martedì 6 maggio 2014

Cosa hanno denunciato i «Giuristi per la Vita»?

C’è un elemento della vicenda del Giulio Cesare di Roma e del romanzo Sei come sei di Melania Mazzucco che ha ricevuto un’attenzione troppo circoscritta; mi riferisco alla denuncia presentata dalle associazioni «Giuristi per la Vita» e «Pro Vita Onlus» contro gli insegnanti del liceo. Diamole un’occhiata:

[…] Il documento [Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, 2013-2015 dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR)], nel presentarsi come un insieme di proposte e strategie volte a salvaguardare il rispetto del principio di uguaglianza anche nel delicato frangente dell’orientamento sessuale, contiene in realtà misure volte al rafforzamento dei gruppi LGBT all’interno del vivere sociale ed alla diffusione delle pratiche omosessuali in ogni ambiente, anche scolare, arrivando all’istigazione a vivere la sessualità in una prospettiva esclusivamente omosessuale.
Questo vero e proprio tradimento delle pur lodevoli finalità antidiscriminatorie a vantaggio di una propaganda omosessuale tout court può essere rinvenuto in innumerevoli passaggi del documento in questione. Ci sia consentito evidenziarne i più significativi, con particolare riferimento all’ambito delle strategie da dispiegarsi nel contesto scolastico e, più in generale, educativo. A pag. 17, ad esempio, tra gli obiettivi che l’UNAR si pone, si contempla espressamente «l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni». L’idea pare dunque essere quella del rafforzamento, sia numerico che nella collocazione in ogni ambito sociale, della categoria LGBT a scapito delle altre. Fin dalla più tenera età un simile obiettivo va perseguito, prosegue l’UNAR, attraverso «percorsi innovativi di formazione in materia di educazione alla affettività che partano dai primi gradi dell’istruzione, proprio per cominciare dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia a costruire un modello educativo inclusivo, fondato sul rispetto delle differenze» (cfr. Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015), p. 17). Si parla inoltre di «accreditamento delle associazioni LGBT, presso il MIUR, in qualità di enti di formazione» (ibidem, p. 19), quasi a dire che le istanze relative all’orientamento sessuale e l’identità di genere portate avanti dalle associazioni LGBT, da idee a cui ciascun individuo è libero di aderire o meno, debbano diventare materie obbligatorie di studio e tema di formazione professionale degli insegnanti. In estrema sintesi, dunque, pare davvero che l’UNAR confonda il divieto di discriminazione con la propaganda di un’idea e l’istigazione ad aderirvi. Del resto, l’«empowerment», per riprendere la terminologia del Ministero, non può che voler dire questo in concreto.
[…] Non v’è chi non veda in una simile pubblicazione [il romanzo Sei come sei], specie se inserita nel solco tracciato dall’UNAR su cui a lungo gli esponenti si sono intrattenuti, una palese condotta di proselitismo e di istigazione verso il giovanissimo pubblico a compiere pratiche omosessuali ed a sperimentare la sessualità in una prospettiva esclusivamente gay.
Nei fatti sopra esposti pare doversi rinvenire la fattispecie di cui all’art. 528 c.p. Si è trattato infatti di consapevole divulgazione di materiale dichiaratamente osceno, la cui finalità non può che concretarsi nella celebrazione, fin nei dettagli più minuziosi, di un rapporto omosessuale fine a sé stesso. Nessuna finalità artistica sembra pertanto configurabile. La sensibilità dell’uomo medio non può che dirsi urtata da simili pubblicazioni, specie se si considera che la divulgazione era diretta ad un pubblico composto da minorenni.
A tale riguardo, qualora, come in questa sede si auspica, venisse riconosciuta nei fatti sopra esposti la finalità di istigazione ad avere rapporti omosessuali diretta agli studenti del Liceo Classico Giulio Cesare, andrebbe probabilmente indagata l’eventuale presenza all’interno dell’uditorio di ragazzi di età inferiore ad anni 14, nel qual caso, ovviamente, le condotte verrebbero ad essere sussunte sotto l’egida dell’art. 609 quinquies c.p. Tale ipotesi si presenta come tutt’altro che inverosimile atteso che, per direttiva dell’UNAR, la diffusione delle pubblicazioni di cui poc’anzi si è citato un breve stralcio deve essere fatta propria da ogni contesto scolastico.
In ogni caso, si impone l’applicazione dell’aggravante dell’art. 61 n. 9 c.p. poiché la divulgazione del materiale è stata organizzata dal corpo docente della scuola, in diretta attuazione delle direttive dell’UNAR.
Come si vede, a differenza di quanto abbiamo in genere letto o sentito in questi giorni, l’accusa mossa agli insegnanti (e all’UNAR) non è tanto o solo quella di avere presentato agli studenti un romanzo «pornografico». Riepiloghiamo: «misure volte al rafforzamento dei gruppi LGBT all’interno del vivere sociale ed alla diffusione delle pratiche omosessuali in ogni ambiente, anche scolare, arrivando all’istigazione a vivere la sessualità in una prospettiva esclusivamente omosessuale»; «propaganda omosessuale tout court»; «L’idea pare dunque essere quella del rafforzamento, sia numerico che nella collocazione in ogni ambito sociale, della categoria LGBT a scapito delle altre»; «la propaganda di un’idea e l’istigazione ad aderirvi»; «una palese condotta di proselitismo e di istigazione verso il giovanissimo pubblico a compiere pratiche omosessuali ed a sperimentare la sessualità in una prospettiva esclusivamente gay»; «la finalità di istigazione ad avere rapporti omosessuali diretta agli studenti». Non si potrebbe essere più chiari: chi ha presentato la denuncia è convinto che un ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e alcuni insegnanti di un liceo romano perseguano lo scopo di far diventare omosessuali gli studenti delle scuole.

Ma su quali elementi di prova si basa quest’accusa bizzarra? Rileggendo con estrema attenzione il testo, si scopre che in realtà tutto dipende dall’uso della parola empowerment, che secondo i denuncianti non può che indicare – il concetto viene ripetuto due volte – il «rafforzamento, sia numerico che nella collocazione in ogni ambito sociale, della categoria LGBT a scapito delle altre».
Ora, la parola empowerment fa parte da molto tempo nel lessico di chi lotta a favore delle varie minoranze e di altri gruppi oppressi; in particolare, si trova nella pubblicistica femminista. Questo avrebbe dovuto far scattare un campanello di allarme agli orecchi dei «Giuristi per la Vita» (se si fossero curati di informarsi), visto che lo scopo dei gruppi femministi non è mai stato – ovviamente – quello di moltiplicare numericamente le donne a scapito degli uomini, così come l’empowerment dei Neri d’America non è consistito nel fare diventare più numerosi i neri e nell’opprimere i bianchi. Empowerment, in tutti questi casi, indica semplicemente il superamento degli ostacoli economici, legali e ideologici che impediscono a una data minoranza o a un gruppo oppresso di godere della piena uguaglianza; può indicare anche il rafforzamento della fiducia in se stessi di chi appartiene a questi gruppi. Non c’è nel documento dell’UNAR il benché minimo appiglio che autorizzi a dare un significato diverso da questo alla parola empowerment; anche ammettendo la totale ignoranza dei denuncianti dell’uso comune della parola, si rimane stupiti di fronte alla loro disinvoltura nell’attribuire al termine un significato arbitrariamente negativo.

Quando si passa dalla denuncia delle oscure trame dell’UNAR a quella della condotta degli insegnanti del liceo, i problemi aumentano ancora. Sostenere, come fanno i denuncianti, che la presenza delle ormai famose 14 righe in un romanzo che conta 230 pagine, proposto agli studenti fra altri 24 volumi, indichi la volontà degli insegnanti di istigare gli studenti ad avere rapporti sessuali è un’accusa che non si sa se definire più mostruosa o ridicola. Talmente mostruosa e ridicola, che neppure vale la pena di far notare come nessuno degli studenti fosse minore di 14 anni. (È opportuno invece rilevare che l’art. 609 quinquies invocato dai denuncianti presuppone il dolo specifico, cioè l’intenzione consapevole di raggiungere un fine determinato; la condotta, di per sé, non basta a configurare il delitto in oggetto.)
Anche l’accusa di diffusione di materiale osceno sembra destinata a una rapida archiviazione: non si capisce perché la denuncia non sia stata estesa a tutti i librai italiani, che vendono il libro a un pubblico indifferenziato, fra cui si potrebbero tranquillamente trovare minori di quasi ogni età, privi per giunta della mediazione offerta dagli insegnanti del Giulio Cesare; ma in questo caso l’assurdità dell’accusa sarebbe apparsa subito palese. Righe di contenuto non troppo diverso da quello incriminato (anche se in genere relative a pratiche eterosessuali) si trovano poi, a una valutazione prudente, in circa metà dei volumi di narrativa contemporanea, anche questi disponibili liberamente sui banconi di qualsiasi libreria.

Tiriamo le somme. Il vittimismo aggressivo, che tanta parte ha ormai nella propaganda integralista e clericale, procede negando ai propri bersagli la qualifica di vittime (o di difensori delle vittime), e costruendoli invece come aggressori. Nel caso specifico, si ricorre a uno dei fantasmi eterni della polemica anti-omosessuale: l’omosessuale corruttore della gioventù, che cerca di fare proseliti tra i ragazzi (non è chiaro se per i denuncianti l’UNAR sia un covo di gay o piuttosto di favoreggiatori dei gay; il risultato non cambia). Se da un lato si professa, a parole, solidarietà per le vittime del bullismo omofobo, dall’altro, per una sorta di malefico comma-22, si afferma che chi resiste alle discriminazioni non è vittima ma bensì pericoloso pervertito.
Ci si può chiedere se i denuncianti credano davvero che il loro esposto possa portare a un’incriminazione. Uno dei firmatari è un avvocato; si farebbe torto alle sue capacità professionali attribuendogli questa speranza. Più probabilmente siamo di fronte a un tentativo di accreditarsi presso la platea del pubblico integralista – un pubblico di bocca particolarmente buona, incapace di rendersi conto che la denuncia è fondata letteralmente sul nulla. L’inevitabile archiviazione (salvo improbabili sorprese) verrà addebitata ai soliti magistrati «laicisti» e «omosessualisti».
Non è però da sottovalutarsi un altro elemento: oggettivamente, al di là di quelle che possono essere le intenzioni dei denuncianti, questa vicenda avrà un effetto intimidatorio (uso la parola non nel senso giuridico) nei confronti di tutti gli insegnanti. A nessuno fa piacere venire denunciato alla magistratura, anche se l’accusa è palesemente infondata.
Non sono un giurista, ma credo che bisognerebbe seriamente prendere in considerazione la creazione di una fattispecie analoga alla lite temeraria anche in campo penale. Si eviterebbero casi come questo, che possono arrecare una pena non indifferente a chi ne rimane vittima.

Aggiornamento 11/10/2014: naturalmente, è finita come doveva finire: la Procura ha chiesto l’archiviazione (Ilaria Sacchettoni, «Il libro scandalo al Giulio Cesare “Non è osceno, ma formativo”», Corriere della Sera, 7 ottobre), e gli integralisti accusano i giudici di ogni nequizia (Rino Cammilleri, «Letture porno a scuola, non è reato. Anzi, è educativo», La nuova bussola quotidiana, 11 ottobre). Non posso vantarmi neppure di essere stato buon profeta: era veramente troppo facile.

1 commento:

Anonimo ha detto...

C'è poi da dire, che a detta della preside, i genitori che sembrano aver sollevato la questione, hanno poi preso le distante dall'iniziativa : quindi su che mandato di chi hanno presentato la denuncia? Perché allegati alla denuncia non ci sono le procure dei genitori che si sarebbero rivolti a loro? Perché utilizzare un pretestuoso 609 quinquies che non solo si riferisce ad atti, ma non è valido se non in presenza di minori di anni 14: forse perché è procedibile d'ufficio?