mercoledì 31 ottobre 2007

Micione GM?

Per averlo.

Obiezione di coscienza e liberalismo

Nei commenti a favore delle dichiarazioni papali sull’obiezione di coscienza dei farmacisti, nessuno (o quasi) ha ancora invocato a sostegno del «diritto» di rifiutare certi farmaci l’argomento liberale per eccellenza: che non si può costringere qualcuno a compiere un’azione contro la sua volontà, neppure in nome di un più o meno concreto bene generale. Il mancato ricorso a questo principio si spiega abbastanza facilmente: in base allo stesso argomento, neanche l’azienda o l’istituzione di cui l’obiettore fa parte o da cui in qualche modo dipende avrebbero il dovere di continuare a mantenerlo tra i loro impiegati o a fornirgli le necessarie licenze, se egli intralciasse l’erogazione di quei servizi che sono tenuti per contratto o per legge a fornire. Il chirurgo che si rifiuta di praticare aborti non può certo essere costretto con la forza ad eseguirli; ma allo stesso modo l’ospedale in cui opera non dovrebbe essere costretto a pagargli uno stipendio – non più di quanto debba essere costretto a pagarlo a un chirurgo che non sa nemmeno come si opera un foruncolo. La legge italiana, è vero, consente l’obiezione di coscienza ai medici antiabortisti (e a chi si rifiuta di praticare le tecniche di procreazione medicalmente assistita o gli esperimenti sugli animali), sebbene con l’obbligo – ampiamente disatteso – per le strutture sanitarie di garantire in ogni caso gli interventi di interruzione della gravidanza; ma questo «diritto» ha poco o nulla a che fare con i principi liberali, in base ai quali non si può imporre alle aziende sanitarie di accollarsi oneri irragionevoli per accogliere nei reparti del personale poco produttivo (tranne nei rari casi in cui, per esempio, un ginecologo dalle grandissime capacità professionali fosse anche antiabortista – ma qui saremmo già fuori dal campo proprio dell’obiezione di coscienza).
Allo stesso modo, non c’è una chiara ragione di principio per cui lo Stato debba erogare licenze a farmacisti che si rifiutino di prestare alcuni servizi – anche esulando dalla legge che vieta attualmente al farmacista ogni discrezionalità (art. 38 del D.R. del 30 settembre 1938 n. 1706; qualcuno però se ne fa beffe, e sarà interessante vedere come l’autorità giudiziaria valuterà quella che in pratica è un’autodenuncia). È vero che il sistema delle licenze in vigore in Italia è anch’esso profondamente illiberale; ed è del tutto possibile che in un regime più aperto il libero mercato possa risolvere ogni problema derivante dall’obiezione di coscienza (anche se qualcosa mi dice che persino i farmacisti cattolici non vedrebbero tanto di buon occhio questa soluzione...). Ma se la cosa non funzionasse (si pensi a un paese isolato in cui tutti i farmacisti o aspiranti farmacisti siano integralisti cattolici), e se lo Stato fosse chiamato a risolvere i fallimenti locali del mercato, la soluzione migliore sarebbe forse ancora quella di fissare dei doveri per l’esercizio della professione, piuttosto che di ricorrere per esempio a inefficienti dispensari comunali per fornire i servizi che si è impegnato a garantire.

L’obiezione di coscienza, nel pensiero liberale autentico, è ammissibile soltanto quando lo Stato imponga un obbligo sostanzialmente universale: è il caso, isolato e oltretutto ormai obsoleto, della leva militare, come ci ricorda Paolo Flores d’Arcais nel commento migliore finora apparso sulle dichiarazioni papali («Aborto, aboliamo l’obiezione per i medici», Liberazione, 31 ottobre 2007, p. 1). Mantenere od estendere il diritto all’obiezione ad altre fattispecie, equivale ad affermare che a un pacifista contrario all’uso delle armi dovrebbe essere concesso di arruolarsi in polizia.
Naturalmente l’obiezione di coscienza non ha necessariamente bisogno di appoggiarsi alle leggi, anzi nel suo significato originale e più autentico implica il rifiuto di obbedire alle leggi ritenute inique, e la sottomissione volontaria alla pena prevista per la loro violazione, come ci ricorda Daniele Bertolini in uno splendido articolo («Obiezione, opzione, imposizione di coscienza», Agenda Coscioni 2, n. 4, aprile 2007, pp. 18-21). Che oggi gli integralisti siano disposti a praticarla solo dopo aver ottenuto il permesso dello Stato (o fidando nella sua imbelle disattenzione), la dice lunga sulla saldezza e la moralità delle loro convinzioni.

Eugenia, India e le altre

Eugenia Roccella torna all’attacco contro uno dei suoi bersagli preferiti, la pillola abortiva, su Avvenire di oggi («C’è una pillola killer che non viene spiegata», 31 ottobre 2007, p. 2):

Nessuna trasmissione televisiva ha spiegato che l’aborto chimico è una procedura che richiede almeno 15 giorni, il cui esito è incerto fino alla fine, che avviene in solitudine, tra nausee e crampi dolorosi (è, in sostanza, un piccolo parto), che costringe la donna a controllare continuamente il flusso emorragico e quindi a vedere, nella maggioranza dei casi, l’embrione abortito.
Chi crede che la Ru486 sia un metodo sicuro e indolore dovrebbe leggere la stampa straniera: scoprirebbe così che il «New York Times» ha ampiamente informato sulle morti e gli eventi avversi provocati dal farmaco, mentre l’inglese «Times», solo 15 giorni fa, ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: «La brutale verità sull’aborto chimico», in cui ha definito la Ru486 «horror-pill».
L’articolo del Times di cui parla la Roccella è stato firmato da India Knight («Brutal truth of DIY abortion», The Sunday Times, 14 ottobre), e il suo obiettivo polemico è la possibilità, che le autorità britanniche stanno considerando, di consentire l’assunzione a casa della paziente della seconda delle due compresse che propriamente costituiscono la «pillola abortiva»; gli argomenti sono più o meno gli stessi della Roccella: la solitudine e la possibilità di vedere il concepito (la Knight specifica anche di essere personalmente contraria all’aborto).
La risposta migliore, credo, l’hanno data i molti commentatori – in gran parte donne – che nell’edizione online del Times hanno detto cosa pensano dell’articolo della Knight. Molte di loro hanno sperimentato in prima persona ciò di cui si parla; riporto qui le testimonianze più significative.
Women already take the abortion pill at home. I did. There is quite a bit of pain involved – like very bad period cramps. I’m glad I could have it at home, was easier to deal with as I could roll around on my bed and get a hot water bottle – easy access to bathroom etc... Practically it would have been more uncomfortable at hospital, however would have been comforting to have nurses/doctors nearby, and to meet other women going through the same experience. As for the foetus going down the pan – well that would happen at hospital as well and I think if you’ve decided to have an abortion you realise that you are expelling a foetus and that fact cannot be changed wherever you have it.
This type of abortion is known as an early medical and given at less than 8 weeks – the foetus is the size of a grain of rice. What can be seen in the toilet is the amniotic sac (a small lump) – not the foetus.
Sophie, London, UK

As for home vs hospital, in the absence of medical risk I will take my home any day of the week, along with its privacy, its cleanliness and its freedom from judgemental staff and patients.
Gayle Ronald, Birmingham, UK

Having had three miscarriages, I can honestly say that the two that occurred at home had less trauma attached to them than the one in hospital. The emotional impact is reduced where more normalcy prevails. I am pretty sure that if I had to make the choice, I would prefer to take the abortion pill in the comfort of my own home.
Mary Stanley, Chester, England

What makes you think an abortion in hospital is less traumatic than an abortion in the privacy and quiet of your own home, potentially with a partner, girlfriend, sister or significant other holding your hand rather than a disinterested nurse?
My wife recently had a miscarriage. And believe me, the experience would have been less traumatic for both of us if we hadn’t had to go to hospital.
Malcolm, London, UK

If I had to take that pill, I’d rather take it at home, be able to sort out my homelife and appreciate what I have, to not have to stay out all day and explain it all, and to go through something difficult in the safety of my home and the bosom of my family. I’m not at all sure why, just because you can’t cope with the realities of it ACTUALLY being part of your real life, you feel that the rest of us should be denied a practical, convenient, and reassuring way of dealing with a bad experience.
This is how I, as a woman, would rather deal with it. You, as a woman, should at least give me the respect of acknowledging my right to make my own choices.
Sian Evans, Hawick
Ci sono prospettive diverse in altre risposte, naturalmente; ma si tratta appunto di lasciare a ciascuno «il diritto di fare le proprie scelte».

Figli del 41 bis

Comunicato Stampa

Il diritto di avere un figlio è riconosciuto agli ergastolani, ma non a persone affette da patologie

Raffaele Cutolo, ex superboss della nuova camorra organizzata, è in carcere dal 1982, deve scontare 9 ergastoli, è sottoposto da 14 anni al regime del 41 bis. È diventato papà grazie alla procreazione medicalmente assistita. Nonostante non rientri nelle categorie alle quali la legge 40 permette di accedere alle tecniche di riproduzione artificiale.

Potremmo gioire di un simile atto di “grande civiltà”; ma l’amarezza per gli esclusi ha la meglio. Infatti la legge 40 non ammette eccezioni nel caso delle coppie non sterili e portatrici di patologie virali o di patologie genetiche, che possono solo scegliere tra la rinuncia di avere un figlio e il rischio di trasmettere il virus o la patologia genetica al nascituro (nel caso di malattie virali anche al partner).

Quanto accaduto a Cutolo non è nemmeno una novità: già l’anno passato a un ergastolano era stato riconosciuto il diritto a diventare padre.
Il Gup di Palermo, Fabio Licata, autorizzò infatti l’accesso alla PMA ad una “coppia fertile” (composta da Salvino Madonia – ex boss palermitano, 2 ergastoli per reati vari, tra cui l’assassinio di Libero Grassi, il commerciante colpevole di non aver pagato il pizzo, in carcere dal 1991 e sottoposto al 41 bis – e signora), nonostante l’art. 4 c. 1 della legge 40/04 prescriva:

“Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.

L’unica strada per aggirare la legge 40 è forse quella di compiere gravi reati? Possibile che la modifica della legge 40 sia stata dimenticata?

martedì 30 ottobre 2007

Un blog sulla fecondazione eterologa

Il blog di Barbara De Rossi, Aspettando la cicogna..., si occupa di fecondazione eterologa (o donazione di gameti, per usare un’espressione più gentile e forse anche più corretta). È in rete da pochi giorni, ma già promette bene: segnalo in particolare un bel post in cui si spiegano le profonde differenze tra fecondazione eterologa e adozione («Quante volte vi sarete sentiti dire: ma perche non adottate?», 26 ottobre 2007), rispondendo a una delle obiezioni più comuni che si fanno a chi vorrebbe ricorrere alla donazione di gameti.
Auguri di cuore a Barbara – e non solo per il blog!

Il figlio di Cutolo

Un commento di Donatella Poretti sul caso dell’ergastolano divenuto padre con l’inseminazione artificiale:

L’ennesimo paradosso legato alla legge 40 è stato diffuso oggi da tutti i media: Raffaele Cutolo, ex superboss della Nuova camorra organizzata, condannato a nove ergastoli, in carcere dal 1982 e sottoposto da quattordici anni al regime del 41 bis è diventato padre. Grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ha concepito sua figlia dalla prigione. Non ci sarebbe nulla da eccepire se la legge 40/2004 non escludesse dall’accesso a queste tecniche le coppie non sterili o non fertili.
Di un caso identico ci siamo occupati qualche tempo fa.

Un motivo ci sarà

Giuseppe Politi, presidente CIA (che sta per Confederazione Italiana degli Agricoltori), dalle pagine de La Cronaca (28 ottobre 2007) ci offre un esempio perfetto di perfetta argomentazione. Se i dibattiti sulle biotecnologie sono spesso ridicoli un motivo ci sarà.

La “presunta” Chiesa buona

Come direbbe Francesco Guccini (Vedi cara), è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già. Se è vero che nulla di molto sensato ci si dovrebbe aspettare dalle pagine dell’Avvenire, è pur sempre vero che ci accontenteremmo anche soltanto di onestà (q.b., come si leggerebbe in una ricetta per un polpettone). Marina Corradi (Come una lama nella fede del nostro popolo, 28 ottobre 2007) è convinta di rispondere alle polemiche sull’8 per mille (la chiama ‘presunta’ inchiesta sui misteri dell’8 per mille) dicendo che l’uso di quei fondi sono pubblici. Non è questo il punto. Il presunto “documentario” (stavolta tra virgolette non va “presunto”, vai a capire perché) sui preti omosessuali, poi, nemmeno a parlarne: i preti omosessuali sarebbero stati “ingannati con un bel trucco via on line” (non è chiaro da chi e in che modo). Tutto questo per un piano diabolico ai danni della Chiesa.

Si vorrebbe far diventare la Chiesa, nell’immaginario mediatico, un sinonimo di corruzione, ipocrisia, disinvoltura finanziaria o peggio. Ora, pur ben certi che la Chiesa è fatta di uomini come gli altri, tanto accanimento sui presunti peccati o contraddizioni dei religiosi è davvero singolare. Come un metodico insegnamento: guardate che non c’nulla di vero, è tutta una bugia. Detto con mezzi potenti, con titoli brutali. Il giorno dopo, certo, le precisazioni, i per, ma intanto quel titolo è andato addosso come un pugno a tanti, alla fede non culturalmente attrezzata di tanti.
Perché una tale insistenza sui “peccati” della Chiesa? La Chiesa oggi rimane l’unica voce forte a contrastare la cultura che ci domina: il mito dell’individualismo, del successo, dell’arbitrio spacciato per libertà, e l’uomo come materia, programmabile o eliminabile come si voglia, sono tutti fronti su cui la Chiesa combatte, e spesso da sola.
Niente di meglio, per screditarla, e di più facile, che screditarne gli uomini. Così che taccia, finalmente, quella ostinata voce fuori dal coro.
Fuori dal coro? Il coro? E quale sarebbe la soluzione? Tacere? Perché nessuno (tra Corradi & partners) ricorda che un organismo come la Chiesa che si proclama per tutti i valori morali Veri (per i quali rivendica il monopolio) e che poi quei valori ignora e calpesta spesso ai danni dei più deboli (i “presunti” bambini vittime dei preti e della omertà del baraccone) è un organismo osceno e corrotto fino alle ossa? Ognuno è responsabile personalmente, questo è ovvio. Tuttavia la Chiesa si è macchiata di uno dei crimini più schifosi: coprire i propri adepti fregandosene di quanti avrebbero pagato, di quanti avrebbero dovuto subire anche l’offesa e l’umiliazione oltre al danno fisico e morale di essere molestati sessualmente da chi dovrebbe curare la tua anima. C’è qualcosa che proprio non quadra. (O vale il famoso proverbio dei panni sporchi che si laverebbero nella grande famiglia Chiesa?).

lunedì 29 ottobre 2007

Suicidio linguistico


Alla prima lettura rischia di venirti un colpo. Ma poi, alla seconda, capisci lo spirito e una risata liberatoria soppianta l’ira iniziale. È un pezzo comico! Ma certo, anche i più seriosi ogni tanto hanno voglia di leggerezza e di una battuta di spirito.
Se l’avessi capito subito avrei goduto anche della prima lettura di No al suicidio dell’italiano, Magdi Allam, Il Corriere della Sera, 24 ottobre 2007 (la prossima volta sarebbe gradito un avvertimento subito sotto al titolo).
Per suffragare la mia interpretazione riporto l’inizio.

Aiuto, stiamo «suicidando» la lingua italiana! Dalla pubblica amministrazione alla scuola, dalla sanità alla giustizia, dalla religione alla sicurezza, dal lavoro alla pubblicità, ci affanniamo a persuadere le menti e a conquistare gli animi degli immigrati comunicando con decine di idiomi diversi, mobilitando un esercito di mediatori linguistico-culturali, anziché chiedere ed esigere che siano degli ospiti — che accogliamo dando loro l’opportunità di migliorare la loro condizione di vita — a conoscere e a dialogare nella nostra lingua nazionale.

Oltretutto, se ci pensiamo bene, l’italiano è la certezza che ci è rimasta di un’identità collettiva vilipesa e tradita dal rischio di estinzione a causa delle conseguenze letali del morbo del multiculturalismo sul piano della perdita dei valori comuni e condivisi. In un mondo in cui siamo soltanto noi a parlarlo e che ci ha già declassato a idioma di serie B, se siamo noi stessi a relativizzarne il valore all’interno stesso dell’Italia mettendolo sullo stesso piano di decine di lingue straniere, la sua morte certa sarà ancora più precoce dell’inevitabile tracollo demografico di una popolazione autoctona a tasso di natalità zero. Non è una scoperta assoluta ma l’apparire sui tram milanesi della pubblicità della Kinder Ferrero in inglese, spagnolo e arabo ci costringe a una rinnovata riflessione.
(I corsivi sono miei). Chissà se almeno l’italiano (inteso come idioma, non come cittadino) può rifiutare trattamenti artificiali per sopravvivere.

Consigli per i farmacisti cattolici

Papa: farmacisti!, non potete anestetizzare le coscienze sugli effetti di molecole che hanno lo scopo di evitare l’annidamento di un embrione o di cancellare la vita di una persona. Voi, importanti intermediari tra medici e pazienti, dovete invitare ciascuno a un sussulto di umanità, perchè ogni essere sia protetto dal concepimento fino alla morte naturale.
Farmacista: fai riferimento alla RU486?
Papa: certo, ma non solo.
Farmacista: e io che rispondo quando qualcuno viene a comprare qualche molecola che ha lo scopo di evitare l’annidamento?
Papa: fai obiezione di coscienza, semplice. È un vostro diritto. Ogni volta che dovete fornire medicine con scopi chiaramente immorali, come per esempio l’aborto e l’eutanasia.
Farmacista 2: e quali sarebbere i farmaci per l’eutanasia?
Papa: io sono Papa, mica medico. Lo saprete voi.
Farmacista 2: e allora dovrei fare obiezione anche sui preservativi?
Papa: certo. Anche su quelli.
Farmacista 3: a pensarci bene, però, preferisco vendere un preservativo che essere complice di un aborto o della non protezione da malattie sessualmente trasmissibili o da una gravidanza.
Papa: l’astinenza è l’unica risposta. E si devono avere rapporti sessuali solo a fini riproduttivi. Nemmeno quegli aggeggi per la temperatura dovete vendere. Sono immorali.
Farmacista 2: ma l’obiezione è un mio diritto o un mio dovere?
Papa: non fare della filosofia spiccia.
Farmacista 2: no, è che volevo capire se è una possibilità oppure un ordine dall’Alto.
Papa: io ho fatto le mie dichiarazioni, poi fate un po’ come vi pare, basta che non lo andate a dire in giro.
(Liberamente, ma non troppo, tratto da).

Suor blog


Eppure Benedetto XVI aveva definito internet distruttivo.

La rete ha aperto un mondo nuovo di conoscenze e possibilità di imparare a molti che prima non avevano difficoltà di accesso o non ne avevano per niente,
e, non essendo mai andato molto d’accordo con la conoscenza ha aggiunto che
è altrettanto evidente che molto di ciò che è trasmesso in varie forme nelle case di milioni di famiglie in tutto il mondo è distruttivo.
Nessuna contraddizione, in effetti. Se affidi internet alle suore il pericolo svanisce. E magari anche l’abbigliamento ne guadagnerebbe... (da notare il nome del sito).

È tornata Jamie Sommers

E così arriva il remake, anche se Lindsay Wagner sarà difficilmente rimpiazzabile. Mi domando: mi devo preoccupare a ricordare quello originale che risale alla metà degli anni settanta?
Qui The education of Jamie Sommers e il sito sulla NBC.

domenica 28 ottobre 2007

Trafficking is Torture

Modelli del Cervello e Morale

La Scuola Internazionale di Filosofia e Storia della Biologia e della Medicina ha organizzato il convegno Modelli del Cervello e Morale. Epistemologia e neuroetica delle ricerche sui disturbi del comportamento dal 5 al 7 novembre prossimi (Fortezza Sangallo, Nettuno).
Con il coordinamento scientifico di Stefano Canali, Gilberto Corbellini e Massino Stanzione la Scuola è alla ottava edizione. Tra i relatori, oltre ai coordinatori scientifici: Amedeo Santosuosso, Carmela Morabito, Barbara De Mori, Fiorenzo Conti e Giuseppe Bersani.
Per informazioni: segreteria organizzativa, Università Civica “Andrea Sacchi”, Nettuno (direzione@unicivica.it).
Qui il programma e il depliant.

sabato 27 ottobre 2007

Comunicazione di Elena Cattaneo

Durante la plenaria di ieri Elena Cattaneo è intervenuta sulle recenti vicende del CNB. Il suo intervento contribuisce a risollevare l’umore e la fiducia nel genere umano. Ne riporto solo due brevi parti. Da leggere tutto.

Va premesso che Lei, prof. Casavola, ha un passato ed una esperienza Istituzionale che non può dimenticare e che la mettono in una posizione di obbligo verso le correttezze formali. Invece, il 5 ottobre 2007, durante un mio viaggio negli Stati Uniti, sono venuta a conoscenza “a mezzo stampa” della decisione di “dimissionarci”. Deliberazione da Lei proposta e poi assunta dal Governo. Senza una sua parola o comunicazione precedente. Questo mi ha molto amareggiato proprio perché proveniente da chi ha un passato come il suo. Non ne capisco lo scopo ma non lo credo uno scopo istituzionale “alto”. In un certo senso, quindi, non doverLe più fare da Vicepresidente non è un particolare dispiacere e, comunque, questo è un fatto che non può essere lasciato cadere nel silenzio da parte mia. E non aggiungo la più semplice correttezza fra persone: anche questa venuta meno da parte sua.
Voglio anche proporre una veloce analisi delle motivazioni circa il dimissionamento “pubblicizzate”, quasi con compiacimento, da alcuni membri CNB. La dialettica è stata infatti distorta in “conflittualità”, “litigiosità”, manca solo che raccontassero “che abbiamo fatto a botte”. Un altro bell’esempio di comportamento etico. Anche se, a dir la verità, e volendo dirla tutta, qualche volta una certa conflittualità pretestuosa nel CNB si è vista. Ma ad opera di alcuni suoi membri e non dei Vicepresidenti. Abbiamo anche ricevuto una mail nella quale si sottolinea che alcuni membri del CNB intervengono nelle discussioni “a tutti i costi”: per curiosità si vada a vedere quante righe di verbale sono ascrivibili sempre agli stessi, e si trovi fra questi uno dei Vicepresidenti dimissionati!

venerdì 26 ottobre 2007

La morte organismica dell’embrione

Di ritorno da una conferenza stampa sul CNB e del CNB cerco di stilare un resoconto. Non è impresa facile perché ricordare è già complicato; ricordare insensatezze rasenta il miracolo (per fortuna ho scarabocchiato qualche appunto).
Parla il presidente Francesco Paolo Casavola, promettendo una informazione “ben approssimata” (da ormai un paio d’ore mi domando cosa possa essere una informazione ben approssimata, ma depongo le armi del mio stanco e inaffidabile intelletto).
Ci inoltriamo subito dopo nei rapporti tra scienza e morale, problema che secondo Casavola (almeno così sembra) sarebbe nato verso gli anni 70 con Potter (deve avere studiato sui Bignami). La scienza, aggiunge Casavola, ha portato grandi conquiste e grandi regressioni. Mi sono distratta nell’elenco (se è stato fatto) e ho sentito soltanto che “il progresso scientifico chiede di darsi un’etica”. Chiede a chi? E se deve darsi un’etica, non può farlo da solo? (Queste domande emergono dalla forma della frase di Casavola; sorvolo sul contenuto). Poi elenca i documenti sfornati dal CNB (ibridi e chimere mi rimane impresso; gli altri sono sul sito istituzionale per chi non potesse farne a meno). Forse mi sono distratta anche durante la proposta di soluzione dei rapporti tra scienza e morale, oppure ho perso qualche passaggio. Però mi ritrovo nel campo: “stabilire norme legali di principi etici convenuti” (convenuti tra chi e in che modo? E perché convenuti? O meglio: perché imporre una norma e non lasciare che ognuno faccia secondo i propri principi?). Convenuti secondo Casavola significa “che non hanno conservato la purità originaria” (credo proprio che abbia detto purità): il peccato originale del principio morale. La soluzione starebbe nel trovare “combinazioni ragionevoli”. E che significa ragionevole? “Ciò che giova all’uomo”. Che non è, si badi, razionale: ciò che è razionale, infatti, è “impeccabile logicamente. Ragionevole ha anche una vena morale, razionale no”. Ah.
Altro argomento: demolizione del baraccone CNB. “Come si fa a dire che il CNB non serve?” (non è esatto: il CNB è dannoso, non è soltanto inutile, è dannoso). “Come dire che deve cambiare statuto? È utopico pensare a un CNB diverso” (e su questo ci tocca concordare; per ragioni diverse dal presidente).
Dilemma marzulliano: “la vita è intoccabile nella sua naturalità oppure la vita umana può essere modificata nell’intenzione del miglioramento?”.
Dilemma universale: “l’embrione è già uomo oppure è una potenza che diventa tale nell’atto?”.
Non è che ci sarebbe una terza possibilità?
“Non voglio parlare di sacralità; parliamo del valore attuale, in base a cosa si pensa della vita umana”.
Poi si delinea anche il profilo del bioeticista: “non l’esperto isolato – figura romantica questa – ma uno scienziato che ascolta la società. Deve avere tanta immaginazione morale quanto scientifica” (più immaginazione di così?, verrebbe da chiedere).
Ma perché nasce la bioetica? (E già io avrei molto da ridire sulla scelta del verbo: anche qui siamo di fronte al miracolo di una disciplina che prima non esisteva, secondo Casavola; ma i miracoli avvengono in altri ambiti). “Nel 1971 Potter (aridaje) pretendeva (nobilmente) di fondare l’etica sulla scienza biologica – l’etica come figlia della scienza biologica. Poi un altro americano, un ginecologo, ha privilegiato i comitati etici. La strada delle leggi ha complicato le vicende. La bioetica è stata subordinata a produrre leggi”. Per quanto mi riguarda se questo asservimento legislativo non fosse avvenuto ci avremmo guadagnato: ma chi è a favore di leggi come la nostra bella legge 40? Chi è che ha normato pure la riproduzione? Non io, di certo.
“Tradurre i contenuti etici (le opinioni prevalenti) in leggi non offre mai buoni risultati. Le leggi hanno canoni di certezza e tassatività, i temi bioetici invece sono aperti. L’universalità viene storicizzata”.
Cede la parola a D’Avack sul documento discusso in plenaria: cosa ne dobbiamo fare degli embrioni scartati dalla PMA in seguito a diagnosi osservazionale? Le solite storie, salto e torno da Casavola che nel rispondere a una domanda ricorda che ci sono molti studi sulla “morte organismica dell’embrione” (prometto che mi documenterò al riguardo). Alla domanda sui 3 vicepresidenti dimissionati (non) risponde: “è una questione di organizzazione, di rapporti personali tra i vice e il presidente. I membri possono non andare d’accordo”. Già, ma perché li avete silurati? “È stata una decisione discrezionale del Governo, fonte delle nomine del CNB per migliorare l’assetto funzionale” (sì, ma qualcuno deve essersi lamentato, perché sembra che Prodi abbia qualcos’altro cui pensare che le beghe da cortile del CNB). “Il dimissionamento non tocca i profili personali dei membri”.
Chiacchiericcio, interventi non riportabili per decenza. E poi la conclusione: “il livello di produzione del CNB è altissimo rispetto all’estero. Io che sono un neofita non vedo documenti stranieri migliori; quelli stranieri sono dogmatizzati”.
Sipario.

Schubert, Cristo e Vasco Rossi

Gianfranco Ravasi di prima mattina ci sottopone una riflessione sull’egoismo e la solitudine (Accanto all’altro, Avvenire, 26 ottobre 2007):

Non c’è nessuno che comprenda veramente la sofferenza degli altri. Nessuno che ne condivida sinceramente la gioia. Si crede sempre di andare l’uno verso l’altro e invece si cammina soltanto accanto.
Anche per chi non sa molto di musica, se si dice Schubert, il pensiero corre alla celebre Incompiuta, la stupenda sinfonia in si minore, anche se tante altre sono le opere mirabili di questo compositore austriaco ottocentesco vissuto solo 31 anni. Il suo spirito romantico aleggia anche nelle pagine dei suoi diari dai quali abbiamo tratto questa considerazione amara. Il filo conduttore di tante esistenze è ­proprio quello dell’isolamento: soli, in casa, attendono uno squillo di campanello o di telefono, segno di un ricordo, di una presenza.
Mi viene in mente un’altra citazione musicale, certo meno colta.
EGOISTA....certo....Perché NO!
perché non dovrei esserlo!...
Quando c
ho il Mal di Stomaco
con chi potrei condividerlo!...oh!
[…]
EGOISTA...certo...PERCHÉ NO!!
perché non dovrei esserlo...
Quando c
ho il Mal di STOMACO...
ce l
ho IO, mica TE!!...O NO!!!
Naturalmente per Ravasi la soluzione è solo una. E la scopriamo in chiusura del suo pezzo.
Non è ­un camminare tenendosi il braccio o parlando da amici, come accade ai discepoli di Emmaus che hanno al loro lato Cristo. È solo una coabitazione nello stesso terreno, talora nella stessa famiglia, senza che si vada incontro all’altro, fissandolo nel viso per capirsi, parlarsi e volersi bene.
L’unica possibile soluzione alla solitudine e all’isolamento è Cristo. Certo sembra strano, perché è difficile capire in che modo Cristo può farci compagnia (più di qualunque altro oggetto inanimato). Difficile è anche capire come distinguere l’allucinazione di essere in compagnia di Cristo dall’allucinazione di essere in compagnia, chessoio, del bianconiglio.

giovedì 25 ottobre 2007

Striscia la scemenza

Si intensifica la campagna contro gli OGM. Addirittura è possibile votare con un sms; scegliendo questa modalità di voto si può esprimere solo voto positivo. Inutile aggiungere che il voto può essere moltiplicato in modo indefinito in questo modo. Ma a chi importa?
Ieri Mario Capanna è stato pure ospite di Striscia la notizia per promuovere il suo baraccone.
Qui il video. Che la dice lunga sulla consultazione popolare: mangia sano!, mangia libero da OGM! Sì, ma perché? Perché fanno male! Perché? Perché sì!
Condivido il terrore di Capemaster.

La foto dello scandalo

La suggestiva foto dell’Onorevole Luca Volontè, che non ci è stato consentito di tenere su Bioetica, è ora visibile sul blog Balmas di Ottavio Balmas («Non solo “l’orientamento sessuale non è una scelta”», 24 ottobre 2007; hat tip a Malvino). L’amico Filter, inoltre, ci ricorda che esiste un’altra classica immagine dell’Onorevole Capogruppo, ritratto nel pieno del suo fulgore.

Basta (con la storia dei) finanziamenti!

Tarcisio Bertone è proprio stufo:

Finiamola con questa storia dei finanziamenti alla Chiesa: l’apertura alla fede in Dio porta solo frutti a favore della società.
A suon di miliardi?
La strafottenza di Bertone è davvero illimitata. La fede non è poi insozzata dai volgari soldi?
Per foruna Ezio Mauro risponde per le rime:
Non ci intendiamo di santità, dunque non rispondiamo su questo punto, ma non possiamo non notare come il tono usato da sua Eminenza sia perentorio e inusuale in qualsiasi democrazia: più adatto a un Sillabo. L’attacco vaticano riguarda un’inchiesta giornalistica che analizza i costi a carico dei cittadini italiani per la Chiesa cattolica, dalle esenzioni fiscali all’otto per mille, al finanziamento alle scuole private, all’ora di religione: altre puntate seguiranno, finché il piano di lavoro non sia compiuto. Finiamola? E perché? Chi lo decide? In nome di quale potestà? Forse la Santa Sede ritiene di poter bloccare il libero lavoro di un giornale a suo piacimento? È convinta che basti chiedere la chiusura anticipata di un’indagine giornalistica per evitare che si discuta di ‘questa storia’? Infine, e soprattutto: non esiste più l’imprimatur, dunque persino in Italia, se un giornale crede di ‘tirar fuori iniziative di questo genere’ può farlo. Salvo incorrere in errori che saremo ben lieti di correggere, se riceveremo richieste di rettifiche che non sono arrivate, perché nessun punto sostanziale del lavoro d’inchiesta è stato confutato.
La confutazione, a quanto pare, anche se è incredibile dirlo, riguarda la legittimità stessa di affrontare questi temi. Come se esistesse, lo abbiamo già detto, un’inedita servitù giornalistica dell’Italia verso la Santa Sede, non prevista per le altre istituzioni italiane e straniere, ma tipica soltanto di Paesi non democratici. In più, Sua Eminenza è il Capo del governo di uno Stato straniero che chiede di ‘finirla’ con il libero lavoro d’indagine (naturalmente opinabile, ma libero) di un giornale italiano. Dovrebbe sapere che in Occidente non usa. Mai.

Se non è una tua scelta ti rispetto

La campagna della Regione Toscana contro la discriminazione sessuale ha suscitato un putiferio. Il neonato ha scritto al polso “homosexual” sulla fascetta in genere usata per il nome. Accanto la didascalia: “l’orientamento sessuale non è una scelta”. Il livello delle critiche e la tenuta delle accuse degli insorti sono davvero pietosi. E il loro numero è preoccupante. Emerge l’animo di un Paese omofobo, perbenista e affezionato al motto cattoborghese del “si fa ma almeno non si dice”, che è la versione volgare del dichiararsi disposti a concedere per pietà e compassione, ma non a riconoscere un sacrosanto diritto. Che in questo caso sarebbe quello di vivere secondo le proprie preferenze, comprese quelle sessuali, in assenza di danni a terzi.
L’intento della campagna è lodevole. Purtroppo anch’essa rimanda l’immagine di un clima preoccupante. Prima di tutto – questo è evidente – perché in un “mondo migliore” non ci sarebbe bisogno di simili campagne. Ma soprattutto perché, al di là del dibattito sull’origine dell’omosessualità, sembra suggerire che non bisogna prendersela con gli omosessuali perché la loro non è una scelta. E anche se lo fosse?
Speriamo che sia solo una strategia per abbattere il muro resistente di pregiudizi e isteriche condanne contro le scelte diverse delle altre persone, qualunque esse siano. Perché, è necessario e al contempo assurdo ricordare, gli omosessuali non sono né fenomeni da baraccone, né malati da compatire. Sono persone, poco importa di quale inclinazione sessuale. Per rispettare una persona gli chiediamo forse in che modo preferisce fare l’amore?

(Omosessualità, rimane un tabu cattoborghese, E Polis).

mercoledì 24 ottobre 2007

Essere Volontè forse è una pulsione innata

Secondo alcuni sbagliare lavoro implica conseguenze sgradite per il benessere e la soddisfazione. Ecco perché si prova un senso di apprensione nel leggere le dichiarazioni di Luca Volontè, capogruppo UdC alla Camera, circa la campagna della Regione Toscana contro la discriminazione sessuale. Davanti all’immagine di un neonato con al polso la scritta “homosexual” e alla didascalia “l’orientamento sessuale non è un scelta”, Volontè strepita argomenti insensati e isterici, ma esilaranti. Avesse fatto il cabarettista, sarebbe stato un fuoriclasse. Definisce la campagna scioccante e falsa (falsa?), uno sperpero di denaro (lui denuncia uno sperpero di denaro? Lui che prende uno stipendio per dire idiozie?). Si indigna perché lascerebbe “passare l’idea che le pulsioni omosessuali siano una caratteristica innata dei bambini”: sarebbero forse determinate dall’educazione cattolica e beghina? A educazione morale corrisponde pulsione ammissibile, a educazione dubbia invece corrisponde pulsione condannabile? Al di là del dibattito sull’origine dell’omosessualità, che cosa ci sarebbe di tanto scandaloso nella “pulsione omosessuale”? Che cosa c’è di male?
Forse Volontè risponderebbe così:

La conseguenza più cupa e pericolosa è che la differenza tra maschio e femmina non conta più nulla, anzi: non esiste proprio! Al contrario, esiste il corpo androgino asessuato, simbolo di onnipotenza, libertà sessuale, lontananza da Dio, autodeterminazione individuale senza restrizioni e limiti. Insomma, nascono veri e propri cyborg, pronti a essere tutto e il contrario di tutto. Tanto, c’è la scienza (che a volte sfocia in fantascienza) a cambiare gli organi che non ci piacciono, a toglierne alcuni di troppo per metterne altri di più graditi. Di più, proprio in base a queste premesse assurde si giustificherebbe la nascita di qualsiasi sessualità a seconda dell’appetito o dell’istinto sessuale da soddisfare a tutti i costi.
Volontè chiude la sue requisitoria addirittura con un riferimento biblico: “Da Adamo ed Eva, i sessi sono due”, dimostrando di non cogliere la differenza tra sesso e orientamento sessuale. Fosse passato per i tavoli con un cappello rovesciato avrebbe fatto un bel bottino!
Purtroppo non fa il clown, ma il parlamentare. Ed è in buona compagnia: gli scandalizzati dalla campagna sono molti. E costituiscono la migliore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, della diffusione e della resistenza dell’omofobia; questi attacchi feroci e scioccamente perbenisti sono il termometro della civiltà di un Paese. Sorge il dubbio che sbagliare lavoro faccia male non solo al diretto interessato.

Essere Volontè è una scelta?

Luca Volontè, a proposito del manifesto della Regione Toscana con il neonato con la fascetta al polso su cui è scritto «omosessuale» ha dichiarato:

Il manifesto della Regione Toscana contro le discriminazioni sessuali, patrocinata dal Ministro Pollastrini, è assolutamente raccapricciante. Strumentalizzare i neonati, per far passare l’idea che le pulsioni omosessuali siano una caratteristica innata dei bambini, è un atto fuorviante e vergognoso sotto il profilo scientifico, politico e sociale. […] La compiacenza delle istituzioni pubbliche nei confronti di campagne scioccanti e false come questa […] è l’ennesima prova del furore ideologico antisessualità maschile e femminile, presente nel nostro Paese, oltre che tipico esempio di sperpero di denaro pubblico a favore delle solite lobby. Da Adamo ed Eva, i sessi sono due: rimarranno tali nonostante la prezzolata immaginazione dell’Arcigay.
Perché Volontè non tiene mai con sé un bel dizionario o una enciclopedia dei boyscout? Almeno eviterebbe le idiozie più grossolane. Per tutto il resto ci vorrebbe ben altro.

Aggiungo la dichiarazione di Alessandra Mussolini, davvero esilarante, quasi al livello di quella di Volontè:
Come donna e come madre rifiuto con sdegno l’utilizzo dei neonati e dei bambini a fini di propaganda omosessuale. È inconcepibile che si sia potuto offrire di patrocinare questa vergogna in un momento in cui la vera emergenza sono gli abbandoni dei minori, la pedofilia e le violenze che ogni giorno subiscono i bambini. Va bloccata questa atroce campagna semplicemente perché è una violenza contro la natura, dove i sessi sono due: maschio e femmina. Il resto sono opinioni, atteggiamenti, mode: insomma scelte individuali che lo Stato non puó imporre come modelli sociali.

Se a questa vergogna porgono il fianco le istituzioni bruciando denaro pubblico e assecondando il gioco delle “solite” lobby, siamo di fronte ad un vero e proprio scandalo che va fermato ad ogni costo.
Solo una cuoriosità: come mamma e donna (invertirei l’ordine) accetta di buon grado l’utilizzo di neonati a fini di propaganda non omosessuale?

Mario Capanna e la ricerca sugli Ogm

Mario Capanna viene intervistato dal Quotidiano Nazionale (un gruppo di giornali locali che comprende Il Giorno, La Nazione e Il Resto del Carlino) sulla sua battaglia contro gli Ogm (Lorenzo Frassoldati, «“Battaglia in Europa per essere liberi da Ogm”», 23 ottobre 2007, p. 13). Una delle domande riguarda la ricerca scientifica:

Bloccando gli Ogm volete bloccare la ricerca pubblica, la sperimentazione?
No, siamo sostenitori convinti di più ricerca, più scienza. Ma chiediamo che, scoperto un transgene che non esiste in natura, prima di usarlo in campo aperto si studino tutte le conseguenze, si valutino rischi e pericoli.
La risposta alla domanda successiva introduce però inopinatamente una nuova condizione:
La ricerca in laboratorio vada avanti, ma prima di passare in campo aperto si ascolta la società.
E cosa comporta questo ascolto? Capanna ce lo svela alla risposta successiva:
E se la ricerca dimostrasse la loro non dannosità per uomo e ambiente?
L’Italia, l’Europa dovrebbero dire comunque no, perché sarebbe una catastrofe economica. […] Tutti i sondaggi sono univoci: l’opinione pubblica europea non vuole gli Ogm.
La domanda che l’intervistatore avrebbe dovuto fare a questo punto è chiara: perché diavolo, allora, impegnarsi in sperimentazioni costosissime se si è già deciso che in ogni caso non se ne terrà conto? Solo per potersi vantare di essere «sostenitori convinti di più ricerca, più scienza»? Per Capanna «sostenere la scienza» significa passare lo stipendio ai ricercatori, e poi buttare nel cestino i loro risultati se vanno contro i sondaggi di opinione? E l’opinione pubblica non è contraria agli Ogm proprio perché le è stato fatto credere che fanno male alla salute da un’alleanza di agricoltori che temono la concorrenza e vecchi arnesi della politica che cercano un modo facile per restare a galla?

Ma l’intervistatore non l’ha fatta. Speriamo nella prossima occasione.

Audizione sulla Legge 40

Il mio auspicio è che una discussione sull’applicazione della legge 40 possa far ridare valore al merito dei problemi, alla forza delle evidenze, quando dimostrate e verificate, senza illusorie rassicurazioni di certezze aprioristiche, da qualunque parte esse vengano.
E non aggiungo altro. Tanto è chiaro no?

martedì 23 ottobre 2007

Appello di OSADONNA sul CNB

L’Osservatorio sulla Salute Riproduttiva di Milano ha inviato una lettera/appello sulle ultime vicende riguardanti il Comitato Nazionale per la Bioetica.

Al Presidente del Consiglio Romano Prodi
Al ministro per la Ricerca Scientifica Fabio Mussi

Non ci è sfuggita la prepotenza e l’ingiustizia con cui F. Paolo Casavola, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, ha liquidato Elena Cattaneo e Cinzia Caporale sospendendole dalla vicepresidenza del Comitato stesso. Due donne, due scienziate di alto livello, due voci laiche nel dibattito sulle questioni bioetiche in Italia. Due persone scomode nel ruolo di vicepresidenti, come ha rilevato lo stesso Casavola indicandole come colpevoli di vicinanza con i suoi detrattori. Insieme al terzo vicepresidente liquidato, Luca Marini, non avrebbero preso le distanze dalle critiche che tre membri del CNB (Carlo Flamigni, Demetrio Neri, Gilberto Corbellini) hanno rivolto al presidente Casavola. Non sono state nei ranghi, e per questo le ringraziamo.
Noi donne e uomini firmatari cogliamo l’occasione per rilanciare la denuncia di un CNB che non svolge i suoi compiti istituzionali: porre le basi di un confronto pubblico sugli interrogativi sollevati dalle biotecnologie e dal loro uso in campo medico, a partire da diversi orientamenti, inclusa l’esperienza femminile e la riflessione del movimento delle donne. Solo in questo modo alle polarità che impoveriscono il dibattito bioetico in Italia – laico o cattolico, sacralità o qualità della vita, etica della giustizia o etica della cura, fatti o valori – potrà sostituirsi un confronto che assuma la libertà e la responsabilità personale come guida per elaborare regole pubbliche.
A Cinzia Caporale, Elena Cattaneo e Luca Marini esprimiamo tutta la nostra solidarietà, invitandole a lavorare insieme per avviare una fase costituente di nuove e più adeguate istituzioni di bioetica. Una verifica del grado di verticalità, elitarismo, tecnocrazia e anche usura del CNB a 17 anni dalla sua costituzione è necessaria da tempo. Forse è arrivato il momento per farlo.
Al Ministro per la ricerca Fabio Mussi chiediamo di affrontare la vicenda con gli strumenti adeguati e con la visibilità che la gravità del fatto richiede, a Romano Prodi, cui sono andati i nostri voti, chiediamo che motivi la sottoscrizione dell’espulsione immotivata. Come cittadine che difendono la laicità dello stato e della ricerca ci troviamo, una volta di più, a dire: adesso basta.
Per aderire: osa@osadonna.org.
Le adesioni.

Libera Chiesa in debole Stato

Davvero splendido l’articolo di Michele Ainis sulla Stampa di oggi («Libera Chiesa in debole Stato», 23 ottobre 2007, p. 42):

l’articolo 7 della Costituzione italiana […] riconosce la sovranità della Chiesa cattolica, e perciò la riconosce come Stato. Uno Stato enclave, ma pur sempre uno Stato, che intrattiene relazioni diplomatiche con 176 Paesi. Insomma il cattolicesimo è l’unica confessione religiosa il cui organo di governo è posto al vertice d’uno Stato sovrano. Ma dal fatto che la Santa Sede sia uno Stato derivano vincoli e divieti. A una garanzia in più (e quale garanzia!) fa da contrappeso un limite in più. Quindi se un monaco buddista o un rabbino ebreo possono ben intervenire sulle vicende legislative della Repubblica italiana, non può farlo il Vaticano. Qui, difatti, non viene in campo la libertà di religione. Non viene in campo una questione di diritto costituzionale, bensì una questione di diritto internazionale. Quando non i parroci, ma il governo stesso della Chiesa attraverso la Cei invita per esempio a disertare un referendum, è come se a pronunziare quell’invito fosse il presidente francese Sarkozy. E la reazione dovrebbe essere affidata ai nostri rappresentanti diplomatici, se vogliamo prendere sul serio l’articolo 7.
D’altronde, che accadrebbe se il premier italiano si scagliasse contro i principi che governano il diritto della Chiesa? Gli argomenti, diciamo così, non mancherebbero. Il diritto canonico non conosce la separazione dei poteri, dato che il Pontefice è al vertice del potere legislativo, esecutivo, giudiziario: una concentrazione che a suo tempo Cavour aveva definito come «il più schifoso despotismo». Non conosce il suffragio universale per la preposizione alle cariche ecclesiastiche. Non conosce la certezza del diritto, sepolta da un sistema di dispense e privilegi. Non conosce la libertà di culto, giacché qualunque offesa alla religione cattolica riveste la natura di reato. Non conosce la regola della maggiore età, dal momento che le leggi ecclesiastiche obbligano tutti i battezzati che abbiano compiuto 7 anni. Non conosce il principio d’eguaglianza fra i sessi, negando il sacerdozio femminile. Ma neppure lo riconosce all’interno del sesso maschile, dato che laici e chierici hanno una differente capacità giuridica, dato che i diritti politici restano in appannaggio ai sacerdoti, e dato infine che questi ultimi sono una casta con proprie norme, sanzioni, tribunali.
In breve, la Chiesa è retta da un ordinamento dove il potere politico coincide con quello religioso, e dove vengono smentite le più elementari regole dello Stato di diritto. Eppure da quel pulpito piovono scomuniche e indirizzi per condizionare la vita pubblica italiana. Basterà rievocare un episodio: il 16 marzo scorso Benedetto XVI ha esortato all’obiezione di coscienza in difesa della vita non solo farmacisti e medici, ma anche i giudici italiani. Sennonché i giudici – afferma la Costituzione – «sono soggetti soltanto alla legge»; l’unica obiezione di coscienza che viene loro consentita è impugnare la legge per incostituzionalità. Se potessero rifiutarsi di rendere giustizia appellandosi ai propri umori e amori personali, verrebbe scardinato non tanto lo Stato di diritto, bensì lo Stato in sé e per sé, l’ordine civile.
Tuttavia le nostre istituzioni hanno risposto, ancora una volta, col silenzio. Un silenzio complice, non soltanto perché la degenerazione d’un regime democratico in regime clericale (diceva Salvemini) avviene gradualmente, e te ne accorgi quando si è già consumata; non soltanto perché altrove i governi reagiscono con una protesta diplomatica, come ha fatto Zapatero nel 2005, dopo la scomunica ecclesiastica dei matrimoni gay; ma infine perché tale atteggiamento implica una cessione di sovranità. Peraltro in molti casi gli interventi della Santa Sede vengono sollecitati proprio da chi ci rappresenta: è accaduto in agosto, quando Prodi ha chiesto l’aiuto della Chiesa per far pagare le tasse ai cittadini, ottenendo una dichiarazione del segretario di Stato vaticano. Appelli come questo rivelano tutta la debolezza della classe politica italiana, ma il loro effetto è legittimare le istituzioni di uno Stato straniero all’esercizio d’un anomalo ruolo di supplenza sulle nostre istituzioni. Che perciò si spogliano della propria laicità, e insieme della propria sovranità.
Insieme a Paolo Flores D’Arcais, a Gian Enrico Rusconi e a Gustavo Zagrebelsky, Ainis si pone ormai come una delle voci laiche più convincenti del nostro paese. Una delle poche, purtroppo.

Il mondo è cambiato

Così Luca Volontè avvia il suo pezzo odierno (La politica ritrovi il bene comune, 22 ottobre 2007). E come al solito ci offre pretesti di riflessione:

Persino Ferrero ha dovuto ammettere che i ventenni di oggi andranno in pensione con circa il 50% dei loro genitori.
Buffo no? I ventenni di oggi andranno in pensione insieme ad almeno uno dei loro genitori. Per Volontè amante della famiglia dovrebbe essere una buona notizia. E che Volontè sia per la famiglia è innegabile; forse si emoziona e non è in grado di esprimersi bene:
Persona,famiglia e lavoro che sono al cuore, non orpelli elettorali, di una reale e concreta politica del ‘bene comune’ su cui per tre giorni Bagnasco ha invitato a riflettere nelle Settimane Sociali.
Virgola senza spazio (pazienza); sono al cuore? Sono al cuore di una reale e concreta politica (e poi il repentino mutamento), non sono orpelli (non sarebbe stato mal detto: sono agli orpelli elettorali). Come intendere il bene comune se non si intende cosa ci sta suggerendo Volontè? Per 3 giorni Bagnasco avrebbe invitato a riflettere nelle Settimane. Per 3 giorni avremmo dovuto riflettere (3 giorni su XX settimane?) oppure Bagnasco ha invitato per 3 giorni perché nessuno gli dava retta e poi si è stufato?
In ogni modo, siamo avvertiti. Già, perché
La giostra prima o poi finirà anche per l’avanspettacolo di certa politica, in fondo le parole del Papa dicono proprio questo:la politica deve servire il popolo.
Due punti senza spazio (pazienza). E il Papa chi deve servire? Dio? Fin troppo comodo, non credi caro Volontè? Il Papa, se proprio volesse, potrebbe contribuire non poco ad aiutare quel popolo al quale troppo spesso rompe i coglioni, offrendo il suo aiuto spirituale anche (o soprattutto) quando non richiesto. Cominciasse a cedere parte del suo patrimonio immobiliare. Poi riparliamo di buoni consigli.

ps: la foto originaria di questo post ritraeva il nostro beniamino in posa seduttiva/misteriosa. Purtroppo è stata rimossa in quanto colei che aveva realizzato lo scatto, nonostante fosse stato indicato il suo nome, il suo sito con tanto di link e il © ha detto che non avevo avuto rispetto per il suo lavoro e per la proprietà intellettuale. Mi ha chiesto quindi di rimuovere la foto, giudicando leggero (per un blog che parla di bioetica) inserire una foto e poi chiedere il permesso (faccio ammenda per questo disordine temporale) e ha promesso una azione legale in caso contrario. Mi sorge un dubbio: la sua reazione sarebbe stata la medesima in caso di diverso contenuto del post?

lunedì 22 ottobre 2007

Non ci accaniamo sull’accanimento terapeutico

Laura Palazzani, vicepresidente del CNB nuova di zecca e docente di filosofia del diritto all’Università Lumsa di Roma, ha dichiarato (Settimana sociale, D’Agostino: il vero problema del testamento biologico è burocratizzare l’abbandono terapeutico, Toscana Oggi, 20 ottobre 2007):

Sulla questione del fine della vita non ci si deve accanire dal punto di vista terapeutico, ma il testamento biologico non deve avere questa funzione.
Come? Non ci si deve accanire (?) dal punto di vista terapeutico sulla questione del fine vita, ma (ma?) il testamento biologico non deve avere questa funzione: no, non migliora. Forse per una specie di proprietà transitiva.
Se questo avvenisse […] potrebbe voler dire che chi non vuole il testamento biologico vuole per ciò stesso l’accanimento terapeutico. Mentre quest’ultimo problema è di tipo medico e non legislativo e su di esso c’è larga condivisione sul piano medico stesso. Bisogna invece rilevare che alcuni disegni di legge veicolano messaggi eutanasici, togliendo la responsabilità al medico. Il che equivale a una legittimazione dell’eutanasia.
Chi non vuole il testamento biologico vuole l’accanimento terapeutico? Non è che ci sta prendendo in giro, no? O l’intervistatore era ubriaco. L’accanimento terapeutico non c’è se il paziente acconsente a X (o Y o Z, e così via). Proprio perché non è un problema medico (poveri noi), ma è una questione personale, di scelta privata e non oggettivamente definibile (salvo nei casi estremi). È impressionante come la responsabilità del medico assuma spesso la forma dell’imposizione: come a dire che se rifiuto un trattamento offendo il medico o lo privo della sua responsabilità. Sulla connessione con l’eutanasia, suggerirei qualche riflessione più approfondita, magari anche qualche lettura.

Obbligo di cura

Sembrerebbe un principio ormai largamente accettato, su cui non c’è più bisogno di discutere: un cittadino non può venire obbligato a sottoporsi a un trattamento sanitario contro la sua volontà (se non in caso di incapacità di intendere o di volere, o quando il suo rifiuto metta in pericolo la salute di altri, come nel caso di alcune malattie infettive). Un medico non ci può afferrare per farci un’iniezione, neppure se ne va della nostra vita: lo dice la Costituzione, lo dicono trattati internazionali sottoscritti dal nostro paese, lo dicono leggi ordinarie e una serie ormai nutrita di sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione; ed è giusto che sia così, visto che nessuno può essere miglior giudice su che cosa è bene per un individuo adulto di lui stesso. La discussione parrebbe limitata ai casi di confine: per esempio, alle persone non più in grado di intendere o di volere (come Eluana Englaro), e che quindi si potrebbero giovare di direttive redatte in passato sulle cure da rifiutare o da accettare.

Ma ecco cosa si legge in un’intervista di Ilaria Nava a Gianfranco Iadecola, ex procuratore generale della Cassazione («Eluana: la vita non si tocca, lo dice la Costituzione», Avvenire, 18 ottobre 2007). I due stanno parlando appunto della sentenza della Cassazione sul caso Englaro, e il discorso tocca a un certo punto il diritto di rifiutare le cure del paziente capace di intendere e di volere:

La rilevanza del consenso del paziente capace di esprimerlo è al centro del dibattito, ma qui la Cassazione si spinge oltre...
«Sono pienamente convinto che la questione del consenso sia tuttora irrisolta, perché coinvolge due posizioni: quella del paziente, che ha diritto a rifiutare i trattamenti, e quella del medico, che ha una posizione di garanzia nei suoi confronti. Naturalmente le scelte private del paziente non costituiscono un problema, perché ognuno è libero di non recarsi neppure dal medico e di lasciarsi morire. Il problema sorge quando tale diritto è esercitato al cospetto del sanitario, perché in questo caso il rifiuto, per essere realizzato, coinvolge necessariamente anche la sua azione».

Su questo punto la sentenza cosa afferma?
«Assolutizza il diritto di rifiutare le cure. La posizione di garanzia del medico si colloca in una posizione subordinata, è condizionata dal consenso del paziente».
Cosa significa che «il rifiuto, per essere realizzato, coinvolge necessariamente anche la sua [del sanitario] azione»? Se io rifiuto un ciclo di chemioterapia quale «azione» è mai richiesta al medico che mi sta di fronte? Rimettere le medicine nell’armadio? Archiviare la mia pratica nello schedario? Aprire la porta per farmi uscire? Ma persino se quello mi sta iniettando la prima dose, e io cambio idea solo allora, quale azione gli richiedo? Cessare di spingere lo stantuffo della siringa non è un’azione: l’azione è spingerlo! La differenza tra azione ed omissione può essere moralmente dubbia, ma dal punto di vista giuridico è fondamentale; come fa un ex procuratore generale della Cassazione a ignorarla?
Ancora: cos’è «la posizione di garanzia del medico nei confronti del paziente»? Cosa dovrebbe garantire, esattamente, visto che per Iadecola non dovrebbe essere subordinata al consenso del paziente? Questo ricorda molto la famosa «alleanza terapeutica», di cui chi la pensa come Iadecola lamenta spesso la possibile distruzione, se quegli egoisti dei pazienti pretenderanno di rifiutare ciò che il medico pensa sia bene per loro (il medico che non rispetta il volere del paziente, curiosamente, non infrange invece nessuna alleanza).

Questi umori sono più diffusi di quanto si possa pensare; basta saper leggere bene fra le righe per rintracciarli nei discorsi di molti teodem, teocon, clericofascisti, etc. Forse non arriveremo mai a un mondo in cui se varchi la soglia di un ospedale non sei più certo di poterne liberamente uscire, ma di certo ci troviamo già in un mondo in cui diritti elementari, che si credevano da lungo tempo acquisiti, sono rimessi in discussione; un mondo in cui siamo costretti a una lotta faticosa, logorante, incessante per ottenere ciò che è già nostro.

La somma delle parti

Angelo Bagnasco (Bagnasco: i cattolici vogliono dire la loro sul Paese, Libertà, 22 ottobre 2007) durante la 45ª Settimana sociale dei cattolici si impegna a dare una rinnovata consapevolezza del proprio ruolo nella società ai laici cattolici e si interroga sul bene comune:

Un bene comune che, spiega, non è la somma di tanti beni individuali, e non può prescindere dalla dottrina sociale e dalla centralità della persona.
Sarebbe gradito conoscere gli addendi (con la promessa che non facciamo né la somma né la media né altre diavolerie matematiche, ma per avere giusto una idea). Anche il contenuto della dottrina sociale, nonché la definizione di persona.

domenica 21 ottobre 2007

Un solo embrione anche per chi ha più di 35 anni

La fecondazione in vitro ha, in media, tassi di riuscita non molto elevati: un embrione creato con questa tecnica non si impianta facilmente nell’utero, e la procedura deve perciò spesso essere ripetuta, con moltiplicazione dei costi e dei disagi. Per ovviare a questo problema si può trasferire in utero più di un embrione contemporaneamente, aumentando la probabiltà di ottenere una gravidanza, ma anche che questa sia gemellare o plurigemellare, con gravi rischi per la salute e la vita dei concepiti e della donna. Si è tentato dunque di aumentare le percentuali di attecchimento del singolo embrione; una tecnica che ha conosciuto un buon successo consiste nel rimandare l’impianto allo stadio embrionale della blastocisti, che inizia cinque giorni dopo il concepimento (normalmente si impiantano invece embrioni che sono rimasti nella provetta solo tre giorni). Di conseguenza, in molti paesi le linee guida che regolano la materia raccomandano ormai ove possibile il trasferimento di un singolo embrione; una delle limitazioni più importanti riguarda l’età della paziente, che fino ad oggi non doveva superare i 35 anni – anche se la maggioranza delle donne che ricorrono alla fecondazione in vitro supera purtroppo questo limite.
Ma adesso un gruppo di ricerca guidato da Amin Milki della Stanford University ha dimostrato che anche in un gruppo selezionato di donne di età superiore a 35 anni è possibile ottenere con il trasferimento singolo di blastocisti tassi di gravidanza lusinghieri, addirittura superiori al 50%, a fronte di una media americana del 25% per pazienti della stessa età ma non selezionate (L. B. Davis et al., «Elective single blastocyst transfer in women older than 35», Fertility and Sterility, 2007).

La tecnica del trasferimento unico ha attirato da noi l’attenzione degli integralisti e dei loro alleati, che hanno visto in essa una conferma della bontà della legge 40/2004 sulla procreazione assistita. Com’è noto, uno dei punti più controversi della legge riguarda la proibizione di fecondare più di tre ovociti per procedura (art. 14 comma 2); in precedenza, invece, non esisteva un limite, ed eventuali embrioni in sovrannumero potevano venire congelati. Dicono allora gli integralisti: le tecniche all’avanguardia prevedono ormai l’impianto di un solo embrione (o comunque di un numero limitato di embrioni), con una buona probabilità di successo; non è dunque più necessario crearne un gran numero, e la legge 40 non ha bisogno di essere cambiata.
Dov’è l’inganno? Quello che viene sistematicamente taciuto è che la tecnica del trasferimento unico funziona proprio perché prevede la selezione degli embrioni migliori – che verranno impiantati – fra un grande numero di embrioni ottenuti. Nei casi riportati da Amin Milki il criterio di selezione è stato appunto quello di impiantare un singolo embrione soltanto alle donne che avevano prodotto embrioni di qualità elevata. Nello studio che ha dimostrato la superiorità dell’impianto della singola blastocisti si afferma (Evangelos G. Papanikolaou et al., «In Vitro Fertilization with Single Blastocyst-Stage versus Single Cleavage-Stage Embryos», New England Journal of Medicine 354, 2006, pp. 1139-46, a p. 1140):

Lo svantaggio principale di trasferire l’embrione all’età di tre giorni invece che a cinque è che i criteri morfologici che si usano per la selezione embrionaria al terzo giorno sono estremamente soggettivi, e riflettono con minore accuratezza la qualità genetica (cioè il numero corretto di cromosomi) degli embrioni rispetto ai criteri usati al quinto giorno.
Esistono altre tecniche per aumentare il tasso di impianto, oltre a quella del trasferimento della blastocisti, ma praticamente tutte si basano sulla selezione degli embrioni migliori. Una procedura, per esempio, precede il trasferimento di un embrione singolo di tre giorni di buona qualità, seguito (in caso di insuccesso) da quello di un embrione congelato con le stesse caratteristiche: la percentuale di impianti coronati da successo si alza, senza sottoporre le pazienti a nuove stimolazioni ormonali (A. Thurin et al., «Elective single-embryo transfer versus double-embryo transfer in in vitro fertilization», New England Journal of Medicine 351, 2004, pp. 2392-402).
In Italia non si può effettuare invece nessuna selezione embrionaria: primo, perché la legge sembra proibirla (dico «sembra» a causa della coraggiosa interpretazione della legge proposta dal giudice Maria Grazia Cabitza, che ha aperto un varco in questo senso – e che è infatti è stata subito sottoposta a un vero e proprio linciaggio morale dagli integralisti), e secondo perché il numero di embrioni su cui effettuarla (tre al massimo) sarebbe in ogni caso troppo piccolo. In queste condizioni, se si procedesse all’impianto di un solo embrione la percentuale di successo sarebbe miserabilmente bassa.

Gli integralisti rispondono a queste obiezioni sostenendo che analoghe indagini possono essere svolte sugli ovociti. Per la verità, la legge 40 sembrerebbe proibire anche questa pratica, visto che all’articolo 13, comma 3b, vieta «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti»; ma ammettiamo pure, per amore di discussione, che tale divieto non esista o che si riferisca a qualche altra cosa. Per prima cosa, va notato che le indagini sugli ovociti non sono morfologiche, come quelle che abbiamo passato in rassegna qui sopra, ma genetiche: le analisi morfologiche degli ovociti sono ancora troppo incerte per fornire risultati attendibili. Si preferisce quindi prelevare il cosiddetto primo globulo polare (o corpo polare), un corpuscolo emesso dall’ovocita in maturazione che contiene una copia di tutti i suoi cromosomi, e effettuarne la biopsia. In questo modo è possibile rilevare indirettamente eventuali difetti genetici dell’ovocita, in particolare lo stato di aneuploidia, cioè qualsiasi cambiamento nel numero dei cromosomi, che devono essere esattamente 46, o più esattamente 23 paia (nella trisomia, per esempio, si hanno tre copie di un dato cromosoma invece di due). È proprio l’aneuploidia la causa di buona parte dei mancati impianti dell’embrione nell’utero.
Tutto bene, dunque? No. Di nuovo, gli integralisti ci tengono nascoste informazioni chiave. Una buona parte delle aneuploidie, infatti, si producono nell’ovocita dopo l’espulsione del primo globulo polare; altre sono presenti nello spermatozoo, e altre ancora si producono nell’embrione dopo la fecondazione. Per individuare queste anomalie si deve ricorrere alla biopsia di una delle cellule dell’embrione; questa tecnica sarà dunque sempre molto più efficiente della biopsia del primo globulo polare – anche perché a differenza di quest’ultima consente la ripetizione dell’esame su un’altra cellula se ci sono incertezze nel risultato – ma gli integralisti non permetteranno mai che venga adottata, visto che comporta di nuovo la selezione degli embrioni. Esistono comunque ancora incertezze sulla sua efficienza assoluta (e a maggior ragione sull’efficienza della biopsia del globulo polare) nel favorire l’impianto dell’embrione, anche in ragione dei costi assai elevati di una biopsia (Brendan Maher, «Embryo screening “doesn’t improve” pregnancy success», Nature News, 17 ottobre 2007). Per adesso, la selezione morfologica degli embrioni sembra ancora l’unica via aperta per rendere fattibile il trasferimento di un singolo embrione.

Ovociti in vendita

Sull’inserto D di Repubblica di questa settimana c’è un pezzo sulla vendita degli ovociti, Mamme al Bazar di Gina Pavone (pp. 89-93).
Chissà perché, ma finisco quasi sempre a interpretare la parte del cattivo...

sabato 20 ottobre 2007

Il paradosso della senatrice Binetti

Fra le varie dichiarazioni riportate ieri da Avvenire in merito alla sentenza della Cassazione sul caso di Eluana Englaro, spicca questa della senatrice Paola Binetti («Caso Eluana, critiche trasversali alla Cassazione», 19 ottobre 2007, p. 15):

non abbiamo nessuna certezza che garantisca quale fosse la volontà di Eluana sul trattamento sanitario, e comunque la domanda è se essa rappresenterebbe la sua valutazione attuale. È questo uno dei punti cruciali del dibattito in corso.
Eluana Englaro è incosciente. Come potrebbe formulare una «valutazione attuale» sul trattamento che riceve? Anche ammettendo che si svegliasse all’improvviso per un miracolo inaudito, quale valutazione potrebbe mai dare, visto che non si troverebbe più nella condizione in cui si trova adesso? Certe situazioni possono essere valutate solo dall’esterno; altrimenti dovremmo eliminare l’istituto testamentario, visto che non si potrebbe mai conoscere la «valutazione attuale» del defunto sui suoi eredi, o – per rimanere in tema – la possibilità di esprimere un consenso informato a qualsiasi operazione chirurgica, visto che sotto anestesia non potremmo certo valutare «attualmente» le cure a cui siamo sottoposti.
Forse la senatrice Binetti si riferiva al grande lasso di tempo intercorso da quando la ragazza aveva espresso le sue volontà? Ma in questi 15 anni Eluana Englaro è stata sempre inconscia, e non può quindi aver maturato alcuna esperienza significativa che potrebbbe modificarne il giudizio. Per lei, tragicamente, è come se l’incidente fosse avvenuto appena ieri.

W i ricercatori italiani

Leggo e volentieri rimando ad una lettera firmata da Gianfranco Bertone, Giacomo Cacciapaglia, Marco Cirelli, Pier-Stefano Corasaniti, Lara Faoro, Alessio Figalli, Marcella Grasso, Riccardo Spezia, Simone Speziale, Dario Vincenzi, Francesco Zamponi e inviata a Fabio Mussi e a Luciano Modica (Alcune considerazioni sul sistema di reclutamento dei ricercatori italiani, la versione completa della lettera è qui).

La lettera comincia così:

Nel giugno scorso si sono svolti, come ogni anno, i concorsi del CNR francese (CNRS) per l’accesso a posti da ricercatore a tempo indeterminato. Noi firmatari di questo documento siamo risultati vincitori di buona parte di questi posti nelle sezioni di matematica, fisica e astronomia; tutti i risultati in dettaglio sono consultabili sul sito del CNRS. Nelle classi che ci riguardano e nel solo concorso 2007, gli italiani hanno ottenuto il 35% dei posti banditi (il 71% restringendosi a fisica teorica) e, se il CNRS assegnasse medaglie, cinque ori e tre argenti in sette competizioni. Più in generale, se si guarda alla lista degli iscritti al concorso, il numero di italiani è impressionante: ormai tutti in Francia parlano di “invasione italiana’’.

La tendenza attuale dei ricercatori italiani a cercare posti all’estero è stata sottolineata più volte negli ultimi anni. Per comprenderne le ragioni, sono sufficienti alcune semplici considerazioni sul sistema di reclutamento italiano, evidenti a chiunque sia stato anche per un breve periodo a fare ricerca all’estero. Le nostre esperienze sono in particolare relative all’ambito accademico di matematica, fisica e astronomia, ma sono facilmente estrapolabili ad altri domini della ricerca scientifica e umanistica, che anzi spesso versano in condizioni ancor più preoccupanti. Sono necessarie intanto alcune premesse:
(A) Di per sé, il fatto che i ricercatori italiani desiderino andare all’estero e vincano concorsi in tutti i paesi più avanzati è un dato molto incoraggiante. Vuol dire che la formazione che si impartisce in Italia è ottima, e che i giovani ricercatori italiani sono motivati, dinamici e talmente appassionati al proprio lavoro da essere pronti a emigrare per fare ricerca nelle migliori condizioni. (B) Il problema dunque non è la “fuga dei cervelli’’, ma piuttosto l’assenza totale di un flusso inverso, ovvero l’impossibilità per gli italiani di rientrare dopo un periodo trascorso all’estero; e inoltre (C) la quasi totale assenza di ricercatori stranieri. Quest’ultimo fatto è veramente preoccupante: tutti i paesi avanzati reclutano ricercatori dall’estero, ad esempio dai paesi asiatici o sudamericani. Gli Stati Uniti e la Francia hanno approfittato del crollo dell’URSS per reclutare i migliori ricercatori ex-sovietici. In Italia, niente di tutto ciò. (D) L’assenza di rientri e reclutamenti dall’estero rende il sistema insostenibile. Il progressivo pensionamento degli attuali docenti potrebbe causare un abbassamento generalizzato del livello della ricerca e dell’insegnamento; a quel punto non vinceremo più neanche i concorsi all’estero.
Da mal di stomaco. E da leggere tutta. E da rispedire migliaia di volte ai destinatari.

Aggiornamento: Giulio ci segnala questo post: Fuga dei cervelli (che linkiamo volentieri).

L’insostenibile leggerezza dell’idiozia

Il poeta è davvero grullo e non meriterebbe molta attenzione se non fosse che il rischio che seduca con le sue funamboliche costruzioni sintattiche è troppo elevato per non tentare una resistenza (Se il padre alza le braccia date a noi un po’ di quel peso, Avvenire, 19 ottobre 2007). Attacca in cotanto modo, tra indignazione e vette poetiche irraggiungibili:

Eluana come Terry. Fiori insopportabili di vita. Nel loro silenzio, nella loro infermità.
Ragazze come cespi di fiori e di spine che ci feriscono, ci affascinano. Ci inciampano il cammino. Finché arriva qualcuno, un giudice, una corte – qualcosa sempre senza faccia, senza mandato popolare, ma eletto da colleghi, da caste come si dice oggi – a dire: staccate la spina, smettete di darle da bere.
Invece che dire: aiutiamo se la famiglia non ce la fa. Invece che dire: è un mistero la vita così, ma vita è, sosteniamola finché si deve e riesce, si arriva ad equiparare di fatto l’alimentazione artificiale a un accanimento terapeutico. E si dice: sospendete l’acqua, il cibo, muoia di fame lei che nemmeno un tremendo incidente aveva spento del tutto.
Messa così sembra che uno senza faccia (e senza cuore, vogliamo dirla tutta?) si sia presentato, senza che nessuno lo avesse invitato, al capezzale di Eluana per dirle che le scorte di acqua e cibo sono finite. Ed ecco allora il poeta inalberarsi in una difesa accorata di Eluana ma anche della vita che è un mistero, così come misterioso è il luccichio dell’intelligenza che non a tutti è toccata in sorte. Ah!, misteriosa è l’esistenza; ma un po’ meno il volere della ragazza. E come spesso accade la richiesta da parte della famiglia viene interpretata come un gesto di disperazione (la famiglia non è disperata per le ragioni che il poeta sospetta, e comunque non sembra avere chiesto la pietà di chicchessia), non come la richiesta di rispettare i desideri di Eluana, già violati da un incidente, e ora ignorati da tutti quelli che blaterano sul mistero dell’esistenza e sulla sacralità della sopravvivenza.
Ma il poeta pone domande articolate e spaventosamente superficiali; il poeta, se avesse qualche conoscenza elementare, eviterebbe di interrogare e interrogarsi:
crediamo che Eluana sia solo quel che noi vediamo di lei? Come mai siamo così spietati proprio verso i più deboli? In genere, delle persone pensiamo sempre che ci sia un segreto nella loro personalità, un mistero, qualcosa che ci sfugge dietro le apparenze.
Interi rotocalchi effondono inchieste, test, e articolesse sui misteri della personalità di vip, mezzi vip etc etc. Invece con questo genere di ammalati diventiamo immediatamente superficiali. E pensiamo che loro siano ‘solo’ quello che vediamo, che misuriamo. E allora Eluana, Terry diventano solo un sacco di roba già morta, inutile da irrigare. Come una terra da abbandonare. E come accade ogni volta che l’amore perde, la parola passa ai giudici.
Etc etc. non me lo sarei aspettato da un poeta. Ma ci passiamo sopra perché la sparata sul giudice supremo che segue è da non perdere. Strabiliante.
Alcuni di loro, come nel caso della Cassazione, naturalmente si prendono il diritto di dire quali sono le condizioni perché una vita sia da considerare tale.
È il sogno di ogni giudice supremo poterlo fare. Giudicare su vita e morte. Un sottile fascino. Magari mascherato sotto l’esibizione di un linguaggio forbito, pieno di volute in giuridichese e di buoni sentimenti. Ma che crolla di fronte a un argomentare serio.
Così, i giudici della Cassazione si mettono al posto del legislatore, e aprono falle, mettono condizioni e aggirano i fatti. Seminando una certa inquietudine. Alla soddisfatta ambizione di certi giudici, oppongo la semplicità del popolo. Di coloro che se vedono uno che fa fatica, provano ad aiutarlo. E dunque di fronte alla vita difficile di Eluana, e a quella eroica dei suoi, dico: date a noi un po’ di quel peso. Datelo a me. Vediamo come fare ad aiutare, invece che far morire di fame (di fame!) la ragazza Eluana che era bella era forte, e ora è bella d’ulteriore beltà e forte di una forza non nostra che in vita la tiene. È comprensibile che il padre non ce la faccia più.
Non è solo grullo, mi sa. L’argomento serio che farebbe crollare il giudice supremo non è chiaro quale sia. Perché il legislatore è immacolato, nemmeno. La semplicità del popolo? Ehi, poeta, ma sei mai andato a parlare con il popolo (strana entità apparentemente compatta e monolitica)? Non ti viene la tentazione di chiedere ragione di quella fatica? No, tu tendi cristianamente una mano, senza porti il dubbio che non è questo l’aiuto che l’affaticato desidera. Ma non importa, hai deciso tu come aiutarlo, e paternalisticamente non accetti confutazioni. Sul morire di fame (!) abbiamo già detto. Il poeta cavalca le emozioni prive di contenuto. Sai qual è la forza che tiene in vita Eluana? Non immaginare misteri insondabili, le spiegazioni spesso sono molto, molto più semplici.
Nessuno lo giudichi. Ma nemmeno si lasci morire una ragazza. Lasciar la decisione ai giudici, è un modo tremendo per lavarsi la coscienza, per non farsi carico di questo ‘scandalo’ della vita, che resta anche quando non è come la desideriamo. Si facciano avanti piuttosto i medici, coloro che hanno responsabilità diretta. Ci dicano loro, che hanno le mani e la coscienza coinvolta con il caso se si tratta di accanimento o no. Ma se è cura, la si faccia. Se vogliono altro – i medici, gli amici – la si chiami col nome vero, toglier la vita. E pensino se è cosa da medici, da amici. Non consegniamo Eluana a uno sterile dibattito di carte.
Ognuno faccia la sua parte. Se il padre alza le mani, esausto, parli il medico, e parlino gli amici. E parlino coloro che magari sono disposti ad ‘adottare’ una vita così. Io tra questi metto la mia firma.
L’abuso di anacoluti gioca brutti scherzi al poeta: non sono i giudici a decidere. Chi è che si laverebbe la coscienza, poeta? I medici hanno già parlato riguardo alla condizione di Eluana, e quanto all’accanimento sarebbe interessante includere nella valutazione i desideri di Eluana. Presunti, ricostruiti, ma pur sempre i suoi desideri, unica bussola possibile per prendere una decisione.
Parlare della stanchezza del padre è osceno, ridicolo e crudele come solo gli stupidi sanno essere. Senza avere consapevolezza dell’enormità delle loro idiozie. Firmatario di uno scempio, poeta, faresti meglio a tacere o a cominciare a preparare gli auguri in rima per il prossimo Natale.

Francesco D’Agostino sul caso Englaro

Francesco D’Agostino commenta la sentenza della Corte di Cassazione sul caso di Eluana Englaro («Se i soldi sono garantiti più della vita», Avvenire, 18 ottobre 2007, p. 1):

Eluana è in coma persistente da anni e anni. Non è morta; è malata. La sua vita ha la stessa dignità di ogni altra vita, malata o sana, perché nessuna malattia, per quanto terribile, può togliere dignità a una persona (anzi, in realtà l’accresce).
Per il professor D’Agostino, dunque, la malattia accresce la nostra dignità. Potreste osservargli che, in una data circostanza, avete sentito o sentireste la vostra dignità avvilita e annullata; ma lui vi risponderà che vi sbagliate. Inutile replicare che nessuno meglio di voi può giudicare ciò che sentite e preferite; la dignità non è, per lui, qualcosa che ha a che fare con percezioni e preferenze: è qualcosa di impersonale, un fluido sottile, un mana sacro che permea il vostro corpo. Rassegnatevi, dunque.
Non esistono criteri scientifici per accertare se il coma di cui essa è preda sia o no irreversibile. In linea di principio Eluana potrebbe riacquistare la coscienza; è improbabile, ma è possibile; è quanto basta per affermare che essa ha il pieno diritto (oltre tutto di rango costituzionale) di essere curata ed accudita.
Se Eluana si risvegliasse dopo 15 anni di stato vegetativo persistente (non di coma), sarebbe il primo caso al mondo. Sappiamo anche perché versa in quello stato: perché un danno cerebrale gravissimo ha colpito i centri deputati alla coscienza. Se questi non sono criteri scientifici, il professor D’Agostino si faccia promotore di una legge che obblighi all’accanimento terapeutico: come fa, infatti, a essere sicuro che un malato terminale non guarisca all’ultimissimo minuto, traendo beneficio da una terapia che in tutti gli altri casi si era rivelata inutile? È improbabile, ma è possibile. Prema anche per abolire l’intero ordinamento penale (come essere sicuri che non si verifichino errori giudiziari a cui non si giungerà mai a porre riparo?), e per mettere fuori legge tutti gli autoveicoli (le probabilità di ammazzare qualcuno o di ammazzarsi sono infinitamente superiori a quelle di qualsiasi risveglio dallo stato vegetativo).
Il padre chiede da tempo che non venga più alimentata e dissetata; poiché essa è viva (non è – ripetiamolo – in stato di morte cerebrale) ciò che il signor Englaro domanda è, né più né meno, che la si lasci morire per inedia (una inedia che potrebbe prolungarsi per giorni e giorni).
Più avanti D’Agostino ammette però che in casi come questo il malato privo di coscienza non soffre: perché allora evocare lo spettro della morte per fame? Tanto più che è ormai noto che persino in malati terminali coscienti la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione non è il più delle volte affatto penosa (Ira R. Byock, «Patient Refusal of Nutrition and Hydration: Walking the Ever-Finer Line», American Journal Hospice & Palliative Care, March-April 1995, pp. 8-13).
Si dice: è vero, ma è pur vero che non si devono porre in essere terapie che realizzino un «accanimento» e quello che si chiede per Eluana è che non ci si accanisca più contro di lei. Non c’è dubbio che l’accanimento terapeutico sia sempre condannabile; ma non c’è nemmeno alcun dubbio che Eluana non sia per nulla vittima di un accanimento: nel suo caso non è in questione la sospensione di terapie estreme, tecnologiche, costosissime, tragicamente invasive, del tutto futili, sperimentali […]
Infatti nel caso di Eluana Englaro è in questione il rispetto della volontà del malato e il principio del consenso informato, costituzionalmente garantiti. Possiamo benissimo non chiamare «accanimento terapeutico» la continuazione di terapie ritenute dal malato invasive e futili, ma la realtà non cambia minimamente.
La Cassazione – indebitamente perché la questione non è giuridica, ma scientifica e bioetica – qualifica alimentazione e idratazione come «atti medici», ma ha torto, perché anche quando questi «atti» fossero posti in essere da medici, e sotto il loro diretto controllo, non muterebbe la loro natura di pratiche di assistenza, finalizzate non ad una specifica terapia (questo e solo questo è propriamente un «atto medico»), ma a garantire quella sopravvivenza del malato, che è il presupposto di ogni terapia e di ogni atto medico propriamente detto.
Sia quale sia la definizione di «atto medico», rimane la ferma proibizione, espressa dall’art. 53 del Codice di deontologia medica (e deducibile dall’art. 13 della Costituzione), di praticare l’alimentazione e l’idratazione forzate contro la volontà della persona. Cosa cambia se quella persona è inerme e incapace di far valere la propria volontà?
Secondo la Cassazione, il tutore di Eluana può legittimamente richiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, quando si realizzino due condizioni: l’irreversibilità del coma e la prova che in tal senso si fosse espressa in passato Eluana, anche semplicemente in modo orale. […] La seconda condizione lascia a bocca aperta il giurista, anche alle prime armi: sappiamo tutti con quanto rigore la legge esige che una disposizione testamentaria di tipo patrimoniale sia garantita da un notaio o almeno da un inequivocabile atto scritto e come sia di principio escluso un «testamento orale»: come è possibile che la Cassazione non si sia resa conto che con la sua sentenza le successioni patrimoniali vengono garantite giuridicamente più della vita?
Quello che lascia a bocca aperta è che a scrivere queste parole sia un personaggio che si batte da mesi in prima fila per impedire l’introduzione in Italia del testamento biologico, che appunto garantirebbe la validità di un «atto scritto» contenente le disposizioni relative alle terapie a cui essere sottoposti in caso di futura incapacità. In assenza di prescrizioni legali sulla forma che tali disposizioni dovrebbero assumere, mi sembra poi del tutto naturale che si tenti comunque di garantire la volontà espressa dalla persona; come del resto, anche per i rapporti patrimoniali, fanno quelle giurisdizioni (Germania, Austria, alcuni Stati americani, etc.) che ancor oggi riconoscono in determinate circostanze il testamento nuncupativo, cioè orale.