martedì 31 gennaio 2006

Intervista a Piergiorgio Odifreddi (di Chiara Lalli) *


Perché le biotecnologie evocano spesso fantasmi negativi? Perché fanno così paura?

Credo che sia la stessa paura che si ha nei confronti del buio: non appena si accende la luce svanisce, ma fino a che essa rimane spenta si teme che ci possa essere tutto il peggio. Con le biotecnologie in particolare, ma con la scienza in generale, è la stessa cosa: poiché non la si conosce, fa lo stesso effetto del buio. Ma non appena si accende la luce, cioè si studia e ci si informa, le cose acquistano il loro giusto colore: il che non significa che sia tutto buono o tutto accettabile, ma che i rischi e i pericoli sono precisi e circoscritti, e dunque affrontabili e controllabili.

Quale posto ha la razionalità nella tua vita?

Volendo quantificare l’inquantificabile, direi all’incirca il 50%. In fondo, abbiamo due modi di affrontare la realtà e di comprendere il mondo: l’intuizione istintiva e la razionalità deduttiva, che corrispondono più o meno ai due emisferi cerebrali. Voler usare solo un emisfero produrrebbe effetti tragici o comici, e la stessa cosa succede a chi si limita a essere puramente istintivo, o puramente razionale. Già il Buddha indicava nella “via di mezzo” il compromesso sensato da adottare nella vita quotidiana.

Cosa diresti a chi invoca l’indimostrabile o l’irrazionale come significato profondo dell’esistenza umana?

In parte ho già risposto. Ma aggiungerei che a farlo sono spesso, se non sempre, coloro che conoscono solo quello, e che avversano il razionale perché non conoscono nessuna delle sue espressioni, dalla matematica alla scienza alla filosofia analitica. Spesso invocare l’irrazionale è semplicemente una scorciatoia per dire “non ho voglia di studiare e di informarmi”, e preferisco dire cosa mi passa per la testa senza pensarci.

Spesso ciò che è incomprensibile (o meglio, insensato) riscuote successo; concetti confusi vengono dissimulati da un parlare che pretende di essere complesso, mentre è soltanto privo di senso (conosco molti esempi nella mia disciplina, da Hegel a Heidegger tanto per fare 2 nomi). Qualcuno dice che è il fascino della messa in latino. Perché questo fascino dell’incomprensibile (che è insensato, appunto, e non complesso)?

Non so quale sia il fascino della messa in latino: probabilmente quello dell’opera cinese. in altre parole, di una rappresentazione che intende convogliare significati profondi, e di cui si percepiscono soltanto invece gli aspetti superficiali e irrilevanti: come la forma delle lettere in un’edizione della “divina commedia”, senza capirne una sola parola.
Quanto a Hegel e Heidegger, coloro che li amano apprezzano probabilmente l’effetto delle parole in libertà, che è analogo a quello dei suoni in libertà della musica concreta: c’è chi li ama, ma c’è anche chi apprezza di più le parole in ordine, e le note in ordine. È questione di gusti: c’è chi apprezza Mozart o Brahms, e chi i rumori del traffico o gli strilli delle scimmie. A ciascuno il suo.

E perché, invece, l’incomprensibile (nel senso di complesso) della scienza non attrae, piuttosto allontana e insinua paure?

Perché qui si tratta di un incomprensibile diverso: si sa benissimo che i simboli delle formule matematiche o scientifiche, o i ragionamenti delle dimostrazioni dei teoremi, non sono messi a caso, e che dunque non se ne può avere un’opinione disinformata. Si possono soltanto studiare, e questo richiede sforzo assiduo e prolungato: è più facile rivolgersi all’incomprensibile che non può essere compreso per sua natura, che all’incomprensibile che non è compreso per nostra ignoranza.

Secondo te la religione risponde (o cerca di rispondere) alla paura della finitezza?

La religione non solo cerca, ma risponde a molte paure: in particolare, sicuramente, a quella della morte. Ma è una risposta di tipo consolatorio, basata su una rimozione: in fondo, non fa che dire che dietro all’apparenza della morte, ci sta un altro tipo di vita. Ed è una risposta talmente poco credibile, che infatti nessuno ci crede: le reazioni dei parenti e degli amici del defunto o della defunta in un funerale, non sono quelle di chi crede veramente che qualcuno che si amava sia passato a miglior vita, e che lo si rivedrà a tempo debito.
Ricordo invece di aver assistito a reazioni molto diverse in India, durante le cerimonie di cremazione dei cadaveri, ai quali gli indiani sembrano assistere in maniera molto più distaccata. Magari gli indù credono di più alle risposte religiose dell’induismo, di quanto i cristiani credano a quelle del cristianesimo. Anche perché queste ultime contengono una buone dose di macabro, che più che rimuovere la paura, finisce per aumentarla.

Ritieni che sia giusto poter scegliere di morire quando l’esistenza diventa insopportabile?

Ovviamente, sì. Ma noto che certe ideologie politiche e religiose preferiscono considerare la vita una condanna da scontare fino ad odiarla, piuttosto che un dono da godere soltanto fino a quando lo si ama.

L’amore è, almeno in parte, razionale?

Credo che ci siano tre tipi di amore, corrispondenti ai tre tipi di percezione fisiologica: viscerale, muscolare e cerebrale. l’amore viscerale è quello che sperimentiamo nei periodi di innamoramento, probabilmente nei confronti di una persona ideale che è in buona parte costruita mentalmente. L’amore muscolare è quello che associamo al sesso, mentre quello cerebrale è forse il più razionale, perché lo si sente nei confronti di una persona reale e veramente esistente, di cui conosciamo i lati buoni e cattivi. Le tre forme d’amore possono essere vissute simultaneamente nei confronti di persone diverse, ma possono anche convergere verso la stessa persona.

Sono in molti a pensare che la spiegazione o la conoscenza dei fenomeni finisca per togliere loro fascino e mistero: perché?

Perché il mistero deriva dall’ignoranza: non c’è mistero in ciò che si conosce, come non c’è mistero nell’esibizione di un prestigiatore che usa trucchi che si conoscono. Naturalmente, il mistero c’è anche nella scienza, ma riguarda appunto ciò che ancora non si conosce. O il perché le cose siano come sono: un problema che, come è noto, non è scientifico ma metafisico.

Che cosa pensi delle innumerevoli ‘scoperte’ del gene della timidezza oppure di quello responsabile della fine di un amore? Anche in questa riduzione e banalizzazione vedi un tentativo di contrastare l’angoscia che deriva dalla complessità dell’esistenza (e anche dalla consapevolezza che potremmo non riuscire a spiegare)?

Le periodiche scoperte del “gene per X” sono un tipico esempio di pseudoscienza: si sa che esiste una scienza chiamata genetica, ma si crede che agisca nel modo più banale, e che i geni determinino non le caratteristiche strutturali dell’organismo, ma quelle sovrastrutturali. Ancora una volta, la scienza (in questo caso, genetica) è più complessa di quanto si immagini certa filosofia (spicciola). Ma per saperlo, bisogna studiare!

Non rischia di essere contraddittorio cercare una risposta in un mistero (dio e la religione) che ha la pretesa di spiegare misteri che potrebbero trovare soluzioni più sensate?

Invocare dio come risposta di qualcosa, è soltanto un modo diverso per dire che non si conosce (ancora) la risposta. Come diceva Stanislaw Lem, lo scrittore di fantascienza: “dio è un mistero totalmente invisibile, invocato per spiegare un mistero totalmente visibile”. Il vero mistero non è che ci siano misteri, ma che qualcuno di questi a volte venga spiegato: gli altri rimangono, temporaneamente o permanentemente, nella “mente di dio”, cioè al di fuori della nostra.

* Una versione più breve dell'intervista è stata pubblicata il 25 gennaio ne Il Giornale di Sardegna.

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