Con questi (e molti altri) risultati Kurt Gödel ha indicato la via regia per la rivitalizzazione della filosofia: trafugare il suo cadavere imbalsamato dalle celle frigorifere dei manuali di storia e dagli obitori dei dipartimenti accademici, dove esso viene mantenuto a disposizione dei continentali per le loro necrofile dissezioni, e rivitalizzarlo mediante iniezioni di logica, matematica e scienza, che riportino in vita le sue problematiche, le sue ispirazioni e le sue idee. O, più semplicemente, smettere di preoccuparsi di cosa noi possiamo fare per la filosofia degli antichi, e incominciare a chiedersi cosa la filosofia possa fare per noi moderni.
Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano
John Stuart Mill, La libertà
domenica 30 aprile 2006
Due giorni fa il centenario della nascita di Kurt Gödel
Piergiorgio Odifreddi omaggia il grande matematico e logico, forse il più grande di tutti i tempi, a cento anni dalla sua nascita (Le sfide di Kurt Gödel, la Repubblica, 28 aprile 2006). Vale la pena leggersi l’articolo per intero, ma le ultime diciassette righe dovrebbero essere stampate a lettere cubitali su tutti i manuali di filosofia e su molte bacheche universitarie…
sabato 29 aprile 2006
Poligamia: il prossimo fronte?
Il matrimonio tra omosessuali ha suscitato reazioni più o meno virulente di rigetto quasi ovunque. È difficile che dalla bocca degli oppositori esca qualche argomento articolato: spesso non si va al di là dello slogan demenziale dell’«aggressione alla famiglia tradizionale». Capita tuttavia di sentire, seppur raramente, una tesi che suona più o meno così: se ci scostiamo dalla salda base della tradizione, tutto diventa possibile, anche l’inaccettabile: in particolare la poligamia. Tanto più che i sempre più numerosi immigrati dai paesi islamici potrebbero rivendicarne concretamente il riconoscimento legale.
Un argomento di questo genere si chiama «del piano inclinato» (o «della china fatale»). Si tratta di solito di ragionamenti che logicamente non stanno in piedi, ma bisogna ammettere che questa particolare applicazione non sembra del tutto inconsistente: per esempio, come sostiene Charles Krauthammer («Pandora and Polygamy», Washington Post, 17 marzo 2006, p. A19), che differenza essenziale ci sarebbe tra il matrimonio di due e il matrimonio di tre uomini? Le associazioni omosessuali respingono naturalmente l’implicazione, ma lo fanno con visibile disagio: gli argomenti razionali mancano.
Esiste però una semplice contromossa per confutare un argomento del piano inclinato: dimostrare che il tanto paventato punto di arrivo non è poi così inaccettabile. E in effetti, cominciano a sentirsi alcune voci che sostengono proprio questo.
Negli Usa, commentando la trasmissione della serie televisiva Big Love (che mostra in termini positivi una famiglia composta da un uomo e le sue tre mogli), John Tierney ha sostenuto che la poligamia non rappresenta una minaccia per la società americana («Who’s Afraid of Polygamy?», The New York Times, 11 marzo 2006). In Canada un rapporto commissionato dal governo ha raccomandato la legalizzazione della poligamia (Angela Campbell et al., Polygamy in Canada: Legal and Social Implications for Women and Children. A Collection of Policy Research Reports, 2005).
Più vicino a noi, il 13 settembre 2005 è apparso sul Corriere della Sera, in prima pagina, un articolo di Jacques Attali («Monogami. Siamo l’ultima generazione») in cui si tratteggia con ottimismo un futuro nel quale diverrà legale e socialmente accettato avere più relazioni sentimentali simultaneamente. Attali si occupa più di quello che possiamo chiamare poliamore (mutuando un termine coniato negli Usa), ma è chiaro che se si parla di legalità il discorso finisce per riguardare anche la poligamia vera e propria.
L’ottimismo di Attali può apparire non molto fondato: la natura umana – almeno, per come la conosciamo – non sembrerebbe consentire tanto facilmente la gestione alla luce del sole di triangoli, quadrati o n-agoni amorosi. Se tuttavia queste relazioni garantissero in media un minimo di stabilità e un ambiente favorevole all’educazione dei bambini, se non avessero insomma conseguenze sociali negative, allora un’eventuale richiesta di attribuire loro diritti uguali a quelli delle coppie potrebbe venire legittimamente accolta.
Ma forse almeno una conseguenza sociale negativa è prevedibile fin d’ora. È quanto sostiene Jonathan Rauch, in «One Man, Many Wives, Big Problems» (Reason, 3 aprile 2006). La sua tesi è questa: il numero di società che hanno adottato la poliginia (un marito, più mogli) è di gran lunga più grande di quelle che hanno adottato la poliandria (una moglie, più mariti); inoltre, negli Stati Uniti i gruppi che approfitterebbero di una legislazione favorevole alla poligamia sarebbero soprattutto i Mormoni e i musulmani, che tradizionalmente praticano o hanno praticato la poliginia. Il risultato sarebbe che alcuni uomini si accaparrerebbero un numero elevato di donne, impedendo di fatto ad altri di sposarsi: se un uomo ha quattro mogli vuol dire che altri tre uomini non ne possono avere nemmeno una. E l’esperienza insegna che chi è forzatamente celibe ha maggiori probabilità di darsi alla violenza e al crimine, tanto più che gli esclusi sarebbero in generale i più poveri e i meno alfabetizzati.
L’obiezione di Rauch è seria, ma sembra riguardare soprattutto società che ospitano al loro interno minoranze tradizionalmente poligame. Si può fare il paragone con la pratica della selezione del sesso dei nascituri, che in paesi ancora sessisti come la Cina e l’India potrebbe avere le stesse conseguenze che Rauch paventa, ma che nel più egalitario Occidente difficilmente produrrebbe un elevato surplus di maschi. Allo stesso modo, è del tutto possibile che da noi la poliandria risulterebbe diffusa quanto la poliginia (soprattutto tenendo conto che un’eventuale legalizzazione della poligamia si situerebbe comunque in un futuro non prossimo). Rauch avverte che anche un singolo matrimonio poliginico in eccesso priverebbe almeno un uomo della possibilità di sposarsi, ma questa è un’affermazione che andrebbe discussa più a fondo.
Concludiamo con una curiosità. Rauch fa un breve accenno anche al matrimonio di gruppo (più mariti e più mogli), che potrebbe andare esente dai difetti della poligamia. Una versione del matrimonio di gruppo è il cosiddetto matrimonio di linea: al gruppo iniziale vengono aggregati col passare del tempo sempre nuovi mariti e mogli, rendendo l’unione potenzialmente eterna. È una possibilità che è stata esaminata con un certo dettaglio da Robert A. Heinlein (uno scrittore di fantascienza che ha contribuito in non piccola parte a formare la moderna ideologia libertaria negli Usa) nel romanzo The Moon Is a Harsh Mistress, dove si sostiene che il matrimonio di linea aumenta la stabilità della società, garantendo continuità alla famiglia e un ambiente più sicuro per i bambini. Forse i cultori dei valori familiari dovrebbero proporne la legalizzazione...
Aggiornamento: una critica alla poligamia analoga a quella di Jonathan Rauch è stata espressa da Christopher Westley, «Matrimony and Microeconomics: A Critique of Becker’s Analysis of Marriage», Journal of Markets & Morality 1 (1998).
Aggiornamento 2: una soluzione al problema dello squilibrio tra uomini e donne viene offerta da Randall Parker sul blog FuturePundit («Biotechnology Will Some Day Enable Polygamy», 23 maggio 2006): la selezione del sesso prima della nascita (ovviamente preferendo le femmine). Ingegnoso, ma anche inquietante.
Un argomento di questo genere si chiama «del piano inclinato» (o «della china fatale»). Si tratta di solito di ragionamenti che logicamente non stanno in piedi, ma bisogna ammettere che questa particolare applicazione non sembra del tutto inconsistente: per esempio, come sostiene Charles Krauthammer («Pandora and Polygamy», Washington Post, 17 marzo 2006, p. A19), che differenza essenziale ci sarebbe tra il matrimonio di due e il matrimonio di tre uomini? Le associazioni omosessuali respingono naturalmente l’implicazione, ma lo fanno con visibile disagio: gli argomenti razionali mancano.
Esiste però una semplice contromossa per confutare un argomento del piano inclinato: dimostrare che il tanto paventato punto di arrivo non è poi così inaccettabile. E in effetti, cominciano a sentirsi alcune voci che sostengono proprio questo.
Negli Usa, commentando la trasmissione della serie televisiva Big Love (che mostra in termini positivi una famiglia composta da un uomo e le sue tre mogli), John Tierney ha sostenuto che la poligamia non rappresenta una minaccia per la società americana («Who’s Afraid of Polygamy?», The New York Times, 11 marzo 2006). In Canada un rapporto commissionato dal governo ha raccomandato la legalizzazione della poligamia (Angela Campbell et al., Polygamy in Canada: Legal and Social Implications for Women and Children. A Collection of Policy Research Reports, 2005).
Più vicino a noi, il 13 settembre 2005 è apparso sul Corriere della Sera, in prima pagina, un articolo di Jacques Attali («Monogami. Siamo l’ultima generazione») in cui si tratteggia con ottimismo un futuro nel quale diverrà legale e socialmente accettato avere più relazioni sentimentali simultaneamente. Attali si occupa più di quello che possiamo chiamare poliamore (mutuando un termine coniato negli Usa), ma è chiaro che se si parla di legalità il discorso finisce per riguardare anche la poligamia vera e propria.
L’ottimismo di Attali può apparire non molto fondato: la natura umana – almeno, per come la conosciamo – non sembrerebbe consentire tanto facilmente la gestione alla luce del sole di triangoli, quadrati o n-agoni amorosi. Se tuttavia queste relazioni garantissero in media un minimo di stabilità e un ambiente favorevole all’educazione dei bambini, se non avessero insomma conseguenze sociali negative, allora un’eventuale richiesta di attribuire loro diritti uguali a quelli delle coppie potrebbe venire legittimamente accolta.
Ma forse almeno una conseguenza sociale negativa è prevedibile fin d’ora. È quanto sostiene Jonathan Rauch, in «One Man, Many Wives, Big Problems» (Reason, 3 aprile 2006). La sua tesi è questa: il numero di società che hanno adottato la poliginia (un marito, più mogli) è di gran lunga più grande di quelle che hanno adottato la poliandria (una moglie, più mariti); inoltre, negli Stati Uniti i gruppi che approfitterebbero di una legislazione favorevole alla poligamia sarebbero soprattutto i Mormoni e i musulmani, che tradizionalmente praticano o hanno praticato la poliginia. Il risultato sarebbe che alcuni uomini si accaparrerebbero un numero elevato di donne, impedendo di fatto ad altri di sposarsi: se un uomo ha quattro mogli vuol dire che altri tre uomini non ne possono avere nemmeno una. E l’esperienza insegna che chi è forzatamente celibe ha maggiori probabilità di darsi alla violenza e al crimine, tanto più che gli esclusi sarebbero in generale i più poveri e i meno alfabetizzati.
L’obiezione di Rauch è seria, ma sembra riguardare soprattutto società che ospitano al loro interno minoranze tradizionalmente poligame. Si può fare il paragone con la pratica della selezione del sesso dei nascituri, che in paesi ancora sessisti come la Cina e l’India potrebbe avere le stesse conseguenze che Rauch paventa, ma che nel più egalitario Occidente difficilmente produrrebbe un elevato surplus di maschi. Allo stesso modo, è del tutto possibile che da noi la poliandria risulterebbe diffusa quanto la poliginia (soprattutto tenendo conto che un’eventuale legalizzazione della poligamia si situerebbe comunque in un futuro non prossimo). Rauch avverte che anche un singolo matrimonio poliginico in eccesso priverebbe almeno un uomo della possibilità di sposarsi, ma questa è un’affermazione che andrebbe discussa più a fondo.
Concludiamo con una curiosità. Rauch fa un breve accenno anche al matrimonio di gruppo (più mariti e più mogli), che potrebbe andare esente dai difetti della poligamia. Una versione del matrimonio di gruppo è il cosiddetto matrimonio di linea: al gruppo iniziale vengono aggregati col passare del tempo sempre nuovi mariti e mogli, rendendo l’unione potenzialmente eterna. È una possibilità che è stata esaminata con un certo dettaglio da Robert A. Heinlein (uno scrittore di fantascienza che ha contribuito in non piccola parte a formare la moderna ideologia libertaria negli Usa) nel romanzo The Moon Is a Harsh Mistress, dove si sostiene che il matrimonio di linea aumenta la stabilità della società, garantendo continuità alla famiglia e un ambiente più sicuro per i bambini. Forse i cultori dei valori familiari dovrebbero proporne la legalizzazione...
Aggiornamento: una critica alla poligamia analoga a quella di Jonathan Rauch è stata espressa da Christopher Westley, «Matrimony and Microeconomics: A Critique of Becker’s Analysis of Marriage», Journal of Markets & Morality 1 (1998).
Aggiornamento 2: una soluzione al problema dello squilibrio tra uomini e donne viene offerta da Randall Parker sul blog FuturePundit («Biotechnology Will Some Day Enable Polygamy», 23 maggio 2006): la selezione del sesso prima della nascita (ovviamente preferendo le femmine). Ingegnoso, ma anche inquietante.
Elio Sgreccia bacchetta Carlo Maria Martini sull’ootide (o la teoria dell’ovocita fecondato)
Sulla scia delle dichiarazioni di Carlo Maria Martini della scorsa settimana l’Espresso (Martini choc in Vaticano, 29 aprile 2006) riporta alcuni commenti di Elio Sgreccia:
A proposito del documento del Comitato Nazionale per la Bioetica riguardo all’ootide (Considerazioni bioetiche in merito al c.d. ootide) è bene ricordare i nomi dei firmatari e rinfrescare la memoria con le argomentazioni offerte a dimostrazione della sua intoccabilità. Suggerisco di leggere il documento. Io rimando a Piastra metafisica, ovvero della considerazione dell’ootide come uno di noi, LiberalCafè, 9 ottobre 2005). Per chi fosse davvero molto interessato, posso inviare per mail una ossessiva analisi del documento del CNB.
L’ootide è intoccabile (come il concepito nominato nella Legge 40/2004) secondo:
Amato, Belardinelli, Binetti, Bompiani, Borgia, Casini, D’Agostino, Dallapiccola, De Carli, Di Pietro, Eusebi, Federspil, Ferrari, Fiori, Iadecola, Isidori, Manni, Marini, Palazzani, Pistella Possenti, Ricci Sindoni, Santori, Scarpelli, Sgreccia, Silvestrini (vedi dettagli dei Componenti).
Per inciso: il Comitato Nazionale per la Bioetica non è il Tribunale della Verità. Questo per dire che se anche tutti i componenti all’unanimità avessero sostenuto i diritti dell’ootide, non sarebbe bastato per rendere questo parere solido. Ancora una volta le (presunte) dimostrazioni sono fragili e le conseguenza dell’equiparazione tra le persone e i gameti femminile e maschile al ‘primo incontro’ non vengono indagate.
Sempre con garbo, Sgreccia ha inoltre ricordato al cardinale Martini che “la sua teoria” sull’ovocita fecondato “non è condivisa da molti embriologi”. E in effetti il Comitato Nazionale per la Bioetica che in Italia si occupa di queste cose, quando nel 2005 affrontò la questione, si divise in 26 contro 12. Con la maggioranza c’erano Sgreccia e altri studiosi cattolici e laici, tutti a favore dell’intangibilità dal primissimo istante dell’ovulo fecondato. Con la minoranza c’era Carlo Flamigni, che volle aggiungere al documento finale una sua nota molto polemica con la Chiesa. La posizione di questa minoranza è quella che sia il cardinale Martini sia il professor Marino hanno fatto propria nel loro dialogo.Chi sarebbero i “molti embriologi”? Non ci è concesso soddisfare la nostra curiosità. Ma Sgreccia vuole fare il furbo omettendo di dire che la “teoria sull’ovocita” non è meramente una questione medica e scientifica? Piuttosto è una questione morale, del significato e del valore che noi intendiamo attribuire alla fase iniziale dello sviluppo umano. Non basterebbero tutti gli embriologi del mondo a dipanare la questione se l’ootide gode del diritto alla vita oppure no. Una risposta sensata pretende l’incursione della filosofia. È giusto o sbagliato? La scienza è muta di fronte a una simile domanda.
A proposito del documento del Comitato Nazionale per la Bioetica riguardo all’ootide (Considerazioni bioetiche in merito al c.d. ootide) è bene ricordare i nomi dei firmatari e rinfrescare la memoria con le argomentazioni offerte a dimostrazione della sua intoccabilità. Suggerisco di leggere il documento. Io rimando a Piastra metafisica, ovvero della considerazione dell’ootide come uno di noi, LiberalCafè, 9 ottobre 2005). Per chi fosse davvero molto interessato, posso inviare per mail una ossessiva analisi del documento del CNB.
L’ootide è intoccabile (come il concepito nominato nella Legge 40/2004) secondo:
Amato, Belardinelli, Binetti, Bompiani, Borgia, Casini, D’Agostino, Dallapiccola, De Carli, Di Pietro, Eusebi, Federspil, Ferrari, Fiori, Iadecola, Isidori, Manni, Marini, Palazzani, Pistella Possenti, Ricci Sindoni, Santori, Scarpelli, Sgreccia, Silvestrini (vedi dettagli dei Componenti).
Per inciso: il Comitato Nazionale per la Bioetica non è il Tribunale della Verità. Questo per dire che se anche tutti i componenti all’unanimità avessero sostenuto i diritti dell’ootide, non sarebbe bastato per rendere questo parere solido. Ancora una volta le (presunte) dimostrazioni sono fragili e le conseguenza dell’equiparazione tra le persone e i gameti femminile e maschile al ‘primo incontro’ non vengono indagate.
venerdì 28 aprile 2006
La Corte di Giustizia Europea sulla pensione ai transessuali
I giornali di oggi riportano il caso di Sarah Margaret Richards, persona transessuale che, una volta divenuta donna, ha chiesto di andare in pensione a 60 anni, l’età prescritta nel Regno Unito per le donne (per gli uomini l’età pensionabile è invece di 65 anni). La sua domanda è stata respinta, e il caso è approdato infine alla Corte di giustizia delle Comunità Europee, che ieri, 27 aprile, ha emesso una sentenza favorevole alla Richards.
giovedì 27 aprile 2006
Diritti fondamentali anche agli scimmioni
La richiesta è stata avanzata in Spagna, e c’è lo zampino del solito Josè Luis Rodriguez Zapatero, spina nel fianco dei benpensanti e dei cattolici (La Spagna si mobilita per le scimmie, la Repubblica, 25 aprile 2006).
L’idea è che alcune caratteristiche che denotano la condizione di persona siano possedute anche dai primati. Dunque, protezione morale anche per loro (vedi Great Ape Project).
L’arcivescovo di Pamplona ha inveito contro la proposta, e
E soprattutto si potrebbe per una volta provare a rispondere con qualche argomento intelligibile, piuttosto di invocare lo scandalo e l’assurdo.
Per quanti radicano nella autocoscienza, seppure aurorale, l’essere detentore di diritti fondamentali (l’essere una persona), è coerente che un orango adulto abbia più ragione di un embrione di godere di tali diritti. Perché l’orango adulto (come altri animali superiori, d’altra parte) possiede quella complessità mentale che all’embrione ancora manca.
Si può non essere d’accordo. Ma la questione è: perché no?
(Orang Utan in Borneo. Foto © Francesca Di Mambro)
L’idea è che alcune caratteristiche che denotano la condizione di persona siano possedute anche dai primati. Dunque, protezione morale anche per loro (vedi Great Ape Project).
L’arcivescovo di Pamplona ha inveito contro la proposta, e
ha invitato a “non cadere nel ridicolo per eccesso di progressismo” affermando che l’iniziativa equivale a “invocare diritti taurini per gli umani”. Ed ha lamentato che si voglia dare alle scimmie ciò che si nega agli embrioni.Altri pareri:
“Che piaccia o no, gli esseri umani sono grandi scimmie” e proteggere i diritti di queste ultime “è una responsabilità etica”, ha detto oggi Joaquin Araujo, presidente spagnolo del Progetto internazionale Grande Scimmia. E il deputato socialista Francisco Garrido, uno dei firmatari della proposta, ha aggiunto che “essere orgogliosi delle proprie origini è proprio delle persone di buona famiglia”.Il commento immancabile di una Stranacristiana:
Vedremo se, per compensare le concessioni sulle ricerche sugli embrioni, la Spagna procederà a questa particolare considerazione di alcune scimmie. E comunque proprio alle scimmie pensavamo quando abbiamo visto questa foto. Invece erano alcuni alla manifestazione del 25 aprile a Milano. Quella a cui hanno fischiato la Moratti.Buona giornata anche a te. La foto è quella qui sotto riportata (dall’archivio di repubblica.it).La stranacristiana dà per scontato che la Spagna (e quanti permettono la ricerca sugli embrioni) si senta in colpa per avere permesso la ricerca scientifica, e che pensi di bilanciare l’ingiustizia con la concessione di diritti agli scimmioni. Potrebbe almeno porsi la questione se tutti la pensano come lei.
Buona giornata
Stranacristiana
E soprattutto si potrebbe per una volta provare a rispondere con qualche argomento intelligibile, piuttosto di invocare lo scandalo e l’assurdo.
Per quanti radicano nella autocoscienza, seppure aurorale, l’essere detentore di diritti fondamentali (l’essere una persona), è coerente che un orango adulto abbia più ragione di un embrione di godere di tali diritti. Perché l’orango adulto (come altri animali superiori, d’altra parte) possiede quella complessità mentale che all’embrione ancora manca.
Si può non essere d’accordo. Ma la questione è: perché no?
(Orang Utan in Borneo. Foto © Francesca Di Mambro)
In America non si muore (quasi) più
Un rapporto preliminare, che ha analizzato circa il 90% dei casi di morte occorsi negli Usa nel 2004, mostra un declino del tasso di mortalità di ampiezza inusitata (A. M. Miniño, M. Heron e B. L. Smith, «Deaths: Preliminary data for 2004», Health E-Stats, 19 aprile 2006). Per i primi commenti vedi «U.S. Death Rates Drop Dramatically», HealthDay, 27 aprile 2006: gli autori della ricerca attribuiscono il dato inatteso a un brusco declino della mortalità per malattie cardiovascolari e per cancro, nonché forse all’epidemia influenzale particolarmente mite del 2004.
Preservativo, AIDS, prudenza e castità
Precisa il Presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute (Zenit, 25 aprile 2006):
Fuor di metafora: meglio usare il preservativo che farci mettere una pezza dal Buon Samaritano.
Il porporato, chiarendo alcune informazioni pubblicate nei giorni scorsi da diversi organi di stampa, spiega che questo “studio approfondito”, voluto da Benedetto XVI, tiene in conto “tanto gli aspetti scientifici e tecnici legati al preservativo, quanto le implicazioni morali in tutta la loro ampiezza”.E ancora.
La principale questione affrontata nello studio è il caso delle coppie, unite in matrimonio sacramentale, nelle quali uno dei due coniugi è affetto da AIDS.Una vecchia odiosa pubblicità diceva: prevenire è meglio che curare...
La discussione circa la liceità dell’uso del preservativo in questi casi al fine di evitare il contagio e la diffusione dell’AIDS fra i due partner è stata sollevata con la creazione della Fondazione “Il Buon Samaritano” – costituita il 12 settembre del 2004 e con sede nello Stato della Città del Vaticano – la cui finalità è quella di sostenere economicamente i malati più bisognosi, in particolare i malati colpiti dal virus HIV.
Fuor di metafora: meglio usare il preservativo che farci mettere una pezza dal Buon Samaritano.
Una blogger al convegno
La blogger è Chiara Lalli (un nome che dovrebbe suonare familiare ai lettori di Bioetica...), il convegno è il Congresso straordinario dell’Associazione Luca Coscioni (Roma, 21-23 aprile 2006). Chiara ha pronunciato il suo intervento – sul tema dell’eutanasia – durante la seconda giornata dei lavori; lo si può rivedere in streaming in formato RealVideo (comincia una quarantina di secondi dopo l’inizio del video; i trenta secondi finali per qualche motivo si trovano qui).
mercoledì 26 aprile 2006
Olimpia Tarzia candidata nella lista di Walter Veltroni??
Come? Non ho capito bene? Potrebbe essere una omonimia?
...
Il Movimento per la Vita, giusto?
...
Qualcuno dice che è soltanto un appoggio quello della Tarzia, nessuna aspirazione politica.
Dice Walter Veltroni alla Tarzia:
ps
Il manifesto del comitato Donne e Vita (per non votare sulla legge 40).
...
Il Movimento per la Vita, giusto?
...
Qualcuno dice che è soltanto un appoggio quello della Tarzia, nessuna aspirazione politica.
Dice Walter Veltroni alla Tarzia:
Sono convinto che la tua presenza, all’interno della coalizione che sostiene la mia candidatura a Sindaco nelle prossime elezioni amministrative, rafforzerebbe in modo significativo quell’idea che ci ha guidato fin qui: quella di una comunità aperta e solidale, capace di tenere dentro di sé tutti, nessuno escluso.Nessuno escluso. L’ossessione di non scontentare nessuno è rovinosa.
ps
Il manifesto del comitato Donne e Vita (per non votare sulla legge 40).
Gallina transessuale
I primi mesi della sua vita sono stati banali come (quasi) solo la vita delle galline può essere. Covava le uova e si aggirava placidamente nel pollaio.
Una mattina si è svegliata all’alba e ha cominciato a cantare, è diventata attaccabrighe, ha cambiato piumaggio e irretiva le galline.
L’allevatore Jo Richard era esterrefatto. Ma poi gli esperti gli hanno detto che una gallina su diecimila cambia sesso.
Colpa dell’ovaio destro difettoso, che muta in testicolo innalzando il livello di testosterone.
E la gallina è diventata gallo (Transgendered chicken baffles animal experts, PinkNews.co.uk, 19 aprile 2006).
Una mattina si è svegliata all’alba e ha cominciato a cantare, è diventata attaccabrighe, ha cambiato piumaggio e irretiva le galline.
L’allevatore Jo Richard era esterrefatto. Ma poi gli esperti gli hanno detto che una gallina su diecimila cambia sesso.
Colpa dell’ovaio destro difettoso, che muta in testicolo innalzando il livello di testosterone.
E la gallina è diventata gallo (Transgendered chicken baffles animal experts, PinkNews.co.uk, 19 aprile 2006).
martedì 25 aprile 2006
Ipnosi sul banco degli imputati
Dal corriere.it di oggi (Violenza sessuale grazie all’ipnosi):
Il PM Gianluca Prisco ha chiesto il rinvio a giudizio un medico e psicoterapeuta di 52 anni residente nell’hinterland milanese. Secondo l’accusa il medico ipnotizzava non solo le pazienti, ma anche la moglie e la figlia costringendole ad atti sessuali, ritraendole in foto pornografiche e costringendole a vessazioni psicologiche. L’uomo, attualmente a piede libero, deve rispondere delle accuse di violenza sessuale aggravata, anche a danno di minori, violenza privata, maltrattamenti e riduzione in stato di incapacità.Vittime o tacite collaboratrici? “Dal punto di vista scientifico, infatti, è stato dimostrato che non è possibile costringere per mezzo dell’ipnosi qualcuno a compiere qualcosa” (Silvano Fuso, Discussione sull’ipnosi).
Buon compleanno Snuppy
Il primo cane clonato al mondo ha compiuto un anno (Cloned dog celebrates first birthday in S.Korea, Reuters, 24 aprile 2006).
Snuppy gode di buona salute e lunedì ha festeggiato con gelato e salsicce.
Il video del suo compleanno.
Snuppy gode di buona salute e lunedì ha festeggiato con gelato e salsicce.
Il video del suo compleanno.
Militia Christi: no a Pacs e no a 194
Di tanto in tanto torniamo a controllare come va la campagna contro il maligno.
I Pacs sono sempre nel loro cuore, e stavolta si aggiunge la 194. No alla 194 perché ammazza milioni di bambini (sic).
Per chi volesse verificare personalmente: via Foligno 27, Roma.
I Pacs sono sempre nel loro cuore, e stavolta si aggiunge la 194. No alla 194 perché ammazza milioni di bambini (sic).
Per chi volesse verificare personalmente: via Foligno 27, Roma.
La volontà di Eluana non importa ai medici
Al Congresso Straordinario dell’Associazione Luca Coscioni (Roma, 21-23 aprile) interviene il padre di Eluana Englaro, la ragazza costretta a sopravvivere nonostante avesse espresso in passato volontà contraria.
Il 18 gennaio 1992 si schianta in macchina contro un muro. È immediatamente soccorsa e trasportata in un ospedale attrezzato per la rianimazione. Non basta a salvarla, ma le impedisce di morire. La prognosi definitiva è: stato vegetativo permanente.
Un anno prima era successo a un suo amico. Tornata a casa aveva pregato i genitori di intervenire se fosse capitato a lei. Aveva chiesto loro di far rispettare la sua volontà. “Non lasciatemi in una situazione così, è una vita inumana!”.
Era un vero purosangue della libertà, ricorda il padre. Era impossibile per lei soltanto vedere qualcuno immobile e interamente dipendente dagli altri. Figuriamoci trovarcisi. Ma la volontà di Eluana non interessa alla medicina. Che beffa terribile!
Senza rianimazione invasiva Eluana sarebbe morta. La morte fa parte della vita; l’imposizione dall’alto di condizioni di vita estranee ad Eluana è intollerabile. Solo uno Stato etico lo fa. I genitori di Eluana non avrebbero mai immaginato che i medici avessero questo potere sulla vita altrui.
Da allora Eluana è prigioniera dei meccanismi di rianimazione e di un sistema politico autoritario.
Perché non si rispetta la volontà di Eluana? Perché le si impone una vita che altro non è che “non morte encefalica”? Un simile inferno non si può imporre a persone libere.
* Pubblicato su Il Giornale di Sardegna, 25 aprile 2006.
(foto © c.)
Il 18 gennaio 1992 si schianta in macchina contro un muro. È immediatamente soccorsa e trasportata in un ospedale attrezzato per la rianimazione. Non basta a salvarla, ma le impedisce di morire. La prognosi definitiva è: stato vegetativo permanente.
Un anno prima era successo a un suo amico. Tornata a casa aveva pregato i genitori di intervenire se fosse capitato a lei. Aveva chiesto loro di far rispettare la sua volontà. “Non lasciatemi in una situazione così, è una vita inumana!”.
Era un vero purosangue della libertà, ricorda il padre. Era impossibile per lei soltanto vedere qualcuno immobile e interamente dipendente dagli altri. Figuriamoci trovarcisi. Ma la volontà di Eluana non interessa alla medicina. Che beffa terribile!
Senza rianimazione invasiva Eluana sarebbe morta. La morte fa parte della vita; l’imposizione dall’alto di condizioni di vita estranee ad Eluana è intollerabile. Solo uno Stato etico lo fa. I genitori di Eluana non avrebbero mai immaginato che i medici avessero questo potere sulla vita altrui.
Da allora Eluana è prigioniera dei meccanismi di rianimazione e di un sistema politico autoritario.
Perché non si rispetta la volontà di Eluana? Perché le si impone una vita che altro non è che “non morte encefalica”? Un simile inferno non si può imporre a persone libere.
* Pubblicato su Il Giornale di Sardegna, 25 aprile 2006.
(foto © c.)
lunedì 24 aprile 2006
In mille pezzi il mostro di cemento di Punta Perotti
sabato 22 aprile 2006
Eutanasia infantile e déjà vu
Dunque: un quotidiano italiano pubblica un pezzo su una ricerca apparsa l’anno scorso in una autorevole rivista scientifica. Lo studio esaminava le modalità con cui l’eutanasia infantile viene praticata in un paese europeo in cui si parla olandese, e riportava il numero di casi in cui la morte di un infante è preceduta da una decisione medica. Il giornalista italiano travisa il significato del dato, e straparla indignato della strage di innocenti in atto in quel paese.
«Noooo, basta!», grideranno i lettori di Bioetica. «Ancora a rivangare la storia di Giulio Meotti che ha capito Roma per toma, e ha scambiato 600 casi di morti infantili in Olanda “precedute da una decisione medica” per altrettanti casi di eutanasia? Sappiamo già tutto, grazie: l’articolo sul Protocollo di Groningen pubblicato nel 2005 dal New England Journal of Medicine, il pezzo sul Foglio del 9 marzo, la figuraccia co(s)mica denunciata da almeno un giornalista e da tre o quattro blogger, e Il Foglio che fa finta di niente (ma lancia un concorso per trovare errori introdotti a bella posta nelle sue colonne: così chi si imbatte nel prossimo sfondone pensa “Uh, no, questo è per il gioco”)».
Tranquilli, non è una storia vecchia. Perché il quotidiano è Avvenire, la ricerca è stata pubblicata da Lancet, il paese è il Belgio (e più precisamente le Fiandre), il giornalista si chiama Lorenzo Fazzini, e il suo articolo è stato pubblicato il 13 aprile («Eutanasia infantile, il Belgio è tentato», p. 4 dell’inserto). Solo l’errore è praticamente identico nei due casi.
Cominciamo dall’articolo di Avvenire:
Vediamo adesso un po’ di numeri. Su 298 bambini morti nelle Fiandre tra il 1999 e il 2000 a meno di un anno di vita, è stato possibile ricostruire le cause del decesso in 253 casi. Di questi, 110 non sono stati preceduti da una decisione sulla fine della vita; dei restanti 143, in 86 i medici hanno deciso di non iniziare o di sospendere i trattamenti, in 40 hanno somministrato oppioidi per controllare il dolore, e in 17 hanno posto fine direttamente alla vita dei piccoli pazienti. Per arrivare alla metà (scarsa) dei 253 di cui parla Lorenzo Fazzini, si dovrebbero sommare tutti gli 86 casi del primo gruppo ai 17 del terzo. Ma il primo gruppo, come abbiamo visto, potrebbe comprendere anche casi di rinuncia all’accanimento terapeutico; come fare a distinguere? Una maniera, sia pure piuttosto rozza, consiste nel misurare l’accorciamento della vita in seguito alla decisione medica, valutato dai pediatri che avevano in cura i bambini: molto – forse troppo – prudentemente, fissiamo a una settimana il limite tra rinuncia all’accanimento terapeutico ed eutanasia passiva. Ebbene, i casi in cui la vita del bambino è stata abbreviata di più di sette giorni sono 26; purtroppo i dati riportati non consentono di assegnarli tutti con certezza alle tre categorie già definite. Se, irrealisticamente, li attribuiamo tutti alla prima, allora avremo al massimo un totale di 43 casi tra eutanasia passiva e attiva (26+17): meno di un sesto dei 253 totali. E, ripeto, si tratta di una valutazione sicuramente errata per eccesso.
In conclusione, possiamo avanzare le seguenti tre ipotesi esplicative: ad Avvenire non sanno leggere un articolo scientifico; oppure non conoscono il catechismo della Chiesa Cattolica; oppure distorcono volontariamente la realtà. Escluderei recisamente quest’ultima spiegazione; rimangono in piedi le prime due.
«Noooo, basta!», grideranno i lettori di Bioetica. «Ancora a rivangare la storia di Giulio Meotti che ha capito Roma per toma, e ha scambiato 600 casi di morti infantili in Olanda “precedute da una decisione medica” per altrettanti casi di eutanasia? Sappiamo già tutto, grazie: l’articolo sul Protocollo di Groningen pubblicato nel 2005 dal New England Journal of Medicine, il pezzo sul Foglio del 9 marzo, la figuraccia co(s)mica denunciata da almeno un giornalista e da tre o quattro blogger, e Il Foglio che fa finta di niente (ma lancia un concorso per trovare errori introdotti a bella posta nelle sue colonne: così chi si imbatte nel prossimo sfondone pensa “Uh, no, questo è per il gioco”)».
Tranquilli, non è una storia vecchia. Perché il quotidiano è Avvenire, la ricerca è stata pubblicata da Lancet, il paese è il Belgio (e più precisamente le Fiandre), il giornalista si chiama Lorenzo Fazzini, e il suo articolo è stato pubblicato il 13 aprile («Eutanasia infantile, il Belgio è tentato», p. 4 dell’inserto). Solo l’errore è praticamente identico nei due casi.
Cominciamo dall’articolo di Avvenire:
un altro dato, a dir poco agghiacciante, [è stato] rivelato l’anno scorso dalla prestigiosa rivista scientifica The Lancet: secondo una ricerca, nella regione di lingua olandese del Belgio la metà dei neonati poi successivamente morti sono stati “aiutati” a morire dagli stessi dottori che li avevano in cura.Vediamo invece cosa dice veramente lo studio originale (Veerle Provoost et al., «Medical end-of-life decisions in neonates and infants in Flanders», Lancet 365, 2005, pp. 1315-20):
Paediatricians are confronted increasingly commonly with end-of-life decisions in relation to extremely ill patients. Three main categories of such decisions were addressed in this study: the withholding or withdrawal of potentially life-prolonging treatments; the alleviation of pain and clinical signs with opioids in doses that could potentially shorten life; and the administration of drugs with the explicit intention of shortening the patient’s life.Va subito premesso che le end-of-life decisions non sono necessariamente le decisioni mediche che causano la morte di un paziente, ma piuttosto le decisioni mediche che affrettano o possono affrettare la morte di un paziente: il medico che rimanda a casa a morire in pace il malato di cancro su cui le terapie non hanno quasi più effetto prende una end-of-life decision che potenzialmente può affrettare di poco la fine del paziente, ma ovviamente in questo modo non uccide nessuno. E infatti, mentre la terza categoria di cui parlano gli autori dello studio è effettivamente composta di bambini sottoposti ad eutanasia attiva, la seconda categoria non ha ovviamente nulla a che fare con l’eutanasia: si tratta di bambini sottoposti a cure palliative del tutto legali. La prima categoria è invece più incerta: può comprendere sia bambini per i quali si rinuncia all’accanimento terapeutico (che anche la Chiesa Cattolica non ritiene obbligatorio), sia bambini sottoposti alla cosiddetta eutanasia passiva. Qual è la differenza? Possiamo adottare questa definizione: rifiutare l’accanimento terapeutico significa rinunciare a prolungare dolorosamente l’agonia di un morente; praticare l’eutanasia passiva significa invece causare la morte (attraverso la rinuncia a intraprendere o proseguire le cure) per risparmiare a un paziente non terminale una vita di sofferenze intollerabili. Non esiste un confine netto tra le due pratiche, ma concettualmente sono ben distinte.
Vediamo adesso un po’ di numeri. Su 298 bambini morti nelle Fiandre tra il 1999 e il 2000 a meno di un anno di vita, è stato possibile ricostruire le cause del decesso in 253 casi. Di questi, 110 non sono stati preceduti da una decisione sulla fine della vita; dei restanti 143, in 86 i medici hanno deciso di non iniziare o di sospendere i trattamenti, in 40 hanno somministrato oppioidi per controllare il dolore, e in 17 hanno posto fine direttamente alla vita dei piccoli pazienti. Per arrivare alla metà (scarsa) dei 253 di cui parla Lorenzo Fazzini, si dovrebbero sommare tutti gli 86 casi del primo gruppo ai 17 del terzo. Ma il primo gruppo, come abbiamo visto, potrebbe comprendere anche casi di rinuncia all’accanimento terapeutico; come fare a distinguere? Una maniera, sia pure piuttosto rozza, consiste nel misurare l’accorciamento della vita in seguito alla decisione medica, valutato dai pediatri che avevano in cura i bambini: molto – forse troppo – prudentemente, fissiamo a una settimana il limite tra rinuncia all’accanimento terapeutico ed eutanasia passiva. Ebbene, i casi in cui la vita del bambino è stata abbreviata di più di sette giorni sono 26; purtroppo i dati riportati non consentono di assegnarli tutti con certezza alle tre categorie già definite. Se, irrealisticamente, li attribuiamo tutti alla prima, allora avremo al massimo un totale di 43 casi tra eutanasia passiva e attiva (26+17): meno di un sesto dei 253 totali. E, ripeto, si tratta di una valutazione sicuramente errata per eccesso.
In conclusione, possiamo avanzare le seguenti tre ipotesi esplicative: ad Avvenire non sanno leggere un articolo scientifico; oppure non conoscono il catechismo della Chiesa Cattolica; oppure distorcono volontariamente la realtà. Escluderei recisamente quest’ultima spiegazione; rimangono in piedi le prime due.
Disegni intelligenti
I seguaci del cosiddetto «Disegno Intelligente» sostengono spesso che insegnare nelle scuole la loro teoria a fianco di quella neo-darwinista sarebbe in fondo questione di apertura mentale, giustizia e completezza. David Brin porta adesso questo argomento alle estreme conseguenze, e mostra come esse non farebbero affatto piacere a quei signori («The Other Intelligent Design Theories», Skeptic 12, n. 2, 2006).
Each of these concepts – adding to idea-space completeness and deserving fair play – implies a dangerous competitor for Intelligent Design, a competitor that may seduce at least a few students into its sphere of influence. This undermines the implicit goal of ID, which is to proselytize a fundamentalist/literalist interpretation of the Christian Bible.
venerdì 21 aprile 2006
Preservarsi dall’HIV
Trovo ridicolo doversi rallegrare per qualcosa che dovrebbe essere scontato, non oggetto di discussione. E invece ho provato un incontenibile moto di gioia, subito ricacciato in gola, alla notizia che il cardinale Martini avrebbe espresso tolleranza verso l’uso del preservativo.
A ricacciare il moto di gioia contribuiscono anche le parole del cardinale (Il Card. Martini, sì condom anti-Hiv e embrioni a single, Ansa, 20 aprile 2006):
A ricacciare il moto di gioia contribuiscono anche le parole del cardinale (Il Card. Martini, sì condom anti-Hiv e embrioni a single, Ansa, 20 aprile 2006):
Per il cardinale il profilattico in talune circostanze non può essere che “un male minore”. “Lo sposo affetto dall’Aids – spiega – è obbligato a proteggere l’altro partner e questi pure deve potersi proteggere”. La questione, tuttavia, sottolinea il cardinale Martini, “è piuttosto se convenga che siano le autorità religiose a propagandare un tale mezzo di difesa, quasi ritenendo che gli altri mezzi moralmente sostenibili, compresa l’astinenza, vengano messi in secondo piano”.Gli amanti non sposati si infettino pure, e in fondo anche gli sposi se lo meriterebbero come punizione per la loro lussuria.
L’isola felice dei professori di religione
Tempi duri per i professori, alle prese non solo con gli alunni indisciplinati, ma con il precariato e la burocrazia delle graduatorie. Con l’unica eccezione di quanti insegnano religione. È in arrivo un’altra ondata di assunzioni per i curatori di anime fanciullesche e adolescenziali: tremilasettantasette, per l’esattezza (Prof di religione, ancora assunzioni e il precariato continua ad aumentare, la Repubblica, 14 aprile 2006). Si insedieranno con ogni probabilità a partire dal prossimo anno scolastico.
Tremila reclutati che si aggiungono agli oltre dodicimila assunti di recente. Questi professori sono pagati dallo Stato italiano, per una cifra approssimativa di 350 milioni di euro all’anno. A condizione che godano della benedizione da parte dell’autorità ecclesiastica, come indicato dal Protocollo addizionale dell’accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede. Accordo che è stato stipulato nel 1984 a modifica del Concordato del 1929 (quello tra Mussolini e il cardinale Gasparri). Per fare un esempio, una ragazza madre non è considerata ‘idonea’ ad insegnare.
La cuccagna non è finita qui: il concorso per diventare di ruolo era destinato a quanti avessero insegnato per almeno quattro anni in una scuola pubblica o paritaria, insegnamento affidato dal vescovo della diocesi di appartenenza della scuola. In molti casi gli aspiranti insegnanti superavano di poco il numero di cattedre a disposizione. Addirittura in alcuni casi i posti a disposizione superavano i concorrenti. Miraggio di ogni candidato errante: la certezza di allungare i piedi sulla scrivania, a patto di essere in grado di dimostrare un contegno probo. Forse è proprio vero che la religione aiuta a vivere meglio!
Tremila reclutati che si aggiungono agli oltre dodicimila assunti di recente. Questi professori sono pagati dallo Stato italiano, per una cifra approssimativa di 350 milioni di euro all’anno. A condizione che godano della benedizione da parte dell’autorità ecclesiastica, come indicato dal Protocollo addizionale dell’accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede. Accordo che è stato stipulato nel 1984 a modifica del Concordato del 1929 (quello tra Mussolini e il cardinale Gasparri). Per fare un esempio, una ragazza madre non è considerata ‘idonea’ ad insegnare.
La cuccagna non è finita qui: il concorso per diventare di ruolo era destinato a quanti avessero insegnato per almeno quattro anni in una scuola pubblica o paritaria, insegnamento affidato dal vescovo della diocesi di appartenenza della scuola. In molti casi gli aspiranti insegnanti superavano di poco il numero di cattedre a disposizione. Addirittura in alcuni casi i posti a disposizione superavano i concorrenti. Miraggio di ogni candidato errante: la certezza di allungare i piedi sulla scrivania, a patto di essere in grado di dimostrare un contegno probo. Forse è proprio vero che la religione aiuta a vivere meglio!
Martini, Marino, Milingo, Malvino
«Il cardinale Carlo Maria Martini ha letto il libro del professor Ignazio Marino (Credere e curare, Einaudi 2005) e in una conversazione con l’autore (che Daniela Minerva raccoglie per l’Ansa – 20.4.2006) afferma … ». Il resto su Malvino, «Urge trattamento alla Milingo», 21 aprile. (L’intervista completa a Martini e Marino si può leggere sul sito dell’Ansa. Il commento di Bioetica invece si può leggere qui.)
giovedì 20 aprile 2006
Immagini per mitigare il dolore
Potrebbe suscitare una certa sorpresa, ma sembra che l’effetto sia benefico per i genitori di bambini morti in giovanissima età a causa di gravi malattie.
Si chiama Now I Lay Down To Sleep, ed è una iniziativa portata avanti da genitori che hanno perso un bimbo e da fotografi che prestano la loro competenza.
Si chiama Now I Lay Down To Sleep, ed è una iniziativa portata avanti da genitori che hanno perso un bimbo e da fotografi che prestano la loro competenza.
This is the place where NOW I LAY ME DOWN TO SLEEP gently provides a helping hand and a healing heart. NOW offers a vital service to our community. For families overcome by grief and pain, the idea of photographing their baby may not immediately occur to them. Offering gentle and beautiful photography and videography services in a compassionate and sensitive manner is the heart of this organization. The soft, gentle heirloom photographs of these beautiful babies are an important part of the healing process. They allow families to honor and cherish their babies, and share the spirits of their lives.
L’aborto è un omicidio per legittima difesa
Andrea A. Galli intervista il ginecologo Giorgio Pardi («Non sono credente, ma amo ogni nuova vita», Avvenire, 20 aprile 2006).
E sempre qui torniamo: quali sono le condizioni necessarie per essere una persona? Secondo Pardi l’embrione è già una persona (entro i 90 giorni). Sì, ma perché? Accogliendo quale definizione di persona? Nessuna risposta.
Ma passiamo al cosiddetto aborto terapeutico (dopo i 90 giorni).
La condizione di vita è determinata da molteplici fattori, molti dei quali imprevedibili. L’avanzamento della medicina, inoltre, apre continue prospettive di miglioramento. Questo in generale. Ci sono però alcune condizioni patologiche che impediscono di pensare anche a pochi mesi di sopravvivenza. Sarebbe più onesto riferirsi a simili scenari, quando si parla di aborto terapeutico, piuttosto che al feto con sei dita. Come sarà la sua vita a dieci anni? In molti casi finita da molto tempo.
Vede, io non sono credente ma amo la vita e per me un aborto – l’ho detto centomila volte – è un omicidio fatto per legittima difesa della donna.Come diceva qualcuno, le parole sono importanti. Dal Dizionario della lingua italiana: o|mi|cì|dio: uccisione di una o più persone.
E sempre qui torniamo: quali sono le condizioni necessarie per essere una persona? Secondo Pardi l’embrione è già una persona (entro i 90 giorni). Sì, ma perché? Accogliendo quale definizione di persona? Nessuna risposta.
La cultura di oggi ha fatto sì che la donna quando si sente dire “tu sei fatta per procreare”, che è la pura verità biologica, anziché esserne gratificata si sente quasi offesa.Calma. Forse sarebbe più verosimile che l’offesa occorra all’epiteto “tu sei fatta solo per procreare”. La verità biologica, d’altra parte, non dovrebbe avere accezioni positive o negative. È il significato che le attribuiamo, è l’intento con cui diciamo “è così per natura”.
Ma passiamo al cosiddetto aborto terapeutico (dopo i 90 giorni).
Anche qui non si può non far riferimento a un problema culturale e sociale. Abbiamo creato la cultura del feto perfetto: la donna vuole, esige un feto perfetto e rifiuta il benché minimo grado di imperfezione.Più che difficile è impossibile. Sarebbe più onesto dire che è una domanda idiota, piuttosto che affannarsi a rispondere. È troppo vacillante la possibilità di fornire una risposta attendibile.
La donna fa sempre una domanda: se io non abortisco come sarà questo bambino a dieci anni? La capacità di rispondere a interrogativi come questo è un’operazione medica molto difficile.
La condizione di vita è determinata da molteplici fattori, molti dei quali imprevedibili. L’avanzamento della medicina, inoltre, apre continue prospettive di miglioramento. Questo in generale. Ci sono però alcune condizioni patologiche che impediscono di pensare anche a pochi mesi di sopravvivenza. Sarebbe più onesto riferirsi a simili scenari, quando si parla di aborto terapeutico, piuttosto che al feto con sei dita. Come sarà la sua vita a dieci anni? In molti casi finita da molto tempo.
Sedazione terminale ed eutanasia
Su Avvenire di oggi troviamo un’intervista a don Michele Aramini, docente di bioetica, sul tema dell’eutanasia («Eutanasia? La chiede chi viene lasciato solo»). C’è un punto che presenta un certo interesse:
La sedazione terminale consiste nel somministrare sedativi a un paziente terminale in preda a dolori non trattabili altrimenti, provocandone la perdita della coscienza e mantenendo questa condizione fino al sopraggiungere della morte. Di norma vengono anche sospese alimentazione e idratazione, che non sarebbero più di alcun beneficio al malato, e che anzi potrebbero provocare effetti avversi, come l’edema polmonare. Spesso si ha un accorciamento nella lunghezza della vita rimanente (che sarebbe però in ogni caso molto breve).
Si è discusso e si discute sull’equivalenza morale di questa pratica con l’eutanasia. Ci sono delle ragioni – più o meno buone – per ritenerle distinte (cfr. Robert M. Taylor, «Is terminal sedation really euthanasia?», Medical Ethics 10, 2003, p. 3); ma quel che è indisputabile, è che dal punto di vista soggettivo del paziente le due cose sono identiche. Viene posto infatti in uno stato di sedazione profonda o di coma, che rappresenta senza dubbio la fine della sua esperienza cosciente, esattamente come la morte. L’eutanasia sarà anche più brutale (o forse piuttosto meno ipocrita?), ma risponde a una logica pressoché identica: di fronte a una sofferenza ineliminabile, non rimane che porre pietosamente fine alla vita, cosciente e/o biologica; e l’osservazione di Aramini, più avanti nell’intervista, che la richiesta dell’eutanasia «viene meno se una persona è trattata adeguatamente con la terapia del dolore» assume una connotazione involontariamente ironica.
Perché si arriva a chiedere in determinati casi il ricorso all’eutanasia?Lasciamo stare l’infelice affermazione sulla «pretesa immoralità di infliggere dolore a una persona»: credo (e spero vivamente!) che Aramini si sia espresso male, o sia stato mal compreso. Concentriamoci invece sulla «sedazione terminale». L’intervistato non approfondisce l’argomento, né l’intervistatrice gli chiede di approfondirlo; di cosa si tratta, allora?
«C’è una prima motivazione, che di certo era più valida nel passato ma che, quando si entra in un clima di polemica, viene tirata abitualmente fuori: mi riferisco all’insopportabilità del dolore, vale a dire il rifiuto di una sofferenza che non si riesce a tollerare in prima persona oppure a far sopportare agli altri. Era la richiesta contenuta nel manifesto sull’eutanasia firmato nel 1983 da alcuni premi Nobel, che faceva leva sulla pretesa immoralità di infliggere dolore a una persona. È una richiesta superata, in quanto la terapia del dolore oggi è in grado di agire su tutte le situazioni, anche quelle più estreme, con la cosiddetta “sedazione terminale”».
La sedazione terminale consiste nel somministrare sedativi a un paziente terminale in preda a dolori non trattabili altrimenti, provocandone la perdita della coscienza e mantenendo questa condizione fino al sopraggiungere della morte. Di norma vengono anche sospese alimentazione e idratazione, che non sarebbero più di alcun beneficio al malato, e che anzi potrebbero provocare effetti avversi, come l’edema polmonare. Spesso si ha un accorciamento nella lunghezza della vita rimanente (che sarebbe però in ogni caso molto breve).
Si è discusso e si discute sull’equivalenza morale di questa pratica con l’eutanasia. Ci sono delle ragioni – più o meno buone – per ritenerle distinte (cfr. Robert M. Taylor, «Is terminal sedation really euthanasia?», Medical Ethics 10, 2003, p. 3); ma quel che è indisputabile, è che dal punto di vista soggettivo del paziente le due cose sono identiche. Viene posto infatti in uno stato di sedazione profonda o di coma, che rappresenta senza dubbio la fine della sua esperienza cosciente, esattamente come la morte. L’eutanasia sarà anche più brutale (o forse piuttosto meno ipocrita?), ma risponde a una logica pressoché identica: di fronte a una sofferenza ineliminabile, non rimane che porre pietosamente fine alla vita, cosciente e/o biologica; e l’osservazione di Aramini, più avanti nell’intervista, che la richiesta dell’eutanasia «viene meno se una persona è trattata adeguatamente con la terapia del dolore» assume una connotazione involontariamente ironica.
mercoledì 19 aprile 2006
L’essenza di Giulio Meotti
Sul Foglio di oggi Giulio Meotti chiosa il testo di monsignor Angelo Comastri che ha accompagnato la Via Crucis di venerdì 14, scrivendo tra l’altro («L’anti-disegno e l’essenza dell’uomo volatilizzata nel processo evolutivo», p. III dell’inserto):
Se Meotti fosse più informato (o più sincero?) sostituirebbe la parola «ragione» con «ideologia»: perché la reazione anti-scientifica non prende le mosse da obiezioni razionali, ma – soprattutto nella sua versione italica – dal desiderio tutto ideologico di ancorare l’uomo a una pretesa essenza originaria e immutabile, in modo da legittimare vecchie forme di dominio, ed altre più nuove che da quelle a loro volta cercano legittimazione. Essere il bersaglio degli ideologi sembra del resto il destino della Teoria dell’Evoluzione; il caso più eclatante risale, com’è noto, all’Unione Sovietica degli anni Trenta – anche se il paragone sarebbe sicuramente rigettato con sdegno dai tanti Lysenko in sedicesimo che oggi imperversano.
Comastri ha denunciato … il processo che pretende di “reinventare l’umanità modificando la grammatica stessa della vita”. Per capire facciamo un passo indietro. Era un pomeriggio di sessant’anni fa. Il biofisico Francis Crick si avventa dentro l’Eagle, un pub di Cambridge: “Abbiamo trovato il segreto della vita”, esclama il futuro Nobel. Da allora si è detto che è il Dna ad aver creato la vita, che lì tutto inizia e finisce, seme di destino e discrimine per la vita o la morte. Ma la ragione ci suggerisce il contrario: la vita ha creato il Dna. Contemporaneamente alla scoperta di Watson e Crick, una visione riduzionista del pensiero scientifico ha preteso, infatti, che si conoscesse sempre meno cos’è un uomo. Comastri parla di un “anti-disegno”, … pone radicalmente in discussione l’idea neo-evoluzionistica per cui le specie viventi discendono da specie precedenti sempre più semplici, fino ad arrivare agli organismi unicellulari, riducendo la vita a fanghiglia informe, materia inanimata. … “Anti-disegno” significa che l’essenza originaria dell’uomo si è volatilizzata nel carattere passeggero e lunatico del processo evolutivo.Verrebbe facile ironizzare sull’informazione approssimativa (la data sbagliata, il Dna che ha «creato la vita» – forse Meotti avrà orecchiato qualche notizia di terza mano sull’ipotesi del mondo a Rna) e sulla filosofia dozzinale (l’anti-riduzionismo che presuppone proprio il riduzionismo che dice di combattere: se la vita ha avuto origine dalla «fanghiglia», allora la vita non è che fanghiglia...). Ma quello che colpisce di più è l’adesione esplicita (ancorché vagamente sibillina) a quella teoria del Disegno Intelligente che ha passato una verniciata di scienza sul vecchio creazionismo dei fondamentalisti americani: «la ragione ci suggerisce il contrario: la vita ha creato il Dna».
Se Meotti fosse più informato (o più sincero?) sostituirebbe la parola «ragione» con «ideologia»: perché la reazione anti-scientifica non prende le mosse da obiezioni razionali, ma – soprattutto nella sua versione italica – dal desiderio tutto ideologico di ancorare l’uomo a una pretesa essenza originaria e immutabile, in modo da legittimare vecchie forme di dominio, ed altre più nuove che da quelle a loro volta cercano legittimazione. Essere il bersaglio degli ideologi sembra del resto il destino della Teoria dell’Evoluzione; il caso più eclatante risale, com’è noto, all’Unione Sovietica degli anni Trenta – anche se il paragone sarebbe sicuramente rigettato con sdegno dai tanti Lysenko in sedicesimo che oggi imperversano.
Le coppie di fatto e i matrimoni tra diversi (?) affossano la famiglia, quella per bene
È di capitale importanza riportare per intero l’editoriale de Il Giornale di ieri (Evviva, ha vinto chi affosserà la famiglia, Il Giornale, 18 aprile 2006), perché ogni parola, ripeto, ogni parola merita una riflessione inorridita (che lascio a terzi, per carità).
Cosa si intende con matrimonio fra i diversi, quello tra gli uomini e le donne?
‘Senza coglioni’, poi, sarebbe stata l’espressione di maggiore buon gusto, perché non scriverlo per intero? Perché ammiccare, lasciar intendere? Strizzare l’occhio, tanto ci siamo capiti che intendiamo quegli stronzi che hanno votato non per Berlusconi.
Buttare nella fogna? Parassiti? Bifolchi?
Mi viene un dubbio: ma è uno scherzo piazzato da un hacker sul sito de Il Giornale? O è un articolo ironico (di dubbia ironia, d’accordo)?
Evviva, ha vinto l’Italia che privilegia i delinquenti e colpisce gli onesti! Sapevo che una parte dei miei connazionali fosse senza c...i ma non che fossero la metà della popolazione.ps (non ho resistito)
Adesso butteranno nella fogna la famiglia permettendo i matrimoni fra i diversi e concedendo privilegi alle coppie di fatto.
Toglieranno il crocifisso che disturba quei parassiti che grazie alla sinistra hanno invaso il nostro Paese (e li faranno anche votare)! Porte aperte a chiunque clandestini compresi. Berlusconi metta da parte la buona educazione, con i Bifolchi non serve, si prepari ad una Feroce opposizione per arginare tutti i danni che si preparano ad arrecare al nostro Paese.
P.S. Un ringraziamento a Fini per aver fatto votare chi ha scelto di vivere in un altro Paese e non dovrebbe avere nessun diritto di imporci un Governo.
Cosa si intende con matrimonio fra i diversi, quello tra gli uomini e le donne?
‘Senza coglioni’, poi, sarebbe stata l’espressione di maggiore buon gusto, perché non scriverlo per intero? Perché ammiccare, lasciar intendere? Strizzare l’occhio, tanto ci siamo capiti che intendiamo quegli stronzi che hanno votato non per Berlusconi.
Buttare nella fogna? Parassiti? Bifolchi?
Mi viene un dubbio: ma è uno scherzo piazzato da un hacker sul sito de Il Giornale? O è un articolo ironico (di dubbia ironia, d’accordo)?
26 aprile 1986: il disastro di Chernobyl
Era il 26 aprile 1986 quando un reattore nucleare esplose. Alcune persone morirono immediatamente, e le radiazioni ebbero effetti lesivi su moltissime altre. La stima delle conseguenze dell’esplosione è difficile. Secondo un rapporto di Greenpeace sarebbero 93.000 le persone condannate a morire per effetto del disastro nucleare (Chernobyl: Greenpeace, 93mila persone destinate a morire, AGI, 18 aprile 2006).
Questa cifra è notevolmente superiore alla valutazione dell’International Atomic Energy Agency, che si aggira intorno alle 4.000 morti.
Oggi a Roma si svolgerà un convegno sulle vittime del disastro nucleare, Cernobyl vent’anni dopo.
BBC World’s report on the Chernobyl Disaster.
Questa cifra è notevolmente superiore alla valutazione dell’International Atomic Energy Agency, che si aggira intorno alle 4.000 morti.
Oggi a Roma si svolgerà un convegno sulle vittime del disastro nucleare, Cernobyl vent’anni dopo.
BBC World’s report on the Chernobyl Disaster.
martedì 18 aprile 2006
Figli dell’eterologa? Nessun problema
Uno studio pubblicato da alcuni ricercatori britannici (C. Murray, F. MacCallum e S. Golombok, «Egg donation parents and their children: follow-up at age 12 years», Fertility and Sterility 85, 2006, pp. 610-18) mostra come non siano rilevabili differenze significative nello sviluppo psicologico di tre gruppi di bambini nati per fecondazione in vitro omologa, eterologa con donazione di ovocita ed eterologa con donazione di seme (34, 17 e 35 famiglie, rispettivamente). Tutti i bambini mostrano una buona condizione emotiva, anche se le madri del terzo gruppo tendono a essere più legate della norma ai loro figli (fonte: «Study finds egg donation families well-adjusted», BioNews, 18 aprile 2006).
Per la libertà scientifica: l’Alternativa Coscioni dal 21 al 23 aprile a Roma
Si svolgerà a Roma presso l’Hotel Ergife Palace il Congresso Straordinario dell’Associazione Luca Coscioni. Da venerdì 21 aprile a domenica 23; volutamente dopo le politiche.
L’Alternativa Coscioni basta per riassumere il senso del congresso.
Giornale del Congresso Straordinario.
Informazioni logistiche.
L’Alternativa Coscioni basta per riassumere il senso del congresso.
Giornale del Congresso Straordinario.
Informazioni logistiche.
Leon R. Kass e i pericoli delle biotecnologie
Per fortuna che Leon R. Kass ci mette in guardia verso i pericoli della moderna tecnologia biomedica. Come se servisse un’altra Cassandra, tra le tante cui la modernità ha regalato anche il dono di essere credute dalla massa (Leon R. Kass advierte del peligro de las modernas técnicas biomédicas, Aceprensa, 10 aprile 2006).
Il tono è quello adatto alle profezie infauste, e gli argomenti più o meno pure. La tecnologia biomedica ci sta disumanizzando: questo il cuore del monito kass(andr)iano. L’utilizzo delle cellule staminali embrionali produce due effetti secondo Kass: distrugge gli embrioni e corrompe la nostra natura.
Come contorno, Kass specifica che gli embrioni sono esseri umani. Ma dimentica che questo non è che una asserzione banale e descrittiva: gli embrioni appartengono alla specie homo sapiens, nessuna persona ragionevole si oppone a tale verità. Il problema è: e allora? Essere un essere umano cosa implica? Per rimanere nel discorso di Kass, non implica che sia anche una persona. Il passaggio (e il giochetto) cruciale si radica nella relazione tra essere umano e persona. Coincidenza? Diversità? È sufficiente appartenere alla specie umana per essere una persona? No.
Il consunto argomento sventolato da Kass è inservibile. “Anche io sono stato un embrione e se mi avessero usato per la sperimentazione non starei qui a sostenere questa conversazione”.
Che mi si passi il dubbio che in termini di somma totale della felicità umana forse non ci sarebbero state drammatiche conseguenze per una simile carenza. Ma, soprattutto, il ragionamento non dimostra che l’embrione-Kass era una persona. Ma soltanto che se non fosse qui ora a parlare, non sarebbe qui a parlare. E non ci sarebbe oggi la persona Kass. Quando Kass ha cominciato ad essere persona? Secondo Kass (e secondo molti altri) dal concepimento, però non fornisce alcuna ragione intelligibile.
Se mia nonna non avesse girato a destra sul corso del paese, non avrebbe incontrato mio nonno, e non sarebbe nata mia madre, e non io starei qui a parlare. Un po’ come Ritorno al Futuro, scomparirei risucchiata dalle innumerevoli altre possibilità (mia nonna girava a sinistra, mio nonno era omosessuale, mia madre partiva per il Canada, etc.). Tutto questo, però, non dimostra che io ero una persona nel fatidico momento dell’incontro tra i miei nonni, non più di quanto lo fossi al momento del mio concepimento, né qualche settimana più tardi, quando ero embrione.
Il tono è quello adatto alle profezie infauste, e gli argomenti più o meno pure. La tecnologia biomedica ci sta disumanizzando: questo il cuore del monito kass(andr)iano. L’utilizzo delle cellule staminali embrionali produce due effetti secondo Kass: distrugge gli embrioni e corrompe la nostra natura.
Come contorno, Kass specifica che gli embrioni sono esseri umani. Ma dimentica che questo non è che una asserzione banale e descrittiva: gli embrioni appartengono alla specie homo sapiens, nessuna persona ragionevole si oppone a tale verità. Il problema è: e allora? Essere un essere umano cosa implica? Per rimanere nel discorso di Kass, non implica che sia anche una persona. Il passaggio (e il giochetto) cruciale si radica nella relazione tra essere umano e persona. Coincidenza? Diversità? È sufficiente appartenere alla specie umana per essere una persona? No.
Il consunto argomento sventolato da Kass è inservibile. “Anche io sono stato un embrione e se mi avessero usato per la sperimentazione non starei qui a sostenere questa conversazione”.
Che mi si passi il dubbio che in termini di somma totale della felicità umana forse non ci sarebbero state drammatiche conseguenze per una simile carenza. Ma, soprattutto, il ragionamento non dimostra che l’embrione-Kass era una persona. Ma soltanto che se non fosse qui ora a parlare, non sarebbe qui a parlare. E non ci sarebbe oggi la persona Kass. Quando Kass ha cominciato ad essere persona? Secondo Kass (e secondo molti altri) dal concepimento, però non fornisce alcuna ragione intelligibile.
Se mia nonna non avesse girato a destra sul corso del paese, non avrebbe incontrato mio nonno, e non sarebbe nata mia madre, e non io starei qui a parlare. Un po’ come Ritorno al Futuro, scomparirei risucchiata dalle innumerevoli altre possibilità (mia nonna girava a sinistra, mio nonno era omosessuale, mia madre partiva per il Canada, etc.). Tutto questo, però, non dimostra che io ero una persona nel fatidico momento dell’incontro tra i miei nonni, non più di quanto lo fossi al momento del mio concepimento, né qualche settimana più tardi, quando ero embrione.
Melissa P., la morale sessuale e Camillo Ruini (secondo Luca Volontè)
Chi l’avrebbe detto che ci saremmo trovati a parlare di Melissa P.? Colpa, o merito non saprei, del nostro Luca Volontè. Ma andiamo per ordine. Come Volontè, neanche io ho letto i libri della fanciulla siciliana; e me ne dispiaccio perché mi sentirei più padrona della situazione. Ma il mio è un commento al commento di Volontè, perciò mi si perdoni il difetto (Il sesso, la signorina Melissa P. e gli attacchi al cardinale Ruini, La Provincia, 14 aprile 2006).
Il discorso di Volontè mi ricorda un po’ quelle patetiche inferenze che da un comportamento pregresso pretendono di giudicare il presente. O peggio, quell’atteggiamento avvocatesco che tenta di giustificare una violenza carnale con la dimostrazione del profilo mignottesco (vero o presunto) della vittima. “Signor giudice, ha provocato il mio cliente, era vestita in modo da dire ‘scopami scopami’.”
Addirittura Volontè si permette di mettere in discussione l’educazione ricevuta da Melissa, addirittura invoca Telefono Azzurro. E aggiunge, forse pensando di dimostrare qualcosa.
Non entro nel merito, ripeto, di quanto espresso da Melissa; ma su una sua dichiarazione devo manifestare, dolorosamente, il mio accordo. Raccontando della sua rabbia come origine della lettera aperta a Ruini, Melissa si riferisce a uno dei tanti recenti orrori circondato dal silenzio (Caro Ruini, perché parla sempre di sesso?, Vanity Fair, 15, aprile 2006).
Il discorso di Volontè mi ricorda un po’ quelle patetiche inferenze che da un comportamento pregresso pretendono di giudicare il presente. O peggio, quell’atteggiamento avvocatesco che tenta di giustificare una violenza carnale con la dimostrazione del profilo mignottesco (vero o presunto) della vittima. “Signor giudice, ha provocato il mio cliente, era vestita in modo da dire ‘scopami scopami’.”
Addirittura Volontè si permette di mettere in discussione l’educazione ricevuta da Melissa, addirittura invoca Telefono Azzurro. E aggiunge, forse pensando di dimostrare qualcosa.
Noi la pensiamo come Ruini, educhiamo i nostri figli a quelle virtù morali che gli americani direbbero civili. La signorina può pensarla come vuole, tuttavia se tutti facessero come lei l’Italia del sesso-droga e rock finirebbe nel giro di una generazione.E se lo dicono gli americani, allora possiamo dormire sonni tranquilli. E poi agitare il fantasma dell’estinzione umana per riportarci sulla retta via! Oppure è l’avvertimento di una nuova Sodoma e Gomorra? E chi sarebbe risparmiato al posto di Lot?
Non entro nel merito, ripeto, di quanto espresso da Melissa; ma su una sua dichiarazione devo manifestare, dolorosamente, il mio accordo. Raccontando della sua rabbia come origine della lettera aperta a Ruini, Melissa si riferisce a uno dei tanti recenti orrori circondato dal silenzio (Caro Ruini, perché parla sempre di sesso?, Vanity Fair, 15, aprile 2006).
Ogni volta che leggevo i giornali e sentivo i dibattiti in televisione, mi arrabbiavo, una rabbia fortissima. Come quando si è parlato di introdurre i volontari cattolici nei consultori. E non sentivo nessuno degli intellettuali intervenire, non uno scrittore, non un regista...Almeno va riconosciuto a Melissa il merito di avere parlato. E, in tutta sincerità, non credo che avesse la necessità di attaccare la morale cattolica per vendere libri.
Il cibo di Frankenstein: via libera a 5 OGM
Qualche giorno fa l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha sdoganato 5 prodotti Ogm vietati in alcuni Paesi dell’Unione Europea (Ogm, l’agenzia alimentare europea sdogana 5 prodotti, Reuters Italia, 12 aprile 2006). I divieti riguardavano in particolare tre tipi di sementi di mais e due di colza.
L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha dichiarato:
Press release.
L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare ha dichiarato:
Non ci sono motivi di credere che la presenza sul mercato di questi cinque Ogm possa causare con qualche probabilità un effetto negativo sulla salute delle persone, degli animali o sull’ambiente.Chissà se una simile rassicurazione contribuirà a modificare la percezione degli organismi geneticamente modificati da parte dell’opinione pubblica. Gli Ogm saranno guardati con sospetto in eterno, o si può almeno concedere loro il beneficio del dubbio?
Press release.
lunedì 17 aprile 2006
Madri preistoriche
Ancora una recensione di Lisa Maccari, che segnalo ancora una volta in ritardo: «Le streghette son tornate» (Paniscus, 21 febbraio), a proposito del libro di Alessandra Di Pietro e Paola Tavella, Madri selvagge, sul quale ci siamo esercitati anche qui a Bioetica.
Antonio Socci e la cultura della morte
A volte è preferibile tacere. Antonio Socci ha sprecato una ennesima occasione per tacere rilasciando una intervista a Zenit dal titolo L’assassinio di Tommaso e il genocidio dei bambini a cui si nega la vita (11 aprile 2006). Ma a Tommaso dedica solo poche parole (per carità, sarebbe meglio un rispettoso silenzio invece del baccano che ha circondato il bimbo). Sembra esclusivamente un pretesto che Socci usa per parlare di quanto più gli sta a cuore: il genocidio dei più piccoli. È bene chiarire fin d’ora. I più piccoli sono gli embrioni abortiti.
“Non nascondiamoci l’ambivalenza dell’amore e dell’odio che sempre accompagna la condizione della maternità. Non ci sarebbero tanti disperati nella vita se tutti, da bambini, fossero stati davvero amati e solo amati”.
Il sistema mediatico è schierato su posizioni ideologiche? Potrei essere d’accordo con Socci formalmente, ma non sul contenuto, temo. Chi è schierato ideologicamente e perché? Non è di certo determinato dalla posizione che si abbraccia (nell’esempio di Socci, a favore o contro la legge 40), ma dai ragionamenti che si adottano per sostenerla. Confesso di non essere stata convinta da Socci.
Per chi volesse saperne di più, rimando al suo libro dal titolo trasparente: Il genocidio censurato. Aborto: un miliardo di vittime innocenti. O alla imminente recensione che qualche coraggioso renderà presto pubblica qui.
La vicenda del piccolo Tommaso Onofri, il bambino di 18 mesi rapito e ucciso un mese fa in provincia di Parma, è il segnale rivelatore di una certa cultura di morte scatenata contro i più piccoli. […] Questo male diventa anche il clima di un’epoca e agisce anche nella svalorizzazione della vita umana in un modo tale che ci sono forme di offesa e soppressione della vita senza che alle vittime sia riconosciuto il diritto di essere umani.In che senso “svalorizzazione della vita umana”?
Quello di Tommaso è un caso singolo di assassinio che c’è sempre stato e accompagna la storia umana, mentre l’aborto nel mondo ha assunto dimensioni macroscopiche ed aberranti. I numeri parlano di circa un miliardo di vittime nei passati 25 anni.Se ‘c’è sempre stato’ è moralmente accettabile? Infanticidio singolo sì, aborto no perché non ci sarebbe sempre stato?
La legalizzazione di qualcosa così brutto, orribile e cattivo come l’aborto non è un progresso. Tante cose orribili come la guerra, il crimine, la violenza, l’omicidio ci sono sempre state ma non vengono legalizzate.(Ma allora l’aborto c’è sempre stato oppure no? Prendi una decisione, caro Socci.)
Poi una cosa è l’aborto fatto singolarmente e segretamente, un’altra cosa è questa sistematica macchina di morte gestita dagli Stati in cui in maniera seriale e con strumenti tecnologici farmacologici letali si procede allo sterminio di milioni di vite umane. Con un apparato, ideologico e mediatico che non solo giustifica questa pratica, ma che lo presenta come un diritto dell’uomo. Inoltre la legalizzazione non ha portato alla riduzione degli aborti ma alla loro moltiplicazione.Ovvero: meglio sarebbe lavare i panni sporchi in famiglia? Si fa ma non si dice? Oppure è la versione punitiva del ‘partorirai con dolore’ (figuriamoci se abortisci)?
Ogni aborto provoca almeno due vittime, il concepito e la sua mamma. È infatti evidente che la pratica dell’aborto per le mamme è un dramma molto superiore a come si pensa e come si immagina. Prima di tutto per le complicazioni sul piano fisico che a volte possono essere molto gravi e possono arrivare fino alla morte. Ma anche per le conseguenze psicologiche ancora più devastanti, come più studi svolti in diverse parti del mondo hanno dimostrato. In questo senso il numero delle vittime andrebbe raddoppiato.Quali studi? Svolti da chi? E come?
Sono convinto che tutte le donne che hanno abortito lo hanno fatto perché in qualche modo costrette dalle situazioni o dal degrado dei rapporti umani. Ed è evidente che non c’è nessuna donna che abbia accettato la vita umana e che poi se ne sia pentita. Credo che stia crescendo una forte sensibilità sulla questione della vita, che però è continuamente sabotata ed attaccata da un sistema mediatico, che come abbiamo visto in occasione del referendum sulla legge 40, è totalmente schierato su posizioni ideologiche.Sulle convinzioni personali alzo le mani. Ognuno creda pure ciò che preferisce. Purché non pretenda che sia la Verità. A proposito del pentimento materno mi vengono alla memoria alcune parole (Nella testa di una madre che uccide suo figlio, la Repubblica, 27 maggio 2005):
“Non nascondiamoci l’ambivalenza dell’amore e dell’odio che sempre accompagna la condizione della maternità. Non ci sarebbero tanti disperati nella vita se tutti, da bambini, fossero stati davvero amati e solo amati”.
Il sistema mediatico è schierato su posizioni ideologiche? Potrei essere d’accordo con Socci formalmente, ma non sul contenuto, temo. Chi è schierato ideologicamente e perché? Non è di certo determinato dalla posizione che si abbraccia (nell’esempio di Socci, a favore o contro la legge 40), ma dai ragionamenti che si adottano per sostenerla. Confesso di non essere stata convinta da Socci.
Per chi volesse saperne di più, rimando al suo libro dal titolo trasparente: Il genocidio censurato. Aborto: un miliardo di vittime innocenti. O alla imminente recensione che qualche coraggioso renderà presto pubblica qui.
Un wallaby albino è nato nello zoo di Buenos Aires
Ha fatto la sua prima apparizione mercoledì scorso, allo zoo di Buenos Aires (Rare Albino Wallaby Born in Argentina, CBS4 News, 13 aprile 2006).
Il suo mantello è candido e forse è il primo a nascere in cattività in tutta l’America Latina.
Per scegliere il suo nome i bambini che vanno a fargli visita possono lasciare un foglietto con i suggerimenti nella cassetta postale lasciata appositamente.
Per vederlo in movimento: video link (Reuters).
Il suo mantello è candido e forse è il primo a nascere in cattività in tutta l’America Latina.
Per scegliere il suo nome i bambini che vanno a fargli visita possono lasciare un foglietto con i suggerimenti nella cassetta postale lasciata appositamente.
Per vederlo in movimento: video link (Reuters).
Un modo stravagante per tutelare i diritti degli animali?
Non sono destinati al macello ma alla riproduzione. Dopo avere dato il meglio negli sport, si capisce.
A Mosca si disputano le maialimpiadi (A Mosca i giochi olimpici per maiali, Il Corriere della Sera, 17 aprile 2006): nuoto, corsa e calcio. I protagonisti sono, facile intuire, i maiali.
Dopo la carriera sportiva saranno impegnati a produrre una nuova generazione di campioni.
A Mosca si disputano le maialimpiadi (A Mosca i giochi olimpici per maiali, Il Corriere della Sera, 17 aprile 2006): nuoto, corsa e calcio. I protagonisti sono, facile intuire, i maiali.
Dopo la carriera sportiva saranno impegnati a produrre una nuova generazione di campioni.
domenica 16 aprile 2006
La leggenda dei predatori di organi
Segnalo con ritardo – ma l’argomento risulterà, temo, per sempre attuale – la recensione di Lisa Maccari al libro di Véronique Campion-Vincent, La légende des vols d’organes (Paris, Les Belles Lettres, 1997), sul blog Paniscus: «Leggende nere e figli», 20 marzo.
Anestesia fetale durante l’aborto?
Negli Stati Uniti è all’esame del Congresso una proposta di legge, che obbligherebbe i medici a informare una donna giunta almeno alla 22ª settimana di gestazione e intenzionata ad abortire che il feto è capace di provare dolore durante l’intervento. I medici dovrebbero inoltre proporre alla donna la somministrazione diretta di anestetici al feto, per addormentarlo prima di procedere all’aborto (va notato comunque che solo l’1,4% delle interruzioni di gravidanza praticate negli Usa ha luogo oltre la 21ª settimana). Ma questa procedura presenta potenzialmente rischi per le pazienti, ed è dunque legittimo chiedersi quanto sia giustificata scientificamente.
È quanto ha fatto Stuart W. G. Derbyshire in un articolo apparso sul British Medical Journal («Can fetuses feel pain?», BMJ 332, 2006, pp. 909-12). Le sue conclusioni sono che il sistema neuroanatomico per la trasmissione degli stimoli dolorosi al cervello è completamente formato a partire dalla 26ª settimana di gestazione, ma che ciò non è sufficiente per parlare di percezione del dolore. Questa si avrebbe solo dopo il secondo mese dalla nascita, in seguito a una sorta di categorizzazione delle sensazioni, che il bambino compirebbe interagendo con gli adulti. Prima di ciò si potrebbe parlare soltanto di nocicezione, cioè di un riflesso automatico non cosciente in presenza di uno stimolo doloroso.
Personalmente (e da profano) trovo questa proposta non del tutto convincente; in ogni caso, mi pare che le teorie psicologiche sulla nascita e la natura della mente non siano ancora abbastanza mature per poter influenzare la legislazione. Favorirei invece l’approccio di un gruppo di studiosi californiani, che in uno studio che ha causato l’anno scorso accese polemiche (Susan J. Lee et al., «Fetal Pain: A Systematic Multidisciplinary Review of the Evidence», Journal of the American Medical Association 294, 2005, pp. 947-54) riconducono per intero la percezione cosciente del dolore all’attività delle strutture neuroanatomiche ad essa deputate, che comincerebbero a funzionare – in base ad esami elettroencefalografici condotti su neonati prematuri – non prima della 29ª-30ª settimana dall’inizio della gravidanza. Si tratta di conclusioni ancora provvisorie, ma direi che la via da seguire è questa.
È quanto ha fatto Stuart W. G. Derbyshire in un articolo apparso sul British Medical Journal («Can fetuses feel pain?», BMJ 332, 2006, pp. 909-12). Le sue conclusioni sono che il sistema neuroanatomico per la trasmissione degli stimoli dolorosi al cervello è completamente formato a partire dalla 26ª settimana di gestazione, ma che ciò non è sufficiente per parlare di percezione del dolore. Questa si avrebbe solo dopo il secondo mese dalla nascita, in seguito a una sorta di categorizzazione delle sensazioni, che il bambino compirebbe interagendo con gli adulti. Prima di ciò si potrebbe parlare soltanto di nocicezione, cioè di un riflesso automatico non cosciente in presenza di uno stimolo doloroso.
Personalmente (e da profano) trovo questa proposta non del tutto convincente; in ogni caso, mi pare che le teorie psicologiche sulla nascita e la natura della mente non siano ancora abbastanza mature per poter influenzare la legislazione. Favorirei invece l’approccio di un gruppo di studiosi californiani, che in uno studio che ha causato l’anno scorso accese polemiche (Susan J. Lee et al., «Fetal Pain: A Systematic Multidisciplinary Review of the Evidence», Journal of the American Medical Association 294, 2005, pp. 947-54) riconducono per intero la percezione cosciente del dolore all’attività delle strutture neuroanatomiche ad essa deputate, che comincerebbero a funzionare – in base ad esami elettroencefalografici condotti su neonati prematuri – non prima della 29ª-30ª settimana dall’inizio della gravidanza. Si tratta di conclusioni ancora provvisorie, ma direi che la via da seguire è questa.
Joseph Ratzinger e la famiglia tradizionale
I mali del mondo sono innumerevoli. L’età dell’oro è ormai tramontata. Forse avremmo qualche difficoltà nello stilare un elenco esaustivo di quanto ci affligge. L’inventario che potremmo inferire dalle meditazioni di Benedetto XVI nel corso della sua prima Via Crucis suscita una certa perplessità. Forse il male peggiore, secondo Ratzinger, è rappresentato dall’aggressione alla famiglia. “Sembra che oggi sia in atto una specie di anti-Genesi, un anti-disegno, un orgoglio diabolico di spazzar via la famiglia”. Non ci vuole un fine ermeneuta per sospettare che gli attentatori siano i pacs o le coppie di fatto. La vittima, con tutta evidenza, è la famiglia “tradizionale” costituita da moglie, marito e prole (quanto più numerosa, tanto più virtuosa, perché il sesso non a fini procreativi è un attentato alla probità!). Ovvero, un modello di famiglia storicamente determinato, e non necessariamente il migliore (né tantomeno l’unico). “Una folle voglia di trasgressione” starebbe disgregando il mondo (la Famiglia).
Chi può stabilire qual è la famiglia ‘giusta’? Chi può arrogarsi il diritto di condannare quanti desiderano vivere diversamente (nel vizio, nella bugia e nell’egoismo secondo il Papa)? Ma, soprattutto, non ci saranno guai più gravi della diversificazione dei modelli di convivenza?
Basti pensare alle migliaia di persone che non hanno lo stretto necessario per vivere dignitosamente, o addirittura per sopravvivere. O alla carente assistenza sanitaria, anche in paesi cosiddetti civilizzati. La presenza di Satana sembra più pertinente in questo scenario, che seduto accanto a due persone (poco importa il sesso) non unite dal sacro vincolo del matrimonio.
(Nella foto: Joseph Goebbels, sua moglie Magda e 3 dei loro 6 figli)
Chi può stabilire qual è la famiglia ‘giusta’? Chi può arrogarsi il diritto di condannare quanti desiderano vivere diversamente (nel vizio, nella bugia e nell’egoismo secondo il Papa)? Ma, soprattutto, non ci saranno guai più gravi della diversificazione dei modelli di convivenza?
Basti pensare alle migliaia di persone che non hanno lo stretto necessario per vivere dignitosamente, o addirittura per sopravvivere. O alla carente assistenza sanitaria, anche in paesi cosiddetti civilizzati. La presenza di Satana sembra più pertinente in questo scenario, che seduto accanto a due persone (poco importa il sesso) non unite dal sacro vincolo del matrimonio.
(Nella foto: Joseph Goebbels, sua moglie Magda e 3 dei loro 6 figli)
Il Testamento Biologico: una promessa da mantenere per Mr. Prodi
Nel programma di Governo dell’Unione per il 2006-2011 a pagina 71 si trova un accenno al Testamento Biologico, unico spazio di discussione concesso sugli argomenti di bioetica.
Buon pranzo a tutti. La risurrezione è un pretesto come un altro per rimpinzarsi la pancia e imbottirsi le orecchie di inutili chiacchiere.
Tutelare chi soffreEcco sì, è meglio considerare il parere del 2003 e buttare nel cestino quello del 2005 (vedi Secondo il CNB...).
Vogliamo costruire un sistema di garanzie per la persona malata, che abbia come premessa il consenso informato e l’autodeterminazione del paziente,garantendo a tutti i cittadini le cure palliative e tutte le terapie del dolore disponibili.
Tra queste garanzie il rifiuto dell’accanimento terapeutico e del dolore non necessario. Lo strumento più efficace, per rendere effettivo quel diritto, è la Dichiarazione Anticipata di Volontà (o Testamento Biologico) secondo quanto indicato nelle raccomandazioni bioetiche conclusive approvate dal Comitato nazionale per la bioetica nel dicembre 2003.
Buon pranzo a tutti. La risurrezione è un pretesto come un altro per rimpinzarsi la pancia e imbottirsi le orecchie di inutili chiacchiere.
Secondo il CNB non bisogna sospendere i trattamenti di alimentazione e idratazione artificiali nei pazienti in stato vegetativo
Nell’ottobre 2005 Salvatore Crisafulli (Sveglio dopo il coma: sentivo tutto, Il Corriere della Sera, 5 ottobre 2005), in coma da due anni dopo un incidente stradale, si è risvegliato e ha pronunciato qualche parola. L’avvenimento meriterebbe soltanto una composta felicità se non avesse sollevato un dibattito confuso e non fosse diventato un pretesto per spostare l’attenzione sull’eutanasia. È privo di senso parlare di coma senza entrare nel merito delle condizioni specifiche; sarebbe come parlare di mal di pancia pretendendo di annullare le differenze tra tutti i mal di pancia possibili.
Hanno detto: “Se Crisafulli si è svegliato dal coma, allora non si deve mai perdere la speranza”. Ma lo spazio della speranza può essere tracciato soltanto da una valutazione medica: non basta una approssimativa appartenenza allo stato di coma. In questo caso lo stadio di coma concedeva la speranza di un risveglio; al contrario, esistono stadi di coma dai quali non è mai possibile emergere. Ma c’è di più. Questo risveglio ha offerto una buona occasione per sostenere il divieto di sospendere i trattamenti di alimentazione e idratazione artificiali nei pazienti in stato vegetativo, anche in presenza di una precisa dichiarazione di volontà del paziente stesso. Così sentenzia il documento approvato dal Comitato Nazionale di Bioetica: un paziente in coma deve sempre essere nutrito e idratato, anche se in precedenza aveva esplicitamente rifiutato una simile prospettiva; anche se i suoi cari esigono che questa volontà sia rispettata; anche se i medici giudicano la prosecuzione dei trattamenti una inutile agonia. Ma non eravamo liberi di decidere se essere curati oppure no?
La soluzione proposta dal Comitato sembra astuta: sarebbe legittimo imporre i trattamenti di alimentazione e idratazione in quanto non sono atti medici. A ben guardare, però, è una trovata fragile e inconsistente. La dimostrazione della natura non medica dell’alimentazione artificiale, secondo il presidente del Comitato di Bioetica Francesco D’Agostino, è facile: i pazienti in stato vegetativo possono essere nutriti e idratati anche in casa e non necessariamente in ospedale; questo significa che non sono atti medici, bensì di assistenza. In altre parole, non ci troviamo di fronte ad un possibile accanimento terapeutico, ma solo di fronte ad un accanimento che potremmo definire alimentare o assistenziale. Davvero i sostenitori di questa linea coercitiva sono convinti che sia il luogo a determinare la natura di un atto? È possibile svolgere molti atti medici in casa, basti pensare all’assistenza domiciliare dei malati terminali.
Volendo anche concedere che l’alimentazione artificiale non possa essere considerata un atto medico, la questione allora diventa: possiamo essere obbligati a subire atti non medici contro la nostra volontà? O meglio, è legittima l’imposizione di atti che abbiano come unico scopo il nostro bene, e non la protezione di un bene comune o di altre persone? Io non credo. In nessuna circostanza possiamo essere obbligati contro la nostra volontà a subire un atto non medico per il nostro bene. Nessuno può decidere qual è il nostro bene. A meno che non fossimo disposti a subire tutte le possibili imposizioni per il nostro bene: le vacanze intelligenti, gli amici giusti, il lavoro adatto a noi. Tutto imposto, ma per il nostro bene. Valutato dagli altri.
* Pubblicato con il titolo Nutriti con la forza: quando la volontà non viene rispettata dal sistema sanitario, Il Giornale di Sardegna, 17 ottobre 2005.
Hanno detto: “Se Crisafulli si è svegliato dal coma, allora non si deve mai perdere la speranza”. Ma lo spazio della speranza può essere tracciato soltanto da una valutazione medica: non basta una approssimativa appartenenza allo stato di coma. In questo caso lo stadio di coma concedeva la speranza di un risveglio; al contrario, esistono stadi di coma dai quali non è mai possibile emergere. Ma c’è di più. Questo risveglio ha offerto una buona occasione per sostenere il divieto di sospendere i trattamenti di alimentazione e idratazione artificiali nei pazienti in stato vegetativo, anche in presenza di una precisa dichiarazione di volontà del paziente stesso. Così sentenzia il documento approvato dal Comitato Nazionale di Bioetica: un paziente in coma deve sempre essere nutrito e idratato, anche se in precedenza aveva esplicitamente rifiutato una simile prospettiva; anche se i suoi cari esigono che questa volontà sia rispettata; anche se i medici giudicano la prosecuzione dei trattamenti una inutile agonia. Ma non eravamo liberi di decidere se essere curati oppure no?
La soluzione proposta dal Comitato sembra astuta: sarebbe legittimo imporre i trattamenti di alimentazione e idratazione in quanto non sono atti medici. A ben guardare, però, è una trovata fragile e inconsistente. La dimostrazione della natura non medica dell’alimentazione artificiale, secondo il presidente del Comitato di Bioetica Francesco D’Agostino, è facile: i pazienti in stato vegetativo possono essere nutriti e idratati anche in casa e non necessariamente in ospedale; questo significa che non sono atti medici, bensì di assistenza. In altre parole, non ci troviamo di fronte ad un possibile accanimento terapeutico, ma solo di fronte ad un accanimento che potremmo definire alimentare o assistenziale. Davvero i sostenitori di questa linea coercitiva sono convinti che sia il luogo a determinare la natura di un atto? È possibile svolgere molti atti medici in casa, basti pensare all’assistenza domiciliare dei malati terminali.
Volendo anche concedere che l’alimentazione artificiale non possa essere considerata un atto medico, la questione allora diventa: possiamo essere obbligati a subire atti non medici contro la nostra volontà? O meglio, è legittima l’imposizione di atti che abbiano come unico scopo il nostro bene, e non la protezione di un bene comune o di altre persone? Io non credo. In nessuna circostanza possiamo essere obbligati contro la nostra volontà a subire un atto non medico per il nostro bene. Nessuno può decidere qual è il nostro bene. A meno che non fossimo disposti a subire tutte le possibili imposizioni per il nostro bene: le vacanze intelligenti, gli amici giusti, il lavoro adatto a noi. Tutto imposto, ma per il nostro bene. Valutato dagli altri.
* Pubblicato con il titolo Nutriti con la forza: quando la volontà non viene rispettata dal sistema sanitario, Il Giornale di Sardegna, 17 ottobre 2005.
sabato 15 aprile 2006
La Casa delle Libertà: la vittoria a loro per xxmila voti...
Roberto Calderoli si aggiudica un altro Premio Calderoli!
Complimenti. Pochi riescono in simili imprese.
Continua l’ex ministro delle Riforme leghista Roberto Calderoli che:
Serve, temo, una iniezione di buon senso.
Complimenti. Pochi riescono in simili imprese.
“La cifra elettorale nazionale delle varie coalizioni deriva dalla somma delle cifre nazionali delle singole liste”, ha detto Calderoli al telefono a Reuters. “A loro volta, le cifre nazionali delle liste derivano dalla somma delle cifre elettorali conseguite nelle singole circoscrizioni ... Il fatto che la legge parli di somma, implica che le circoscrizioni in cui la lista deve presentarsi siano almeno due”.Qualcuno avrebbe detto ‘supercazzola’.
Continua l’ex ministro delle Riforme leghista Roberto Calderoli che:
[…] ha già presentato ieri un reclamo all’ufficio circoscrizionale Lombardia 2, che ora dovrà trasmetterlo all’ufficio elettorale centrale nazionale, presso la corte di Cassazione, che ha il compito di determinare la cifra elettorale di ciascuna lista e delle coalizioni.(Elezioni, Calderoli: Cdl in vantaggio per computo sbagliato voti, Reuters Italia, 15 aprile 2006).
“Non si tratta di rivedere i risultati, si tratta di un risultato che va ancora costituito. È un dato che potrà ricostruire solo l’ufficio elettorale centrale nazionale.
Credo che solo alla luce di ciò, il vantaggio della Cdl sia di circa 20.000 voti, a cui debbono aggiungersi quelli che stanno emergendo dalle verifiche dei verbali, che stanno dando delle cifre diverse. Come nel caso dell’Emilia Romagna.
Se qualcuno pensa di andare in piazza a festeggiare con questi conteggi è come un colpo di Stato”.
Serve, temo, una iniezione di buon senso.
Il Partito Popolare Europeo accoglie l’appello del Papa: nessun fondo comunitario per le pratiche “contro la vita”
Le pratiche in violazione della dignità umana che siano illegali almeno in uno Stato della Unione europea non dovranno essere finanziate dai fondi comunitari. Il Partito Popolare europeo dice no a tutte le pratiche contro la vita e risponde così all’appello di Benedetto XVI, inserendo questo principio nel ‘manifesto’ di Roma, che modifica quello precedentemente varato a Berlino.(Ue. Ppe fa suo l’appello del Papa: no ai fondi Ue per pratiche “contro la vita”, Cellule Staminali, 14 aprile 2006)
Il testo originario dell’emendamento era così formulato: “Le pratiche in violazione della dignità umana – come la distruzione di embrioni per la ricerca sulle cellule staminali, la clonazione, l’aborto, l’eutanasia, la manipolazione psicologica, ecc. – che siano illegali almeno in uno Stato membro, non dovrebbero essere finanziate dai fondi comunitari”.
Tempi bui anche per l’Unione europea. Sarebbe sufficiente la legge 40/2004 a troncare le gambe ai finanziamenti a qualsiasi ricerca.
La ‘manipolazione psicologica’ è un refuso? Chiedo scusa in anticipo per la mia ignoranza, ma non mi viene in mente l’ultima ricerca svolta sulla manipolazione psicologica…
Giuseppe Sermonti e la longevità
Sul Foglio di oggi si legge un articolo del decano degli antievoluzionisti italiani, Giuseppe Sermonti. Stavolta l’illustre genetista non se la prende con Darwin, ma con i propri colleghi che studiano il meccanismo dell’invecchiamento, sperando di poterlo un giorno controllare a piacimento («I genetisti che promettono una maggiore longevità sono i nuovi ciarlatani», 15 aprile, p. 2). Sermonti inizia facendo alcune considerazioni sull’aumento dell’età media della popolazione italiana: si fanno meno bambini, si vive di più, e quindi se si va a fare la media dell’età che hanno gli abitanti del paese si scopre che essa è più elevata di un tempo («Basta una passeggiata ai giardinetti per accorgersene»). Poi Sermonti dà alcune cifre sull’aumento della vita attesa alla nascita, o vita media. A questo punto fa una strana considerazione:
Dopo altre considerazioni Sermonti prosegue così:
Sermonti passa infine alle conclusioni:
La vita attesa alla nascita è aumentata, nello scorso secolo, per un fenomeno che nulla ha a che fare con la longevità. È un fenomeno dall’altra parte della vita: la bassa natalità e la quasi totale scomparsa della mortalità infantile (e, in minor misura, di quella giovanile). La longevità, cioè il punto d’arrivo, è cambiata di poco.Il problema è che l’aumento della speranza di vita alla nascita non ha niente a che fare con la «bassa natalità». Sermonti ha confuso l’età media con la vita media: quest’ultima è la media delle età in cui le persone nate nello stesso anno moriranno. Se Gianni vivrà 70 anni in totale, la sua coetanea Giovanna 80, Enrico 90 e Carla 100, la speranza di vita alla nascita di questo gruppo è pari a 70+80+90+100/4, cioè 85 anni; e la durata media delle loro vite non sarà ovviamente influenzata dal numero delle persone nate nello stesso anno. In Italia nel 2001 l’età media della popolazione era di 40,1 anni per gli uomini e di 43,1 per le donne, la speranza di vita alla nascita invece di 76,7 anni per gli uomini e di 82,9 per le donne (dati Istat).
Dopo altre considerazioni Sermonti prosegue così:
ora abbiamo i genetisti, i quali ci promettono, con la complicità dei giornalisti: “Fra poco l’età media a cento anni grazie alle scoperte della genetica”. Sono genetisti di paesi emergenti, cervelli importati in Usa, che si avventurano in queste previsioni.Qui è da notare la bizzarra sottolineatura della provenienza geografica dei genetisti «ciarlatani». Non oso avanzare congetture sul motivo che può aver spinto Sermonti a farla: lascio volentieri questo compito ai lettori. Torniamo all’articolo:
Il biologo Shripad Tuljapurkar ha annunciato, all’ultimo meeting della illustre American Association for the Advancement of Science a St. Louis, sulla base di statistiche ipotetiche, che la vita media aumenterà di almeno venti anni. Ma la vita media non è il traguardo della vita, è l’età media dei frequentatori di giardinetti.Qui Sermonti fa di nuovo confusione fra età media e vita media; sarebbe del resto assai strano per un genetista avanzare previsioni sull’età media dei frequentatori di giardinetti – persino, ne converrete, per un genetista «di paesi emergenti». Chiaramente, il Dr Tuljapurkar (che Sermonti lo conosca personalmente, visto che lo chiama per nome?) intendeva dire che i progressi della genetica potrebbero incrementare la vita media, facendo morire la gente più tardi di quanto non succeda ora.
Shripad ci annuncia un mondo di carrozzine vuote.
Sermonti passa infine alle conclusioni:
Alla fin fine, che importa vivere più anni, se la misura della vita stessa è allungata? Vivere più a lungo (degli altri), quello sarebbe un privilegio; esplorare una vita che è concessa solo a pochi campioni.E anche qui, bisogna ammetterlo, il ragionamento è un po’ bizzarro – tant’è vero che l’autore se lo rimangia alla riga seguente, per concludere poi che è meglio vivere poco ma intensamente. Il professore non me ne vorrà, spero, se dico che per parte mia preferirei vivere intensamente e a lungo; magari trasferendomi in uno dei paesi emergenti, quando il loro livello scientifico avrà finalmente superato quello italiano – se già non lo ha fatto...
Una teocrazia dotata di armi nucleari
No, non stiamo parlando dell’Iran, ma degli Stati Uniti d’America. Sul peso crescente dei fondamentalisti cristiani all’interno del Partito Repubblicano, e sulle note propensioni religiose di George W. Bush, ci informa Kevin Phillips («Theocons and Theocrats», The Nation, 1 Maggio) sul numero di The Nation prossimamente in edicola. La prospettiva è agghiacciante; ma forse il male contiene in sé anche la propria cura:
Beyond the judiciary, pressure for theological correctness became overt in federal government relationships with the varieties of science – from climatology to geology, and even entomology – that can conflict with the Book of Genesis. For the growing number of elected officials who uphold Genesis, the Almighty, not carbon dioxide, brings about climate change. The consequences here go far beyond the evolution-doubting books being sold by the National Park Service or inconvenient information about climate change or caribou habitats in oil lands being deleted from government websites. In Texas, where the cotton industry is plagued by a moth in which an immunity to pesticides has evolved, a frustrated entomologist commented, “It’s amazing that cotton growers are having to deal with these pests in the very states whose legislatures are so hostile to the theory of evolution. Because it is evolution they are struggling against in their fields every season.” Meanwhile, the bigger message – depressingly reminiscent of our imperial predecessors – is that science in the United States is already in trouble. Irving Weissman, a stem-cell researcher, told the Boston Globe, “You are going to start picking up Nature and Science and all the great [research] journals, and you are going to read about how South Koreans and Chinese and Singaporeans are making advances that the rest of us can’t even study.”Nel mondo di oggi non si rimane molto a lungo superpotenze, con certe politiche.
Luca Volontè, Babbo Natale e la questione della verità (o della fantasia)
La fantasia esiste se esiste la percezione della differenza tra realtà e immaginazione. Che sia sfumata e mutevole, come il confine del regno di Fantasia nel libro di Micheal Ende Die unendliche Geschichte, siamo d’accordo. Ma se quel confine viene cancellato, ci troviamo davanti un’indistinta massa di materia mentale.
Ma insomma, Volontè, il fatto che lei a 40 anni creda ancora a Babbo Natale come verità insinua un brivido di inquietudine e una atroce domanda: le sue premesse per prendere decisioni politiche somigliano a questa (E io dico che Babbo Natale esiste, La Provincia, 8 dicembre 2005)?
È pure un po’ attaccabrighe (se la prende con un pedagogista che avrebbe sostenuto l’importanza di distinguere tra realtà e fantasia):
Vabbeh.
Ma scusi eh, se crede a Babbo Natale, perché poi ci vuole imporre la sua idea di famiglia? Perché io non posso credere ai Pacs e ai matrimoni gay?
Ma c’è di più: chi difende la possibilità di una famiglia ‘diversa’ non pretende di arrivare alla verità, ma soltanto alla possibilità di scegliere di vivere diversamente da lei, onorevole Volontè. Credenze su Babbo Natale incluse.
NO AI MATRIMONI GAY
NO PACS
SÌ ALLA FAMIGLIA
(vedi Locandina)
Ps
Siamo alla vigilia di Pasqua, e domani Gesù risorge. Storie? Invenzione? Ma no, è tutto vero.
(foto © c.)
Ma insomma, Volontè, il fatto che lei a 40 anni creda ancora a Babbo Natale come verità insinua un brivido di inquietudine e una atroce domanda: le sue premesse per prendere decisioni politiche somigliano a questa (E io dico che Babbo Natale esiste, La Provincia, 8 dicembre 2005)?
È pure un po’ attaccabrighe (se la prende con un pedagogista che avrebbe sostenuto l’importanza di distinguere tra realtà e fantasia):
Me lo venga a dire in faccia che Babbo Natale non esiste, che devo essere più cinicamente realista, che Aslan di Narnia non c’è mai stato o che Aragorn non ha mai combattuto per la salvezza della “Terra di Mezzo”. Abbia il coraggio, gli mollo un cazzotto in fronte.E della maestra che avrebbe svelato l’atroce verità (chiedo scusa, presunta verità) ai fanciulli di una terza elementare dice:
Bisogna fermarla anche a costo di organizzare un blocco stradale per vietarle di cancellare con il suo cinico pseudorealismo la fantasia, il coraggio, l’emulazione pedagogica che questo tipo di storie hanno per i grandi e i piccini.E che dovremmo fare all’autore della scritta (anche lui su una scuola elementare, guarda tu!).
Vabbeh.
Ma scusi eh, se crede a Babbo Natale, perché poi ci vuole imporre la sua idea di famiglia? Perché io non posso credere ai Pacs e ai matrimoni gay?
Ma c’è di più: chi difende la possibilità di una famiglia ‘diversa’ non pretende di arrivare alla verità, ma soltanto alla possibilità di scegliere di vivere diversamente da lei, onorevole Volontè. Credenze su Babbo Natale incluse.
NO AI MATRIMONI GAY
NO PACS
SÌ ALLA FAMIGLIA
(vedi Locandina)
Ps
Siamo alla vigilia di Pasqua, e domani Gesù risorge. Storie? Invenzione? Ma no, è tutto vero.
(foto © c.)
Trapianto di faccia in Cina: è il secondo al mondo
Dopo la Francia la Cina ha effettuato un trapianto facciale.
Il paziente che ha beneficiato di un nuovo volto – l’intervento è avvenuto nell’ospedale Xijing della città di Xian – è un cacciatore trentenne sfigurato due anni fa dall’aggressione di un orso. Da allora viveva come un recluso. L’operazione gli ha trapiantato due terzi del volto, ovvero la guancia destra, il labbro superiore, il naso e il sopracciglio destro. L’equipe medica cinese è stata guidata da Guo Shuzhong, chirurgo quarantatreenne formatosi all’Università della South California e in quella della Virginia tra il 1995 e il 1996. L’intervento è durato 14 ore, dopo due anni di preparazione in cui sono stati eseguiti trapianti di prova su animali. Il donatore del nuovo volto è un uomo in stato di morte cerebrale(Secondo trapianto facciale in Cina. “Più complicato di quello francese”, la Repubblica, 14 aprile 2006).
giovedì 13 aprile 2006
Silenzio su Il Silenzio (interrotto) da Horacio Verbitsky
Che ruolo ha avuto la Chiesa nella dittatura argentina? Questa potrebbe essere la domanda di partenza dell’inchiesta di Horacio Verbitsky, giornalista del mitico Página/12 e da sempre difensore dei diritti umani. La risposta è rintracciabile nel titolo: El Silencio. El Silencio è un’isola dell’Argentina. Ma il silenzio è soprattutto quello della complicità; della connivenza con l’orrore.
Siamo a Buenos Aires, all’inizio dell’autunno 1979. Per sottrarlo all’ispezione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani, il centro di detenzione della Scuola di Meccanica della Marina viene smantellato in fretta e furia. Come succedeva alle sale da gioco nell’america proibizionista, e nel film La Stangata. Soltanto che al posto delle carte ci sono gli oppositori politici della dittatura, quelli che non si sono piegati alla repressione. Ma anche coloro che manifestavano soltanto simpatia nei confronti dell’opposizione, o gli indecisi, i testimoni scomodi. Qualcuno che non si era macchiato nemmeno delle colpe sopradescritte, ammesso che di colpe si possa parlare.
Tutti i prigionieri del centro di detenzione clandestino vengono trasferiti durante la notte su un’isola nell’arcipelago del Tigre. Isola che era stata fino a quel momento il luogo di riposo del Cardinale di Buenos Aires. “Lasciate ogni speranza voi che entrate (sbarcate)”.
Per i prigionieri è previsto un programma di ‘disintossicazione e rieducazione’ (dalla libertà? Dalla dignità? Dalla stessa sopravvivenza?). Questa è la storia che Horacio Verbitsky ci affida e ci chiede di non destinare ancora al silenzio.
Silenzio assordante lacerato dalle parole dei sopravvissuti, che raccontano la ‘vita’ all’interno di un vero e proprio campo di concentramento. Parole che danno colore a quei fili invisibili, ma spessi e resistenti, che sono i rapporti tra la dittatura militare e le gerarchie ecclesiastiche. La guerra sporca e silenziosa. La guerra condotta con la benedizione cristiana.
I nomi coinvolti sono illustri: il cardinale Jorge Bergoglio, unico serio avversario di Joseph Ratzinger al trono papalino secondo Verbitsky. O il nunzio apostolico Pio Laghi; fino allo stesso Paolo VI (Papa dal 1963 al 1978, per chi l’avesse dimenticato).
Torna alla memoria la sconvolgente testimonianza di Adolfo Scilingo, ex capitano di corvetta in servizio presso la Scuola di Meccanica della Marina. I cappellani militari offrivano conforto a quanti caricavano sugli aerei, addormentati e inconsapevoli, i condannati a morte, gettati nei tristemente noti ‘voli’. In fondo, sostenevano i cappellani, quella era una morte cristiana, non traumatica. Perfino la Bibbia prevedeva l’eliminazione dell’erba cattiva dai campi di grano. Dimenticando, però, di dimostrare che le vittime della dittatura militare fossero ‘erba cattiva’.
El Silencio, 2005, Buenos Aires, Sudamericana (trad. it. Il Silenzio, 2006, Roma, Fandango).
Siamo a Buenos Aires, all’inizio dell’autunno 1979. Per sottrarlo all’ispezione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani, il centro di detenzione della Scuola di Meccanica della Marina viene smantellato in fretta e furia. Come succedeva alle sale da gioco nell’america proibizionista, e nel film La Stangata. Soltanto che al posto delle carte ci sono gli oppositori politici della dittatura, quelli che non si sono piegati alla repressione. Ma anche coloro che manifestavano soltanto simpatia nei confronti dell’opposizione, o gli indecisi, i testimoni scomodi. Qualcuno che non si era macchiato nemmeno delle colpe sopradescritte, ammesso che di colpe si possa parlare.
Tutti i prigionieri del centro di detenzione clandestino vengono trasferiti durante la notte su un’isola nell’arcipelago del Tigre. Isola che era stata fino a quel momento il luogo di riposo del Cardinale di Buenos Aires. “Lasciate ogni speranza voi che entrate (sbarcate)”.
Per i prigionieri è previsto un programma di ‘disintossicazione e rieducazione’ (dalla libertà? Dalla dignità? Dalla stessa sopravvivenza?). Questa è la storia che Horacio Verbitsky ci affida e ci chiede di non destinare ancora al silenzio.
Silenzio assordante lacerato dalle parole dei sopravvissuti, che raccontano la ‘vita’ all’interno di un vero e proprio campo di concentramento. Parole che danno colore a quei fili invisibili, ma spessi e resistenti, che sono i rapporti tra la dittatura militare e le gerarchie ecclesiastiche. La guerra sporca e silenziosa. La guerra condotta con la benedizione cristiana.
I nomi coinvolti sono illustri: il cardinale Jorge Bergoglio, unico serio avversario di Joseph Ratzinger al trono papalino secondo Verbitsky. O il nunzio apostolico Pio Laghi; fino allo stesso Paolo VI (Papa dal 1963 al 1978, per chi l’avesse dimenticato).
Torna alla memoria la sconvolgente testimonianza di Adolfo Scilingo, ex capitano di corvetta in servizio presso la Scuola di Meccanica della Marina. I cappellani militari offrivano conforto a quanti caricavano sugli aerei, addormentati e inconsapevoli, i condannati a morte, gettati nei tristemente noti ‘voli’. In fondo, sostenevano i cappellani, quella era una morte cristiana, non traumatica. Perfino la Bibbia prevedeva l’eliminazione dell’erba cattiva dai campi di grano. Dimenticando, però, di dimostrare che le vittime della dittatura militare fossero ‘erba cattiva’.
El Silencio, 2005, Buenos Aires, Sudamericana (trad. it. Il Silenzio, 2006, Roma, Fandango).