, per il terrore di vedere in frantumi il proprio mondo di essenze cristallizzate. È proprio vero: della tecnica non ci si può mai fidare...

sabato 21 aprile 2007

Un amico dei bambini

Marco Griffini, fondatore e presidente dell’Associazione Amici dei Bambini, tra i promotori del Family Day, intervistato da AvvenireL’Aibi in piazza con le famiglie a “porte aperte”», 20 aprile 2007, p. 12):

In Italia ci sono 30 mila bambini che vivono fuori dalla famiglia. Se avessero goduto di un decimo dell’attenzione riservata ai Dico, be’, i loro problemi sarebbero stati risolti. In secondo luogo penso che i Dico siano la porta da cui entrerebbe l’adozione alle coppie omosessuali.
Che lei, pare di capire, non approva?
Mi occupo di bambini abbandonati da trent’anni. So quali ferite provochi l’abbandono, i gravi problemi di identità che ne scaturiscono. Problemi che sarebbero ingigantiti dall’essere affidati a due genitori dello stesso sesso.
Per Griffini, pare di capire, è meglio insomma che un bambino rimanga in stato di abbandono piuttosto che essere affidato a una coppia omosessuale.

venerdì 20 aprile 2007

Un’apparizione per Socci

Mentre sta scrivendo d’altro, Galatea infila tra le righe un ritratto memorabile:

“E allora che si fa?” interroga Ferrara, mentre Socci guarda nel vuoto come chi si aspetta sempre da un momento all’altro che per un improvviso miracolo il gobbo si trasformi in una apparizione mariana.
C’è tutto Socci, in trenta parole scarse. Bravissima.

Lalli-Galli

Il Corriere della Sera ha ospitato in questi giorni un botta e risposta tra Ernesto Galli della Loggia e Chiara Lalli. Si parte dal Calendario di Galli della Loggia del 15 aprile, intitolato «Eutanasie»:

«Ai medici non fu mai ordinato di uccidere i pazienti psichiatrici e i bambini handicappati. Furono semplicemente autorizzati a farlo, e svolsero il compito senza protestare, spesso di propria iniziativa. Il memorandum iniziale di Hitler dell’ottobre 1939 non rappresentava un ordine (Befehl) ma un mandato (Vollmacht), che dava ai medici il permesso di agire. Durante il processo di Limberg nel 1964 sull’eutanasia abortiva Hefelmann testimoniò che “nessun dottore ricevette mai l’ordine di partecipare al programma di eutanasia. Lo fecero di loro spontanea, completa volontà”. Himmler in persona osservò che le operazioni intraprese negli ospedali psichiatrici erano gestite esclusivamente da personale medico» (R.N. Proctor, Racial Hygiene. Medicine under the Nazis, Harvard U.P., 1988): un frammento di storia per tutti coloro i quali pensano che in certe materie l’opinione (e la decisione) di chi vanta una formazione scientifica sia perciò stesso saggia e affidabile.
Oggi il commento di Chiara Lalli, con la replica di Galli («Non tutte le eutanasie sono uguali», 20 aprile, p. 51):
Qual è la differenza tra un dono e un furto? Chi decide. Se è il proprietario dell’oggetto in questione, allora è un dono. Altrimenti è un furto. Qual è la differenza tra la “morte pietosa” del nazionalsocialismo e l’eutanasia di oggi? Chi decide. Se è il proprietario dell’esistenza in questione, allora è una libera scelta (dovrebbe essere superfluo ricordare che è possibile rifiutare trattamenti sanitari anche se questo rifiuto comporta la morte), altrimenti è una terribile violazione. È questa la ragione per cui sarebbe meglio evitare di chiamare allo stesso modo («Eutanasie», come si legge nel calendario di Ernesto Galli della Loggia del 15 aprile scorso) quanto succedeva nel Blocco 10 di Auschwitz e quello di cui si discute oggi.
La «morte pietosa» era una decisione presa a scapito dei singoli individui, in nome di esperimenti deliranti o in nome di un miglioramento della razza che richiedeva il sacrificio di quanti fossero «imperfetti», difettosi. Quella «morte pietosa» spazzava via la libertà individuale insieme all’esistenza stessa degli individui. Era un orrore inammissibile e ingiustificabile.
La possibilità legale, oggi, di fare ricorso all’eutanasia è affidata alle singole volontà.
A nessuno verrebbe imposta una scelta. Ma a ciascuno verrebbe affidata la decisione riguardo alla propria vita, morte compresa (perché, purtroppo, la morte fa parte della nostra vita ed è nostro diritto deciderne). La differenza non potrebbe essere più profonda.
Galli della Loggia:
Sono d’accordo con la professoressa Lalli che non tutte le eutanasie sono eguali. Ma il mio «Calendario» non voleva sostenere questo. Voleva semplicemente richiamare l’attenzione sul come in queste materie il comportamento degli uomini di scienza, per esempio dei medici, possa essere anche lontanissimo da qualsiasi accettabile criterio etico. La scienza in quanto tale, insomma, non è in alcun modo garanzia di saggezza e di umanità.
Da parte mia, reprimendo la sensazione che Galli della Loggia si sia sostanzialmente rimangiato quello che aveva scritto nel primo testo (dal quale in effetti mi pareva di capire che la classe medica pretenderebbe oggi di avocare a sé stessa le decisioni sull’eutanasia, o che qualcuno vorrebbe affidargliele), mi limito a dare il benvenuto al professore tra coloro che pensano che le decisioni di fine vita spettano ai pazienti, e a nessun altro. Spero che sia cosciente che tra quelli con i quali ultimamente fa spesso fronte comune vige l’opinione esattamente contraria.

giovedì 19 aprile 2007

Darwin e il cardinale

Avvenire ospita la traduzione parziale di un articolo del cardinale Christoph Schönborn sulla teoria dell’evoluzione («Darwin, mancano prove», 18 aprile 2007). Non lo commenterò per esteso, per due motivi: sono riportati solo degli stralci, e comunque Massimo Adinolfi ha già scritto un post superbo sull’argomento («Evoluzione e resurrezione», Azioneparallela, 18 aprile). Mi limito a esaminare rapidamente quelle che secondo Schönborn sarebbero le «difficoltà» della teoria:

  1. «I missing links, le numerose forme intermedie mancanti fra le specie, che anche dopo centocinquant’anni di intense ricerche semplicemente non esistono».
    È falso. Gli anelli mancanti non sono affatto mancanti (anche se la documentazione fossile presenta ovviamente delle lacune): l’elenco di quelli che già conosciamo è decisamente lungo. Cito alcuni dei più celebri: Tiktaalik roseae, mezzo pesce mezzo tetrapode; Archeopteryx lithographica, intermedio tra dinosauri e uccelli; Australopithecus afarensis, ominide con cervello e dentatura ancora scimmieschi, ma dall’andatura già eretta.
  2. «Il fatto, spesso ammesso, che finora non è mai stata realmente dimostrata un’unica forma di evoluzione da una specie all’altra».
    È falso. Si conoscono molti esempi di speciazione avvenuti in laboratorio o in natura tra piante e insetti (come Drosophila).
  3. «L’impossibilità a livello di «teoria dei sistemi», che un sistema vivente (ad esempio i rettili) mediante innumerevoli mutazioni di minima entità possa essere trasformato in un altro sistema vivente (ad es. gli uccelli)». Non so a quale «teoria dei sistemi» il cardinale si stia riferendo, ma la sola esistenza di un fossile come Archeopteryx, perfettamente intermedio tra rettili e uccelli, la dimostra falsa. Anche il buonsenso dovrebbe comunque suggerire che a furia di sommare piccole mutazioni, grandi cambiamenti diventano possibili...
  4. «La problematica del concetto di survival of the fittest. Marco Bersanelli ha dimostrato in base ad esempi che la sopravvivenza spesso dipende soltanto dalla fortuna, è una casualità, una contingenza, e non la prova di una particolare fitness. I dinosauri, e molte altre specie, sono scomparsi per delle catastrofi naturali e non a causa della loro non adattabilità».
    Marco Bersanelli è un astrofisico, il cui unico titolo di merito sembra essere la partecipazione ai meeting di Comunione e Liberazione; uno si aspetterebbe di vedere citato piuttosto Stephen Jay Gould, che ha più volte messo l’accento su questo punto. Ma Gould era un evoluzionista convinto, per quanto talvolta poco ortodosso; e questo spiega perché Schönborn preferisca citare questo carneade. Quanto all’argomento, ha la stessa consistenza di questo: è falso che gli uomini muoiano di malattie e di vecchiaia, visto che il cugino di un mio amico e molti altri sono morti in un incidente stradale.
Non sfuggirà a chi si intende un minimo di queste cose che le ‘prove’ di Schönborn sono tratte pari pari dalla propaganda creazionistica americana: spazzatura intellettuale, insomma. Si può valutare da questo la statura intellettuale dell’eminente cardinale, e di chi ai piani alti della Chiesa gli riserva credito, e paragonarla a coloro, Darwin in testa, che questa gente pretenderebbe di confutare. I nani, oggi, non salgono più sulle spalle dei giganti, ma gli danno invece rabbiosamente calci negli stinchi.

Quel razzismo che non passa mai di moda

Il 19 aprile di 70 anni fa vede la luce il decreto regio n. 880/37 che vieta il madamismo e il matrimonio con donne di colore. Soprattutto per proteggere il buon nome del patrio esercito, per carità!, evitando ai soldati di mischiarsi alla popolazione indigena e di far nascere meticci. Una gran scocciatura. Ma il sapore dell’editto, più che garantire il prestigio dei colonizzatori italiani in Etiopia, è decisamente razzista. E ciò che segue negli anni successivi è indubbiamente razzista, a cominciare dal tristemente famoso Manifesto della Razza (1938). O per essere meno brutali, “discriminatorio”.
È una ricorrenza amara, ancora più amara quando si percepisce una certa “aria di famiglia” con dichiarazioni e umori attuali. Con le invocazioni delle radici identitarie di un popolo, cristiane e non, con lo sbandieramento di nazionalismi mascherati da coscienza di appartenenza. Con il tentativo di imporre una certa visione del mondo o con le celebrazioni della Famiglia, oggetto di una imminente manifestazione che ha del grottesco, il Family Day (ma perché in inglese poi?).
Forse oggi è imbarazzante essere razzisti nel modo tradizionale: contro i negri, gli ebrei, gli asiatici o gli zingari. Ma si può esserlo agevolmente con i non sposati, con gli omosessuali o con quanti vorrebbero crepare in pace. Soprattutto se questi non chiedono pietà, ma diritti. A cosa serve un anniversario? A mettere sulla difensiva chi ha dimenticato, a tenere viva la memoria. Non un rituale formale di commemorazione, quanto l’avvertimento che certi errori sono stati già compiuti e che i risultati sono stati vergognosi.

(Oggi su E Polis)

mercoledì 18 aprile 2007

La congiura di Torquemada (!!!)

Non perdetelo, da domani in tutte le librerie, come viene annunciato qui.
Non ci posso quasi credere, tutto un libro del nostro a disposizione, non redazionali qua e là, commenti o battute. Un intero libro!
E se il tenore è come questo di seguito riportato... (copiato dallo stesso luogo di tutte le librerie).

Nella “vicenda Buttiglione” esplodono, per la prima volta, le conseguenze intolleranti di un’Europa che, avendo dimenticato Dio, non riesce a rispettare i diritti umani, soprattutto nei confronti dei cristiani. Mentre i richiami di Giovanni Paolo II e le continue sollecitudini di Benedetto XVI spingono lucidamente il lettore alla riscoperta delle radici giudaico cristiane e alla conseguente apertura della ragione e delle opportunità virtuose delle istituzioni dell’Unione.
È un caso assai emblematico di una sorta di pregiudizio anticattolico diffuso. Tuttavia, come nota Weigel nella sua introduzione al volume, quanto accaduto all’ex ministro UDC sarebbe stato del tutto inconcepibile nell’Europa immaginata dai fondatori (Adenauer, De Gasperi, Schuman) che concepivano “l’Europa” come un progetto di civiltà cristiana dopo i disastri del ventesimo secolo.

martedì 17 aprile 2007

I diritti non sono per le persone

Savino Pezzotta, uno dei portavoce del Family Day, intervistato dal Giornale (Francesco Cramer, «Pezzotta sfida Prodi: “Centomila in piazza per un no laico ai Dico”», 17 aprile 2007):

I gay, per esempio, sono persone ma non categorie e perciò hanno dei bisogni, non diritti.
Si vede proprio che è un ex sindacalista...

Il papa e il golem

È da ieri in libreria l’ultima fatica letteraria di Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret. Come valutare le capacità esegetiche di Benedetto XVI? Non ho ancora visto il volume; ma l’anno scorso, poco prima della nascita di Bioetica, avevo scritto un piccolo articolo (rimasto inedito) in cui esaminavo l’interpretazione che il papa aveva fatto del Salmo 138. Le conclusioni possono essere indicative, e lo ripropongo pertanto qui.

Nel corso dell’Udienza Generale del 28 dicembre 2005, Benedetto XVI ha commentato il Salmo 138. In uno dei passi del discorso papale ripresi con maggiore risalto dalla stampa, si afferma:

nella seconda parte del Salmo che meditiamo oggi, gli occhi amorevoli di Dio si rivolgono all’essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo. Egli è ancora «informe» nell’utero materno: il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’«embrione», descritto in quel termine come una piccola realtà ovale, arrotolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio (cfr v. 16)
e, poco più avanti:
Estremamente potente è, nel nostro Salmo, l’idea che Dio di quell’embrione ancora «informe» veda già tutto il futuro: nel libro della vita del Signore già sono scritti i giorni che quella creatura vivrà e colmerà di opere durante la sua esistenza terrena. Torna così ad emergere la grandezza trascendente della conoscenza divina, che non abbraccia solo il passato e il presente dell’umanità, ma anche l’arco ancora nascosto del futuro. Ma appare anche la grandezza di questa piccola creatura umana non nata, formata dalle mani di Dio e circondata dal suo amore: un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza.
Se si considerano attentamente i due passi, non si può fare a meno di notare una contraddizione: mentre prima si afferma che «il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’“embrione”», ecco che subito dopo non c’è più traccia di prudenza: «l’idea che Dio di quell’embrione ancora “informe” veda già tutto il futuro» appare adesso «estremamente potente … nel nostro Salmo», e il salmo stesso si è trasformato senza incertezze in «un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza». Ora, i casi sono due: o il papa ha usato l’espressione «qualche studioso della Bibbia» con notevole understatement, oppure la sua interpretazione del salmo è meno sicura di quanto voglia farci credere. Come stanno veramente le cose?

Per scoprirlo dobbiamo risalire alla fonte citata da Benedetto XVI. Il Salmo 138 (139 nella numerazione ebraica) parla effettivamente nei versi 13-15 della creazione di un uomo nel grembo materno; ma l’accento è tutto sulla meraviglia della lenta, progressiva formazione del corpo: di elogi dell’«informe» non c’è traccia. Per trovare qualcosa del genere bisogna andare al verso 16, dove il salmista si rivolge così a Dio nella traduzione della Conferenza Episcopale Italiana:
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
Il lettore proverà a questo punto una certa perplessità: da dove avrà tirato fuori, il papa, la «piccola realtà ovale, arrotolata» dell’embrione? La perplessità si trasforma poi in disorientamento quando si va a controllare il testo ebraico, su cui è stata condotta la versione della Cei. In traduzione letterale, infatti, la prima parte del verso dice:
Il mio golem hanno visto i tuoi occhi
Il golem? Che c’entra il golem? Non è forse la creatura di argilla animata protagonista di una divertente leggenda ebraica, una sorta di automa che causa non pochi grattacapi al suo creatore? Che ha a che fare con l’embrione? Eppure, nel testo ebraico compare proprio questa parola...
Per dissipare la confusione e cominciare a capirci qualcosa dobbiamo prendere in mano il dizionario ebraico. Da questo veniamo a sapere che la parola golem ricorre una sola volta nella Bibbia, appunto nel Salmo 138; ma anche che essa in compenso è usata ampiamente nell’ebraico più recente, col significato di «massa informe», «vaso (d’argilla) appena abbozzato» e, per estensione, «rozzo», «grezzo». È facile capire come si sia arrivati da qui al golem del folklore ebraico (e all’accezione un po’ meno nobile che la parola ha nell’ebraico moderno parlato in Israele: «scemo»). Quanto al Salmo 138, ammettendo che la parola avesse già allora il significato che le verrà attribuito in seguito, e basandosi sul contesto, si potrebbe rendere la prima parte del verso 16 con un poco poetico ma abbastanza chiaro
La mia massa informe hanno visto i tuoi occhi
e ravvisarvi effettivamente un riferimento più o meno diretto all’embrione.
E la «piccola realtà ovale, arrotolata» dell’embrione, di cui parla il papa? La parola golem sembra provenire da una radice che avrebbe il significato primario di «avvolgere»; da qui, palesemente, deriva l’interpretazione ratzingeriana (si sarebbe tentati di dire che l’embrione è un «ricciolo di materia» – ma temo che il papa gradirebbe assai poco l’espressione...). La questione è però controversa: come si sarebbe passati da un «oggetto arrotolato» a una «massa informe»? Le due cose non sono certo identiche; e a ben vedere anche quel significato di «avvolgere» è di incerta attestazione. Nel dubbio, meglio rinunciare a estrarre troppi significati da una singola parola.

Tutto bene, dunque, nonostante queste piccole incertezze? Disgraziatamente, no. Se traduciamo alla lettera anche il pezzo successivo del verso che stiamo esaminando, il risultato (di nuovo, in un italiano assai poco elegante) è questo:
La mia massa informe hanno visto i tuoi occhi
e tutti essi erano scritti nel tuo libro.
Ecco ritornare – raddoppiato – il mal di capo. Che cosa è stato scritto, esattamente, nel «libro» di Dio? L’espressione «tutti essi» sembra riferirsi a qualcosa che non compare da nessuna parte! Il testo stavolta non è solo incomprensibile: è anche monco. Com’è possibile?

Uno dei segreti meglio custoditi dell’Antico Testamento è che il testo ebraico ci è pervenuto in manoscritti tardi e spesso molto corrotti, pieni di errori di copia che arrivano qua e là a offuscarne quasi completamente il significato originale. Le traduzioni esistenti rattoppano come possono, offrendo un testo che appare sempre comprensibile; ma a prezzo di manipolazioni non sempre esplicite. Così, per far tornare i conti, la Cei ha emendato «e tutti essi erano scritti nel tuo libro» in «e tutto era scritto nel tuo libro», come se un copista avesse commesso a suo tempo uno svarione che andava ora corretto. Ma in ebraico – come del resto in italiano – le due frasi sono ben distinte, e non è per niente facile passare dall’una all’altra: si tratterebbe di un errore assai poco probabile, anche per lo scriba più distratto.
Torniamo a «la mia massa informe». In ebraico la parola corrispondente si scrive con le lettere GLMY (nella scrittura ebraica più antica le vocali per lo più non si segnavano; la pronuncia era comunque golmì: «il mio golem», appunto). Supponiamo adesso, seguendo l’opinione di autorevoli studiosi, che nell’originale fosse presente invece la sequenza GMLY, che significa «le mie azioni», «i miei atti»: le lettere sono le stesse, ma la seconda e la terza sono state invertite. L’ipotesi appare plausibile, perché sarebbe facile scambiare questa parola con l’altra mentre si sta copiando laboriosamente un testo manoscritto. Proviamo a vedere come funziona il verso se sostituiamo GMLY a GLMY:
I miei atti hanno visto i tuoi occhi
e tutti essi erano scritti nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne era passato uno
Stavolta il testo scorre bene («tutti essi» si riferisce a «i miei atti»), ed esprime per giunta i concetti ben noti della preveggenza di Dio, che conosce le azioni future, e del libro in cui sono fissati i destini degli uomini. Nessun riferimento preciso all’embrione ancora informe, dunque, o al momento del concepimento: il tempo in cui si inquadra il verso 16 è verosimilmente lo stesso dei versi 13-15, cioè quello generico e non definito che precede la nascita. E se questo è vero, allora vale forse la pena di notare come per il salmista non sia ancora passato nemmeno un giorno della vita di un uomo, finché questo si trova nel grembo materno...

Questa ricostruzione non è, naturalmente, stabilita al di là di ogni dubbio: ci sono incertezze nella fisica delle particelle, figuriamoci nella filologia biblica. Ma a uno sguardo obiettivo sembra nondimeno – ipotesi per ipotesi – la ricostruzione più probabile; anche se «qualche studioso della Bibbia» si ostina a voler leggere invece nel salmo un riferimento all’«embrione», e «un elogio biblico dell’essere umano dal primo momento della sua esistenza».