mercoledì 31 gennaio 2007

Mara e Pera

«Qui non si tratta di discriminare, si tratta di proibire»: la considerazione di Mara Carfagna non è sua (anche se indubbiamente suona come sua...), ma è presa da un articolo del più illustre senatore Marcello Pera, pubblicato appena ieri («Ma proibire non è discriminare», Libero, 30 gennaio 2007, p. 1):

Se un uomo e una donna possono unirsi di fatto e avere certi diritti, perché gli stessi diritti non dovrebbero spettare se a unirsi sono due uomini o due donne? Vogliamo forse discriminare gli individui rispetto alle tendenze sessuali?
La risposta è: no, non vogliamo discriminare, vogliamo proibire. E proibire è diverso da discriminare. Ad esempio, impedire ad un omosessuale di avere un lavoro, farsi un’istruzione, prestare servizio militare, è discriminare, ed è illecito (moralmente prima che giuridicamente).
Ma vietare ad un omosessuale di sposarsi con un altro omosessuale (o, il che è lo stesso, unirsi a lui con gli stessi diritti del matrimonio o quasi) non è discriminare, bensì proibire. Allo stesso modo non si discrimina, ma si proibisce, se si vieta a chiunque di sposarsi con certi consanguinei o gli si proibisce (come, almeno per ora, è proibito) di unirsi in matrimonio con più di una persona (poligamia).
Dunque nessuno intende togliere diritti individuali agli omosessuali, anzi, se ci sono alcuni diritti individuali di cui non godono è giusto che gli siano riconosciuti. Ma, appunto, devono essere diritti autenticamente individuali, non diritti derivati dalla condizione matrimoniale, perché, se tali fossero, cadrebbero sotto la proibizione del matrimonio.
Ho riportato il ragionamento nella sua interezza, eppure qualcosa sembra mancare: perché, infatti, la proibizione agli omosessuali di sposarsi non costituirebbe una discriminazione? Pera, misteriosamente, sembra pensare che basti proclamare che l’intento è di proibire e non di discriminare; eppure non basta. Forse Pera crede che una proibizione non può mai anche essere una discriminazione? Sarebbe sorprendente se lo pensasse: se io emano un decreto che proibisce agli omosessuali di lavorare nella pubblica amministrazione, li sto certamente discriminando, come ammette implicitamente lo stesso ex presidente del Senato. O forse ogni proibizione che esula dal diritto più strettamente individuale – soprattutto se ha che fare con i rapporti di coppia – non può mai essere discriminatoria? Non so Pera, ma io personalmente non saprei come altro definire, se non discriminatoria, la proibizione per esempio di sposare persone appartenenti «ad altra razza» contenuta nella legge 1728, 17 novembre 1938, art. 1. Forse, infine, Pera è convinto che la ragione per cui si deve parlare solo di proibizione e non anche di discriminazione è troppo evidente perché valga la pena di riportarla; purtroppo però questa ragione, per un motivo o per l’altro, non viene mai espressa. Si afferma spesso, è vero, che il matrimonio eterosessuale sarebbe ordinato allo scopo di provvedere un ambiente adatto ai figli; solo che anche a coppie sicuramente sterili (per esempio molto anziane, che non possono neanche più adottare) viene concesso di sposarsi, senza che nessuno abbia nulla da ridire, e anzi con la forte approvazione dell’ambiente sociale a cui gli sposi appartengono. Di fronte a questa obiezione le bocche si cuciono, lasciando la sgradevolissima impressione che proibire il matrimonio agli omosessuali costituisca per l’appunto quello che a parole tutti negano: una pura e semplice discriminazione.

Sì, manca qualcosa al discorso di Marcello Pera. E forse manca qualcosa a Pera stesso: la stessa cosa che manca anche a Mara Carfagna. La Carfagna riesce a compensare con altre qualità; Pera no.

Il Quaderno di Scienza e Vita: “Né accanimento, né eutanasia” 1

Scienza e Vita ha pubblicato nel novembre 2006 il primo quaderno (ce ne aspettiamo altri dal momento che la sezione di intitola “Quaderni”) sull’eutanasia dal titolo Né accanimento, né eutanasia (hanno sbagliato l’accento sul web, ma pazienza; sul pdf è corretto). È scaricabile il Pdf per chi volesse approfondire.
Io ne riporterò qualche passaggio, quando mi andrà e quando mi ricorderò. Per bilanciare il contenuto sceglierò foto non pertinenti, ma mi auguro in grado di offrire sostegno a quanti si inoltreranno nella lettura.
Dall’introduzione di Lucetta Scaraffia (pp. 7-9) si capisce che aria tira (già lo si sarebbe potuto intuire dalla provenienza del Quaderno, ma che l’analisi dei testi costituisca l’ultima parola!).
Scaraffia gonfia il petto e si abbandona a dichiarazioni d’effetto, ma spesso vacillanti. Come quando ammonisce:

sta facendosi largo una ideologia tesa sottrarre la morte alla sua “naturalità”
dimenticando di soffermarsi sulla difficoltà di definire “naturalità” (ma nemmeno ci prova) e sulla altrettanto sbavata distinzione tra naturalità e innaturalità (o artificialità). Il solito e solido argomento che identifica “naturale” con “moralmente buono” oppone molta resistenza alla resa. “Questo è naturale” – tuonano in molti intendendo dire che “questo” sia moralmente ineccepibile, ma non disdegnano di circondarsi degli aggeggi più innaturali, dal frullatore al televisore, trangugiano felici medicine innaturali e si spostano su veicoli innaturali. Quando si tratta di morte, però, la natura diventa la chiave per distinguere le scelte o le azioni immorali da quelle morali. Peccato che a prenderli sul serio molte delle persone che sollevano oggi il dilemma sull’eutanasia sarebbero morte anni fa, senza l’intervento del diabolico artificio.
Scaraffia poi se la prende con la tracotanza umana e ammonisce:
Il riconoscimento del diritto di eutanasia fa parte infatti di quella corrente ideologica che si sta affermando nella modernità secolarizzata e che vuole trasformar l’essere umano da creatura a creatore, e controllare sia il momento e le modalità della nascita sia quelli della morte.
Creatura di chi?
E in sottofondo: l’inviolabilità e la sacralità della vita umana, anche contro la volontà del diretto interessato. “Tu sei creatura – direbbe Scaraffia – non puoi pretendere di prendere decisioni autonome, chiedi al creatore”. Un po’ come un robot creato dall’uomo a sua immagine e somiglianza (mi ricorda qualcosa...). Mai sentito parlare delle 3 leggi della robotica?
E infine si conclude con l’argomento più in voga, perché fa pure storico attento e informato, e ovviamente testimonia di essere dalla parte giusta, quella contro il nazismo. Che è senza dubbio la parte giusta, ma non somiglia per niente alla parte che rifiuta la possibilità di ricorrere all’eutanasia esercitando alla propria volontà. Non somiglia alla parte che confonde la libertà con un elenco di indegni da eliminare compilato dallo Stato o da chissà chi.
Decidere che è meglio, per un essere umano, morire invece di continuare a vivere, sottende una questione – quella della “vita indegna di essere vissuta” – che si sperava chiusa per sempre con la caduta del nazismo.
Decidere che è meglio morire: può deciderlo soltanto la creatura sulla propria vita. Questo dovrebbe bastare a tracciare una differenza profonda con il nazismo. O no?

Precisazioni

Da «Gli italiani non vogliono questi finti matrimoni», Il Giornale, 31 gennaio 2007:

(Domanda): Passiamo agli omosessuali. Hanno torto a sentirsi discriminati?

(Risposta): «Guardi, io sono contraria a qualsiasi forma di discriminazione. Ma qui non si tratta di discriminare, si tratta di proibire. La tutela giuridica che deriva dal matrimonio trova fondamento nella tutela del nascituro, delle generazioni future. E invece su questo c’è troppa confusione in giro, soprattutto nel governo e nella maggioranza. Mettere sullo stesso piano il matrimonio con le unioni omosessuali non è solo un errore, è anche un rischio. È il primo passo verso l’adozione per le coppie omosessuali. Provvedimenti di questo genere rischiano di stravolgere il Paese».
(Il corsivo è mio.)
Il cervello non è decisamente la sua parte anatomica migliore.

Luca Volontè a Radio Vaticana (sui Pacs)

Stralci da In Italia si intensifica il confronto politico sulle coppie di fatto, Radio Vaticana, 30 gennaio 2007:

... discutere sulla moda di un retrodatato sessantottismo di maniera dei Pacs mi sembra fuori dal mondo...

... la cosa più allarmante, oltre a questo, è che non ci si renda conto di come introdurre una forma di diritti privilegiati per i convivenzti porterà ad una sostanziale equiparazione...

... il 90% dei giovani desidera sposarsi...

martedì 30 gennaio 2007

Un beeel vestito...

Più che una bozza è una gentile presa per il culo (Sì a pensioni e assegni. Ma niente adozioni, Il Corriere della Sera, 29 gennaio 2007) il tira e molla tra Bindi e Pollastrini, e amici, sul disegno di legge a proposito delle coppie di fatto.
Con il solito costume del mantenere intatta la forma e rosicchiare la sostanza, la bozza sembra un vestito di carnevale appoggiato alla spalliera di una sedia. Dentro, nessuno. Chi lo indossava se n’è andato. Troppo stretto? Troppo largo? Troppo corto? Troppo lungo? Chi ricorda la meravigliosa pubblicità anni ’70 di CEM, CEM, CEM... Centro Europeo per la Moda?
La soluzione al disegno di legge (troppo stretto, troppo corto) quale potrebbe essere?
Ecco i punti più indecenti.

6. Figli e adozioni
Su questa materia i certificati ad hoc non aggiungono alcun diritto ai diritti già esistenti. Non sarà quindi possibile l’adozione per le coppie di fatto.
E che vi permetto di adottare? Fossi matta.
7. Successione e assegni familiari
Questo è ancora uno dei punti in sospeso (sono in tutto sette-otto) del disegno di legge del governo. I due ministri Pollastrini e Bindi sono d’accordo nel merito, ma ancora non riescono a mettersi d’accordo sui tempi. Barbara Pollastrini vorrebbe che in una coppia di fatto venisse riconosciuto il diritto alla successione e anche agli assegni familiari dopo minimo cinque anni di convivenza. Rosy Bindi sta spingendo perché questo limite venga portato a dieci, se non addirittura a quindici anni.
5, 10, 15? Si gioca al rialzo? Mi dispiace, caro convivente, ma non puoi assolutamente morire prima di 5, 10 o 15 anni altrimenti mi lasci sul lastrico! Non sarebbe più onesto dire “niente da fare per successione e assegni familiari”? Almeno uno potrebbe regolarsi di conseguenza.
8. Reversibilità della pensione
Anche la reversibilità della pensione rimane un punto aperto e controverso nel dibattito tra i due ministri incaricati dal governo di stendere questo disegno di legge. E anche in questo caso i due ministri sono d’accordo nell’introdurre il diritto di reversibilità della pensione in una coppia di fatto, etero o omosessuale, dopo un certo numero di anni di convivenza. Per Barbara Pollastrini ne basterebbero cinque. Per Rosy Bindi almeno dieci, se non quindici.
Vedi sopra. Se muori prima sei fottuto. Meglio farsi una assicurazione privata... Oppure sposarsi, e chi non può si arrangia.
9. Decisione su temi etici
Anche questo diritto appartiene alla categoria dei diritti sui quali Pollastrini e Bindi stanno ancora discutendo, visto che è uno di quei temi in grado di creare possibili conflitti esterni all’unione di fatto. Stiamo parlando di un diritto che è già previsto per le coppie sposate, ovvero la possibilità di designare il convivente come fiduciario per alcune decisioni eticamente sensibili, come il testamento biologico, il trapianto di organi, la loro donazione.
Mi sono cucita la bocca.

Intervista ad Alessandro Zan sui Pacs

L’anagrafe comunale di Padova rilascerà tra pochi giorni i primi certificati di riconoscimento anagrafico di «famiglia fondata su vincoli affettivi».
Il percorso per arrivare a questo riconoscimento rivoluzionario è molto interessante.
Promossa da Alessandro Zan, consigliere comunale DS, la mozione ha fatto leva su un regolamento attuativo del 1989 – a firma di Francesco Cossiga, allora capo dello Stato, e di Giulio Andreotti, allora capo del Governo – di una legge apparentemente innocua e democristiana, la 1228 del 24 dicembre 1954, intitolata «Ordinamento anagrafico della popolazione residente».

Cosa è successo a Padova?
Il provvedimento di Padova è stato preso nell’ambito delle competenze comunali; non è una legge di Stato. Soltanto il Parlamento potrebbe attuare un istituto giuridico tutelativo.
Come provvedimento comunale abbiamo voluto riconoscere l’esistenza delle coppie di fatto, attraverso una attestazione che potesse valere per tutti i cosiddetti statuti giuridici e che non c’è per la convivenza su base affettiva.
Il proponimento della delibera, frutto di un faticoso lavoro di mediazione, è quello di affermare e di ottenere la possibilità di un riconoscimento formale di una esistenza comune e della dignità di questa esistenza comune, sia omosessuale che eterosessuale.

Padova ha già i primi certificati?
La delibera è esecutiva dalla fine di dicembre (è stata approvata il 4 dicembre): gli uffici stanno predisponendo i documenti e in un paio di settimane ci dovrebbe essere la possibilità di rilasciare il primi certificati.
Il certificato sarà compilato dai due conviventi – già prima l’anagrafe riconosceva lo status di convivenza, ma i conviventi non potevano avere un pezzo di carta che lo attestasse e che potesse essere utilizzato all’esterno per dimostrare la convivenza ufficialmente. Una situazione da mondo incivile, apprezzata dagli incivili e dai clericali.
Gli usi del certificato sono numerosi. Si pensi ai congedi parentali (la Legge 53 del 2000) o alla possibilità di usare alcuni giorni lavorativi per assistere il proprio compagno per problemi di salute. Alle decisioni sanitarie in condizioni di emergenza da prendere al posto del proprio compagno che in quel momento non può esprimere un parere.
Ancora: il Codice Penale consente al coniuge di un indagato di non testimoniare; questa possibilità deve essere garantita anche ai conviventi.
Nel caso delle adozioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato che nel conteggio dei 3 anni necessari per fare domanda valgono anche gli anni di convivenza prima del matrimonio. Come dimostrare gli anni di convivenza per il conteggio complessivo?

Qual è il primo argomento assurdo contro i Pacs che ti viene in mente (tra i tanti)?
Che distruggono la famiglia. È una sciocchezza sia culturale che fattuale. Oggi ci sono meno matrimoni e più convivenze di un tempo. Aumentano i matrimoni civili. Anche in assenza dei Pacs, molte persone hanno già scelto. Non si può imputare a qualcosa che non c’è la responsabilità della distruzione della famiglia tradizionale o la sua detronizzazione dalla condizione di realtà maggioritaria.
Tutte queste persone che hanno scelto una strada diversa dal matrimonio rimangono scoperte su alcune garanzie fondamentali. È giusto offrire loro sicurezza e tutela.
Per smentire la condanna dei Pacs come “rovinafamiglia” è utile fare l’esempio della Francia, in cui i Pacs esistono dal 1999: i matrimoni sono in aumento. Questo dimostra che in presenza della possibilità di scelta tra varie opzioni, senza attribuire loro un significato religioso o assoluto, le persone scelgono più consapevolmente. E in maniera diversa a seconda delle preferenze.
Introdurre un altro istituto giuridico non allontana di per sé da quello precedente.

Non è anche una forma di sfiducia verso il matrimonio questo timore verso i Pacs? Inoltre, affermare la libertà di scegliere tra diverse opzioni non significa svalutarne una a scapito di un’altra; e soprattutto non significa imporre agli altri una propria scelta personale. La libertà lascia alle persone la possibilità di scegliere.
E se il matrimonio fosse davvero giudicato come l’unica forma “vera” di convivenza, non dovrebbe spaventare l’istituzione di una forma alternativa: il matrimonio rimarrebbe la scelta migliore e preferibile.
Io credo che i Pacs rappresentino una forma alternativa legittima e che non arreca danno a nessuno; di conseguenza deve essere tutelata dal legislatore in quanto realtà esistente.

Qual è stato l’ostacolo politico più difficile?
Il fatto che la classe politica escluda i giovani; che sia pavida. Sembra avere paura della propria ombra. Ha una ingiustificabile terrore di perdere l’elettorato cattolico sostenendo l’istituzione dei Pacs, e dimentica che molti sondaggi dimostrano che i cattolici sono disponibili e aperti verso i cambiamenti sociali e che il loro giudizio e le loro scelte sono autonomi rispetto ai diktat della Chiesa.

Quali sono le ragioni del tuo strappo rispetto ai DS?
Non ho ancora preso la decisione di lasciare il partito. Sono convinto che questa sinistra abbia preso una via pericolosa, perché sta abdicando a molti degli ideali tipici della socialdemocrazia, dalla laicità dello Stato alle battaglie sui diritti civili.
È come se l’obiettivo prioritario sia di arrivare ad un accordo sul contenitore (il Partito Democratico) anche al prezzo di rinunciare alla discussione sui temi che dividono e che causano fratture negli schieramenti. È inaccettabile che in tema di diritti avvenga una mediazione al ribasso, si sta giocando sulla pelle della gente. Io ho sempre considerato il partito politico come uno strumento e non come il fine. Se il fine viene mortificato e misconosciuto, lo strumento diventa inadatto. Sono queste le ragioni che mi hanno spinto a valutare la possibilità di lasciare il partito.

Non credi che la posizione “alla Fassino” sia anche diseducativa? Un politico non dovrebbe favorire la laicità delle istituzioni?
Sono convinto che intervenire a gamba tesa con un giudizio tranciante su temi che richiedono cautela sia irresponsabile e controproducente. È necessario un confronto sereno e sgombro da pregiudizi; fare terrorismo è disastroso e inutile. Il giudizio di Fassino sulle adozioni è stato un atto politico imprudente e gratuito. Purtroppo è faticoso arginare le conseguenze dannose. Una volta dette simili parole, la frittata è fatta.
Difficile tornare sui propri passi, e come leader del socialismo europeo è un autogol clamoroso, oltre che diseducativo regala una immagine pessima della sinistra italiana.
Avrebbe dovuto dire: sul tema delle adozioni per gli omosessuali non si può parlare per slogan, bisogna evitare considerazioni affrettate e cercare argomentazioni valide, professionalità e cautela.
Oltre ad essere state irresponsabili e diseducative, le parole di Fassino sono state offensive.

Cosa pensi succederà sul fronte nazionale?
Spero che il dibattito si affronti in Parlamento attorno a una proposta che trovi la convergenza più trasversale possibile, ma che sia una mediazione verso l’altro. Che non sacrifichi il senso della richiesta dei Pacs.
Spero che non ci siano forzature per accontentare i conservatori o i rappresentati della Margherita, perché in questo caso ci sarebbe un compromesso al ribasso che svuoterebbe di significato una legge sui patti civili di solidarietà. Mi auguro che il Parlamento discuta per arrivare ad una legge che soddisfi i bisogni e che non sia gravata dalle ideologie.
Io continuerò a usare la mia voce per raggiungere questo risultato.

(L’intervista sarà pubblicata su Agenda Coscioni di febbraio)

Napolitano e il papa

No, meglio che non parlo. Lascio la parola ad Aioros, e a uno dei suoi impareggiabili interventi: «Dialogo», L’altro blog era più bello, 30 gennaio 2007.

lunedì 29 gennaio 2007

Perché il matrimonio (quello tradizionale) è superiore ai Pacs

Dopo mesi che me la prendo con quelli che condannano i Pacs ho avuto una illuminazione. Ho capito all’improvviso le ragioni per cui i Pacs non vanno bene.
Provate a immaginarvi in una cena con persone che in parte non conoscete.

Prima scena (interno, notte): ci si avvicina scrutandosi.
Seconda scena (interno, notte): ci si scambiano sguardi sempre più ravvicinati timidi o curiosi.
Terza scena (interno, notte): (gli invitati si tendono le mani)
“Ti presento mia moglie Caterina”.
“Molto piacere, Federica. Lui è mio marito Mario”.
“Molto lieto. E loro sono i coniugi Arnone”.

Provate a ripetere le medesime scene in assenza del sacro vincolo del matrimonio.

Prima scena (interno, notte): ci si avvicina scrutandosi.
Seconda scena (interno, notte): ci si scambiano sguardi sempre più ravvicinati timidi o curiosi.
Terza scena (interno, notte): (gli invitati si tendono le mani)
“Ti presento la mia donna, cioè convivente – con tanto di Pacs, eh! – insomma questa è Caterina”.
“Molto piacere, Federica. Lui è il mio... compagno, il mio equivalente di marito, Mario”.
“Molto lieto. E loro sono i pacsati Arnone”.

Non va bene. È peggio di quando bisogna definire il proprio fidanzato perché non puoi o non vuoi limitarti a usare il suo nome proprio e devi scegliere tra alternative insoddisfacenti: moroso, partner, ragazzo, uomo, promesso sposo (ci risiamo), amante (è ambiguo), amico (strizzando l’occhio), ganzo, innamorato.
Il matrimonio dissolve questo imbarazzo. Marito e moglie. Semplice. Efficace. Esteticamente appagante. Aggraziato.

Un anno di Bioetica

Bioetica compie un anno. Mille post (il millesimo lo abbiamo postato giusto la settimana scorsa), 43.000 visite, terzo posto su 2.350.000 pagine elencate da Google per «bioetica»: non male, per un blog specializzato. E molti nuovi amici, conosciuti nelle pagine dei commenti. Grazie a tutti!

11 febbraio 2007: referendum sull’aborto in Portogallo

Portogallo, migliaia in strada contro l’aborto, EuroNews, 29 Gennaio 2007:

Una “marcia per la vita” si è svolta a Lisbona. Più di 8 mila persone sono partite dalla Maternità del più grande ospedale portoghese e per due ore e mezzo hanno sfilato per le vie della capitale gridando slogan e brandendo striscioni contro l’aborto. Presenti anche delegazioni straniere, giunte da Francia, Spagna e Italia. È entrata dunque nella fase finale la campagna per il referendum dell’11 febbraio, quando i portoghesi saranno chiamati a dire sì o no alla legge che liberalizza l’aborto nelle prime 10 settimane di gravidanza.
Per il cattolico Portogallo l’aborto è un tema scottante. Fino al 1984 le donne che interrompevano volontariamente la gravidanza erano punibili fino a 8 anni di carcere.
Il Portogallo è oggi uno dei pochi Paesi dell’Unione europea che ancora proibiscono l’aborto nelle prime dieci settimane. È possibile soltanto in circostanze eccezionali (fino alla 12ª settimana di gravidanza in caso di rischio di vita o salute mentale della donna e fino alla 24ª settimana in caso di violenza o malformazione del feto). La liberalizzazione dell’aborto era già stata approvata dal Parlamento nel 1998, ma solo per un voto. E un primo referendum è stato boicottato dalla maggioranza degli elettori: il 70% dei cittadini non andò a votare.

Non mancano le polemiche e le ingerenze della Chiesa (La chiesa portoghese interviene nella campagna referendaria sull’aborto, EuroNews, 14 gennaio 2007):
Questo fine settimana è scesa in campo la chiesa cattolica con un pellegrinaggio al santuario di Fatima. Durante l’omelia di sabato il vescovo Antonio Marto ha definito l’aborto “una piaga sociale” che “riduce la vita umana a un prodotto biologico”.
Il primo ministro socialista Jose Socrates ha dichiarato: “Sono favorevole perché sono contro l’aborto clandestino, impossibile con la nuova legge, e perché voglio una normativa che non preveda il carcere come soluzione, perché la prigione non risolve ma aggrava il problema”. (Secondo una stima approssimativa ogni anno circa 10.000 donne si presentano negli ospedali pubblici per complicazioni provocate da aborti illegali e quasi tutte sono d’una classe sociale medio-bassa, perché chi può va nelle cliniche inglesi, olandesi o spagnole.)

Se gli elettori sosterranno il “Sì” il cambiamento sarà notevole. L’interruzione di gravidanza sarà possibile su richiesta della donna, per la sua «integrità morale, dignità sociale o maternità consapevole», spostando la prospettiva dalla parte della donna e cercando di porre rimedio all’oscenità degli aborti clandestini.

Le redini di Fetone

Kerry Emanuel, professore di Meteorologia al MIT, dedica un lungo articolo a una spiegazione chiara e impeccabile del problema del mutamento climatico («Phaeton’s Reins», Boston Review, gennaio-febbraio 2007). Il riscaldamento globale è una realtà, e la sua origine antropogenica è sul punto di diventare un dato acquisito (come illustra in modo pregnante il grafico qui sopra); l’incertezza riguarda soltanto le conseguenze economiche e sociali sull’ambiente umano.
Non banali le considerazioni politiche di Emanuel, alla fine dell’articolo:

Especially in the United States, the political debate about global climate change became polarized along the conservative-liberal axis some decades ago. Although we take this for granted now, it is not entirely obvious why the chips fell the way they did. One can easily imagine conservatives embracing the notion of climate change in support of actions they might like to see anyway. Conservatives have usually been strong supporters of nuclear power, and few can be happy about our current dependence on foreign oil. The United States is renowned for its technological innovation and should be at an advantage in making money from any global sea change in energy-producing technology: consider the prospect of selling new means of powering vehicles and electrical generation to China’s rapidly expanding economy. But none of this has happened.
Paradoxes abound on the political left as well. A meaningful reduction in greenhouse-gas emissions will require a shift in the means of producing energy, as well as conservation measures. But such alternatives as nuclear and wind power are viewed with deep ambivalence by the left. Senator Kennedy, by most measures our most liberal senator, is strongly opposed to a project to develop wind energy near his home in Hyannis, and environmentalists have only just begun to rethink their visceral opposition to nuclear power. Had it not been for green opposition, the United States today might derive most of its electricity from nuclear power, as does France; thus the environmentalists must accept a large measure of responsibility for today’s most critical environmental problem.
Da leggere con tutta l’attenzione possibile; per gli aggiornamenti sullo stato della questione, non si raccomanderà invece mai abbastanza il blog RealClimate.

Non esistono domande stupide (ma risposte forse sì...)

La premessa è molto rassicurante:

Esquire’s Answer Fella believes that there are no stupid questions, just stupid people who don’t ask questions, fearing they’ll look stupid. So ask Answer Fella anything. If he doesn’t know the answer, he’ll find out who does or who has a guess that sounds right.
Esquire, Answer Fella, February 2007, Volume 147, Issue 2.

Passiamo alla prima domanda:
Would a cloned human being have a soul? It wasn’t widely reported, but when Dolly the sheep—the first mammal cloned from an adult cell—died in 2003, she was listening to Barry White’s 1974 smash album Can’t Get Enough and pregnant by a Bolivian alpaca doing a long stretch at Edinburgh’s Royal Zoo for running cocaine. Sure, the vets gave her the lethal injection, but the real cause of death was a broken heart. Now if a freaking cloned sheep had such a vast spirit, you can bet that a cloned human would be imbued with the same immaterial presence that binds us all, even Antonin Scalia, to the Godhead. But don’t just take AF’s word for it. C. Ben Mitchell, director of the Center for Bioethics and Human Dignity, says, “The answer is in the question itself. A cloned human being would in fact be a person and would therefore be ensouled. To be human is to be a person is to be a soul.” This is neither an argument in favor of human cloning nor the final answer to various theological questions about the existence or nature of a human soul, topics best left to mouthbreathing Pentecostals, infallible men in funny hats, and Mitch Albom. It is simply to say, as Arthur Caplan*, chairman of the Department of Medical Ethics at the University of Pennsylvania does, “If humans have souls, then clones will have them, too.”
* Il 17 gennaio in Will Human Clones Have Souls: Esquire asks the question, “would a cloned human being have a soul?” […] which I mention as though I’ve ever heard of it, which I haven’t. The question comes right before another about what it means to call “the badlands” badlands, and in both cases the correct answer is, “shut up.”

Anche la seconda domanda non è male (così la risposta, naturalmente):
Why are South Dakota’s badlands called badlands? Not long ago, I read about a fossil discovery in Ethiopia’s “badlands”—so is it a generic term? Yes and no. South Dakota’s White River Badlands area— including what is now the Badlands National Park—was called mako sica by the Lakota Sioux natives (“land bad” in English; more specifically “land bad to travel across”). To the French fur trappers of the 1800s, it was known as les mauvaises terres à traverser (“no place for frog girlie-men”). Homesteaders have called it the badlands for at least 150 years, basically because of the harsh, barren terrain, lack of water, and generally pissed-off attitude. There are areas called badlands in other states and countries, Ethiopia among them, but according to Scott Southworth, a U.S. Geological Survey research scientist, the term is often misused. “The true definition,” he says, “is an intricately stream dissected topography. It has a very fine density drainage network with a very high density of streams, steep slopes, narrow fluves, little to no vegetation, and nothing really covering up the rock. There’s not much you can do with it other than sit back and go, ‘Wow.’” Wow.
Wow!

E per concludere:
What happens to the bodies of very large animals—you know, elephants and such—when they die at the zoo? According to Brandie Smith, director of conservation and science for the Association of Zoos and Aquariums, a necropsy—an animal autopsy—is performed first, to determine the cause of death and for research. “We can check all kinds of things, like cholesterol levels or measure the size of the heart,” she tells AF. “We use it as an opportunity to learn more about them as a species.” After the necropsy, Smith says, the goal is to use the remains to advance science and education. When an elephant dies, for example, the ivory may go to a classroom, the skull to a museum, and the penis to Tijuana (The penis-to-Tijuana thing is a joke. They actually ship it to Keith Olbermann for his collection). “We try to use any parts of the animal that can help further the species as a whole. The remaining parts are either buried or cremated. A lot of zoos have an onsite facility where they’ll bury the remains, but it usually isn’t marked; you’re not going to go to a zoo and see an elephant-and-rhino graveyard. We don’t humanize them in their death. We bury them and they return back to the earth.” (Wow).
Se avete una domanda su qualsiasi argomento, non temete di sembrare stupidi, tanto sarete surclassati. Mandate i vostri dubbi a: Answer Fella via esquire.com/talk.

(Sembrano le domande e le risposte dei deliranti concorsi di Jay Leno...)

domenica 28 gennaio 2007

Il punto sulle staminali amniotiche

È sembrato, per un po’, che la vicenda delle staminali amniotiche (cellule indifferenziate che si trovano nel fluido in cui galleggia il feto durante la gravidanza, capaci di dare origine a un gran numero di tipi specializzati di cellule normali) dovesse seguire il copione già sperimentato l’anno scorso con la tecnica ideata da Robert Lanza per produrre staminali ‘etiche’. Ricordate? Il ricercatore americano aveva dimostrato come fosse possibile ottenere staminali da una singola cellula, prelevata entro i primissimi giorni dal concepimento senza distruggere l’embrione (come invece si fa attualmente, prelevando l’intera massa di cellule interne dell’embrione circa una settimana dopo il concepimento). All’inizio il plauso era stato generale; ma già dopo pochi giorni Lanza era il bersaglio di attacchi violentissimi. Fondamentalisti protestanti e integralisti cattolici (col consueto sostegno degli atei clericali) si erano infatti subito resi conto che la tecnica avrebbe ulteriormente legittimato la fecondazione in vitro (il prelievo della cellula deve avvenire in provetta), e soprattutto l’odiata (da loro) diagnosi genetica di preimpianto, che ricorre alle medesime modalità di prelievo usate da Lanza, per stabilire se gli embrioni sono affetti da gravi malattie genetiche. Nell’impossibilità di trovare pretesti validi, i fondamentalisti e i loro alleati avevano allora lanciato una campagna denigratoria senza scrupoli, in cui calunniosamente si faceva credere che il ricercatore americano non avesse raggiunto l’obiettivo dichiarato. Grazie all’inettitudine o all’indifferenza di gran parte dei media tradizionali, la menzogna aveva buon gioco a emarginare Lanza, i cui sforzi erano riusciti alla fine, paradossalmente, soltanto a legittimare le fisime ‘etiche’ dei suoi calunniatori.
Come dicevo, è parso per un attimo che con le staminali amniotiche dovessimo rivedere lo stesso copione. All’inizio, entusiasmo generale: ecco finalmente la via ‘etica’ alle staminali! Anche chi il giorno prima affermava convinto che si poteva fare tutto con le staminali adulte (multipotenti, cioè capaci di dare origine a pochi tipi cellulari), si trovava adesso a decantare i vantaggi delle staminali pluripotenti (capaci di originare tutti i tessuti umani, come le normali staminali embrionali e – ma vedi sotto – le nuove staminali amniotiche); e chi si lamentava dell’assenza, finora, dei risultati terapeutici delle embrionali (isolate peraltro solo nel 1998, e sempre gravemente osteggiate dai governi di mezzo mondo), era pronto a scommettere ad occhi chiusi su un risultato ancora in attesa di essere replicato dalla comunità scientifica. Poi, puntuale, il contraccolpo.
Le prime notizie appaiono sulla stampa italiana il 7 gennaio; ma già il 9 gennaio il Corriere della Sera dà conto dei primi ripensamenti (Elvira Serra, «Dalla Binetti alla Caporale, il fronte dei cattolici contrari», p. 11; Cinzia Caporale, arruolata a forza tra le file degli integralisti, si dissocerà il giorno dopo dalla sgradita e sgradevole compagnia in un’intervista a Radio Radicale):

Roberto Colombo, direttore del Laboratorio di biologia molecolare e genetica umana dell’Università Cattolica di Milano, lo sottolinea: «Il prelievo di liquido amniotico è una procedura che non esclude problemi deontologici, etici e medico-legali». E la senatrice della Margherita Paola Binetti chiarisce: «Siamo ancora ben lontani dal generalizzare questo metodo con disinvoltura, c’è moltissima strada da fare. Perché se un ostacolo è stato rimosso, e cioè quello di procurarsi le cellule staminali dall’embrione, comunque ne restano tanti altri».
Eh sì, perché il prelievo del liquido amniotico da cui vengono isolate le cellule staminali si usa anche per stabilire se il feto soffra di malformazioni genetiche come la sindrome di Down: di fatto, lo studio pubblicato afferma che sono stati impiegati campioni di riserva estratti proprio per effettuare amniocentesi, che sarebbero stati altrimenti distrutti (Paolo De Coppi et al., «Isolation of amniotic stem cell lines with potential for therapy», Nature Biotechnology 25, 2007, pp. 100-106, a p. 103). Ma l’amniocentesi viene effettuata nella grande maggioranza dei casi in vista di un possibile aborto terapeutico; come potrebbero i nostri integralisti condonare una simile tecnica, anche se «a fin di bene»? D’altro canto, sarebbe difficile anche ammettere un prelievo effettuato solo a scopo di ricerca: l’amniocentesi comporta un piccolo rischio di aborto spontaneo, e se ci si strappano le vesti perché – per esempio – la donazione di ovociti può provocare in rari casi danni alla salute delle donne, figuriamoci quando è in gioco la salute del feto (il prelievo si effettua tra la 16ª e la 20ª settimana dal concepimento). Sintetizza brutalmente questi umori un articolo di Stefano Lorenzetto sul GiornaleSe rischiare l’aborto diventa “routine”», 13 gennaio, pp. 1-2):
L’utilizzazione di un cucciolo d’orso per girare uno spot di McDonald’s a Bolzano ha provocato l’indignata reazione dei paladini della natura: «Aberrante usare un animale per la pubblicità». Avete mai letto qualcosa di analogo in difesa del cucciolo d’uomo? Non c’è proprio pace per questo esserino inerme, privo di numi tutelari. Fino a oggi gli hanno bucato il suo habitat naturale per accertarsi che abbia i cromosomi al posto giusto: in caso contrario lo sopprimono. Da domani la sua esistenza sarà in balia dei benefattori dell’umanità che dal sacco amniotico sono interessati a estrarre, più che vita nuova, materiale di ricambio per vite vecchie.
Insomma, la sorte delle staminali amniotiche sembrerebbe segnata; ma Anthony Atala, il direttore dello studio, conosce evidentemente la legge della giungla, e ha lasciato preventivamente un’esca appetitosa per i predatori. Sono tre righe scarse di testo, a p. 104:
Abbiamo isolato popolazioni simili di cellule staminali da biopsie prenatali di villi coriali e da biopsie della placenta ottenute al termine di gravidanze regolari.
Nell’originale:
We have isolated similar stem cell populations from prenatal chorionic villus biopsies and from placental biopsies obtained after full-term pregnancies.
Nessuna indicazione bibliografica; nessuna specificazione sul grado di «similarità» con le staminali amniotiche, né sull’abbondanza delle cellule trovate nella placenta; nessun accenno a questa parte della ricerca nella sezione dei metodi impiegati nello studio. Ma tanto basta; e per di più il primo firmatario dell’articolo per Nature, Paolo De Coppi, aggiunge un altro tocco in un’intervista sullo stesso numero e sulla stessa pagina del Corriere che ospita le critiche di Colombo e Binetti (Adriana Bazzi, «E il pediatra italiano della scoperta: in tanti negli Usa ci hanno osteggiato»):
abbiamo la sensazione che una parte della comunità scientifica, soprattutto negli Stati Uniti, tema un dirottamento di fondi dalla ricerca sulle cellule staminali derivate dall’embrione verso altri tipi di staminali, come appunto quelle ricavate dal liquido amniotico. E ha fatto di tutto per rallentare la pubblicazione dei nostri risultati.
Con la stessa disinvoltura con cui De Coppi passa dal congiuntivo («tema») all’indicativo («ha fatto di tutto»), le armate integraliste e ateo-clericali dismettono le perplessità. Per prima detta la linea Nicoletta Tiliacos del FoglioLe staminali etiche, le risorse per la ricerca e le critiche inaspettate», 11 gennaio, p. 2), che col supporto di Carlo Bellieni (che propone avventurosi prelievi del liquido amniotico al momento del parto: sperando che non si rompano prima le acque, immagino...) cerca di placare le ubbie cattoliche e di mettere in risalto le presunte incoerenze dei laici; linea perfezionata una settimana dopo dal duo Morresi-Roccella, che in due articoli fotocopia su AvvenireLe staminali amniotiche sgambettano i brevetti», «Se la ricerca non piace al business», 18 gennaio) sembrano immemori dei dubbi della Binetti e degli altri, e attribuiscono tutte le incertezze ai soliti interessi minacciati dei detentori di brevetti. La notizia – in cui non trovo nulla di scandaloso, beninteso – riportata dieci giorni prima dal Washington Post (Rick Weiss, «Scientists See Potential In Amniotic Stem Cells», 8 gennaio, p. A01), non giungerà mai e poi mai, c’è da scommettere, davanti ai casti occhi dei lettori di Avvenire:
I diritti brevettuali relativi alle cellule [del fluido amniotico] sono stati garantiti alla Plureon Corporation di Winston-Salem, una azienda privata nel cui consiglio di amministrazione siede Anthony Atala.
Nell’originale:
The rights to certain patent claims relating to the cells have been licensed to Plureon Corp. of Winston-Salem, a privately held company on whose board of directors Atala sits.
Per completare l’opera di ‘informazione’, un articolo di Enrico Negrotti («Brescia scopre un’altra miniera: la placenta»), a fianco di quello della Morresi, si sforza di accostare alle staminali amniotiche di Atala e De Coppi le cellule trovate (comunque meritoriamente) nella placenta da Ornella Parolini, direttrice del Centro «Eugenia Menni» (che prende il nome dalla madre generale delle Ancelle della Carità); cellule che però sono tutt’altra cosa, come chiaramente si evince dallo stesso articolo.

Ma lasciamo le meschinità della propaganda, e veniamo alla scienza. La scoperta è importante, e se verrà fuori che i suoi autori le hanno effettivamente aggiunto un po’ di sugo per aggirare l’opposizione degli integralisti, nessuno li potrà davvero biasimare. Con molto lavoro e molta fortuna, tra qualche anno potremmo avere una fonte di staminali pluripotenti, che non causano tumori, ricavate come prodotto collaterale dalle amniocentesi praticate per identificare i difetti genetici del feto. Le cellule in coltura raddoppiano di numero ogni 36 ore, e dopo 250 raddoppiamenti non mostrano segni di senescenza: non ci dovrebbero essere, dunque, problemi di scarsità. Perché, allora, continuare la ricerca sulle staminali embrionali? Le ragioni principali sono tre:
  1. Le staminali embrionali sono impiegate già oggi nella pratica medica (anche se di questo ci si dimentica facilmente): servono infatti per provare la non tossicità dei farmaci. Il loro abbandono immediato è totalmente fuori discussione.
  2. Non sappiamo ancora se le cellule amniotiche siano completamente pluripotenti, se, cioè, come abbiamo già visto, possano produrre effettivamente ogni tipo di tessuto umano: un requisito indispensabile per la futura medicina rigenerativa. Gli autori della ricerca sono esemplarmente chiari: «La gamma completa delle cellule somatiche adulte cui le staminali derivate dal liquido amniotico possono dare origine deve essere ancora determinata» («The full range of adult somatic cells to which AFS [Amniotic Fluid–derived Stem] cells can give rise remains to be determined», pp. 103-4). È una affermazione che chiude la questione, e che si sarebbe fortemente tentati di tatuare a mo’ di memorandum sulla fronte di chi vorrebbe prendere da questa ricerca solo ciò che gli conviene.
  3. I trapianti di staminali amniotiche, se saranno mai effettuati, saranno sicuramente a prova di rigetto solo per coloro da cui le cellule verranno estratte; il che escluderebbe da ogni beneficio terapeutico i sei miliardi e mezzo di esseri umani già partoriti. È vero che le amniotiche, che si trovano a stretto contatto con i tessuti materni per tutta la durata della gravidanza, potrebbero non causare reazioni particolarmente violente in un organismo estraneo (cfr. Alan Trounson, «A fluid means of stem cell generation», Nature Biotechnology 25, 2007, pp. 62-63); e che, come afferma Anthony Atala, «Se 100.000 donne donassero le loro cellule amniotiche a una banca, si raccoglierebbero tante cellule sufficientemente diverse geneticamente da provvedere in pratica tessuti immunologicamente compatibili per ciascun abitante degli Stati Uniti» (Rick Weiss, art. cit.). Ma non è chiaro fino a che punto si potrebbe fare a meno di farmaci immunosoppressori, come quelli che i trapiantati assumono ancora oggi. Nel dubbio, l’unico mezzo che finora sembra praticabile per ottenere tessuti a prova di rigetto, è il trasferimento nucleare (o clonazione terapeutica), con il quale si genera un embrione, geneticamente identico al paziente, da cui si estrarranno le staminali embrionali da trapiantare. In assenza di fatti nuovi, è questa la tecnica che si dovrà perseguire, e che sarà, in un modo o nell’altro, inevitabilmente perseguita.

«La pusillanimità della Chiesa»

Un altro contributo di rilievo sul blog di Maurizio Ferraris (Roberto Casati, «Il Cattolicesimo come forma d’arte», In cosa crede chi crede?, 28 gennaio 2007):

Consideri per esempio la pusillanimità della Chiesa nel piegarsi ai forti e nell’opprimere i deboli, qui, in Italia, sotto gli occhi di tutti. Con tutto il gridare ai quattro venti che i rapporti extraconiugali sono vietati dalla morale cattolica, non si sognano certo i Vescovi della CEI di convincere i loro referenti politici a far passare una legge, ma che dico, un piccolo emendamento, che vietasse i rapporti extraconiugali; e ci provassero, almeno! Ci farebbero vedere di che pasta son fatti. Epperò qualora dei bisognosi (coppie in severa limitazione procreativa, i più bisognosi, i più martoriati nella loro essenza di uomo e donna) chiedono aiuto, ecco che la Chiesa, sempre grazie ai zelanti referenti politici, li colpisce, li priva di speranza; vantandosi manco fosse stata un’impresa gagliarda di aver contribuito a vietare la fecondazione eterologa (la quale vien assimilata negli ululati a una forma di adulterio).
Da leggere tutto.

A immagine e somiglianza della coscienza di Luca Volontè

Luca Volontè (Coppie di fatto: Volontè, Prodi vuole cambiare pilastri civili e morali paese, Adnkronos news, 28 gennaio 2007):

Bene la Cei, ma Romano Prodi vuole mantenere la parola, almeno la promessa del 1° marzo scorso ai presidenti di gay e lesbiche. La libertà di coscienza sui temi eticamente sensibili è finita nel cestino, così come dimenticati sono gli impegni sulla centralità della famiglia come definita dalla Costituzione, del discorso parlamentare d’investitura.
Chissà perché leggendo le dichiarazioni di Luca Volontè ho spesso la tentazione di rispondere nel più truce dialetto romanesco. Poi la seconda lettura mi riporta alla lingua nazionale. Compiere una analisi ermeneutica e grammaticale degli interventi del nostro, poi, è un esercizio utile per tenere in allenamento il sistema nervoso centrale.
La posizione di Volontè sembra essere la seguente: la tutela giuridica delle coppie di fatto violerebbe la libertà di coscienza. Di chi? Ma soprattutto: come può la libertà di coscienza essere violata da una liberalizzazione? La libertà di coscienza potrebbe essere violata, semmai, da una condizione coercitiva in cui sia ammessa soltanto una scelta (il matrimonio tra un uomo e una donna). Tutte le altre sarebbero mortificate e impedite. Volontè sembra dimenticare che la libertà di compiere x non costringe nessuno a compiere x. Come nel caso del divorzio e dell’aborto (tanto per parlare di temi cari a Volontè), la loro liberalizzazione non obbliga nessuno a divorziare o ad abortire. Lascia la libertà di farlo a chi lo decide. E la libertà di coscienza di chi la pensa diversamente è salva. Perché non si è costretti, appunto, e perché non si è nemmeno costretti a essere complici (l’obiezione di coscienza).
Forse Volontè ha scambiato la libertà di coscienza con l’imposizione di quanto la sua coscienza gli suggerisce. Una Italia modellata dalla coscienza di Volontè sarebbe quantomeno temibile.

Monopolio di famiglia

Monsignor Bettori, segretario generale della Cei («Le coppie di fatto scardinano la famiglia», Il Corriere della Sera, 28 gennaio 2007):

Pensiamo di non dover porre accanto alla famiglia che si costituisce tra un uomo e una donna una famiglia diversa che attraverso l’inevitabile concorrenzialità finirebbe con lo scardinare la famiglia tradizionale.
Ma se foste davvero convinti che il matrimonio tradizionale sia la forma migliore, quella giusta, quella vera, quella che garantisce e assicura il rispetto e la stabilità delle unioni coronate dal sacro vincolo del matrimonio (tra un uomo e una donna, ovviamente), che cosa avete da temere dai Pacs, ovvero la forma caricaturale, quella degli amori sbagliati e deboli, delle unioni instabili o dei diritti senza nessun dovere?
Suvvia, un grande chef avrebbe forse qualcosa da temere da un moccioso che traffica con la cucina di Barbie?

sabato 27 gennaio 2007

La legge contro il negazionismo non è mai esistita

Su Paniscus, Lisa Maccari offre una ricostruzione verosimile dello strano caso del preannunciato disegno di legge contro il negazionismo, che al momento dell’approvazione si è rivelato non contenere alcun cenno al negazionismo («Memoria, appunto...», 27 gennaio 2007).

Un boa che sembra un cappello

Questo è un boa che ha inghiottito un elefante (chi non lo ricorda?). E che sembra un cappello.

Chissà che aspetto avrebbe avuto invece il pitone di 7 metri che nel villaggio di Kampung Pagoh, nel sud della Malesia, ha divorato almeno 11 cani da guardia di un frutteto prima della cattura...

Buchenwald

L’archivio di Buchenwald è ora disponibile qui.

I danni delle coppie di fatto

Paola Binetti, Accordo sui Pacs all’italiana, Il Corriere della Sera, 26 gennaio 2007:

Passo tutti i miei weekend a girare per l’Italia a spiegare quanti danni provocherebbe una legge sulle coppie di fatto. E così farò anche al momento del voto: cercherò di spiegare a tutti che non bisogna votare una legge che riconosce le coppie di fatto. Lo spiegherò, democraticamente.
Perché non concedersi requie almeno durante il giorno del Signore?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica avverte: “Il terzo comandamento del Decalogo ricorda la santità del sabato: « Il settimo giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore»”. E ancora: “L’agire di Dio è modello dell’agire umano. Se Dio nel settimo giorno «si è riposato» (Es 31,17), anche l’uomo deve «far riposo» e lasciare che gli altri, soprattutto i poveri, «possano goder quiete»” (ovvero, evita di rompere i coglioni almeno in questi giorni).
Oppure ancora: “Durante la domenica e gli altri giorni festivi di precetto, i fedeli si asterranno dal dedicarsi a lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo”. No, non vale appigliarsi all’utilità sociale come giustificazione.
Così si rischia l’accidia. Preferire la mondana politica alla contemplazione divina.
Quanto all’ultimo punto: come si farebbe a spiegare qualcosa tirannicamente? Forse “spiegare” non è il verbo giusto. Imporre va meglio? Contrastare una legge che permetterebbe una tutela giuridica alle coppie di fatto? Meglio. Ma ovviamente, è tutto per il nostro bene.

venerdì 26 gennaio 2007

Meglio in dvd

Così si evita la pubblicità.
Che sia più istruttivo di Sermonti, Meotti, Agnoli, Ferrara e comincio a dimenticare i nomi degli altri, è assolutamente innegabile. Apodittico direi.

Tutto sul mio dio

Giuseppe Sermonti ha detto più o meno così (nel documentario ID non vuol dire IDiota, trasmesso nel corso dello speciale Otto&Mezzo su Dio):
Il disegno intelligente non è proprio una teoria scientifica, è una posizione scientifica.
L’evoluzione sta morendo.
Quel materialismo, quell’ateismo che la anima sta prendendo altre strade. Non si interessa più della natura, ma della manipolazione genetica. Questo è il modo in cui lo scienziato dimostra di saper fare dio.
Vi concedo tutto, ma l’anima umana no! (tièttela, pardon).
Evoluzione sì ma non a caso. Non il caso sovrano, ma un disegno, un principio.

“Non esiste un diritto assoluto alla genitorialità”

Dal sito Amici dei Bambini un comunicato stampa sulla questione delle adozioni gay, Gran Bretagna, adozioni gay: “Non esiste un diritto assoluto alla genitorialità”, 26 gennaio 2007:

Sulle adozioni gay in Gran Bretagna – già possibili – e le polemiche in corso tra Tony Blair e i consultori cattolici – che da aprile dovrebbero per legge non discriminare le coppie in base all’orientamento sessuale e dunque accompagnare all’adozione anche quelle dello stesso sesso – interviene Amici dei Bambini che tra l’altro, con l’uscita del saggio “Voglio una mamma e un papà – Coppie omosessuali, famiglie atipiche e adozione” (Ancora Editrice) aveva espresso un punto chiaro in merito: non esiste il diritto a essere genitore ma il diritto a essere figlio per ogni bambino, che non ha scelto di nascere né tantomeno di essere abbandonato.
“Pensare che esista un diritto assoluto alla genitorialità – e dunque all’adozione – che non è patrimonio nemmeno delle coppie eterosessuali – ha detto Marco Griffini, presidente dell’associazione – appare una forma di violenza. La libertà sessuale non ha a che fare con i diritti, non deve estendersi alle libertà di un individuo. Riteniamo piuttosto che ci si debba attenere all’ordine naturale, ovvero al fatto che si nasce da un uomo e da una donna”.
La risposta al trauma dell’abbandono, secondo Amici dei Bambini, è la famiglia composta da un uomo e da una donna, la scelta migliore per ogni bambino.
“Se per le coppie omosessuali dovesse affermarsi, anche in Italia, la possibilità di adottare – conclude Griffini – che lo sia allora per i ragazzi con più di 18 anni, in grado di scegliere di essere accolto anche da una coppia gay”.
Ordine naturale è anche lasciare che una influenza ci uccida senza ricorrere agli antibiotici (che sconvolgono l’ordine naturale). Sarebbe disposto Griffini e quanti la pensano come lui ad abbracciare questa conseguenza? Dimostrerebbero almeno coerenza.
Adozione per i maggiorenni? Idea grandiosa, che risolve senza dubbio e in maniera definitiva la diatriba.
Grazie. Non ci avevamo pensato.

Un Paese civile

Da un comunicato stampa da Downing Street:

Tony Blair says he will work to find a solution that ends discrimination against gays while protecting vulnerable children receiving help with adoption from Catholic agencies.
The Equality Act, due to come into effect in April, outlaws discrimination in the provision of goods, facilities and services on the basis of sexual orientation. But the agencies claim they will close if not given an opt-out from having to place children with homosexual couples, which they say goes against their beliefs.
Le parole di Tony Blair sono fantascienza per le nostre orecchie:
These new regulations provide a massive step forward in ending discrimination against gay people. They build on previous measures such as equalising the age of consent, ending Section 28 and the introduction of civil partnerships. Now we want to ensure equality in the provision of goods and services, such as hotels and housing.

This is about regulations which will extend further anti-discrimination legislation. We are clear about what we want to do. There is one last aspect within the new regulations to resolve and it concerns adoption.

I have always personally been in favour of the right of gay couples to adopt. Our priority will always be the welfare of the child. That is why the Adoption Act (2004) sought to extend the field of potential adoptive parents to include unmarried and gay couples.

Compagna di merenda su internet

Riceviamo a proposito del post La menzogna della sindrome post-abortiva un commento al quale rispondo pubblicamente (o meglio, più pubblicamente che con un controcommento).

Anonimo scrive: Hai mai visto qualche donna dopo l’aborto? Hai mai conosciuto qualcuna che lo ha fatto? La tua compagna di merende su internet ha mai abortito? Io si e l’esperienza è allucinante prima, durante e dopo, con o senza i volontari prolife accanto. Quindi prima di dare sentenze, fatevi un giro in quelle corsie d’ospedale o nelle cliniche dove gli aborti non vengono solo nominati per fare sproloqui radical-chic, e dove vengono praticati con tutta quella disumanità di cui solo gli uomini son capaci (compresa me) e poi ne riparliamo.

Io rispondo: In quanto “compagna di merende su internet” mi sento in dovere di rispondere. E prima di entrare nel merito vorrei esprimere il mio disappunto nell’essere oggetto di cotale definizione. Se valesse l’occhio per occhio (ma dio mio, siamo cattolici mica protestanti o selvaggi!) inizierei così la mia risposta:
Cara furbetta del quartierino (io mi sono aggiornata con i tempi, e sono più moderna del compagno di merenda di paccianiana memoria), pensi di avere dimostrato alcunché con il tuo commento, a parte il fatto che PER TE sia stata una esperienza allucinante?
Non mal comprendermi: ci credo e rispetto il tuo vissuto (non dovrei avere nemmeno bisogno di esplicitarlo, ma meglio essere prudenti). Però non sarebbe forse opportuno dismettere la presunzione di far valere la propria esperienza come metro universale?
Non mi metto a fare lo scontro di esperienze a favore e contro la tua posizione, non mi interessa questo livello statistico di contesa. Dico soltanto che le esperienze possono essere diverse per molte, molte ragioni. E che è un errore piuttosto dannoso sostenere a priori e universalmente che una (meglio, qualsiasi) interruzione volontaria di gravidanza sia un trauma devastante e inestinguibile.
Farci un giro dove si praticano gli aborti? Questo è un altro punto che mi sorprende: dove credi che abbiamo vissuto finora, a Disneyland?
Se vuoi dimostrare una posizione (in questo caso che l’aborto è sempre e inevitabilmente una tragedia per la donna) dovresti sforzarti di cercare argomenti razionali e non urlare emozioni private e soggettive. Scambiate per prove inconfutabili.
E per finire: puoi non essere d’accordo, anche su tutto quello che scriviamo, ovviamente. Ma dovresti avere l’onestà di non attribuirci una abitudine diffusa ma errata: sputare sentenze. Qui non ci sono sentenze, ma opinioni sostenute da argomenti. Confrontiamoci su questi.

Coppia di fatto

Bindi Dessert: fantasia nella politica

«Diritti ai singoli». «No, alle coppie»: l’ultimo nodo nella maggioranza, Il Corriere della Sera del 25 gennaio 2007:

Chiara anche un’altra risposta del question time alla Camera: «Non ci sarà nessuna norma legata ai figli nelle coppie di fatto omosessuali, perché è evidente che i bambini hanno diritto a un padre e a una madre e non stiamo pensando né a forme di adozione né di forme surrettizie di fecondazione assistita».
Sarò tonta, ma a me non è chiara per niente la risposta al question time. Perché sarebbe evidente che i bambini hanno diritto a un padre (che poi significa un uomo con tendenze eterosessuali) e a una madre (una donna con tendenze eterosessuali)? Perché una coppia formata da omosessuali sarebbe a priori inadatta? Sarebbe un segno di rispetto provare almeno a fornire qualche argomentazione. Tacere significa per loro parlare di una evidenza; per me invece mancanza di buoni argomenti.
Quanto a surrettizie forme di fecondazione assistita... per carità!?

giovedì 25 gennaio 2007

Fiaccolata a Montecitorio per i diritti civili

Fiaccolata per i diritti organizzata dal circolo Mario Mieli.
Dal comunicato stampa:

La promessa fatta a fine anno di presentare una proposta di legge sulle unioni civili entro il 31 gennaio 2007 non ha trovato conferma nelle parole delle ministre Bindi e Pollastrini che, intervistate a Primo Piano e a Porta a Porta, hanno dichiarato che, non essendo stato raggiunto un accordo sul tema all’interno della maggioranza, la questione non sarà posta all’ordine del giorno del consiglio dei ministri del 25 gennaio prossimo.
Fermamente decise ad incalzare il governo e a non concedere sconti a questa maggioranza “amica”, le associazioni GLBT romane indicono per giovedì 25 gennaio 2007 dalle ore 18.00 alle ore 21.00 una fiaccolata in piazza Montecitorio, come simbolo di veglia per i diritti civili in grave stato di salute, e alcuni partecipanti, sdraiati a terra, evidenzieranno la nostra condizione di cittadini calpestati nella propria dignità.
Invitiamo tutti i cittadini e le realtà associative interessate e sensibili al tema dei diritti civili a partecipare numerosi all’iniziativa romana; e invitiamo inoltre le associazioni GLBT di tutta Italia a fare lo stesso, individuando un luogo simbolo nella propria città.

I miscredenti

Maurizio Ferraris (l’autore di Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede?, Milano, Bompiani, 2006) ha pubblicato nel suo blog una lettera indirizzatagli da un lettore torinese, che contiene un breve ritratto dei cristiani di oggi che vale più di cento prolisse indagini sociologiche (Sergio Parmentola, «Una religione identitaria», 24 gennaio 2007):

Penso che per … numerosi cristiani la religione sia soprattutto un fatto identitario. La chiesa è l’istituzione che rappresenta e sostiene il loro modo di vivere e la loro visione del mondo e li differenzia da chi vive in modo diverso e, con la propria presenza e differenza, minaccia la tranquilla stabilità del loro ordine sociale, si tratti degli immigrati musulmani, degli omosessuali che chiedono il diritto di sposarsi o degli intellettuali “radical chic” che mettono in discussione valori e abitudini tradizionali.
Per questi cristiani il dogma teologico è poco importante: si rendono conto che per l’istituzione ecclesiastica è necessario avere una dottrina teologica, ma sono ben contenti di delegarla al papa e al clero. Nonostante passino l’infanzia e l’adolescenza tra catechismi, oratori, sacramenti (battesimo, comunione, cresima) e ore di lezione di religione a scuola, per la maggior parte arrivano all’età adulta che non sanno praticamente nulla della dottrina cristiana, perché non l’hanno mai ritenuta davvero importante.
Ritengono poco importante anche la morale cristiana: appoggiano con vigore le battaglie della chiesa contro il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e quant’altro, ma solo perché si rendono conto che esse rafforzano l’istituzione. Nel loro privato, invece, non si fanno troppi problemi a separare ciò che Dio ha unito o ad amare prima e fuori dal matrimonio e a contraddire continuamente nei fatti (purché non si sappia troppo in giro) quel che predicano in pubblico, perché l’importante non è come si comporta il singolo, ma che la chiesa trionfi sui suoi nemici.
Per quel che riguarda i valori di solidarietà e tolleranza, per ogni cristiano che s’impegna in lodevoli opere di carità e volontariato, quanti sono quelli che, nonostante o addirittura in nome della propria identità cristiana, vorrebbero ripulire le nostre città dall’ingombrante e inquietante presenza dei troppi stranieri che le affollano? Costoro non contestano la politica della chiesa di accoglienza degli stranieri: è suo compito e fa parte delle regole del gioco; ma non si pretenda che lo stesso valga per il popolo dei cristiani (d’altronde i lavavetri e i ladruncoli vengono a infastidire noi, mica il papa!).
Perfino il papa non è per tutti oggetto di autentica fede (anche se Giovanni Paolo II con il suo carisma ha suscitato un rinato entusiasmo per l’istituzione pontificia): spesso questi cristiani giudicano papi, vescovi e preti, criticandone idee e scelte e riconoscendone benissimo gli umani limiti e le debolezze/nefandezze. Il clero va comunque rispettato e difeso (tranne in casi di comportamento particolarmente grave), perché, ancora una volta, quel che conta è l’istituzione, non gli uomini che più o meno degnamente la rappresentano.

mercoledì 24 gennaio 2007

Procreazione artificiale per rinoceronti

Mamma Lulu, rinoceronte bianco meridionale (Ceratotherium simum) ha 27 anni e pesa due tonnellate e mezzo di peso. Annusa il suo piccolo appena nato allo zoo di Budapest dopo una fecondazione artificiale in collaborazione con zoo tedeschi e austriaci. È la prima volta che nasce un rinoceronte in seguito a fecondazione artificiale.

Informazione, Rai e libertà religiosa. Quale pluralismo?

L’articolo 3 del Testo Unico sulla Radiotelevisione afferma, tra i principi fondamentali, “l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell’ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali.”.
L’Atto di Indirizzo sul Pluralismo Informativo adottato dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza nel 1997, ed ancora in vigore, sotto la voce “Pluralismo etnico e religioso”, dispone che: “La presenza nel nostro Paese di etnie e di fedi diverse, sia autoctone che proprie di consistenti comunità extraeuropee rende ancor più importante l’impegno del servizio pubblico contro ogni forma di razzismo e a favore di atteggiamenti positivi. Va potenziato lo sforzo comunicativo teso a riconoscere e a valorizzare le diverse tradizioni religiose presenti nel nostro Paese e a favorire la reciproca conoscenza delle diverse culture.”

Una ricerca del Centro d’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva dimostra che lo spazio dedicato alle confessioni religiose nei telegiornali e nei programmi di approfondimento è ripartito in modo a dir poco disarmonico: dal 96 al 99% alla Chiesa cattolica; il restante agli altri (quasi esclusivamente esponenti ebraici e musulmani).
Insomma, più che garanzia del pluralismo religioso come principio fondamentale, la bussola sembra essere il fondamentalismo cattolico.
Solo per fare un esempio: il TG1 ha mandato in onda notizie sulla Chiesa cattolica per la durata di quasi 8 ore; tutti gli altri si sono spartiti meno di 6 minuti. E gli altri sono molti: Tavola Valdese, Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia, Chiesa Evangelica Luterana, Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno (firmatarie, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, dell’Intesa con la Repubblica Italiana); la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia; la Federazione delle Chiese Pentecostali; l’Unione Italiana Induista.
Questi “altri” hanno denunciato il mancato rispetto delle norme in materia di informazione da parte della Rai tra l’inizio del 2004 e la fine del 2006. E hanno presentato un esposto all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per accertare le violazioni e per ripristinare una giusta proporzione. Mamma Rai non dovrebbe inciampare in simili favoritismi!

Ieri si è tenuta una conferenza stampa durante la quale sono stati presentati nel dettaglio i dati raccolti dal Centro d’Ascolto. I radicali hanno messo a disposizione i dati di monitoraggio (perché le istituzioni competenti o non si dotano di monitoraggio – Rai e Commissione di vigilanza – o li pubblicano con grave ritardo: l’Autorità è ferma al dicembre 2004).

TELEGIORNALI
• Il tempo complessivamente dedicato dai telegiornali all’informazione “religiosa” rispetto al totale dell’informazione è molto alto, e in aumento dal 2004 al 2006: nel 2006 il Tg1 ha dedicato all’informazione religiosa l’8,37% del tempo (era il 6% nel 2004); il Tg2 il 9% (era poco più del 5% nel 2004); il Tg3 il 6,3% (era il 4,3% nel 2004).
• La proporzione tra Chiesa cattolica e altre confessioni religiose è abnorme: alla Chiesa cattolica % dal 96 al 99%, agli altri dall’1 al 4% a seconda della testata.
• Quasi tutti gli interventi dei non cattolici sono di esponenti ebraici e musulmani.

PROGRAMMI DI APPROFONDIMENTO
Uno mattina (RaiUno); Giorni d’Europa (RaiUno); Speciale Tg1(RaiUno); La Vita in Diretta (RaiUno); Primo Piano (RaiTre).

• Dal 2004 al 2006, tutte le trasmissioni hanno dato accesso in maniera quantitativamente e qualitativamente rilevante a numerosi esponenti di confessioni religiose attraverso interventi direttamente in voce: Unomattina per oltre 25 ore; La Vita in diretta e Speciale Tg1 per oltre 4 ore; Primo Piano per 3 ore e 32 minuti; Giorni d’Europa per 1 ora e 23 minuti.
• La sproporzione tra Chiesa cattolica e altre confessioni religiose anche qui è abnorme: alla Chiesa cattolica percentuali dal 96 al 99%, agli altri dall’1 al 4% a seconda della testata
• Primo Piano, Giorni d’Europa, Speciale Tg1, La Vita in diretta non hanno MAI (!) dato accesso dal 2004 al 2006 agli esponenti delle confessioni religiose qui rappresentate; Uno mattina solo 2 volte.
• Giorni d’Europa (trasmissione dedicata alla politica nell’Unione europea) prevede addirittura una rubrica fissa di un prete, il cattolico Filippo Di Giacomo.

I temi trattati hanno avuto ad oggetto non solo aspetti di ordine religioso, ma molto spesso temi di attualità politica, sociale e culturale: dall’immigrazione alla guerra, dalla criminalità alla prostituzione, dalla fecondazione assistita all’eutanasia, dalla famiglia allo spettacolo.

Buona visione!

Aggiornamento: su segnalazione di restodelmondo rimando a un resoconto della conferenza da parte della Chiesa Evangelica Valdese.

Mamma Rai

Dal Testo Unico della Radiotelevisione, decreto legislativo del 31 luglio 2005, n.177, Art. 7 (Principi generali in materia di informazione e di ulteriori compiti di pubblico servizio nel settore radiotelevisivo):

4. Il presente testo unico individua gli ulteriori e specifici compiti e obblighi di pubblico servizio che la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo è tenuta ad adempiere nell’ambito della sua complessiva programmazione, anche non informativa, ivi inclusa la produzione di opere audiovisive europee realizzate da produttori indipendenti, al fine di favorire l’istruzione, la crescita civile e il progresso sociale, di promuovere la lingua italiana e la cultura, di salvaguardare l’identità nazionale e di assicurare prestazioni di utilità sociale.
(I corsivi sono miei.)

Tecnologie e riforme contro la disabilità

Il 26 e 27 gennaio 2007 si svolgerà a Milano l’incontro internazionale sulla disabilità e sui rimedi che la tecnologia offre per recuperare parzialmente o totalmente la capacità di parlare o di sentire o di camminare. Una vera e propria rivoluzione digitale, come si legge nello stesso titolo del Congresso organizzato dall’Associazione Luca Coscioni, cui dovrebbe seguire anche una rivoluzione politica che promuova la libertà di parola e la possibilità di ripristinare una vita indipendente.

Le nuove tecnologie permettono di riacquistare capacità perdute: la parola, l’udito, la vista, la prensilità, la mobilità – attenuando il disagio di una vita inevitabilmente dipendente.
Le diversità territoriali rispetto all’assistenza e alla disponibilità di strumentazioni sono ancora profonde, e spesso le situazioni d’eccellenza sono determinate dalla volontà o dalla preparazione delle singole persone e non da una pianificazione razionale.
Dovrebbe essere un dovere delle Istituzioni garantire l’equità e rimuovere gli ostacoli alla disponibilità delle tecnologie per la disabilità. La politica deve investire in termini economici e culturali in uno strumento formidabile e che permette a molti cittadini di recuperare le proprie capacità compromesse.

Tecnologie e riforme contro la disabilità vuole essere il primo passo di un Congresso permanente su questi temi, un modo per avviare una rivoluzione politica fondata su una rivoluzione tecnologica.

Ci saranno tre sessioni.
La prima, “Medicina e salute”, in cui medici e operatori sanitari coinvolti con le disabilità si confronteranno con i malati sull’uso delle nuove tecnologie per la libertà di comunicazione nelle patologie più invalidanti. Ci saranno anche le Associazioni dei Pazienti.
La seconda, “Ricerca e innovazione tecnologica. Urgenza di investimenti nella ricerca sulle tecnologie contro le disabilità”, in cui si discuteranno le potenziali ricadute e i benefici per la società legati alle innovazioni tecnologiche per i disabili sia in Italia che in Europa. Verranno illustrate le innovazioni tecnologiche già esistenti e quelle del prossimo futuro.
Infine nella terza sessione “Politica e società: riforme e interventi necessari” si affronteranno le responsabilità della politica: internazionale, nazionale, regionale e locale.

Tra i partecipanti ci saranno esperti nazionali ed internazionali e rappresentanti politici. Significativa la presenza di Mina Welby, a testimonianza delle battaglie di Piergiorgio sulle libertà di parola e sulla necessità di rendere effettivi molti diritti delle persone disabili.

TECNOLOGIE E RIFORME CONTRO LA DISABILITÀ Rivoluzione digitale e politica per la libertà di parola e la vita indipendente
Leonardo Hotel, Milano, 26-27 gennaio 2007

Abstract e documenti
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Per preannunciare la propria partecipazione.
Informazioni logistiche.

Monsignor Sgreccia concede troppo?

Sul Corriere della Sera di ieri Monsignor Elio Sgreccia, pur partendo con la chiara intenzione di correggere le concessioni del Cardinal Martini di tre giorni fa, sembra curiosamente fare a sua volta concessioni importanti (Elio Sgreccia, «Si dà la morte anche omettendo le cure», 23 gennaio 2007):

L’esigenza del tener conto della volontà e del parere del paziente, esigenza sentita nella dottrina tradizionale della morale cattolica, è collegata al concetto di ordinarietà-straordinarietà che assumono le terapie in relazione alle condizioni fisiche, psicologiche, sociali ed economiche del paziente considerato nella sua situazione concreta. In questo ambito va certamente ascoltato il parere del paziente e va tenuta in conto la sua volontà. Ciò risulta dall’insegnamento valido dai tempi di Pio XII (cfr. Discorso del 24-11-1957) ad oggi. Ci può essere una terapia che in sé stessa risulta proporzionata dal punto di vista medico, ma che il singolo paziente giudica come straordinaria e non appropriata alle sue condizioni. E, si badi bene, ciò che è straordinario, non è moralmente proibito, bensì soltanto non obbligatorio. Si può dare il caso di un intervento costoso oppure rischioso per un determinato soggetto, che pur essendo medicalmente proporzionato, non è sopportabile da quel soggetto, o non lo è più ad un certo momento, per situazioni di carattere personale. Tali condizioni, peraltro, pur nascendo in relazione ad un soggetto, hanno un’oggettività e una rilevanza in base alle quali il soggetto stesso può dare il consenso oppure può chiedere legittimamente di rinunciarvi. In sintesi sono due i criteri che vanno coniugati: quando si tratta di terapie proporzionate (dal punto di vista medico) e ordinarie (dal punto di vista del paziente), c’è l’obbligo morale di offrirle e di accettarle (a parte la possibilità giuridica di rifiutarle); circa le terapie sproporzionate (ordinarie o straordinarie che siano), sussiste il dovere etico di rifiutarle, ordinariamente; per quanto riguarda poi le terapie medicalmente proporzionate, ma che risultassero straordinarie per il paziente, egli non sarà moralmente obbligato a sottoporvisi, ma potrà lecitamente farlo se lo decide: l’offerta e l’accettazione dipendono dalla matura e prudente scelta del paziente.
«Una terapia che in sé stessa risulta proporzionata dal punto di vista medico, ma che il singolo paziente giudica come straordinaria e non appropriata alle sue condizioni»: non è una descrizione quasi perfetta della terapia a cui era sottoposto Piergiorgio Welby? Sembra chiaro, dal resto dell’articolo, che Sgreccia non ha nessuna intenzione di condonare il gesto di Welby, ma in questo modo, mi sembra, introduce una contraddizione nel suo discorso.