martedì 5 dicembre 2006

«Tutto suo padre!»

Sul New York Times Darshak M. Sanghavi riporta oggi alcuni casi in cui la diagnosi genetica di preimpianto, una tecnica che consente di identificare difetti genetici negli embrioni creati con la fecondazione in vitro, è stata usata non per impedire la nascita di bambini disabili, ma per favorirla: per selezionare, ad esempio, un embrione che fosse dotato dei geni che causano la sordità o il nanismo («Wanting Babies Like Themselves, Some Parents Choose Genetic Defects», 5 dicembre 2006). Il 3% delle cliniche americane che offrono questa tecnica ha ammesso di averla impiegata in alcuni casi per far nascere bambini disabili, su richiesta dei genitori.
Sanghavi tenta di spiegare questo fenomeno in termini sociologici:

Controlling a child’s genetic makeup, even to preserve what some would consider a disease, is the latest tactic of parents in an increasingly globalized society where identity seems besieged and in need of aggressive preservation. Traditionally, cultures were perpetuated through assortative mating, with intermarriage among the like-minded and the like-appearing.
Ma la spiegazione più ovvia è quella che viene proposta alla fine dell’articolo:
Many parents share a touching faith that having children similar to them will strengthen family and social bonds («Molti di questi genitori condividono la fede commovente che avere bambini simili a loro rafforzerà i vincoli familiari e sociali»).
Pur condividendo la simpatia per queste motivazioni, non posso fare a meno di pensare che l’interesse del bambino debba in ogni caso prevalere. Il giudizio, comunque, non può essere uniforme: nessuno accetterebbe che si faccia nascere di proposito un bambino cieco, e la stessa cosa, credo, dovrebbe valere per un bambino privo di udito (come quello fatto nascere intenzionalmente da una coppia di donne omosessuali sorde nel 2002): qui non si tratta semplicemente di avere difficoltà nella vita quotidiana, ma di vedersi privato di possibilità vitali (ascoltare la musica, i suoni della natura, etc.). Si invoca spesso la contropartita costituita dalla ricchezza emotiva che si ottiene facendo parte della comunità dei sordomuti; ma anche le persone normali possono raggiungerne una equivalente – e, cosa più importante, entrando a far parte di una comunità per libera scelta, e non per destino prefissato.
Il giudizio può essere più sfumato nel caso del nanismo: siamo più vicini a una semplice diversità (ma non si trascurino le complicazioni mediche che spesso accompagnano chi ne è affetto), e in considerazione dei motivi che spingono i genitori, possiamo ragionevolmente inchinarci alla loro volontà. Se ci saranno dei problemi di adattamento del bambino a una società che non è stata costruita a sua misura, spetta ad essa risolverli.

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