giovedì 30 novembre 2006

Nun te piace ’o presepe?

Da Repubblica.itNatale, l’invito della Cdl ai cattolici “Boicottate chi non vende il presepe”», 30 novembre 2006; grazie a Yoshi):

Boicottaggio. Questa la parola d’ordine lanciata dalla Cdl contro i grandi magazzini che, quest’anno, non venderanno il presepe natalizio. Nel mirino di alcuni prestigiosi esponenti del centrodestra catene come Ikea, Rinascente, Standa, Oviesse colpevoli di aver abbandonato la tradizione in nome delle vendite.
L’invito è rivolto ai «cattolici» e alle «persone di buon senso» e il più agguerrito sostenitore della campagna-contro è Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera: «L’esclusione della vendita del presepe in Italia, da parte di Ikea, Rinascente, Standa, Oviesse e di altri gruppi multinazionali, è il risultato di una vergognosa colonizzazione messa in atto per sradicare l’identità cristiana e per togliere a un paese cattolico come il nostro un simbolo secolare che rappresenta il natale».
Secondo l’esponente centrista «siamo di fronte all’ennesima prova di un relativismo laicista che finisce per spianare la strada all’estremismo islamico». Quindi il monito: «I consumatori sappiano che, insieme ai prodotti a basso costo, da queste aziende si acquista anche l’eutanasia culturale del paese».
«Una vergognosa colonizzazione messa in atto per sradicare l’identità cristiana»: caro Volontè, ma colonizzazione di chi? Dei musulmani? Degli Svedesi? O forse delle renne di Babbo Natale? Poteva almeno specificare da che parte arriva la minaccia! Così non sappiamo da che parte volgerci: a sud, a nord, a ovest... E mentre giriamo su noi stessi, disorientati, ecco che già una mano assassina si allunga alle nostre spalle e – ZAC! – il presepe non c’è più, e con lui se n’è andata anche tutta la cultura italiana, morta di questa mala morte, condannata dall’equazione ferrea: Italia − Presepe = 0.
I colleghi di Volontè – ehi, c’è anche il senatore-professore! – aggiungono il carico da novanta:
Stessi toni da crociata per Gaetano Quagliarello di Forza Italia e Alfredo Mantovano di Alleanza Nazionale, che accusano Ikea di «evidente pregiudizio anticattolico» e concludono: serve «un sano boicottaggio natalizio». E l’azzurra Isabella Bertolini si spinge a definire l’iniziativa di Ikea «laicismo esasperato che, in nome di un finto rispetto per altri credi religiosi, offende la cultura del nostro paese».
Le critiche trovano concorde il vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli secondo il quale «chi vende è padrone di vendere quello che vuole, ma sarebbe più moderno vendere tutto invece di togliere». Eliminare il presepe, poi, e «proprio in Italia», paese a «tradizione cattolica», il paese dove «San Francesco ha inventato il presepe», è un segnale negativo. L’alto prelato definisce «improvvida» la scelta dei magazzini di non vendere il presepe.
Che angoscia! Che terrore! Per alleviare lo stress, l’intera redazione di Bioetica ha deciso di darsi quanto prima allo shopping...

Stupidario eutanasia 11

Emanuele Maestri* (L’impegno dei cristiani in politica, AgendaLodi, 30 novembre 2006):

La Chiesa, quindi, non deve esser semplicemente un’agenzia impegnata nel sociale, che accudisce i vecchi, gl’immigrati, i bisognosi in genere. La Chiesa, in Italia e nel mondo, deve essere il veicolo per la diffusione del messaggio di Gesù Cristo, che, sì, si può concretare attraverso l’aiuto materiale ai bisognosi, ma senza dimenticarsi che la sfera spirituale viene prima, anche mediante il recupero della tradizione, delle proprie radici, dell’Amore per la vita.
Ponendo in essere anche dei no chiari. No all’aborto. No all’eutanasia. No a forme di convivenza riconosciute dalla Stato diverse dal matrimonio. In una società dove tutto è relativo, in cui predomina il permissivismo su tutto, in cui le regole sono fatte per essere contravvenute, in una società in cui essere cristiano è sinonimo di silenzio perché è meglio essere cristiano senza dirlo che proclamarlo senza esserlo, Benedetto XVI ci dà un messaggio di speranza.
Non propone nuove crociate, come alcuni erroneamente dicono. Propone alla Chiesa cattolica in Italia di testimoniare Cristo alla nazione, affinché sia reso visibile il grande della Fede alla persona umana, la quale è dotata di ragione, intelligenza e amore e che ha bisogno di educazione all’amore per Cristo. Il tutto con l’ausilio dei politici cattolici seppur la Chiesa non sia un agente politico, però nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia.
* Assessore del Comune di Sant’Angelo Lodigiano, ci tiene a precisare. E anche noi!

La sofferenza del turismo procreativo

“Turismo” evoca sensazioni piacevoli e immagini di spiagge assolate o cime montuose innevate. “Procreativo” fa pensare alle guanciotte paffute di un bimbo desiderato o allo scalpiccio di piedi incerti che esplorano il mondo. La loro unione però (turismo procreativo) non raddoppia la piacevolezza ma implica sofferenza e frustrazione.
Sofferenza e frustrazione per tutti gli esclusi dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita: persone affette o portatrici di malattie geneticamente trasmissibili e sieropositivi. Ma anche quanti sono affetti da una sterilità cui la medicina non può rimediare, e che avrebbero bisogno di ricorrere alla donazione di un gamete altrui, maschile o femminile, e le donne sole. La legge 40 vieta l’accesso alla procreazione assistita ai non sterili e a chi non ha un legame stabile da almeno 3 anni, e vieta la fecondazione eterologa.
E così un esercito silenzioso e sempre più numeroso si rivolge a centri all’estero: Spagna Svizzera Gran Bretagna Stati Uniti. Chi non vuole rinunciare al desiderio di avere un figlio è costretto ad intraprendere viaggi desolanti e rischiosi. E costosi. Viaggi che, naturalmente, non offrono alcuna garanzia di successo e che spesso si moltiplicano.
I dati raccolti dall’Osservatorio del Turismo Procreativo, resi pubblici oggi in una conferenza stampa a Roma, parlano di oltre 4.000 coppie di esuli. Prima della legge 40 erano poco più di 1.000.
Si badi: non è perché esiste il turismo procreativo che la legge 40 è una legge condannabile. Ma, al contrario, il turismo procreativo è un ennesimo effetto di una legge oscena e ingiustificabile.

(E Polis, 30 novembre 2006)

Aggiornamento: Le cicogne volano all’estero di Gianna Milano (Panorama, 5 dicembre 2006).

Le mani sulla culla

La presentazione dei dati degli esuli della procreazione assistita, forniti dall’Osservatorio per il Turismo Procreativo oggi in una conferenza stampa, è stata una ennesima occasione per una analisi del colpevole nella sua ultima apparizione pubblica: Corte Costituzionale vs articolo 13 della legge 40 e analisi delle motivazioni.

Qualche precedente (è bene non dimenticare)

• Durante la discussione parlamentare (2004) non sono stati nemmeno considerati 300 emendamenti.
• Era stato annunciato (estate 2006) un tavolo di lavoro sulle Linee Guida: silenzio.
• Interrogazione parlamentare (12 settembre 2006, su istanza dei pazienti e per iniziativa di Katia Zanotti): Dove sono finiti i soldi della legge 40/04 per l’informazione corretta?

Interrogazione a risposta scritta di Katia Zanotti al Ministro della Salute. Premesso che:
· la legge n. 40/2004 all’art. 2, comma 1, prevede la promozione di campagne di informazione e prevenzione dei fenomeni della sterilità e della infertilità, le cui spese annualmente sono pari a 1.000.000 di euro;
· con D.M. 1 dicembre 2004, è stato approvato il programma per la realizzazione, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS), di una campagna di comunicazione e prevenzione dei fenomeni della sterilità e dell’infertilità, e in data 20/06/2005 è stato stipulato l’accordo di collaborazione tra il Ministero della Salute e l’Istituto Italiano di Medicina Sociale per la realizzazione e la gestione della citata campagna, così descritta nei fini:
“Il progetto approvato ha lo scopo di intervenire sul fenomeno della sterilità e infertilità che in Italia colpisce tra il 15% e il 20% delle coppie in età fertile, allo scopo di diffondere conoscenze su comportamenti e stili di vita da adottare per la prevenzione, nonché sulle prestazioni e servizi disponibili sul territorio nazionale per facilitare l’accesso alle strutture diagnostiche e terapeutiche, con particolare riguardo a quelle che praticano la fecondazione assistita”;

dalla relazione sulla Legge 40/04, presentata al Parlamento dall’Onorevole Ministro destinatario della presente, si apprende che:
· Attualmente, dopo 2 anni, l’Istituto Italiano di Medicina Sociale ha posto in essere solo attività organizzative propedeutiche alla realizzazione del suddetto progetto sulla comunicazione e prevenzione;
· con D.M. 21 dicembre 2005 è stato approvato il programma relativo all’anno finanziario 2005;
· con D.D. 27 dicembre 2005 è stata impegnata la prevista somma;
· è in fase di predisposizione la nuova convenzione da stipulare con l’Istituto Italiano di Medicina Sociale;
· nessuna campagna di informazione è stata attuata concretamente.
La Corte Costituzionale sull’articolo 13 della legge 40 (ordinanza 369, novembre 2006)

Il procedimento civile è stato promosso nel luglio 2005 da una coppia di Cagliari che ha chiesto di poter effettuare la diagnosi genetica di preimpianto sugli embrioni prima dell’impianto (ordinanza del 16 luglio 2005 dal Tribunale di Cagliari).
La coppia aveva in passato fatto ricorso alla PMA: la donna era rimasta incinta, ma la villocentesi praticata all’undicesima settimana aveva rilevato che il feto era affetto da beta-talassemia. La donna aveva abortito, e questa esperienza le aveva provocato una sindrome ansioso-depressiva. In occasione del secondo ciclo di PMA e dopo che gli embrioni erano già formati, la donna ha chiesto che fossero sottoposti a diagnosi genetica prima dell’impianto, rifiutando di procedere all’impianto in caso di rifiuto per non rischiare nuovamente di abortire in seguito a diagnosi prenatali.
Il primario dell’Ospedale microcitemico si era rifiutato di procedere in base all’ormai tristemente famoso articolo 13:
b) ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo.
I coniugi,
ritenendo tale lettura [l’interpretazione restrittiva del suddetto articolo] inaccettabile alla luce dell’art. 32 Cost., hanno chiesto la declaratoria in via cautelare – considerato che gli embrioni erano provvisoriamente crioconservati e che il tempo necessario per la convocazione della controparte poteva pregiudicare l’attuazione del provvedimento urgente – del proprio diritto ad ottenere la predetta diagnosi, e sollecitato l’emanazione di un decreto, ex art. 669-sexies, secondo comma, cod. proc. civ., che ordinasse al predetto sanitario di procedere alla diagnosi, deducendo, in subordine, la illegittimità costituzionale del citato art. 13 per contrasto con gli artt. 2 e 32, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevede la diagnosi preimpianto ove la stessa sia giustificata dalla necessità di tutelare il diritto della donna alla propria salute.
Il fatto che il Tribunale avesse sottolineato che «il conflitto coinvolgente, da un lato, la tutela della salute della ricorrente e, dall’altro, la tutela dell’embrione» impone di considerare che «l’embrione si trova, allo stato, sottoposto a crioconservazione, in conseguenza del rifiuto della ricorrente di procedere all’impianto senza previa diagnosi», che «anche la salute della donna è, nel caso di specie, seriamente minacciata dalla impossibilità di conoscere lo stato di salute dell’embrione prima di procedere all’impianto» e che in tale situazione, «non solo appare inadeguata la tutela della salute della donna […] ma non risulta neppure maggiormente garantita la salute dell’embrione, probabilmente condannato a subire, nel tempo, danni biologici […] (laddove) il rischio di inutilizzabilità a causa della diagnosi preimpianto si aggirerebbe statisticamente intorno all’uno per cento, percentuale inferiore, quindi, a quella del rischio di aborto nelle diagnosi prenatali (v. sul punto le dichiarazioni della dott. C.)», non ha contribuito in alcun modo a spostare la decisione della Corte verso il buon senso.
Così come a nulla è servita la constatazione (sostenuta dal rimettente) del conflitto con l’articolo 3 della Costituzione, essendo consentita
la diagnosi prenatale, e pertanto sussistente in capo ai genitori un diritto alla informazione sulla salute del feto nel corso della gravidanza, laddove analogo diritto sarebbe negato nella fase della procreazione assistita che precede l’impianto; ciò che determinerebbe un ingiustificato diverso trattamento di posizioni soggettive sostanzialmente assimilabili, con conseguente contrasto della norma che vieta la diagnosi preimpianto con l’art. 3 della Costituzione.
Non è pertinente né moralmente significativa la differenza tra il tempo precedente l’impianto e il tempo posteriore. Nessuna valida ragione può sostenere il divieto della diagnosi genetica di preimpianto essendo legalmente possibile effettuare diagnosi prenatali.
L’infondatezza della questione di legittimità costituzionale è stata sostenuta dall’argomentazione che
il suo accoglimento comporterebbe una forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni, a fronte di un ipotetico rischio di compromissione dello stato psico-fisico della donna.
Ed ecco il passaggio in cui emerge lo spirito della legge 40 (articolo 1):
ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la soluzione normativa censurata, oltre ad essere ragionevole e coerente con il principio generale, desumibile non solo dalla legge n. 40 del 2004, ma anche da altre disposizioni normative che configurano il concepito come soggetto giuridico, è la più idonea a bilanciare interessi contrapposti, tenuto conto che non esiste, e non ha giuridico fondamento, la pretesa ad avere «un figlio sano», e che, pertanto, non può assumere alcuna rilevanza l’elemento attinente all’equilibrio psico-fisico della donna [i corsivi sono miei].
Non è del tutto chiaro quali siano le «altre disposizioni normative» che configurano lo status morale e giuridico dell’embrione. E la negazione della «pretesa» ad avere un figlio sano lascia emergere contraddizioni e luoghi comuni.
Innanzi tutto, il luogo comune che la richiesta di avere un figlio sano sarebbe un capriccio inammissibile e liquidato con paragoni inappropriati, come quello di pretendere un figlio bello e biondo, quello che Rutelli diceva di comprare al supermercato, oppure Turco di ordinare al Postalmarket...
Peccato, poi, che il diritto alla salute sia un bene inviolabile dell’uomo (articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, rispettivamente tutela dei diritti inviolabili dell’uomo come singolo e principio di uguaglianza e diritto alla salute); peccato che il diritto alla salute della donna non sia stato nemmeno menzionato.
Il divieto della diagnosi preimpianto discende non soltanto dalla norma censurata (art. 13) come «comunemente interpretata» (sia per «il suo contenuto» che «per la sua formulazione letterale»), ma è «comunemente desunto anche dalla interpretazione della legge alla luce dei suoi criteri ispiratori» e «dalla disciplina complessiva della procedura di procreazione medicalmente assistita disegnata dalla legge» (in particolare, dalla disciplina della «revocabilità del consenso solo fino alla fecondazione dell’ovulo», dal «divieto di creazione di embrioni in numero superiore a quello necessario per un unico impianto, obbligatorio quindi per tutti gli embrioni», dal «divieto di crioconservazione e di soppressione di embrioni»).
Molto significativo del ‘clima’ è il fatto che Alfio Finocchiaro nella ricostruzione della vicenda e parlando del nascituro, lo ha chiamato ‘bambino’, avallando l’assurda considerazione di ogni essere umano come persona a partire dal concepimento (ovocita + spermatozoo) proprio come stabilito dall’articolo 1 della legge 40. Ma senza nemmeno soffermarsi ad indagarne le conseguenze e senza offrire nessun argomento a sostegno.
L’unico dato positivo è stato il rifiuto di considerare gli atti di intervento del Comitato per la tutela della salute della donna, del Forum delle Associazioni Familiari e del Movimento per la Vita Italiano in quanto non rappresentativi di un interesse qualificato.
Tuttavia i citati articoli 2, 3 e 32 della Costituzione sembrano essere stati ignorati, soprattutto:
Articolo 2:
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Articolo 32:
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
E così, la lista di quanti sono esclusi dalle tecniche di procreazione assistita rimane intatta. E la violazione della libertà individuale e della libertà procreativa è riaffermata.
Quella libertà procreativa assoluta quando è naturale, diventa una strada percorribile per pochi quando è necessario ricorrere alle tecniche artificiali.
I non ammessi, che desiderano avere un figlio, si trovano a dover rinunciare oppure a intraprendere viaggi all’estero.
Se è permesso a tutti avere un figlio senza l’intervento di una tecnica (di per sé moralmente neutrale, come un paio di occhiali o un apparecchio acustico) perché è necessario sottoporsi a una specie di test del «buon genitore»? Saremmo disposti giudicare legittimo fornire un elenco di libri leggibili o di musica ascoltabile a quanti hanno bisogno di tecniche visive e uditive che soppiantino la libertà (di leggere e di ascoltare)?

Comitato Nazionale per la Bioetica: quale rinnovo?

Scaduto da giugno, il nuovo Comitato Nazionale per la Bioetica è in procinto di essere nominato. Voci non troppo di corridoio indicano nel presidente uscente il candidato ideale. Ideale per chi? Questa è la domanda cruciale.
Mi limito a riporta lo splendido editoriale di oggi de Il Manifesto, aggiungendo soltanto, come memoria da Grillo Parlante, che il già fu presidente è stato in carica non solo con l’ultimo mandato (2002-2006, dalle mani di Silvio Berlusconi a quelle di Francesco D’Agostino), ma anche dal 1995 al 1998.
Considerando che la vita del Comitato Nazionale per la Bioetica è iniziata nel 1990, fatevi voi i conti. Non dimenticando che gli altri 3 presidenti sono stati in carica 2 anni ciascuno (Adriano Bompiani: 1990-1992; Adriano Ossicini: 1992-1994; Giovanni Berlinguer: 1999-2001). Che la presidenza del Comitato Nazionale per la Bioetica stia trasmutando in una forma di dispotismo, nemmeno tanto illuminato?

Dimenticavo: la nomina del Comitato (presidente e membri) è affidata al Presidente del Consiglio. Non è cambiato governo nel frattempo? Mi sono distratta e ho perso qualcosa?

Comitato di bioetica, le diable probablement, Il Manifesto, 30 novembre 2006

La qualità, nonché il diavolo, si annidano nei dettagli. E in tempi in cui il Verbo da cui tutto dipende è la legge finanziaria, il rinnovo di un comitato di bioetica può apparire un dettaglio, ma non lo è, se solo si smettono le lenti della politica dei secoli scorsi e si inforcano quelle della politica di oggi e di domani.
A giudicare dal tempo che sta impiegando per rinnovare il Comitato nazionale di bioetica scaduto il 15 giugno, è evidente che il governo Prodi considera la questione un dettaglio marginale. Poteva farne almeno un dettaglio di qualità, invece ne sta facendo un dettaglio diabolico. Nella parte del diavolo c’è Stefano Rodotà, il nome più naturalmente accreditato, in base ai parametri della competenza, per ridare dignità alla presidenza del Comitato, a dir poco svilita dall’uscente Francesco D’Agostino, cattolico coi paraocchi che diede il meglio di sé ai tempi della legge e del referendum sulla procreazione assistita. Ma i parametri della competenza fanno notoriamente a pugni con quelli del mercato politico delle nomine. Tanto più se il mercato delle nomine è quello interno alla variegata maggioranza di centrosinistra. E all’interno della variegata maggioranza di centrosinistra, ai teodem della Margherita Rodotà pare «troppo laico»: le diable probablement, come nel vecchio film di Bresson. Da scacciare con l’acqua santa. Ovvero con la riconferma, neanche a dirsi, di D’Agostino, che alcune indiscrezioni danno ormai per fatta.
Pare però che dobbiamo lo stesso tirare un respiro di sollievo: poteva andare peggio, fra i candidati possibili c’era pure Paola Binetti, che oltretutto può accampare il fatto di essere una donna, svantaggio che in tempi pari-opportunisti e quotisti può ribaltarsi in vantaggio. Ma anche da questo punto di vista, non c’è quasi niente di nuovo né sul fronte occidentale né su quello orientale. Due deputate diessine, Franca Chiaromonte e Katia Zanotti, scrivono in una nota che «è tempo di considerare concretamente percorribile la proposta di una donna alla presidenza del Comitato», sottolineando però, a scanso di Binetti, che l’intera composizione del Comitato va saldamente ancorata al principio della laicità dello stato. Da Forza Italia altre cinque parlamentari replicano che una donna va bene, ma «non a tutti i costi», perché l’importante è trovare un nome che dia «garanzie di professionalità, competenza e capacità dirigenziali». Di nomi così ce ne sono anche femminili, anzi femministi, di quel femminismo che si occupa di bioetica da ben prima che nascessero i comitati e le consulte. Il Prc ne ha indicati ben quattro – Grazia Zuffa, ex senatrice Pci-Pds; Monica Toraldo di Francia, filosofo ed esperta di bioetica; Tamar Pitch, filosofa del diritto; Maria Grazia Gianmarinaro, giurista – tutte e quattro esperte di bioetica, tutte e quattro con i titoli scientifici a posto, tutte e quattro, come sottolinea Maria Luisa Boccia per il coordinamento delle parlamentari Prc, in grado di individuare la linea vera del conlitto, che specie nel campo della procreazione passa più per al differenza sessuale che per la differenza fra laici e cattolici. Ma è facile che non se ne feccia niente, perché «la soggettività critica femminile», come la chiama Boccia, non è lottizzabile fra le differenze che contano: quelle fra teodem e riformisti, fra prodiani e dalemiani e via dicendo. Delle quali differenze bisognerà pur tener conto: come dare a un laico anche la presidenza del Comitato, se laici sono già cinque eminenti ministri come Mussi, D’Alema, Bersani, Bonino, Turco? Con la laicità dello Stato è meglio non esagerare.
Giova ricordare che il governo Prodi esordì con la sceneggiata della reprimenda del premier contro il ministro della ricerca, reo di aver tolto il veto dell’Italia dal progetto europeo di ricerca sulle staminali. Seguì la formazione di un altro comitatino detto consulta, questa volte interno alla maggioranza e presieduto da Giuliano Amato, col compito pleonastico e impossibile di mettere d’accordo l’anima laica e quella papalina del governo. Il buongiorno si vede dal mattino, e dal mattino l’avevamo visto.

Stupidario eutanasia 10

Matteo Costantini (Welby, Costantini (Ulivo): “Esprimo totale dissenso verso iniziativa radicale”, Margherita on-line, 29 novembre 2006):

Pur rispettando l’attività del Partito Radicale, esprimo il mio forte dissenso verso la campagna per l’eutanasia che si sta portando avanti anche grazie al supporto di alcuni Consiglieri del I Municipio. La mia è una presa di distanze personale e totale.
(Sì, ma perché, perché? Almeno un argomento, anche fallace, ma un argomento!)

Che cos’è il laicismo?

Un articolo di Riccardo Campa («Laicismo», MondOperaio, gennaio-febbraio 2006) costituisce una delle più limpide introduzioni disponibili al concetto di laicismo:

Uno Stato è caratterizzato da laicità, ovvero è laico, quando è assolutamente neutrale rispetto alle dottrine religiose professate dai cittadini, a prescindere dalla qualità e dal radicamento sociale dei culti o delle chiese. Ciò significa che non è compiutamente laico uno Stato che accorda privilegi a qualsiasi chiesa o culto, comunque motivato sia il privilegio. L’esistenza stessa di un concordato o patto stretto dallo Stato con una o più chiese è perciò condizione sufficiente per minarne la laicità. Lo Stato concordatario non è uno Stato laico. …
Gli Stati concordatari (privilegi alle chiese) e confessionali (religione di Stato) si pongono dunque in una posizione intermedia fra gli Stati teocratici, in cui c’è completa sovrapposizione fra le istituzioni ecclesiastiche e civili, e gli Stati laici propriamente detti, dove le chiese ─ se esistono ─ sono associazioni libere, economicamente autosufficienti e sottoposte a leggi non diverse da quelle che regolano la convivenza di tutti gli altri cittadini. Altra cosa ancora sono gli Stati atei, che non sono semplicemente neutrali rispetto ai culti religiosi, ma promuovono attivamente l’ateismo. Nella misura in cui l’ateismo è visto esso stesso come una dottrina metafisica o religiosa, lo Stato ateo non ha caratteristiche di laicità. Venendo ai casi concreti, possiamo dire che: il Vaticano e l’Iran sono casi esemplari di Stato teocratico; la Polonia è uno Stato concordatario; il Pakistan è uno Stato confessionale; la Francia è uno Stato laico; la Cina è uno Stato ateo. …
Il laicista è spesso accusato di anticlericalismo. In realtà il laicismo non comporta, di per sé, alcuna ostilità nei riguardi delle religioni o delle chiese. I cittadini credenti possono essere laicisti. E persino i ministri di culto. Se il clero accetta spontaneamente le regole della democrazia e si pone su un piano paritario con le altre religioni e con l’ateismo, rende ipso facto inutile e pretestuosa ogni azione anticlericale. Se invece il clero respinge il laicismo e si fa promotore della teocrazia, l’anticlericalismo diventa una strategia necessaria del laicismo.
… nel campo della cultura, il laicismo afferma l’autonomia della religione e la sovranità della ragione. Il metodo scientifico – che richiede coerenza logica ed evidenza empirica – si applica nelle accademie e nelle università anche allo studio delle religioni. Il laicismo non è quindi da equiparare al relativismo cognitivo, perché il laicista è neutrale verso le idee religiose (inclusa la propria, che considera soggettiva), ma non necessariamente verso le idee scientifiche, che spesso considera oggettive e universali. …
Il laicismo non si caratterizza dunque come pensiero debole che lascia la società priva di un indirizzo morale e cognitivo, ma come pensiero forte che si sostituisce a pensieri totalitari. Il laicismo propone la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino come caposaldo della morale e il pensiero scientifico-filosofico come forma di conoscenza universale. Resta naturalmente ferma la libertà dei cittadini di imporsi volontariamente ulteriori limitazioni morali aderendo ad una chiesa o di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze attingendo alle dottrine magiche, alchemiche, religiose, astrologiche. Purché ciò avvenga senza oneri per lo Stato.
Da leggere tutto.

Che genere di lettere pubblica Il Foglio

Dal Foglio, 30 novembre 2006, p. 4:

Al direttore – Perché non suggerire alla chiesa di promuovere l’uso del silenziatore presso i serial killer, onde combattere l’inquinamento acustico? Mi chiedo come si possa accusare qualcuno (mi appello alla logica!), di favorire il contagio dell’Aids attraverso rapporti sessuali “non protetti”, quando questo “qualcuno” “proibisce” i rapporti sessuali, “protetti” e “non”, se al di fuori del matrimonio. Se dunque il problema esiste, è tale solo in ambito matrimoniale.
Cordialità
Mimmo De Siena
«Solo»??

Stupidario eutanasia 9

Vito Mancuso, insieme a Fabio Bianchi (Mancuso, la teologia della creazione, Libertà, 30 novembre 2006):

L’esacerbata sensibilità contemporanea, fra relativismo culturale e crollo di ideali, si interroga sempre più spesso sul proprio destino. Da un lato il dibattito su eutanasia o creazioni in vitro, dall’altro la possibilità di inserirsi in un “iperuranio” oltre la pura materialità e dove la scienza diventa strumento per raggiungere un fine. Se, oltre creazionismo ed evoluzionismo, la prossima tappa è l’immortalità dell’anima allora la teologia non solo diventa indispensabile viatico al travagliato uomo contemporaneo ma anche emancipazione intellettuale, crescita del volume interiore, aspirazione all’assoluto contro qualsiasi contingenza umana. E ieri, all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, Vito Mancuso – saggista, teologo, scrittore di grande rigore scientifico e sapienza spirituale sempre attentissimo alle esigenze umane – ha tenuto l’interessante conferenza “Creazione dell’universo ed immortalità dell’anima”, moderatore don Gigi Bavagnoli.
«Oggi si parla o del mondo o dell’anima e diventa difficile conciliare origine del mondo e destino dell’anima per la lacerazione, iniziata nel ‘600, che attraversa la coscienza contemporanea. La domanda sull’origine illumina il destino futuro, quindi il senso del presente e nei secoli c’è sempre stata la lotta tra due principi, ordine e caos. Da cristiano però credo in Dio creatore del cielo e della terra e, come Benedetto XVI, ribadisco comunanza gnoseologica tra mente e mondo e comunanza ontologica».
Ma, oltre qualsiasi riflessione, si pongono problemi all’apparenza irrisolvibili non percepiti dal sentimento comune come il significato del dolore. Infatti «qual è la teologia della natura nell’handicap e nelle catastrofi? Dov’è il logos nella storia? Ha senso mantenere le contraddizioni? Il grande pensatore Florenskij scrisse: “Non osiamo lenire le contraddizioni con l’unzione dei filosofemi. La contraddizione è un mistero dell’anima. Quanto più ci si avvicina a Dio tanto più chiare sono le contraddizioni”. Nasce allora l’esigenza di elaborare una nuova teologia della creazione». E, ha continuato Mancuso, «che tipo di ordine è questo che produce vita ma anche morte? Bisogna pensare la natura così da ritrovarvi necessità e libertà. Ma c’è anche un pars costruens: l’essere come energia, la materia è configurazione provvisoria dell’energia. La creazione consiste nella porzione dell’energia, le cose si sono fatte da sé a partire dall’energia primordiale. L’essere come energia contiene leggi rigorose ed è proprio l’energia a mostrare che esiste un disegno, il logos crea la logica. Quindi più aumenta l’energia libera più sale il livello gerarchico dell’anima, principio di vita secondo cinque livelli».
Non dimentichiamo infine quanto disse Bonhoeffer: “Non ci si salva dal mondo nonostante il mondo ma grazie al mondo”.

Stupidario eutanasia 8

Gabriella Sartori (Sul crinale della bioetica si rischia il rapporto coi cattolici, Avvenire, 29 novembre 2006):

Sfugge continuamente a questo imponente “sistema” di osservatori, di maestri, di suggeritori e saltimbanchi [l’attuale Governo], il fatto che il paese è formato da uomini e donne, capaci, ognuno, di intendere e volere; ed anche di “sentire”: in un dato modo e non in un altro che gli si vuol appiccicare addosso ad ogni costo. Sia chiaro, per esempio, che se il presidente Napolitano auspica, sul terreno della bioetica, il confronto con “le autorità religiose”, questo non può in nessun modo significare che, dietro o accanto a quelle autorità ci siano dei “pecoroni” strattonabili da qualunque parte si voglia. Si rassegnino famosi autori e celebrate autrici di editoriali più pensosi che pensati: la Chiesa in Italia non tiene sotto “tutela” nessuno, tanto meno quel “gregge” di conigli decerebrati che qualcuno di loro si arroga il diritto di metterle al seguito. La Chiesa, al massimo, e non solo in Italia propone anche, sulla bioetica, una sua coerente e ragionata linea di pensiero: che poi essa venga, fra tante altre, liberamente preferita da un certo numero di persone, non tutte deficienti, non tutte a lei “devote”, può suscitare disappunto, invidia, rabbia o altro. Ma non ha senso imputarglielo a colpa.

Stupidario eutanasia 7

Marco Maltoni (Manipolazioni e disinformazione su eutanasia e cure palliative. Intervista al Direttore del Reparto di medicina palliativa di Forlì, Zenit, 29 novembre 2006):

La nonna di mia moglie è da cinque anni allettata, con una demenza grave. In tutto questo tempo è stata accudita dalle due figlie, direttamente e con l’aiuto di altre persone che professionalmente (e, proprio per una piena espressione della loro professionalità, con affezione e dedizione), hanno integrato le possibilità assistenziali della famiglia. La signora non ha mai sviluppato un decubito, ed entrare nella sua stanza sempre profumata è come entrare nel cuore del mistero umano. Anche se non tutto di questa situazione è razionalisticamente incasellabile, due cose capisco. La prima, che questa donna è dentro una relazione di cura della quale è sicuramente oggetto. Ma, come dice il Dottor Guizzetti in base alla sua mirabile esperienza con i pazienti (o disabili, come lui preferisce definirli) in Stato Vegetativo Persistente, chi è oggetto di cura ne è allo stesso tempo anche soggetto attivo, per la ricchezza e l’umanità che in questa relazione emerge, sia pure in condizioni a volte estremamente faticose. La seconda, che un “di più” di umanità e dignità giunge per osmosi a chi tocca queste situazioni, rispetto al fatto che, nell’esempio portato, cinque anni fa, fosse stata somministrata una pillola del suicidio, o fossero state interrotte la nutrizione, l’idratazione e la cura. Senza volere riesumare forme, se mai ci siano state, di dolorismo e senza volere considerare sofferenza e sacrificio un obiettivo da ricercare, mi pare innegabile che essi possano far crescere la nostra consistenza umana, come è esperienza comune di chi lavora a contatto con malati e famiglie che per mesi o anni accettano non passivamente il mistero della propria condizione. Una osservazione a latere, ma non del tutto marginale, è che, se fosse vero il contrario, cioè se la vita umana fosse degna di essere vissuta solo quando esprimesse le qualità proprie dell’uomo (e che tali ontologicamente rimangono, indipendentemente dal loro possibile livello di attuale espressività), chi, se non un impersonale, astratto, e ostile potere potrebbe determinare “quali” condizioni, quale “qualità di vita” sarebbero da ritenersi sufficienti? Quella del paziente terminale, dell’anziano demente, del gravemente disabile, del paziente psichico, del paziente gravemente depresso, del paziente in stato vegetativo, del bambino o del neonato con disabilità o malformazioni, della ragazzina anoressica o bulimica? In altri termini, aperta la falla nella diga o iniziata la piccola valanga da una palla di neve, la progressione è purtroppo esponenziale, tanto che alle forme fatte passare per “nobili” di eutanasia volontaria, nei paesi in cui essa è legalizzata, si stanno sempre più aggiungendo anche quelle meno emotivamente presentabili, come la non-volontaria e la involontaria.
(A chi è piaciuto l’argomento della nonna può approfondire: Marco Maltoni, insieme a Carlo Valerio Bellieni, ha scritto il libro La morte dell’eutanasia. I medici difendono la vita, 2006, Firenze, Società Editrice Fiorentina.)

mercoledì 29 novembre 2006

Un nuovo sondaggio sull’eutanasia

L’istituto di ricerche di mercato IPR Marketing ha condotto il 28 novembre un sondaggio per conto del quotidiano la Repubblica; a un campione rappresentativo di persone è stata posta la seguente domanda:

In questi giorni si sta parlando nuovamente di Piergiorgio Welby, l’uomo malato terminale di distrofia muscolare che sta conducendo la sua battaglia per il riconoscimento in Italia dell’eutanasia; in particolare Piergiorgio Welby ha chiesto ai medici che lo curano di staccare le macchine che lo tengono in vita. Secondo lei, i medici dovrebbero accogliere la richiesta di Welby?
Ha risposto «sì» il 64% degli intervistati, «no» il 20%, mentre il 16% si è detto senza opinione. È degno di nota che anche fra coloro che si sono definiti «cattolici praticanti» il sì sia al 50%, il no al 28% e gli indecisi al 22%.

Forse si potrebbe muovere qualche critica alla formulazione della domanda: Welby non è propriamente un malato terminale, e questa imprecisione potrebbe aver influenzato le risposte. Inoltre, Welby non chiede semplicemente di «staccare le macchine», ma di venire sedato per evitare un’ulteriore, terribile sofferenza (in questo caso, comunque, non ci dovrebbe verosimilmente essere stato nessun effetto sugli intervistati).

Una piccola curiosità: nella tabella disaggregata per religione degli intervistati, si nota che gli unici a dire più no che sì alla richiesta di Welby, sia pure di un soffio (51 a 49), sono quelli che si sono rifiutati di dichiarare la propria religione. Non credo di sbagliare se identifico in costoro una parte di cattolici praticanti (forse più anziani?), sospettosi e quindi restii a comunicare la propria appartenenza religiosa. La parte più retriva e paranoica, non a caso, della società italiana.

Stupidario eutanasia 6

Anonimo (Testamento biologico battistrada dell’eutanasia, la Padania, 29 novembre 2006):

Chi può stabilire, in un caso concreto, se una determinata e particolare cura costituisca accanimento terapeutico e non estremo tentativo di salvataggio? Non certo il paziente. E nemmeno il giudice. Ma il decorso del malato. Se sopravvive, non è stato accanimento terapeutico. Se muore, lo è stato. In ogni caso, la decisione spetta al medico e non può essere presa da nessun altro.
[…]
Questo liberalismo individualista [la vita è solo mia] non tiene alcun conto del bene comune, in base al quale io mi appartengo solo nella misura in cui la mia sparizione non pregiudichi altri. Chi si sottrae al dovere di vivere (che non è solo un diritto) è paragonabile a colui che abbandona il tetto coniugale o non ottempera all’obbligo del mantenimento.
[…]
Mentre gli esperti litigano al suo capezzale, il paziente muore. Ma forse è proprio questo che i teorici del sovraffollamento vanno cercando.

Stupidario eutanasia 5

Gianfranco Morra (Eutanasia, così il medico non cura ma uccide, Libero, 29 novembre 2006):

Non importa che la sua [di Welby] lacerante tragedia venga strumentalizzata da alcune forze politiche per imporre, sulle ali della emotività, la legalizzazione dell’eutanasia. Sono gruppi politici che si battono per la droga libera e i matrimoni tra omosessuali, e senza sentirne la contraddizione rifiutano la pena di morte anche per i più efferati colpevoli (“Nessuno tocchi Caino”), e vogliono l’eutanasia facile, estesa dai malati terminali ai bambini down e ai vecchi non più autosufficienti.

Il potere della mente

Stephen Heywood è uno dei circa 30 mila statunitensi che negli Usa soffrono del morbo di Lou Gehrig e sta partecipando alla ricerca avviata dal Cyberkinetics Neurotechnology Systems: «Dopo essere stato paralizzato per lungo tempo – ha detto Heywood – è impossibile descrivere che sensazione si prova a veder seguire qualcosa a un proprio impulso».
(Con un chip muove la sedia a rotelle, Il Corriere della Sera, 29 novembre 2006.)

I ricercatori del Cyberkinetics Neurotechnology Systems hanno impiantato nel cervello di una donna paralizzata un sensore in grado di raccogliere gli impulsi cerebrali. Gli impulsi vengono trasmessi da una spina che fuoriesce accanto al suo orecchio a un computer che tramite un collegamento wirelless impartisce i comandi una sedia a rotelle elettronica: la donna è in grado di farla muovere. «Di fatto – ha spiegato Timothy Surgenor, presidente di Cyberkinetics Neurotechnology Systems, durante un meeting alla Cleveland Clinic – la donna controlla i suoi movimenti semplicemente usando la sua immaginazione».
La portata rivoluzionaria è evidente e la vita di molte persone paralizzate potrebbe cambiare drasticamente.
Nel sito della Cyberkinetics Neurotechnology Systems è possibile vedere una demo della tecnologia BrainGate.

Stupidario eutanasia 4

Francesco D’Agostino (Italia. Audizioni in Senato sul testamento biologico. D’Agostino: non sia vincolante per i medici, Vivere & Morire, 24 novembre 2006):

Non sono direttive [ma dichiarazioni anticipate], non possono essere vincolanti per il medico. Ove lo fossero, verrebbe meno l’autonomia di scienziato e terapeuta del medico. Non si può imporre al medico di base di prescrivere un antibiotico, perché si dovrebbero imporre le volontà anticipate. Una dichiarazione redatta 35 anni fa, quando diverse erano le conoscenze mediche, potrebbe ragionevolmente essere disattesa.
(E l’autonomia del cittadino/paziente?)

Stupidario eutanasia 3

Maria Luisa Di Pietro (Intervista a Maria Luisa Di Pietro, Co-presidente di Scienza & Vita):

Una legge sul testamento biologico o sulle dichiarazioni anticipate è inutile. Se a questo si aggiungono le difficoltà legate all’interpretazione di volontà espresse “ora per allora”, alla presenza della figura del fiduciario, alla vincolatività per il medico e all’obbligatorietà per il cittadino di rilasciarle, ci si rende conto che lo stesso diritto di scelta in nome del quale vengono proposte non è assolutamente tutelato.
(Non è davvero contro il testamento biologico la Maria Luisa, è che fa confusione tra ora e allora, ora e allora, o allora con ora e le si mischiano le idee... Le volontà si esprimevano allora, ora, se hai bisogno del testamento biologico significa che non puoi ora esprimere la tua volontà e quindi che cazzo di volontà esprimi?)

Stupidario eutanasia 2

Rino Fisichella, («Ho rispetto dell’uomo e della sua sofferenza ma la legge non si fa partendo da un caso», Il Corriere della Sera, 28 novembre 2006):

Con tutto il rispetto per l’uo­mo Welby dico che non posso ac­cettare né l’eutanasia, né il suici­dio assistito e credo di poter af­fermare questa contrarietà sia come cristiano, sia come uomo del mio tempo. Non è bene legife­rare a partire da un caso umano, lo si deve fare sempre in vista del­le esigenze della comunità. Non è il caso di Welby, ma general­mente vuole morire chi si trova nell’abbandono e dunque il pro­blema è fare in modo che nessuno sia abbandonato.

Stupidario eutanasia 1

Abbiamo preso una grande decisione. Avviare una preziosa raccolta a futura memoria delle dichiarazioni più memorabili sulla eutanasia.
Abbiamo l’onore di inaugurare il bestiario con le parole di Paola Binetti riportate da Flavia Amabile (Welby scrive ai medici «Adesso basta, staccatemi la spina»*, la Stampa, 28 novembre).

Welby non troverà nessuno che si voglia far carico della sua vita. Nemme­no la moglie avrà questo co­raggio. Nemmeno i radicali, ora a loro Piergiorgio serve vi­vo: hanno fatto di lui un altro Luca Coscioni e, quando sarà morto, ne troveranno un al­tro. Prego il Signore che vo­glia prenderlo con sé per ri­spetto nei suoi confronti.
*Con un brivido, vista l’approssimazione dell’autrice...

martedì 28 novembre 2006

Adolfo Baravaglio e Roberto Formigoni

A Ballarò, stasera, c’è un caso di lucida richiesta di eutanasia: Adolfo Baravaglio, immobilizzato da 18 anni in seguito ad un incidente stradale. Adolfo è lucido e chiede di morire.

Risponde Roberto Formigoni (più o meno):
La libertà individuale è importante.
Lui vale molto di più della sua sofferenza. Se gli stessi vicino io questo gli direi.
C’è una straordinaria indifferenza intorno a queste richieste. Vogliamo stare tranquilli e … se vedi un uomo sul ponte ognuno andrebbe a salvarlo?

Io davvero non posso credere che Formigoni creda davvero a quanto dice. E seppure ci credesse, non dovrebbe permettersi di aprire bocca.

Piergiorgio Welby. Lasciatemi morire

Per una vita decorosa, Galileo, 27 novembre 2006

È il 1963 e un gesto scomposto è il primo sintomo della distrofia muscolare progressiva. La diagnosi lascia un angusto margine di futuro: un paio d’anni. Welby non ne ha nemmeno venti.
Il pronostico si rivela sbagliato, tuttavia l’esito non è a lieto fine come nelle favole. Nessuna bacchetta magica, ma un lento incalzare della malattia: la sedia a rotelle, l’insufficienza respiratoria, il coma. È il 1997 quando Welby viene rianimato e tracheostomizzato. Respira e si alimenta e parla tramite macchinari.
Questo è il “percorso inverso” di Piergiorgio Welby: “gattonare, muovere i primi passi, camminare correre…”. All’incontrario, fino alla quasi totale immobilità corporea e linguistica. Ma non cerebrale, perché Welby ha una mente lucida e brillante. Dolorosamente in grado di percepire e di “vivere” il suo naufragio. E di chiedere che possa avere termine. “Rivoglio la mia morte, niente di più, niente di meno!”.
Il suo libro è una analisi degli orrori di una malattia e degli orrori di una atroce violazione di una libertà. È la denuncia di una condanna a vivere (“morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche”) e di tutti i luoghi comuni che gravano sull’eutanasia. Il suo libro è la richiesta di un dibattito parlamentare e politico che prenda sul serio la questione della regolamentazione delle decisioni di fine vita. Nella lettera che ha scritto a Giorgio Napolitano, Welby precisa che il suo intento non è quello di chiedere una morte dignitosa. “Non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere «dignitosa»; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili o inguaribili”. La morte può essere opportuna, un rifugio per chi è sopraffatto dal dolore.
Un estremo rimedio, perché nessun malato è “a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire”. Ma “tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più avanti nel tempo”.
E quella morte opportuna Welby la vorrebbe alla luce del sole. La sua è anche una denuncia contro la clandestinità di un fenomeno negato dai molti “slalomisti provetti”, che si voltano dall’altra parte e fingono di non sapere che l’eutanasia esiste, relegata nelle stanze d’ospedale e nelle coscienze già oppresse dall’umiliazione e dalla sofferenza.
L’aspetto più sorprendente è l’ironia. Welby ci prende per mano e ci conduce lungo una strada dissestata e spaventosa, eppure di frequente è capace di suscitare un sorriso.
Un sorriso amaro. Perché Welby chiede di morire, e perché con chirurgica precisione elenca le ipocrisie, l’immobilità, le banali frasi fatte di quanti pretendono di avere in tasca soluzioni e risposte. Soluzioni inesistenti e risposte vigliacche. Perché l’unica soluzione possibile risiede nella libertà individuale e l’unica risposta nei nostri desideri.
Welby strappa la palandrana perbenista e ipocrita raccontando la sua storia, le sue giornate, i buchi e i tubi e il dolore onnipresente. Il rumore del ventilatore polmonare (“quell’ansare rauco da bestia ferita”) o la voce metallica e impersonale del sintetizzatore vocale, che ha preso il posto nei pensieri e nelle letture della voce originaria di Welby. Welby scherza: “sto diventando un essere bionico! Quando morirò invece che al cimitero mi porteranno a un’autodemolizione!”
E sposta l’onere della prova su quanti si schermiscono o condannano l’eutanasia in nome di una sacralità della vita, perché “non esiste alcun valido motivo per costringere una persona a prolungare una sofferenza che reputa inutile e disumana”.
Al posto della nostra libertà, “il presente ci regala uno Stato mammo-mediterraneo, uno Stato sovrappeso con i capelli neri e unti, le tette grandi, i fianchi strabordanti, le mani grassocce e sudaticce”.

Trapianto di faccia: un anno dopo

Isabelle Dinoire a un anno dal trapianto di volto (fonte: la Repubblica).

Oscurantismo

A distanza di quasi dieci giorni, il sito cattolico integralista CulturaCattolica.it continua a rimanere oscurato. Dopo aver pubblicato un appello (ancora disponibile nella cache di Google) di Nerella Buggio, in cui si protestava per la messa in onda della fiction Il padre delle spose, con Lino Banfi, e si invitava a fare pressioni perché la Rai spostasse la trasmissione in seconda serata, il sito veniva oscurato da un attacco informatico (un denial-of-service attack, a quanto dichiarato dai responsabili del sito, anche se dopo una decina di giorni è lecito cominciare a porsi qualche dubbio sulla reale natura dell’attacco, o almeno sulla competenza dei gestori del server: si tratta di situazioni che in genere vengono risolte nel giro di uno-due giorni).
In un comunicato stampa, i responsabili di CulturaCattolica.it affermano tra l’altro:

Abbiamo chiesto come minimo di spostare lo spettacolo in seconda serata (mentre non abbiamo chiesto di «oscurare» la fiction, come ci accusa Repubblica sul suo sito).
Questa precisazione è stata subito ripresa dai blog clericali; ma è davvero esatta?
Già quel «come minimo» dovrebbe metterci un po’ in allarme; ma andiamo a vedere cosa diceva l’appello originario:
Non sospenderanno certo la fiction per le nostre proteste, ma far sentire la nostra voce, chiedere lo spostamento in seconda serata e magari disdire il canone Rai potrebbe essere utile.
Si faccia attenzione a questa frase: «Non sospenderanno certo la fiction per le nostre proteste». A me pare che il suo significato sia abbastanza chiaro: «l’ideale è che la sospendessero, ma visto che questo non lo possiamo ottenere, chiediamo almeno lo spostamento in seconda serata» (altrimenti l’autrice avrebbe scritto qualcosa come «non vogliamo certo che sospendano la fiction»). E l’invito a disdire il canone sembra indipendente dal fatto che la richiesta di spostamento sia accolta o meno.
Ho chiesto spiegazioni su un blog di emergenza messo su dai responsabili del sito; una certa Anna (dovrebbe trattarsi di «Anna Vercors») mi ha risposto in questo modo:
Le persone intelligenti tengono conto di tutti i fattori della realtà: anche del fatto che c’è una mentalità al potere che spesso ignora i diritti dei minori.
Per cui dire che l’ideale fosse non mandare quel programma era solo un auspicio, ma non una pretesa di oscurare o mettere il bavaglio come è stato fatto con CulturaCattolica.
Sembra dunque che l’«auspicio» ci fosse, e che la ‘tolleranza’ di CulturaCattolica.it consista tutta nel non avanzare «pretese» irrealistiche...

Questo non cancella ovviamente la doverosa condanna dell’oscuramento del sito (e va anche detto che c’è differenza tra un desiderio di censura e un atto di censura). Ma non si può fare a meno di pensare che chi «auspica» la messa al bando di chi la pensa diversamente da lui, possa trarre qualche utile lezione dal ricevere la stessa amara medicina che gli piacerebbe somministrare agli altri.

PS Prima che qualcuno venga a proclamare che tutto questo è stato fatto per la salute mentale dei bambini, messa a repentaglio (in modi che però non vengono mai specificati o mai basati su analisi empiriche) dalla visione della fiction (cui nessuno però è stato costretto ad assistere), sarà opportuno pensare un attimo a ciò che lo stigma sociale ha rappresentato e rappresenta per la salute mentale di moltissimi adolescenti omosessuali, e a ciò che una rappresentazione serena di una coppia dello stesso sesso può fare per la loro immagine di sé.

Testamento biologico: il diavolo è nei dettagli

Sul New York Times di oggi compare un interessante articolo sul testamento biologico (Jane E. Brody, «Medical Due Diligence: A Living Will Should Spell Out the Specifics», 28 novembre 2006), che riporta le opinioni del Dr. Ferdinando L. Mirarchi sulle direttive anticipate di trattamento. In sintesi: per compilare un testamento biologico non ambiguo ed efficace, occorre specificarne quanto più è possibile i dettagli. Documenti eccessivamente generici rischiano di essere interpretati male, o di condurre a esiti non realmente voluti dal paziente. È – per inciso – proprio ciò che tempo fa si notava qui su Bioetica riguardo alla proposta di testamento biologico della Fondazione Veronesi.
Il Dr. Mirarchi ha scritto un libro, uscito da poco (Fred Mirarchi, Understanding Your Living Will: What You Need to Know Before a Medical Emergency, Addicus Books), in cui consiglia dettagliatamente come stendere le proprie direttive anticipate, e propone un sistema di codici che guidino il medico nell’interpretazione delle volontà del paziente.

lunedì 27 novembre 2006

Volontari del Movimento per la Vita entrano alla Mangiagalli di Milano

“Il Centro di aiuto alla vita sarà ospitato all’interno del reparto di interruzione volontaria della gravidanza della clinica Mangiagalli di Milano e tutti i medici del reparto, prima di eseguire l’intervento, suggeriranno alle donne di incontrare gli operatori del Cav per tentare di rimuovere le cause dell’aborto”. È l’annuncio dato nei giorni scorsi, in occasione del XXVI Convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita (CAV) svolto a Bari, da Giorgio Pardi, primario della “Mangiagalli” di Milano, la prima clinica ad effettuare aborti in Italia e quella dove se ne praticano di più ogni anno. L’annuncio rappresenta un risultato dell’impegno da parte del Movimento per la vita (Mpv) per trovare – come ha detto il suo presidente Carlo Casini – “possibilità vecchie e nuove di collaborazione tra istituzioni e società civile nella difesa del diritto alla vita e, in particolare, la presenza dei volontari pro life nei consultori familiari”. L’accordo di Milano non è il primo del genere in Italia e – secondo Casini – dovrebbe far riflettere sulla riforma della legge che regola i consultori per tentare di rendere pienamente libera la donna di non abortire”.
Aborto: i volontari Pro Life alla Clinica “Mangiagalli” di Milano, Servizio di Informazione Religiosa, 27 novembre 2006.

Tentare di rimuovere le cause dell’aborto partendo dalle seguenti premesse (da parte del Movimento per la Vita): “molte donne ricorrono all’aborto per motivi di solitudine, di incomprensioni parentali e di povertà” e che “la vita è un dono irrepetibile di Dio, che ogni concepito è unico e fratello di Cristo ed è destinato all’eterna visione di Dio, e che, quindi, l’aborto è un crimine che ammorba l’intera società”.

Mi è oscuro il passaggio che la riforma (quella del Movimento per la Vita) della legge che regola i consultori familiari renderebbe pienamente libera la donna di non abortire.
Renderebbe la donna pienamente libera (punto). Perché solo di non abortire? Anche libera di abortire.
No, certo che no. Perché l’aborto è una forma di costrizione (determinata dalle condizioni economiche o dalla paura o dall’egoismo), e basta rimuovere gli impedimenti materiali con una chiacchierata e qualche dollaro e il problema è risolto.

Welby chiede il distacco del ventilatore polmonare e la sedazione terminale

Piergiorgio Welby, Co-Presidente dell’Associazione Coscioni, rende noto di aver rivolto per iscritto la seguente richiesta a uno dei suoi medici:

Il sottoscritto Piergiorgio Welby chiede al Dott (…) il distacco dal ventilatore polmonare sotto sedazione terminale se possibile orale.
Welby chiede formalmente al medico il distacco del respiratore, Associazione Luca Coscioni, 27 novembre 2006.

Chi teme la Chiesa teme se stesso

Forse Giorgio Napolitano non immaginava di scatenare tante polemiche sulla questione della bioetica condivisa.
Oggi Federico Guiglia ci offre la possibilità di riflettere una volta di più e ci mette in guardia verso il vero pericolo e la vera origine delle proteste verso l’invadenza vaticana, Bioetica, chi teme la Chiesa ha paura delle proprie idee, Il Giornale, 27 novembre 2006.

Quante prudenze e quanti pudori sull’appello lanciato dal Quirinale per «soluzioni condivise» con la Chiesa cattolica a proposito di temi quali la ricerca e la bioetica; prudenze perfino della stessa presidenza della Repubblica, che ha sentito il bisogno di dover precisare con un comunicato le pur precise parole che il capo dello Stato aveva pronunciato poche ore prima. È così: ogniqualvolta i vertici della Repubblica provano a dialogare con quelli del Vaticano, nella politica italiana suona l’allarme rosso del fraintendimento. Quasi che il Papa potesse legiferare al posto del Parlamento, o le istituzioni del Paese non conoscere il confine scolpito all’articolo 7 della Costituzione («lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»); l’unico confine che neanche la globalizzazione potrebbe un giorno sperare di abbattere.
Eppure, l’ovvio diventa oggetto di equivoci, l’elementare necessità del confronto evocato da Giorgio Napolitano diviene lo spunto per interrogativi fuori dal tempo; posto che sarebbe curioso per un Paese dalla radicata tradizione cristiana, discutere delle grandi questioni della vita e della morte considerando irrilevante o addirittura irricevibile il punto di vista di chi rappresenta questa tradizione sotto il profilo religioso. In realtà strano sarebbe stato il contrario, cioè che il presidente della Repubblica avesse invocato «soluzioni non condivise» col mondo cattolico, e proprio sui quesiti che più da vicino riguardano la cultura e interrogano la coscienza dei cattolici.
Io mi ritrovo a pormi domande talmente ingenue che ci deve essere qualcosa che non va: non è in discussione il dialogo o la ricerca di soluzioni che possano essere condivise, ma il modo di cercare queste soluzioni. Le credenze religiose (e parlo al plurale perché è bene ricordare che esiste qualche altra religione oltre a quella cattolica) sono una questione privata, a differenza delle leggi di uno Stato. Una legge che permetta di compiere un atto che secondo una religione è immorale non impone al credente di quella religione di peccare (si pensi al divorzio), ma lascia liberi gli altri cittadini di scegliere. Questa è la formidabile invenzione che si chiama Stato laico. Che non implica l’impiccagione di chi rivolge speranze e parole al crocifisso.
Per una nazione come l’Italia, il Vaticano dovrebbe essere considerato una straordinaria opportunità, anziché il perenne alibi per misurare, in un immaginario e muscoloso braccio di ferro, il tasso di sovranità della Repubblica italiana. A parte le sempre utili riflessioni che può proporre chi riflette da un paio di millenni, esistono degli ambiti di politica interna ed estera in cui la «convergenza parallela» col più piccolo Stato della Terra non può che giovare all’Italia. Si pensi soltanto al flusso di turismo che il Vaticano suscita nei credenti d’ogni continente, e che finisce per riversarsi anche sul nostro Paese. Ma si pensi, inoltre, a quella «politica della lingua» che l’Italia potrebbe promuovere nel mondo in sintonia con la Santa Sede, che alla lingua italiana riserva un ruolo di comunicazione universale: è la sua moderna lingua franca, ben più di quanto possa esserlo il pur riscoperto e antico, e tenero, latino.
Flusso di turismo? Turismo? Qui non solo si rischia l’accidia, ma si rischia di barattare la libertà con una manciata di dollari spesi per salvarsi l’anima! E quali sarebbero le utili riflessioni che può proporre chi riflette da un paio di millenni? Il turismo e la lingua universale mi sembrano davvero fragili motivi. Perfino un po’ ridicoli.
Ci sono mille ragioni per camminare insieme («scelte condivise»), nessuna per erigere muri anacronistici o innescare polemiche ridicole. Anche perché chi si sente politicamente forte della sua «identità repubblicana», non può temere il pensiero della Chiesa: farà valere il proprio. E se davvero basta una frase di un’alta autorità religiosa per modificare le proprie convinzioni politiche, se sul serio si ha paura del confronto a tutto campo temendo l’altrui «indebita interferenza», tutto ciò dimostrerebbe solo che è la politica a non aver ancora elaborato idee chiare sui maggiori problemi del nostro tempo. Come d’altronde testimonia la materia del contendere, quella bioetica che dall’eutanasia alla manipolazione genetica, ai nuovi «diritti della vita» non dà segni né segnali di legislazione in Parlamento. Tanti annunci e qualche iniziativa presentata, però a conti fatti mancano «soluzioni condivise» non solo fra laici e cattolici, ma anche fra maggioranza e opposizione pur essendo la materia una tipica materia da libertà di coscienza. Fra tanti tavoli veri o presunti neppure uno «dei volenterosi» per legiferare in modo concreto sui grandi e spesso gravi dilemmi di oggi.
Non è questione di temere il pensiero della Chiesa. Ma dell’assenza di pensiero (e di coraggio) della politica, su questo siamo perfettamente d’accordo. Il Vaticano fa il suo lavoro, la politica tace e forse si augura che, passata l’emergenza del momento, ci si dimentichi e si ricominci a pensare ad altro, a questioni meno scottanti, per non rovinare accordi e intese già fragili. E per non sciupare il flusso di turisti a caccia di souvenir e di espiazione.

domenica 26 novembre 2006

Carlo Taormina, avvocato difensore dell’embrione

Ci ha dilettato con la sua oratoria impeccabile e sinuosa, con il suo eloquio ipnotico da serpente Kaa, ci ha fatto battere il cuore per una vicenda che ha dell’incredibile tra pigiami e zoccoli e perizie psichiatriche. Il suo sguardo penetrante ha fatto vacillare credenze e cambiato opinioni.
Due giorni fa Carlo Taormina ha scritto un paio di colonne su “Libero” (Se si rompe la macchina dell’aborto, 24 novembre 2006, p. 16) che meritano attenzione. Molta attenzione.
Si parte dalla constatazione che la nostra patria stia diventando intollerante: verso chi, verso cosa, e che cosa ha interrotto l’arcadia di allora non è dato sapere.
Poco male, tuttavia.
Perché non sembra nemmeno del tutto pertinente questo avvio quando si passa a parlare di aborto. Taormina domanda: “quando le leggi disciplinano fatti di filosofia della vita” ci sono “spazi per sostenere i propri ideali, come accade nella questione dell’aborto”?
Secondo la tesi di Taormina il problema dell’aborto sarebbe riesploso dopo il voto sulle staminali (?) e la Chiesa sbaglia a fare battaglie sulle staminali, “ma sulla nascita della vita in base al sentire comune, non ci sono ragioni di perplessità”.
Devo fermarmi nella ricostruzione e obiettare: 1. Nascita della vita sarà forse un concetto legalmente utile, ma dal punto di vista scientifico non significa assolutamente nulla – che faceva Taormina durante le lezioni di scienze? 2. Che il sentire comune possa costituire una solida base per alcunché (se non per il sentire comune stesso) è escluso, e dubito che Taormina farebbe affidamento al sentire comune per altro che non sia questo confondere una descrizione con un giudizio. 3. Sulle “staminali” (ma perché virgolettarle?) la Chiesa sbaglia a fare battaglie perché non sarebbero vita? Spero che Taormina non pensi questo. Forse pensa che siano meno degne di protezione degli embrioni, ma dimentica che la Chiesa osteggia la ricerca sulle staminali embrionali proprio perché vita umana: come la mettiamo? Le “staminali” (virgolettate) sono vita e la ricerca è responsabile della loro “uccisione” (stavolta le virgolette sono mie) al pari dell’aborto.

Di nuovo Taormina: c’è una ragione pratica per criminalizzare l’aborto. Non è vero che i loschi traffici siano finiti. Anzi continuano “con l’aggravante dell’aborto clandestino, traducendosi in omicidi”, come nel caso di “medici accreditati a sinistra”. E puntualizza: “Non che gli aborti consentiti non siano omicidi, ma estrarre un feto di sei mesi e ucciderlo è cosa diversa e maggiormente criminosa”.
Lalli: forse non sono pronta all’ermeneutica di un linguaggio aulico e giuridico, e barcollo nel dare un senso alle frasi di Carlo Taormina. Sembra che l’unica ragione ammessa da Taormina per permettere l’aborto sia il male minore; ma gli aborti clandestini permangono e allora tanto varrebbe vietarli per legge. E in effetti, visto che omicidi rimangono, sarebbe più coerente vietarli. Non è ammissibile legalizzare gli omicidi. Nessun dubbio che l’aborto non sia omicidio?

Ed eccoci arrivati alla cultura di sinistra (e mortifera) a favore dell’aborto che incoraggia “queste operazioni in nome dell’ideologia”. Quale ideologia? (I comunisti non mangiavano i bambini?). E i consultori, inferni in Terra, presidiati da medici di sinistra (tutti di sinistra, quasi quasi rischiamo la rivoluzione, comunisti di merda che non siete altro!) che boicottano il personale antiabortista (conosce Taormina le percentuali dell’obiezione di coscienza?).
Fa paura il ritorno all’aborto clandestino generalizzato, ma “l’abbandono dei principi genera mali peggiori di quelli che si sono voluti evitare”, mette in guardia Taormina. Ed ecco la soluzione, la proposta geniale: tornare all’aborto terapeutico. “Penso ai concepimenti da violenza carnale o alle condizioni del feto per motivo genetico e per altre ragioni”. Se non la soluzione ideale, senza dubbio accettabile; una buona risposta “allo sterminato cimitero dei morti spalmato in tutto il mondo”.

Spalmato? Pessima scelta stilistica, se posso permettermi. Tuttavia oscurata da difetti ben più gravi. Se l’aborto è da condannare perché omicidio (embrione=persona titolare di diritti), per quale ragione una violenza carnale dovrebbe togliere all’aborto la macchia immonda? Non è l’embrione ad essere responsabile dello stupro, perché fargli pagare con la morte il reato altrui? E i feti-persona con problemi di salute nemmeno meritano la morte (condannerebbe alla morte i disabili, egregio avvocato Taormina?).
Permettere l’aborto terapeutico è una mossa ipocrita e incoerente se la premessa è che la vita personale (eh, sì, non la vita umana) abbia inizio dal concepimento. E poco importa se lo stupratore o il feto sono oggetto di maggiore tutela rispetto all’embrione, a scapito dell’equivalenza suddetta.
Ma la difesa non si nega a nessuno, vero avvocato?

Nicaragua: incostituzionalità della legge che vieta l’aborto terapeutico?

El Centro Nicaragüense de Derechos Humanos (CENIDH) prepara hoy la presentación de un recurso de inconstitucionalidad contra la derogación de un artículo del Código Penal que permitía el aborto terapéutico en Nicaragua.
Bayardo Izabá, director ejecutivo del CENIDH, asegura que la prohibición aprobada por el Parlamento el 26 de octubre pasado, y ratificada por el presidente Enrique Bolaños hace cinco días, vulnera al menos 15 artículos constitucionales.
La speranza è che la Corte Suprema di Giustizia dichiari incostituzionale questa legge che vieta l’aborto anche nei casi di pericolo di vita delle donne. Una simile legge viola i diritti umani. E ha barattato un lungo elenco di buone ragioni a favore della interruzione di gravidanza con una vittoria elettorale e con una alleanza cattolica piuttosto utile.
A la propuesta del CENIDH contra la derogación del aborto terapéutico se suma una convocatoria lanzada por el Centro Sí Mujer para protestar el 25 de noviembre próximo, Día Internacional de la No Violencia contra las Mujeres.
Impugnarán prohibición del aborto terapéutico en Nicaragua, Prensa Latina, 22 novembre 2006.

sabato 25 novembre 2006

Il senatore-professore sbaglia ancora

Due giorni dopo aver sostenuto essere cosa notoria che quanti sono favorevoli all’eutanasia lo sarebbero, contemporaneamente, anche all’accanimento terapeutico, il senatore-professore Gaetano Quagliarello sbaglia di nuovo, nuovamente dalle colonne del Giornale. Com’è ormai ampiamente noto, il quotidiano è uscito ieri con il titolo a caratteri di scatola «La Turco vuole l’eutanasia per legge», rivelando con indignazione come il Ministro della Sanità avesse firmato una proposta di legge per l’introduzione dell’eutanasia in Italia. Peccato che la notizia fosse leggermente inesatta: La Turco non aveva firmato nessuna proposta legislativa, non avrebbe potuto farlo (un ministro non può firmare proposte parlamentari), e non avrebbe voluto farlo: come sa o può immaginare chiunque ne conosca appena appena opere e pensieri, è personalmente contraria all’eutanasia. Il Turco firmatario era Maurizio Turco, deputato radicale.

Nonostante questo, il senatore-professore ha scritto un editoriale a commento della bufala («La frontiera di Ippocrate», Il Giornale, 24 novembre 2006, p. 1), in cui mette in guardia, come è suo solito, dal pericolo mortale per la libertà e la democrazia di far decidere agli individui su cose che li riguardano, invece di lasciare che a decidere sia qualcun altro per loro, e accusa la Turco di aver finalmente gettato la maschera.

Caro senatore-professore, sono già alla seconda esortazione in due giorni, ma sono preoccupato per la sua vasta reputazione di uomo dotto e di robusto pensatore, che di questo passo rischia di incrinarsi; mi perdonerà dunque, se oso. Ascolti: fare il senatore-professore è già un impegno duplice e gravosissimo; aggiungerne un terzo, di opinionista, è troppo. Dove troverà il tempo di controllare le fonti, o anche solo di ricordarsi dell’indefettibile cattolicità della Turco? Per non dire del fatto che a mio giudizio – personale ma partecipe delle sue fortune – per lei, senatore-professore, sono troppi anche due impegni. E forse persino di meno.

Accanimento terapeutico verso uno Stato laico

Trovare intese e regole condivise con la Chiesa cattolica sui temi della bioetica. Lo auspica il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una celebrazione al Quirinale in occasione della giornata per la ricerca sul cancro. «Occorre trovare soluzioni ponderate e condivise sulla libertà di ricerca, sui suoi codici, sulle regole e i più complessi temi bioetici», ha detto il capo dello Stato. «Confido che il riconoscimento, anche da parte delle più alte autorità religiose, della conoscenza scientifica e del progresso tecnologico come “autentici valori della cultura del nostro tempo”, consentirà di dare soluzioni ponderate e condivise ai problemi della libertà della ricerca, con il suo codice e le sue regole, e ai più complessi temi bioetici».
Il Quirinale ha poi precisato in una nota che le soluzioni spettano al Parlamento: «La ricerca di soluzioni ponderate e condivise, auspicate dal Presidente Napolitano, può avvenire nella sede propria del Parlamento» si legge nel comunicato.
Bioetica, «servono intese condivise», Il Corriere della Sera, 24 novembre 2006.

Non esistono soluzioni condivise sulla questione dello statuto morale dell’embrione (e dunque: procreazione medicalmente assistita, interruzione volontaria di gravidanza, sperimentazione embrionale) e sulla sacralità della vita (e dunque: decisioni di fine vita, soprattutto nella forma che tanta paura fa agli ipocriti, pardon, ai “prudenti” – l’eutanasia attiva).
Non ci possono essere soluzione condivise quando una delle parti (o tutte?) accoglie tra le premesse valori assoluti e affermazioni apodittiche.
Non ci possono essere soluzioni condivise se qualcuno crede che la tua vita non ti appartenga e che tu non ne possa disporre, condannato a subire un dono meraviglioso.
Ma soprattutto: per quale diavolo di ragione bisognerebbe sforzarsi di cercare una soluzione condivisa con la Chiesa cattolica? In uno Stato laico? In uno Stato che ancora non ha dichiarato di essere confessionale? E poi che cosa né è delle altre chiese? Non meriterebbero anche loro di entrare nel tavolo di discussione?
Ho paura che “confidare nel riconoscimento, anche da parte delle più alte autorità religiose, della conoscenza scientifica e del progresso tecnologico” non sia assolutamente sufficiente. Ma poi perché dovremmo sperare che la ricerca scientifica sia tollerata dalla Chiesa cattolica? Perché? Perché dovremmo chiedere il permesso a uno vestito di bianco?
Spesso sul punto di morte si accettano le tentazioni della credenza nella vita eterna. Che sia sul punto di morte lo Stato italiano? Che stia spirando l’ultimo respiro la laicità? In questo caso, meglio sperare nella vita eterna, perché di eutanasia non se ne parla. Non è una soluzione condivisa.

giovedì 23 novembre 2006

La preghiera è il giusto farmaco

Qualche giorno fa, a Milano, si è svolto un convegno sulla meditazione come medicina per rispondere a domande cruciali come: La fede può favorire la guarigione? Di fronte al dolore, all’impotenza del limite, la preghiera può rappresentare il giusto farmaco? (La preghiera, un farmaco, Avvenire, 17 novembre 2006.)

Fin qui la reazione è un sorriso bonario (mica si può sempre stare a criticare, no? Che facessero i convegni sulle questioni più assurde).
Però il sorriso (bonario e forzato) muta in disappunto e in desolazione leggendo le dichiarazioni di Massimo Cacciari.

Secondo Massimo Cacciari, «se il pensiero rende migliore l’uomo e in fondo lo guarisce, la preghiera non può essere vista in contrapposizione astratta al pensare: infatti, per molti filosofi pensiero e preghiera coincidono. Così è per Filone, per Plotino, per la patristica, la scolastica, per i mistici. Anche dal punto di vista formale non è possibile introdurre una separazione tra pensiero e preghiera, se non nel nesso teoretico». Prosegue Cacciari: «Quando Kant parlava di “abisso della ragione”, denunciava il limite entro il quale la filosofia non ha più risposte. Questo limite è la scoperta che la percezione dell’esistenza delle cose è essa stessa un limite alla conoscenza. È di fronte a questo “bonum” che l’analisi e la dialettica cedono ed emerge qualcos’“altro”. Questo “altro” ha la forza della preghiera o almeno è quello che comunemente chiamiamo “preghiera”».
Nutro l’ingenua e poco diffusa idea (in Italia) che la filosofia possa tornare utile per chiarire termini e concetti. E che sia autonoma rispetto alla religione e, soprattutto, che eserciti una critica razionale nei confronti del pensiero religioso.
Fatta questa premessa, (mi) chiedo: che cosa esattamente sarebbe la contrapposizione astratta? Forse una contrapposizione alla contrapposizione sostanziale? Magari è una imprecisione del giornalista.
Ma andiamo avanti: tutti i filosofi citati da Cacciari a dimostrazione dell’idillio tra pensiero e preghiera sono, come dire, vecchiotti. Non solo nati vissuti e morti prima di Darwin, ma anche prima di Copernico. Filosofi dell’era glaciale, insomma. Gente che non si è sporcata le mani con la scienza, per carità (ecco, anche io ho quasi pregato).
Quanto alla impossibilità di distinguere tra pensiero e preghiera, se non nel nesso teoretico (ma che sarà, poi, ’sto nesso teoretico?), l’affermazione è o inutile o assurda. Inutile se significa che pensiamo e preghiamo con lo stesso strumento e la distinzione è nell’oggetto. Assurda se l’identità formale strizza l’occhio ad altro (non si può non avere la tentazione di aggiungere alla lista le allucinazioni, i sogni, le visioni).
Quanto al qualcos’altro che avrebbe la forza della preghiera è davvero angosciante che non ci sia nessuna altra buona idea. Possibile che varcato il limite della conoscenza, sbattuto il muso contro l’assenza di risposte, ci si ritrovi con un rosario in mano?
Non basta aggiungere: o almeno è quello che comunemente chiamiamo “preghiera”. Non basta.

E, per usare le parole di Gianfranco Ravasi:
La preghiera, dunque, è di tutto l’uomo, di tutti gli uomini: filosofi e religiosi, sani e malati, credenti e non credenti, agnostici e atei convinti. Ravasi: «Anche la bestemmia, come conferma il libro di Giobbe, è una forma di preghiera. Esprime un’istanza metafisica, tipica della preghiera degli atei, nel limite e nella solitudine: è una forma di superamento del limite imposta dall’impotenza che l’uomo avverte per sé».
Andate in pace.

PS
Se vi viene mal di testa, 4 avemaria dovrebbero fare al caso vostro.
Mal di pancia: 3 padrenostro e una preghierina a un morto di famiglia.
Non esitate a scriverci per avere risposte caso per caso. PrayerDrug® risponderà.

La famiglia Griffin


Non sono nemmeno loro una buona rappresentazione della rassicurante (?) e perbene famiglia normale, e quindi anche per loro una condanna.
Pecunaria, ma pur sempre condanna: 25mila euro di multa ai danni di Italia1. Le motivazioni dell’Agcom sono: turpiloquio e volgarità (Parolacce nei cartoni, punita Italia 1, Il Corriere della Sera, 23 novembre 2006).
Ci vuole rigore e buon gusto!
E per tutto il restante palinsesto la multa a quanto ammonta? 25milamilioni di euro?
Forse sarebbe una buona soluzione per colmare il debito pubblico...

La versione originale della sgangherata e irriverente famiglia: Family Guy.

Sciopero della fame

L’Associazione Luca Coscioni chiede tramite una iniziativa non violenta di sciopero della fame aperta ai cittadini che lo vorranno e rivolta al Presidente della Consiglio, ai rappresentanti istituzionali ed anche agli esponenti della comunità scientifica e del mondo medico:

1. che il Presidente del Consiglio proceda finalmente alla nomina del nuovo Comitato Nazionale di Bioetica, come previsto dalla normativa italiana e da impegni internazionali assunti dal nostro Paese. Il precedente Comitato è scaduto infatti oltre 5 mesi fa, nel giugno 2006;

2. che arrivino risposte concrete alla domanda drammaticamente urgente posta dallo stesso Welby il 22 ottobre, quando scrisse: È mia ferma decisione rinunciare alla ventilazione polmonare assistita. Staccare la spina mi porterebbe ad una agonia lunga e dolorosa. Anche una sedazione protratta nel tempo non mi garantirebbe una morte immediata senza dolore. Chiedo: è possibile che mi sia somministrata una sedazione terminale che mi permetta di poter staccare la spina senza dover soffrire?. Non avendo finora trovato nessuno disposto a dare risposta pratica, lo stesso Welby ha comunicato l’inevitabilità di una azione di disobbedienza civile, non senza aver chiesto ad alcune tra le massime cariche costituzionali di indicargli un’alternativa che non sia quella della clandestinità.

In entrambi i casi, ciò che si chiede è il rispetto della legalità – sia sul piano delle leggi dello Stato e dei principi costituzionali che su quello della deontologia professionale del medico – per l’affermazione del diritto ad una vita dignitosa, tanto per le persone quanto per le istituzioni malate del nostro Paese.

Cnb/Eutanasia: Cappato “da mercoledì sciopero della fame per risposte su Welby e Comitato Nazionale Bioetica”.
Per aderire al digiuno.

Avviso ai digiunanti: lo sciopero della fame consiste – nella prassi radicale – nell’assunzione di tre cappuccini o tre spremute d’arancia al giorno a sostituzione dei pasti (si consiglia di bere acqua in quantità). Se si assumono farmaci si consiglia di consultare il proprio medico prima di iniziare il digiuno.

La morte e il senatore-professore

Massimo Adinolfi dedica oggi un post eccellente a un articolo di Gaetano Quagliarello sull’eutanasia («I comunisti non mangiano più i bambini, ma i vecchietti», Azioneparallela, 23 novembre 2006; l’articolo commentato è «Eutanasia. L’ideologia della morte», Il Giornale, 22 novembre, pp. 1.39):

Molto si discute di eutanasia. Ma nessuno era ancora arrivato a sospettare che […] il problema fosse il comunismo […] l’illustre senatore Gaetano Quagliariello, tra le tante cose che avrebbe potuto dire, sceglie di dedicare la sua verve intellettuale prima ai tempi di discussione (perché diavolo stanno tutti lì a parlarne, perché questa urgenza di legiferare? Meglio sopire, meglio tacere) poi a quel “residuo culturale” di “mentalità comunista”, “che vorrebbe imporci oggi felicità per altra via: se non possiamo esser felici perché tutti uguali, quanto meno cerchiamo di esserlo mettendo nelle mani dell’individuo [lo vedete il comunismo?] il diritto di agire senza limiti sull’origine e sulla fine della vita”.
Per parte mia, aggiungo un esempio prezioso di ciò che passa per la mente del senatore-professore (già consigliere – apprendo solo ora – per gli Affari Culturali del precedente Presidente del Senato della Repubblica: adesso capisco meglio certi exploit...):
Si sta edificando sotto i nostri occhi una nuova «presunzione fatale» non meno pericolosa di quella che è stata sconfitta nel 1989, perché proietta la stessa esigenza di onnipotenza a un livello, se è possibile, ancora più alto. Per questo, quanti lavorano all’intrapresa, non avvertono come contraddizione dirsi favorevoli, contemporaneamente, all’accanimento terapeutico e all’eutanasia. Entrambe queste pratiche auspicano, in un certo senso, l’abolizione della morte come fenomeno naturale.
Mi permetto di suggerire una spiegazione alternativa a Gaetano Quagliarello: «quanti lavorano all’intrapresa» non avvertono la contraddizione, perché nessuno di loro è favorevole all’accanimento terapeutico. Ci pensi, caro senatore-professore, compulsi gli archivi: oserei dire che finirà per darmi ragione.

mercoledì 22 novembre 2006

Se non fosse triste sarebbe comico

Il polverone sollevato dalla fiction Il padre delle spose (Banfi, fiction su amore gay: polemica, Tgcom, 22 novembre 2006).

Riccardo Pedrizzi: Nell’epoca del governo Zapaprodi era scontato che anche la tv di Stato si trasformasse in Zaparai.

Luca Volontè: Grillini si rassegni: la Rai deve pensare a offrire servizio pubblico, non a dedicare un canale digitale alla comunità gay italiana.

Isabella Bertolini: È vergognoso, ma purtroppo fa parte di un preciso disegno della propaganda laicista di chi oggi governa il Paese, proporre l’apertura di un canale pubblico digitale Rai dedicato alla comunità gay.

Roberto Cota: Discriminazione al contrario.

Luca Borgomeo: È davvero sorprendente che Raiuno decida di trasmettere in prima serata una fiction dove l’amore lesbico tra due donne viene presentato come la cosa più naturale del mondo.
Davvero è così tanto importante con chi uno va a letto? Zaparai?? Discriminazione? Ma soprattutto: come al solito nessuno si prende la briga di sprecare qualche parola per giustificare la condanna di un amore omosessuale. Cosa ci sarebbe di tanto orrendo? E perché?

Qui il commento del Circolo Mario Mieli: Bella fiction, ma...

Una buona lettura mattutina

Chi ama la vita si interroga sul suo significato e quindi anche sul senso della morte e di come affrontarla, sapendo però che il diritto alla vita non gli dà il diritto a decidere quando e come mettervi fine. Amandola, combatte il dolore, la sofferenza e il degrado – nemici della vita – con tutto il suo ingegno e il contributo della scienza. Ma non cade nel diabolico inganno di pensare di poter disporre della vita fino a chiedere che si possa legittimarne l’interruzione con l’eutanasia, magari mascherandola con un velo di umana pietà. Né si accanirà con terapie ingiustificate e sproporzionate. Nei momenti estremi della sofferenza si ha il diritto di avere la solidale vicinanza di quanti amano davvero la vita e se ne prendono cura, non di chi pensa di servire le persone procurando loro la morte.
Chi ama la vita, infatti, non la toglie ma la dona, non se ne appropria ma la mette a servizio degli altri. Amare la vita significa anche non negarla ad alcuno, neppure al più piccolo e indifeso nascituro, tanto meno quando presenta gravi disabilità. Nulla è più disumano della selezioni eugenetica che in forme dirette e indirette viene sempre più evocata e, a volte, praticata. Nessuna vita umana, fosse anche alla sua prima scintilla, può essere ritenuta di minor valore o disponibile per la ricerca scientifica. Il desiderio di un figlio non da diritto ad averlo ad ogni costo. Un bambino può essere concepito da una donna nel proprio grembo, ma può anche essere adottato o accolto in affidamento: e sarà un’altra nascita, ugualmente prodigiosa.
Messaggio per la 29a Giornata per la vita - 4 febbraio 2007, AMARE E DESIDERARE LA VITA, Consiglio Episcopale Permanente.