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venerdì 15 maggio 2015

34 processi e un ordine di carcerazione

In sintesi. Ho diretto E Polis (prima Il Giornale di Sardegna e poi Il Sardegna) dall’ottobre 2004 al dicembre 2007. Poi mi sono dimesso a seguito di un cambio di proprietà. Nel 2011 E Polis è fallito tra debiti, inchieste, accuse di bancarotta. E questo fallimento ha scaricato sulle spalle dei giornalisti le cause in corso. Trentaquattro processi sulle mie spalle di direttore responsabile. Un'enormità. Trentaquattro processi sparsi in tutt’Italia, perché E Polis usciva e veniva stampato in tutta Italia. Trentaquattro processi senza alcuna difesa e senza alcun aiuto.

Dal 2011 il mio impegno professionale è stato: difendermi alla meno peggio, farmi aiutare da avvocati amici, evitare il più possibile condanne, cercare di non pagare tutte le spese giudiziarie. Rateizzare Equitalia. Inseguire gli indulti.

Perché ogni processo consta di notifiche per ogni passaggio, quindi di mattinate passate in questura o dai carabinieri, di carte da leggere, di avvocati da nominare, di udienze. Di condanne, più o meno giuste, sulle quali neanche entro nel merito perché si aprirebbe un altro capitolo.

Giustizia del pagare. Senza nessun editore alle spalle, senza fondi. Senza niente altro che i risparmi di una vita da mettere sul piatto giudiziario. Per pagare. Pagare sempre. Perché alla fine tutti si riduce a questo. Se hai i soldi paghi, chiudi con un accordo, ed eviti problemi. Se non hai soldi e combatti, alla fine non puoi che perdere. Perché anche se riesci in tre gradi di giudizio a prevalere, le spese sono talmente alte che quasi conviene accordarsi preventivamente e pagare il riscatto dall’omesso controllo.

Continua qui.

venerdì 28 maggio 2010

Saluteremo il signor padrone

[...]

I significati delle parole sono mutevoli, a volte capricciosi. Qualche volta sono stravolti volontariamente per lasciare intatta solo la forma o per dissimulare la realtà. Tanto più il dominio è ampio, tanto più i fraintendimenti sono facili e, se ricercati, sono perversi. “Libertà”, ancora questa parola, offre un buon esempio. Basta pensare a come sia stata stravolta nel nome della coalizione al governo: il “Popolo delle Libertà”, ovvero “facciamo un po’ come cazzo ci pare” nella convincente interpretazione di Corrado Guzzanti e Neri Marcoré. Allora si chiamava “La casa delle libertà”, ma lo slogan funziona anche con il popolo.

Se poi dopo “libertà” aggiungiamo “di stampa” la situazione diventa ancora più bizzarra. La libertà di stampa nel Paese Italia. Uno strano animale, un ossimoro ben vestito, un’ombra leggera. Una libertà stritolata da una distribuzione delle carte truccata. C’è il banco, insomma, che la fa da padrone. Ma è tutto in regola, nessuno protesta (non è proprio vero, ma la protesta non è abbastanza forte e diffusa). Perché sono in molti a guadagnarci da quella mano truccata. E da quella successiva e da quella ancora dopo.

Su Giornalettismo. Noi ne avevamo già scritto qui.

lunedì 17 maggio 2010

Libertà di stampa?

Rispondetevi da soli dopo avere letto quanto ha scritto Silvia Garambois: Le mani sulla free press: Dnews licenzia i fratelli Cipriani.

Le mani sulla free press. Licenziati in tronco i direttori di “DNews”, quotidiano con redazioni a Roma, Milano, Bergamo e Verona. Eppure l'hanno fondato loro, Antonio e Gianni Cipriani.

“Giusta causa”, secondo l'editore Mario Farina. Accusati, secondo i rumors, di non aver più firmato editoriali da troppo tempo... Sospettati, secondo altri, di aver troppe poche cautele nei confronti del potere costituito, Alemanno, Polverini, Moratti, Formigoni e, soprattutto, Berlusconi... L'ultimo numero con la loro firma, distribuito venerdì 14 maggio, titola in prima pagina nell'edizione di Roma: “La sanità ci costerà nuove tasse”. E, nell'edizione di Milano: “Prove di rivolta al Triboniano”. Come dire: una redazione a caccia di notizie e con in più un gruppo di editorialisti che non vuole mordacchie, da Ennio Remondino a Mario Morcellini, da Ritanna Armeni a Massimo Bordin. Mix evidentemente indigesto per chi più che alla libertà di stampa punta al marketing.

I Cipriani sono recidivi. Nel 2004 avevano inventato E-Polis, e tre anni dopo se ne erano andati con l'arrivo di Marcello Dell'Utri nella compagine societaria (e con loro lasciarono il giornale quaranta editorialisti). Nel 2008 hanno fondato Dnews, mezzo milione di copie. Gli unici due esempi italiani di quella che si chiama “free press di terza generazione”: distribuita gratuitamente e pagata dalla pubblicità, ma anziché puntare su notizie sincopate, per un pubblico che per leggere ha il tempo di poche fermate di metropolitana, si presenta come un giornale tradizionale, per una lettura più approfondita, riflessiva.

E' andata a finire che il pubblico ormai riconosceva E-polis del nuovo corso come giornale filo-governativo e Dnews decisamente libero e democratico. Adesso, probabilmente, si assomiglieranno di più: l'editore avrebbe già annunciato per la Dnews post-Cipriani una direzione moderata...

Perché il bavaglio non è solo alle tv.

P.S. Sono una dei 40 editorialisti che hanno lasciato E-polis insieme ai Cipriani. A DNews siamo assai meno, da quando l'editore ha imposto un drastico taglio di foliazione (e sacrifici alla redazione): e adesso ci risiamo... Solidarietà ad Antonio e Gianni, e a tutti i colleghi di DNews.
Qui invece la lettera che Antonio Cipriani e Gianni Cipriani scrivono alla redazione di DNews. Ne copio una parte qui sotto.
Ma noi siamo rimasti uniti, anche nelle difficoltà, anche quando si è aperta una crisi improvvisa e devastante, immediatamente dopo l'acquisto di Metro da parte di Nme, una società che successivamente è diventata tutta di Litosud. Come dire: due società, due giornali, uno stesso padrone e uno stesso sistema.
Siamo rimasti uniti e abbiamo passato l'estate a cercare soluzioni che garantissero il lavoro di tutti.

Ma torniamo a questi giorni. Sulle motivazioni del licenziamento non serve spendere neanche una parola: sono palesemente immotivate. Pretestuose, e servono solo a toglierci politicamente di torno in un momento caldo. In un momento in cui si apre una partita importante per tutti voi.

Parliamo invece di questa professione e ricordiamoci che la libertà di stampa e la democrazia dell'informazione dipendono giorno per giorno da ognuno di noi. E' difficile fare bene questa professione in una palude in cui prevalgono logiche discutibili, in cui la vicinanza con i potenti e una sorta di asservimento al sistema di potere, procura incarichi e denaro. E' difficile avere la testa alta e il coraggio del proprio sguardo quando sembrano prevalere i giornalisti d'acqua dolce.
Ma se una speranza c'è per questa professione, si cela in chi ha il coraggio delle proprie idee, di innovare e di faticare. In chi ha la voglia di essere testimone di ciò che accade e non "riportino" di ciò che serve che si sappia.
Se una speranza c'è ancora, va riposta sulle migliaia di colleghi e colleghe che giorno dopo giorno, in tutto il paese, in piccole o grandi realtà, sul web, sono testimoni della realtà. Non volti noti e televisivi, ma giornalisti bravissimi e sconosciuti alla maggioranza. Paladini di una informazione libera e democratica, come noi tutti con i nostri giornali, fatti con grandissimo senso di rispetto e professionalità proprio perché letti maggiormente dai giovani e giovanissimi. Da tutta quella fascia di persone che va informata seriamente e non indottrinata di sciocchezze.
PS
Sono anche io una dei 40 editorialisti che ha lasciato E Polis e che ha scritto in questi anni per DNews. Che altro aggiungere? Un senso di schifo.