martedì 28 febbraio 2006

11º: non ti farai rifare le tette

Il Corriere della Sera di oggi fa il resoconto di un convegno sulla chirurgia estetica promosso dall’Opus Dei («Naso, seno, bocca: la chirurgia estetica secondo l’Opus Dei»):

Spiega Paolo Persichetti, professore di chirurgia plastica all’Università campus biomedico di Roma, il policlinico vicino all’Opus Dei che ha promosso l’incontro, affollato da medici e scienziati di comprovata fede: «Il nostro compito dovrebbe essere quello di rimuovere solo quei difetti fisici che diventano un problema psicologico. Dovremmo invece opporci all’uso consumistico del bisturi, fermare chi rincorre un’ideale di bellezza artificiale e chi ne approfitta per far soldi». … «Un conto – dice ancora Persichetti – è correggere un difetto, … un altro è trasformare un individuo». … Comprensibile la liposuzione, … «se la massa da eliminare è tanta e non serve solo a creare una silhouette da modella». Niente bisturi, invece, per chi vuole rinforzare le labbra, per chi pensa già al lifting sotto i 30 anni. E per chi vuole rifarsi il seno: «Non quando il problema è grave ma solo quando l’intervento serve solo a guadagnare quella misura in più».
Ambiguo il commento di Paola Binetti, numeraria dell’Opus Dei e candidata al Senato per la Margherita, presente al convegno:
«È una distinzione sensata – spiega – anche perché gli interventi ammessi sono quelli che rafforzano l’immagine già esistente mentre quelli criticati rischiano di costruirne una artificiale … ma riconosco che ognuno di noi ha il diritto di sentirsi a proprio agio con se stesso. Quella che bisogna cercare davvero, però, è la bellezza che non finisce mai, quella dentro di noi».
Speriamo che in qualche tribuna elettorale qualcuno chieda alla professoressa se pensa che del nostro aspetto possiamo effettivamente decidere da soli o se ritiene invece che si debba introdurre l’obiezione di coscienza anche per i chirurghi estetici, e che i volontari dell’Opus debbano presidiare le sale di aspetto delle cliniche per dissuadere le sconsiderate...

Il discorso del papa sul concepito

Sul sito del Vaticano si può leggere il «Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita e al Congresso Internazionale L’embrione umano nella fase del preimpianto» (Sala Clementina, lunedì 27 febbraio).
L’attenzione della Chiesa sembra concentrarsi attualmente sull’embrione nella fase di preimpianto (intesa sia in senso naturale – cioè precedente all’annidamento nell’utero – sia nel senso proprio della fecondazione artificale). È verosimile che ciò sia finalizzato tra l’altro a etichettare come «abortiva» la pillola del giorno dopo, un farmaco che costituisce oggi un complemento pressoché indispensabile a un metodo contraccettivo accessibile e popolare qual è l’uso del profilattico. La lotta della Chiesa contro la contraccezione è rimasta fatalmente nell’angolo della grande battaglia contro l’aborto: non solo per una questione di energie e di tempo limitati, ma soprattutto per l’enorme risalto dato al momento della fecondazione – che ha avuto come risultato non voluto ma inevitabile di svilire nel discorso pubblico lo statuto dei gameti ancora separati. Si aggiunga a ciò la diffusa impopolarità della proibizione cattolica dell’uso dei profilattici anche nella tragica situazione africana, e si avrà la misura di quanto vitale sia per la Chiesa trovare munizioni ideologiche fresche da impiegare contro le pratiche contraccettive.

domenica 26 febbraio 2006

Gedda, niente eugenetica

È il titolo di un articolo di Andrea A. Galli su Avvenire di ieri, in cui si ribatte l’accusa di Francesco Cassata (non di Alfredo Salsano, come erroneamente scrive l’autore dell’articolo) nel libro Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia (Bollati Boringhieri, 2006, € 34,00) che Luigi Gedda, storico presidente dell’Azione Cattolica, fosse un paladino dell’eugenica razzista e colluso con studiosi nazisti.

Aggiornamento: la risposta di Francesco Cassata ai critici è apparsa sulla Repubblica del 10 marzo; la riassumo in un altro post.

Un documento sulle staminali

Un gruppo internazionale di scienziati e filosofi (di cui due italiani: Silvia Brunelli dell’Università di Milano-Bicocca e Maurizio Mori dell’Università di Torino) ha emesso il 24 febbraio una dichiarazione comune (in formato .doc, sul sito del Berman Bioethics Institute della Johns Hopkins University) sulla ricerca sulle cellule staminali. La dichiarazione non affronta i problemi etici di base posti dall’uso delle cellule staminali embrionali e dalla clonazione terapeutica, ma più pragmaticamente propone una serie di raccomandazioni relative alle limitazioni legislative che molti paesi oppongono alla ricerca in questo campo, e al tema attualissimo della falsificazione dei dati scientifici.

Manifesto dell’Occidente di Marcello Pera



L'Occidente è in crisi. Attaccato dall'esterno dal fondamentalismo e dal terrorismo islamico, non è capace di rispondere alla sfida. Minato dall'interno da una crisi morale e spirituale, non trova il coraggio per reagire. Ci sentiamo colpevoli del nostro benessere, proviamo vergogna delle nostre tradizioni, consideriamo il terrorismo come una reazione ai nostri errori. Il terrorismo, invece, è un'aggressione diretta alla nostra civiltà e all'umanità intera.
L'Europa è ferma. Continua a perdere natalità, competitività, unità di azione sulla scena internazionale. Nasconde e nega la propria identità e così fallisce nel tentativo di darsi una Costituzione legittimata dai cittadini. Determina una frattura con gli Stati Uniti e fa dell'antiamericanismo una bandiera.
Le nostre tradizioni sono messe in discussione. Il laicismo o il progressismo rinnegano i costumi millenari della nostra storia. Si sviliscono così i valori della vita, della persona, del matrimonio, della famiglia. Si predica l'uguale valore di tutte le culture. Si lascia senza guida e senza regola l'integrazione degli immigrati.
Come ha detto Benedetto XVI, oggi "l'Occidente non ama più se stesso". Per superare questa crisi abbiamo bisogno di più impegno e di più coraggio sui temi della nostra civiltà.
(Il corsivo è mio)

Senza parole. Vedi l'Unità online.
* * *
Dal Manifesto della razza (1938):
8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
[…]
10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.

sabato 25 febbraio 2006

La piccola Charlotte Wyatt: lasciarla morire?


Charlotte è nata prematura con un grave danno cerebrale; ha trascorso quasi tutta la sua vita al St Mary's Hospital di Portsmouth. Da mesi intorno al destino di Charlotte si svolgono battaglie legali.
La bimba in questi giorni ha la tosse e difficoltà a respirare a causa di una infezione virale.

Dr K, one of the team treating her – none of whom can be named – told the court that resuscitation would be futile and would “inflict unnecessary pain on this child, who has already suffered as much as she has” (BBC news).
Quale sarebbe il futuro migliore per Charlotte? La sua esistenza è preferibile alla morte, considerando che la piccola non è cosciente e secondo i medici la sua condizione è dolorosa e senza alcuna speranza di miglioramento?
Oppure sarebbe meglio per Charlotte smettere di esistere?

Il buon latte

L’Agenzia Europea per i Farmaci (EMEA) ha rifiutato di concedere la licenza a un nuovo farmaco, l’Atryn, basato su una proteina umana estratta dal latte di capre geneticamente modificate. Se il farmaco avesse ricevuto il via libera, sarebbe stato il primo trattamento di questo tipo ad essere approvato per l’uso clinico. L’Atryn è stato sviluppato da una ditta americana per trattare pazienti affetti da una rara anomalia della coagulazione del sangue. È comunque motivo di speranza il fatto che la bocciatura non è dipesa dal modo con cui il farmaco è prodotto. Un portavoce della ditta produttrice (che presenterà appello contro la decisione) ha dichiarato: «ci hanno indicato alcuni possibili motivi di preoccupazione, ma nessuno di essi ha a che fare con le capre» (fonte: BioNews, 24 febbraio).

giovedì 23 febbraio 2006

Katrina


Washington: il rapporto della Casa Bianca ammette "errori significativi" nei soccorsi alle vittime dell'uragano Katrina da parte del governo. La mancanza di piani di emergenza, di coordinazione tra le varie agenzie sono indicate nelle 228 pagine del rapporto tra le cause del fallimento nel far fronte in modo adeguato all'emergenza. Il rapporto, del consigliere per la sicurezza Frances Townsend, individua undici aree di intervento da migliorare, in vista della prossima stagione degli uragani (ANSA.it)

Anche la vergine Maria soffre di sindrome premestruale?


Una tv neozelandese manderà in onda un controverso episodio di 'South Park' in cui si rappresenta la vergine Maria sanguinante, ignorando le proteste e l'appello al boicottaggio lanciato dai vescovi cattolici del Paese.



Nell'episodio compare una statua della vergine Maria che sanguina e fa gridare, dopo l'attento esame di un cardinale, al miracolo. Poi, però, appare papa Benedetto XVI che, osservando il fenomeno, spiega che non si tratta di un miracolo e avanza l'ipotesi che la Madonna sanguini a causa del flusso mestruale (Adnkronos).

Per scaricare il filmato: http://www.southparkstudios.com.

Chi è Mr Y?

New ScientistY chromosomes give the name away», 22 febbraio) spiega come sia possibile risalire in alcuni casi al nome di chi ha commesso un crimine esaminando il suo DNA, anche se questo non è presente in nessuna banca dati. Dipende tutto dal cromosoma Y; le conseguenze, c’è da aspettarselo, non saranno limitate al mondo della poilizia scientifica e degli autori di gialli.

Il fardello di una lunga vita

Su Red Herring, una breve rassegna degli studi sui farmaci anti-senescenza. Interessante la parte sulle conseguenze economiche di un incremento drammatico della speranza di vita («Anti-aging Drugs on Horizon: As the science of preventing aging pushes further forward, researchers discuss the likely economic fallout», 19 febbraio).

mercoledì 22 febbraio 2006

In ricordo di Luca Coscioni


Chiedeva la libertà. La libertà di decidere della propria vita e della propria morte. Chiedeva la libertà per la ricerca scientifica, con la speranza che in un futuro non lontano ci potesse essere una cura per tutte quelle malattie oggi incurabili.
Era imprigionato in un corpo malato, ma la sua voce è sempre stata tenace. Così come l’amore per quella libertà che chiedeva.
Esiste una profonda asimmetria tra chi invoca la libertà e chi la vuole cancellare o limitare. Essere liberi significa avere la possibilità di scegliere. Su temi complessi e delicati, sui quali è impossibile arrivare ad una dimostrazione oggettiva della verità ed è molto difficile raggiungere un accordo, è bene che sia la coscienza personale a scegliere la strada da seguire. Libertà di scelta. Negare questa libertà, al contrario, significa imporre a tutti un punto di vista inevitabilmente particolare.
La libertà di decidere se morire quando l’esistenza è diventata insopportabile non obbligherà mai nessuno a scegliere l’eutanasia; l’assenza di questa libertà, invece, obbliga tutti a scegliere la sopravvivenza.

Oggi i funerali in forma civile ad Orvieto.

(foto © c.)

martedì 21 febbraio 2006

Il Medioevo ultimo scorso


Sull’Unità di oggi («Il Medioevo due anni dopo») Carlo Flamigni e Maurizio Mori commentano in modo pungente l’intervista ad Avvenire dell’ex ministro della salute Girolamo Sirchia sulla legge 40/2004, della cui entrata in vigore ricorreva ieri il secondo anniversario, in beffarda coincidenza con la morte di Luca Coscioni. Un brano:

La battuta più spiritosa, però, è quella che Sirchia riserva alla vitrificazione degli oociti, che sembra averlo impressionato molto. In realtà la vitrificazione è una forma di congelamento, diversa solo per le modalità tecniche. Il problema è che con questa tecnica sono stati ottenuti in letteratura una decina di successi in circa 10 anni. Col congelamento tradizionale di oociti i successi erano quasi 300 e malgrado ciò molti lo considerano ancora una tecnica sperimentale. Inoltre, in Italia centri che sappiano congelare oociti ce ne sono sì e no 4 o 5, mentre centri che sapevano congelare embrioni ce n’erano più di 50.

Se non ti concedi, vai all’inferno!


In Giappone un sacerdote è stato condannato a venti anni di carcere per avere abusato a lungo di sette bambine. Con la minaccia che sarebbero andate all'inferno se avessero opposto resistenza. Dalle news di Repubblica:

Per anni ha abusato di sette ragazzine dicendo loro che sarebbero andate all'inferno se gli avessero resistito. Un sacerdote cristiano di Kyoto è stato condannato a 20 anni di carcere per le violenze, andate avanti dal marzo del 2001 fino al settembre del 2004. Gli abusi erano compiuti da Tamotsu Kin, oggi sessantaduenne, nella sacrestia della Chiesa Centrale del Santo Signore e le vittime avevano tutte tra i 12 e i 16 anni. Il tribunale ha inflitto il massimo della pena sottolineando che "le ragazzine non potevano rifiutarsi perché per loro Kin rappresentava quanto di più vicino a Dio ci fosse sulla Terra".

lunedì 20 febbraio 2006

Ru486: un commento e una replica

Assuntina Morresi ha aggiunto oggi un commento lungo e meditato al post «La theoconette»; poiché la risposta deve essere necessariamente altrettanto lunga e impegnativa, abbiamo pensato di farne – assieme al testo della nostra commentatrice – un post a parte.

AM: La novità di quanto sta accadendo sta proprio nel fatto che chi rimane comunque favorevole alla legalizzazione dell’aborto si pone problemi sulle conseguenze, come ad esempio quello sui feti nati vivi: forse non sai che la legge inglese sull’aborto contempla il feticidio, il che significa che feti vivi sono sempre stati fatti fuori e nessuno prima se ne era mai preoccupato (e comunque il 10% delle donne inglesi vorrebbe fuori legge l’aborto).
Quell’articolo sul New York Times: è come se in Italia la Bonino avesse scritto su Repubblica: basta, dobbiamo cominciare a fare in modo che il numero di aborti sia zero. E non come gioco retorico di parole, ma come inizio di dibattito pubblico. È una novità assoluta, tanto è vero che attualmente negli USA sono in ballo progetti per diminuire il numero degli aborti che coinvolgono sia la famigerata Planned Parenthood che movimenti pro-life, fatto impensabile fino a pochi anni fa.
Superare le divisioni pro-choice/pro-life significa questo, e non che una delle due parti cambi idea.

GR: Io sono convinto che la Bonino non avrebbe alcuna difficoltà a scrivere o sottoscrivere quella frase, come del resto chiunque del campo pro-choice; pensare altrimenti significa credere che qualcuno concepisca l’interruzione di gravidanza come un fine desiderabile in sé. L’aborto è un mezzo per ridurre le gravidanze indesiderate o non più volute, e basta. È per questo che notavo la profonda banalità del pezzo di Saletan sul New York Times, quando afferma: «I’ve never met a woman who wouldn’t rather have avoided the pregnancy in the first place». Ovviamente per i pro-choice l’aborto va evitato in quanto è un intervento non esente da rischi e conseguenze indesiderabili, mentre per i pro-life è prima di tutto un omicidio (e Saletan, nel dibattito con la Pollitt, mi sembra più vicino ai secondi che ai primi; quanto al feticidio, se inteso come soppressione di un feto vivo che potrebbe altrimenti sopravvivere, rappresenta un problema che in termini numerici relativi è di infima importanza). Identica distanza per i modi con cui si intende diminuire il numero degli aborti (contraccezione/dissuasione): è come se – il paragone non vuole essere irriverente – qualcuno volesse ridurre il numero delle visite dentistiche diffondendo l’igiene orale e la fluorizzazione delle acque, mentre qualcun altro sostenesse che estrarre un molare è un crimine, e che il mal di denti va curato con l’aspirina e l’astensione dai peccati di gola. Direi che la collaborazione si preannuncia difficile...

AM: Sul sondaggio dell’Eurispes, ti rimando a un link che lo spiega bene. Neanche tu lo hai letto correttamente.

GR: Vediamo. Io ho scritto: «il 74,6% degli Italiani (col 72,9% dei cattolici e l’86,8% dei non cattolici) è favorevole all’aborto in caso di gravi anomalie e malformazioni del feto. Non parrebbe una posizione del tutto coerente con quella delle gerarchie cattoliche...». Nella pagina che segnali si legge: «terrebbe un figlio anche se handicappato grave il 27,1% di chi si dichiara cattolico, da confrontarsi con il 36,8% dei praticanti». Ne deduco che su una questione sensibile – l’opinione manifestata farebbe gridare ad alcuni «dàlli all’eugenista!», no? – esiste una frattura profonda tra le gerarchie e quasi un terzo dei cattolici praticanti, che l’accordo su (alcune) altre tematiche non cancella. Che dire? Grazie della conferma!

AM: Il sondaggio australiano: le notizie spacciate da quel comunicato pro-RU486 sono evidentemente false, come tutta la loro propaganda. Nel sito degli avversari della RU486, infatti, come in tutti i loro comunicati, lettere, articoli e denunce, la mortalità delle donne è stata sempre riportata correttamente. Dov’è la prova delle telefonate con i dati falsi? Potrei snocciolarti la quantità industriale di menzogne dette dai sostenitori della RU486, che hanno dimostrato finora solo malafede e falsità. In base a che il loro sondaggio sarebbe più corretto?

GR: In base alla circostanza che questi hanno reso note le domande fatte («Majority of Australians Support RU486 Latest NewsPoll Reveals», comunicato stampa, 19 gennaio), e quelli no. Che poi nel sito degli anti-Ru486 i dati siano quelli corretti, beh, la cosa non mi sorprende: non sono così sprovveduti – e non lo siamo neanche noi. Provare che le telefonate offrivano dati taroccati è molto difficile – ci vorrebbe una registrazione; in ogni caso, anche se i dati fossero stati corretti, sparare un’informazione sui rischi dell’aborto chimico a persone che non la possono in quel momento valutare criticamente non mi sembra molto onesto. Ripeto: che in queste condizioni solo il 66% delle intervistate si sia detto contro la pillola, dimostra una consapevolezza diffusa dei termini reali del problema.

AM: La giornata di mobilitazione. Perché, quella che tu hai descritto non lo è? Il fatto che a centinaia siano andati a sollecitare proteste scritte (che sono arrivate) vale poco perché fatto di fronte alle chiese? C’è stato un grande dibattito pubblico, in Australia, che ha veramente coinvolto la popolazione tutta, come puoi vedere dalla rassegna stampa australiana e dalla relazione dell’inchiesta del Senato. Qui in Italia i radicali protestavano quando i preti “si mobilitavano” semplicemente facendo omelie per il referendum scorso. E adesso parlare alla gente dopo le messe non è una mobilitazione (che coinvolge migliaia di persone)?

GR: Se la Roccella scrive che «in Australia domenica è stata indetta una giornata di mobilitazione contro la Ru486, la pillola abortiva», senza aggiungere nessun dettaglio, la mia impressione è che in Australia un settore ampio e indifferenziato dell’opinione pubblica sia sceso in piazza. Quando poi apprendo che in realtà qualche centinaio di attivisti è andato a fare propaganda nelle chiese (un ambiente cioè a loro favorevole) ho come la sensazione di essere stato preso in giro – anche se poi formalmente non c’è nulla da dire: era «una giornata di mobilitazione», sì.

AM: Senza intento polemico: vedo anche dagli altri post che siete poco informati sulla RU486. Il convegno della FdA riguarda due infezioni da Clostridium, di cui una, quella del Difficile, colpevole di effetti collaterali, ma l’altra, quella del Sordellii, esplicitamente legata anche nel comunicato FdA all’uso del Mifepristone (RU486), che ha causato quattro morti in meno di due anni solo in California. Si dà il caso che il convegno in questione – definito “unusual” - sia stato annunciato dal NYT proprio quando è stato appurato che non era la RU486 californiana ad essere contaminata: è infatti inspiegabile – come potrai leggere anche nella sezione FAQ della FdA dedicata al mifepristone – che siano morte donne per aborto chimico solo in California, tutte per la stessa identica, rarissima infezione, di cui era morta una canadese durante una sperimentazione per aborto chimico nel 2001 (il trial fu interrotto e per questo la RU486 in Canada ancora non c’è).
Il sospetto, invece, che hanno molti in ambiente scientifico, è che i morti siano stati trovati solo laddove cercati. Se non avessero agito legalmente le famiglie delle donne morte in California – una delle quali ha pagato un’autopsia che il coroner si era rifiutato di fare – NESSUNA di quelle morti sarebbe stata associata alla RU486.

GR: Dove avremmo mostrato, esattamente, questa mancanza di informazione? In questo post dico chiaramente che il convegno della FDA riguarderà anche la Ru486 (per la Roccella solo la Ru486), e in quest’altro parlo delle quattro morti in California. Secondo te, a proposito, per quale ragione i morti sarebbero stati cercati solo in California? Nel resto degli USA e del mondo le famiglie ci tengono di meno? O non ci sarà stata più verosimilmente una causa locale, per quelle morti?

AM: Gli eventi avversi. Devi sapere che gli eventi avversi spontaneamente denunciati sono stimati essere, in genere, dall’1 al 10% di quelli effettivamente verificatisi. Per questo quei dati sono sconvolgenti.

GR: Quei dati non hanno senso senza il totale dei casi trattati. Che i farmaci abbiano effetti collaterali è cosa nota. Persino un Tampax può provocare uno shock anafilattico.

AM: Le undici morti sono tutte documentabili. Soprattutto è documentato il fatto che, solo dopo pressioni dei familiari e interpellanze parlamentari i governi le hanno dichiarate. Il che fa legittimamente pensare che le morti siano state effettivamente molte di più, anche considerando quanto accaduto in Cina.

GR: Di nuovo: i dati cinesi, se fossero noti, farebbero aumentare non solo il numeratore degli effetti avversi, ma anche il denominatore dei casi totali. Quanto alla supposta reticenza dei governi: è il frutto di una cospirazione, o è dovuta semplicemente al fatto che si tratta di eventi rarissimi, con cause che è difficile accertare?

Un’ultima osservazione. Dipingere i fautori della Ru486 come dei mostri che occultano dati e mettono allegramente a repentaglio la vita e la salute delle donne appartiene più al campo della demonizzazione (e della diffamazione, eventualmente) che a quello della corretta informazione. Forse è bene ripeterlo ancora una volta: nessuno pensa che le donne debbano servire a moltiplicare gli aborti; sono gli aborti che debbono servire alle donne.

La cultura della paura

Ronald Bailey su Reason del 17 febbraio fa il resoconto di una conferenza di Frank Furedi intitolata «Panic Attack: The New Precautionary Culture, the Politics of Fear, and the Risks to Innovation», sugli eccessi del principio di precauzione. Un excerptum:

La gente non crede più ai disastri «naturali» o alla «volontà di Dio». Ormai, si sospetta sempre che un disastro sia colpa di qualcuno: di un’azienda priva di scrupoli o di un burocrate vigliacco. In pratica, gli incidenti non accadono più: sono diventati tutti lesioni colpose.
Nell’originale:
People no longer believe in natural disasters or acts of God. Today, people suspect that someone is behind a disaster – an irresponsible corporation or a cowardly bureaucrat. Indeed, accidents don’t happen anymore; they have been redefined as preventable injuries.
Leggete anche il resto: l’articolo lo merita.

È morto Luca Coscioni



Da l'Unità del 25 settembre 2005
Vivere (e morire) con dignità
di Luca Coscioni

«Libertà per liberare la vita» così si intitola un numero della rivista radicale «Diritto e Libertà». Un titolo che riassume il senso più profondo che ho cercato di attribuire a ciascuno dei desideri che si agitano in me da quando in modo burrascoso, violento e sconvolgente sopravvivo alla sclerosi laterale amiotrofica. Desideri che si dilatano o si restringono, che vanno verso le persone e le cose del mondo o si allontanano da esse.
Non essendo io, né forte, né coraggioso, riconoscendo i miei limiti e la mia finitezza, vorrei guardare il futuro e al futuro con la consapevolezza di riuscire ancora a trasportare altrove i miei sentimenti e le mie azioni. Queste ultime sono doverose quanto mai necessarie. Così come è doveroso, quanto mai necessario, creare, ricreare motivazione e partecipazione per tentare di vincere il tempo delle ipocrisie, della mediocrità e della precarietà del diritto, della democrazia, della legalità.

Vorrei davvero che questo primo passo di riflessione e di proposizione di intenti che si è appena compiuto a Fiuggi, orientasse tutti noi a ricercare trame di conoscenza in chiave di ieri, contigue e continue, in chiave di domani. Che possano le identità storiche, politiche, sociali e culturali di ciascuno di noi, confluire in una nuova realtà, in un nuovo imperioso progetto politico.

Per me la battaglia di «libertà per liberare la vita» sta divenendo ancor più difficile, al limite del possibile quando il respiro diviene più corto, quando momenti di difficoltà respiratoria o dispnea soprattutto durante la notte, impediscono un adeguato scambio di aria, perché è compromessa la funzione dei muscoli respiratori, perché la malattia fa diminuire, il livello di ossigeno nel sangue e aumentare quello della anidride carbonica. Il mio neurologo mi ha suggerito di pianificare, se decidessi di protrarre la mia esistenza, l’intervento di tracheotomia, l’intervento che consente ad una persona di vivere attaccata ad un ventilatore meccanico. Il discorso mi è sembrato semplice. Non so come sia vivere per mezzo di una macchina. La morte si sa è una realtà che appartiene all’esistenza e al vivere, imprescindibile, in qualche modo rimossa e negata dalla società italiana, dove il morire, l’ars vivendi la morte, è vissuto come fatto emotivo esclusivamente personale ed isolato.

È difficile dunque, parlare con libera franchezza, con libertà, della morte, non per esorcizzarla o per svelarne il mistero se un mistero della morte esiste, quanto piuttosto come questione sociale, come problema politico laddove il morire è legato a condizioni estreme di dolore e sofferenze, intollerabili.

L’eutanasia deve porsi al centro del dibattito sociale.

Ecco dunque il diritto alla dignità del morire, il riconoscimento del diritto di morire dignitosamente, il riconoscimento della volontà del morente, libera, autentica volontà assunta come norma che preveda e garantisca, la manifestazione della coscienza di ciascuno di noi, che non esprima altro significato se non quello intimamente voluto. Per quanto riguarda la semplicità e la logicità del discorso del mio neurologo circa la ventilazione invasiva, non mi fa sentire affatto tranquillo. La scelta, qualunque sia, è una scelta di sofferenza, di dolore e forse per la prima volta di estremo coraggio. Vi parlo dalla mia casa in Orvieto. Da qui voglio annunciare che il Quarto Congresso dell'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica si terrà proprio ad Orvieto dal 2 al 4 dicembre 2005. La scelta della mia città natale, dove vivo non è casuale o semplicemente legata alle mie attuali condizioni di salute sebbene riguardano oggi una capacità respiratoria compromessa e a rischio. Ho scelto la mia città perché la battaglia per la libertà, per liberare la mia vita, per darci e dare una speranza a milioni di malati, per la difesa dei diritti dei deboli e degli oppressi, di chi è senza voce, è iniziata per me qui, quando ancora le mie mani potevano azionare una leva che mi consentiva di “viaggiare” in aperta campagna su di uno scooter elettrico per disabili. Un viaggio dove i sogni di un uomo giovane e libero, ancora vivo, si sono infranti, ma dov’anche ho iniziato a costruire o meglio a ricomporre i pezzi di un io a volte a me sconosciuto, per un nuovo me stesso e a percorrere la strada che voi tutti conoscete. Questo anno festeggio il mio decimo anno di lotta alla sclerosi laterale amiotrofica e non potevo che ricostruirla e rigenerarla in un luogo che ho visto per un po’ di tempo terra estranea e straniera.

Concludo con alcune parole di Jacques de Bourbon Busset: non occorre «divinare l’avvenire probabile, ma preparare l’avvenire auspicabile, e procedere anche più oltre: sforzarsi di rendere probabile l’avvenire auspicabile». Se davvero riuscissimo a rendere possibile, il futuro desiderabile, il progetto politico augurabile, il Paese ne uscirebbe forte in termini di legalità, di democrazia, di rispetto e di riconoscimento di diritti civili, ne uscirebbe rafforzato in termini di uguaglianza nel combattere ogni forma di oppressione e di ingiustizia, di integralismo e di fondamentalismo, per una sorta di morale della responsabilità per laici e credenti.

32 nuove diocesi: colmano un vuoto (necessario)


Ultime notizie dal Comune di Roma.

Approvata ieri pomeriggio dalla Giunta capitolina la delibera che assegna 32 aree alle diocesi romane per costruire parrocchie in periferia. Sono tutti nuovi quartieri – piani di zona, zone O di Piano Regolatore – dove le chiese mancano, come pure segnalato dalle autorità ecclesiastiche.

Queste le zone dove sorgeranno le nuove parrocchie: Case e Campi, Castelporziano Sud, Valcannuta, Casal Brunori, La Romanina, Settecamini, Tor Sapienza, Lunghezzina, Castelverde, Centrone 2, Corcolle Est, Poggetto, Massimina B, Centro Giano, Portuense, via Sacrofanese km. 5, Saline collettore primario, Schizzanello, Acilia, Montespaccato, Colle del Sole, Via Boccea km. 10-11-12, Palmarola-Selva Nera 1, Palmarola-Selva Nera 2, Palmarola-Selva Nera 3, Palmarola-Selva Nera 4, Cecchignola Ovest, Osteria Nuova, Tor Vergata 2, via Ponzio Cominio, Ostia Lido, Borgata Tidei.

domenica 19 febbraio 2006

Utopia

Nella sua «Letter from Utopia» Nick Bostrom, filosofo dell’Università di Oxford, vuole dimostrare che il progresso non significa solo eliminare la sofferenza, ma anche migliorare le capacità umane: «in addition to removing the negative, there is also an upside imperative: to enable the full flourishing of enjoyments that are not currently realizable». Lo fa in una prosa un po’ turgida, ma tutto sommato trascinante.

Neuroetica

Sul sito della Stanford School of Medicine è possibile leggere una breve intervista a Judy Illes sul campo relativamente nuovo della neuroetica. C’è anche un video in cui la stessa Illes parla di questa disciplina, che ha contribuito a fondare nel 2002.

Strategie elettorali

Forse è più una questione estetica che etica, ma fa sorridere la decisione di escludere dall'ammiccante invito elettorale l'estremità del cranio del nostro premier, in quanto sprovvista di quella protezione tricologica che gli avrebbe senza dubbio consegnato qualche punto percentuale in più.
Che cosa succederebbe se Berlusconi fosse colpito da alopecia? Probabilmente ci ritroveremmo con una fotografia del suo ghigno e di metà del suo naso sovrastati dalla scritta cubitale: forza italia (in sottofondo l'immancabile gingle).

(foto © c.)

sabato 18 febbraio 2006

Niente di predefinito

Secondo un sondaggio pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility, soltanto l’8% degli americani vorrebbe predeterminare il sesso dei propri figli, se fosse consentita negli USA la tecnica correntemente impiegata altrove (la selezione del seme). La cifra raggiungerebbe il 18% se fosse possibile ottenere lo stesso risultato semplicemente ingoiando una pillola (fonte: «US study suggests little demand for social sex selection», BioNews, 17 febbraio). Le diffuse paure di uno squilibrio tra i sessi come conseguenza di un ammorbidimento della legislazione in materia sembrerebbero insomma esagerate.

Donare per clonare

È disponibile in rete l’articolo del Times del 14 febbraio («Donor breakthrough for cloning research») in cui vengono rivelate le nuove linee guida fissate dal governo britannico in materia di donazione di ovociti. Una volta approvate, sarà possibile che anche donne non sottoposte a stimolazione ovarica possano donare i loro ovociti per la ricerca scientifica, in particolare per la clonazione terapeutica. Nel Regno Unito attualmente ciò è consentito solamente a donne che stiano tentando la fecondazione assistita, mentre le donne sane possono donare ovociti solo per aiutare altre donne ad avere un figlio. Le nuove linee guide appaiono ineccepibili da un punto di vista autenticamente liberale.

venerdì 17 febbraio 2006

Abbasso Zapatero


Avvenire di oggi («Fecondazione: la Spagna abbatte i limiti dell’etica») commenta con preoccupazione la nuova legge sulla fecondazione assistita spagnola, approvata ieri dalla Camera dei Deputati (e che passa adesso all’esame del Senato): «è l’esatto contrario della legge 40 in vigore nel nostro Paese». La legge elimina tra l’altro il tetto al numero di ovociti che possono venire fecondati, mentre gli embrioni in eccesso potranno essere utilizzati per la ricerca scientifica.

Non tutti i cloni sono uguali

Michael Gazzaniga commenta l’invito del Presidente Bush a mettere al bando ogni forma di clonazione («All Clones Are Not the Same», The New York Times, 16 febbraio):

the political games around stem cell research are sending scientists on wild goose chases, pursuing costly and strange alternative ideas, some of which may work in the distant future but many which probably will not.
This search for alternatives is costly not just in dollar terms but also in time not being spent on the best research possibilities. And it represents a perversion of the scientific process: instead of science proceeding in the best way it knows, it is being used in the service of political goals. Not only will the present generation not get medical relief from stem cell research, it is beginning to look as if our children’s generation will not either.
In the scientific community there have obviously been strains. When the sad and pathetic story of the fraud in South Korea came to light, I couldn’t help but wonder if the entire process — from the overly ambitious laboratory scientist to the overly eager editors of scientific journals — was compromised by a conscious or unconscious sense that something must keep stem cell research alive in the face of the American administration’s unwavering opposition.

Giù le mani da Hwang!

Sul Los Angeles Times del 14 febbraio («South Korean Cloning Scandal Takes Toll on Whistle-Blowers»), le traversie dei ricercatori e dei giornalisti coreani che hanno rivelato le frodi commesse da Hwang: minacciati di morte, costretti alle dimissioni, oggetto di un’ira popolare alimentata da nazionalismo e complottismo che soltanto adesso e a fatica accenna a calare.

Ru486

Due notizie sulla Ru486: in Gran Bretagna il governo ha condotto con successo uno studio clinico per accertare la possibilità di praticare l’aborto farmacologico al di fuori degli ospedali e delle cliniche autorizzate. In prospettiva le donne potrebbero assumere la Ru486 da sole a casa loro («Home alone abortion using pills is safe, government project finds», Nursing Standard).
In Australia il parlamento ha deciso ieri a grande maggioranza di autorizzare l’uso della Ru486 («Controversial bill passes», The Age, 16 febbraio). Qualcuno sarà rimasto molto deluso...

giovedì 16 febbraio 2006

Madri selvagge

Uscirà tra breve il libro di Alessandra Di Pietro e Paola Tavella, Madri selvagge. Contro la tecnorapina del corpo femminile, Einaudi, «Stile libero», pp. 152, € 11,00. Le autrici sono salite, come si suol dire, agli onori della cronaca per una lettera aperta che alla vigilia del referendum del giugno 2005 invitava le donne ad astenersi dal voto, perché le tecniche di fecondazione assistita «consegnano la procreazione nelle mani della tecnica e la sottraggono nei fatti, nel simbolico e nell’immaginario, al potere femminile». Ciò che è difficile capire è non solo perché mai una tecnica che consente alle donne di procreare quando non possono dovrebbe costituire una diminuzione e non un incremento del loro potere, ma anche per quale ragione Alessandra Di Pietro e Paola Tavella si definiscano «libertarie»: è impossibile trovare una qualsiasi accezione di questa parola che sia compatibile con la limitazione per legge delle altrui possibilità di scelta. A parte le inevitabili associazioni con la neo-lingua orwelliana, viene quasi da pensare che essa sia stata usata come uno sberleffo da chi tanto libertario in fondo non è. Speriamo che il libro ci aiuti a capire meglio.

Lettera aperta

Condivisibile l'inquietudine espressa da Annamaria Abbate, portavoce degli Ulivisti nella Margherita, a proposito della candidatura di Paola Binetti, addirittura come probabile capolista nella Lombardia.

La notizia che il vertice nazionale della Margherita intende paracadutare in Lombardia, addirittura come capolista, Paola Binetti, presidente del Comitato Scienza e vita, è di quelle che inducono a mettere in discussione le ragioni di appartenenza ad un partito che sempre più spesso, oramai, lascia alla retorica il rispetto delle molteplici tradizioni e culture che vi sono confluite, mortifica il valore della laicità delle istituzioni e dell’autonomia della politica, e fa a gara con la destra per accreditarsi presso le gerarchie ecclesiastiche, come i più zelanti interpreti delle loro istanze. Operazione suicida sotto ogni punto di vista: magrissimo bottino elettorale e identità di partito svenduta.
Altrettanto condivisibile la proposta di controbilanciare la candidatura di sapore spirituale candidando una donna che incarna lo spirito laico: Cinzia Dato.
Solo in questo modo, commenta Annamaria Abbate, il vertice nazionale ritroverebbe un po' di buon senso e onorerebbe la pluralità delle sue componenti.

Pax sì, Pacs no



Roma, via Foligno 27. Quartiere san Giovanni.

Domanda: la pace non dovrebbe andare d'accordo con la tolleranza?
Mah.
Qualcuno ha scritto un commento invisibile a occhio nudo. Ma che nella foto è ben evidente. Voce di popolo, voce di dio.




(foto © c.)

Eugenia Roccella in Kill Pill


La nostra theoconette, Eugenia Roccella, ci prova di nuovo: questa volta dalle colonne del Foglio («Ru 486 sotto accusa. In America», 14 febbraio, p. II dell’inserto), torna all’attacco della pillola abortiva, la Ru486 – o, come la chiama lei con fine ironia, la kill pill. «Il governo americano ha promosso, per l’11 maggio prossimo, un convegno sul rapporto tra l’aborto chimico e le gravi infezioni batteriche che hanno causato la morte di quattro giovani donne californiane in meno di due anni … È la prima volta che la Ru 486 viene messa ufficialmente sotto accusa», ci informa sicura la Roccella. Chi non conosce ancora bene la theoconette rimarrà dunque un poco sorpreso quando, controllando sul sito della Food and Drug Administration, scoprirà che il convegno dell’11 maggio (Emerging Clostridial Disease: Public Workshop) non riguarda in primo luogo la Ru486, ma bensì il particolare batterio che ha causato, fra l’altro, quelle quattro morti; la pillola abortiva è soltanto uno fra i vari argomenti trattati. Ma questa è in fondo solo una deformazione giornalistica, per quanto leggermente tendenziosa; ben più grave è l’interpretazione inquisitoriale che la Roccella dà all’evento («È la prima volta che la Ru 486 viene messa ufficialmente sotto accusa»), visto come un tribunale in cui giudici arcigni sono chiamati a decidere se troncare finalmente la carriera criminale della kill pill. Non solo nell’annuncio ufficiale non c’è traccia di ciò, ma sembra che alla Roccella non passi nemmeno per un attimo in mente che l’esame della questione si possa concludere con la raccomandazione di adeguate misure profilattiche (per esempio, la somministrazione preventiva di antibiotici) che scongiurino il pericolo senza rinunciare all’aborto farmacologico.
L’articolo sul Foglio è breve, ma questo non scoraggia certo Eugenia Roccella dal fornirci il maggior numero possibile di informazioni della qualità a cui ormai ci ha abituati. «In occidente sono già undici le morti accertate dovute alla “kill pill”»: impressionante, vero? La Roccella non fornisce la fonte della cifra – nella letteratura medica più recente a me disponibile si parla di otto morti – ma non è questo il punto. «A Vattelapesca sono undici i casi di omicidio accertati nel corso dell’ultimo mese» è una notizia la cui valutazione dipende in modo decisivo da un dato che non ci viene fornito: quanto è grande Vattelapesca? Se si tratta di un borgo di 100 anime, allora abbiamo di fronte una serie di ammazzamenti degna di un film di Quentin Tarantino; se si tratta invece di una megalopoli di 10 milioni di abitanti, non possiamo che lodare la mitezza dei suoi abitanti. Che una medicina possa uccidere non è una novità: lo fanno anche gli antibiotici. Ma fornire il dato assoluto delle morti senza riportare quello totale delle persone sottoposte allo stesso trattamento ha un contenuto informativo prossimo allo zero, e significa fare non tanto propaganda, quanto puro terrorismo verbale. La cifra delle undici morti da Ru486 si trova anche in un articolo pubblicato sul giornale australiano The AgeMinchin tells of abortion experience», 9 febbraio), ma in questo caso ci viene detto anche quante donne si sarebbero sottoposte a questo tipo di aborto: 12 milioni. Di nuovo, non so valutare l’attendibilità di questa cifra, che non appare però manifestamente assurda; se fosse autentica, significherebbe che la Ru486 causa meno di una morte ogni milione di casi, e sarebbe dunque almeno altrettanto sicura degli altri metodi abortivi praticati in condizioni similari.
La theoconette prosegue però imperterrita, invocando l’articolo di Michael Greene sul New England Journal of Medicine, e «la spaventosa rassegna di eventi avversi pubblicata dagli Annals of Pharmacotherapy». Del primo ci siamo occupati qualche giorno fa, e non ci torneremo sopra; vediamo cosa dice «la spaventosa rassegna» (Margaret M. Gary e Donna J. Harrison, «Analysis of Severe Adverse Events Related to the Use of Mifepristone as an Abortifacient», The Annals of Pharmacotherapy, 40, 2006, pp. 191-97). Si tratta in effetti di un elenco grandguignolesco di effetti collaterali (infezioni, emorragie, etc.) della Ru486, che farebbe impallidire anche il regista di Kill Bill (con la B). Anche qui però manca la cifra degli interventi totali. Le autrici hanno l’onestà di notarlo; e tuttavia c’è qualcosa nel tono dell’articolo che desta qualche sospetto... finché non arriviamo al disclaimer finale: «Dr. Gary and Dr. Harrison are members of the Subcommittee on Mifeprex of the American Association of Prolife Obstetricians and Gynecologists». Antiabortiste, in altre parole. «Non conta chi lo dice, ma cosa si dice!» mi fulminerebbe, ne sono sicuro, Eugenia Roccella; e avrebbe ragione. Ma cosa dicono le due prolifers?

Before any medication is used, a prudent practitioner weighs carefully the risks of the medication with the potential benefits. Medications, such as chemotherapy agents, with life-threatening or potentially lethal adverse effects are acceptable in treating conditions that are themselves debilitating or lethal such as cancer, HIV, sepsis, and others. In these cases, alternative treatments are limited and, without treatment, the disease is rapidly lethal. The use of mifepristone as an abortifacient, however, is radically different. Pregnancy in most instances is a benign, self-limited condition, with duration of approximately 8 months from diagnosis for most women.
In sintesi: gli effetti collaterali dei farmaci vanno valutati contro le conseguenze del loro mancato uso; ma l’alternativa all’uso della pillola abortiva è la gravidanza, «che è nella maggior parte dei casi una condizione benigna». A parte ogni altra considerazione, l’intoppo è proprio in quella vaga specificazione, «nella maggior parte dei casi». Negli Stati Uniti, la probabilità di morire in seguito a una gravidanza è da otto a dieci volte superiore a quella di morire per Ru486 (ammesso che tutte e cinque le morti registrate in quel paese siano effettivamente da addebitarsi alla pillola abortiva; la fonte è proprio l’articolo di quel Michael Greene tanto lodato dalla Roccella). Ma questo le due dottoresse non lo dicono. Con certi antiabortisti, americani o italiani che siano, caveat lector: il lettore faccia molta, molta attenzione...

mercoledì 15 febbraio 2006

Piero Gobetti (19 giugno 1901 - 15 febbraio 1926)

«C’è un solo valore incrollabile al mondo: l’intransigenza» (Piero Gobetti, «Elogio della ghigliottina», La Rivoluzione Liberale 1, n. 34, 23 novembre 1922).

martedì 14 febbraio 2006

La volontà degli italiani

Prima intervista di Paola Binetti, presidente del comitato Scienza & Vita, nel ruolo di candidata del centro-sinistra (Europa di oggi):

Mi sembra molto difficile poter toccare una legge come la legge 40. La si potrebbe migliorare nella direzione di una maggior tutela del diritto alla vita, ma il settantacinque per cento degli italiani nel referendum di giugno ha detto che la legge deve restare così com’è. E la volontà degli italiani va rispettata.
A rischio di apparire pedanti, va detto che la percentuale degli italiani che nei referendum di giugno hanno risposto «no» per quattro volte al quesito «Volete voi che sia abrogata la legge 19 febbraio 2004, n. 40, avente ad oggetto “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, limitatamente alle seguenti parti: etc.» – insomma, quelli che hanno detto che la legge deve restare così com’è – è leggermente minore: il 2,87% degli aventi diritto (fonte: Ministero dell’Interno). Ha risposto «sì» ad almeno uno dei quesiti il 22,73%; gli altri – il 74,4% – non sono andati a votare, o hanno votato scheda bianca o nulla; in pratica, ai quesiti referendari hanno risposto «non so», «boh?», «non mi interessa», «non posso venire», «fate voi». Non hanno detto che la legge doveva rimanere così com’era. È vero che alcuni di essi – compresi alcuni candidati del centro-sinistra alle prossime elezioni – hanno fatto i furbi, e volendo votare «no» ma temendo di essere in minoranza hanno deciso di sommare la propria astensione a quella di chi comunque non si sarebbe recato alle urne, per impedire che fosse «rispettata la volontà» della maggioranza relativa degli elettori; ma sicuramente questi astuti personaggi sono molti, molti di meno del «settantacinque per cento degli italiani»...

lunedì 13 febbraio 2006

Schatten e il cane


Gerald Schatten sarà stato anche una vittima di Woo-Suk Hwang, come scrivevamo sabato, ma dal rapporto dell’Università di Pittsburgh sulla sua condotta, adesso disponibile online, sembra essere stato una vittima alquanto consenziente: non ha esercitato alcun controllo sull’articolo sulla clonazione terapeutica pubblicato da Science, come pure sarebbe stato suo dovere e nonostante fosse già a conoscenza di alcune clamorose incongruenze nei dati; e ha ricevuto a più riprese da Hwang cospicue somme di denaro, senza una chiara motivazione. Ma l’addebito più gustoso è il seguente:

Riguardo alla breve comunicazione indirizzata a Nature sulla clonazione del cane Snuppy, della quale il Dr. Schatten figura come co-autore, non abbiamo motivo di dubitare di quanto il Dr. Schatten ci ha riferito, e cioè che il suo contributo principale all’articolo è consistito nel suggerimento di ingaggiare un fotografo professionista per far apparire Snuppy al meglio. Appare meno chiaro come questo contributo possa giustificare l’inserimento del nome del Dr. Schatten tra gli autori dell’articolo.

domenica 12 febbraio 2006

Difendiamo la 194


Un mese fa la manifestazione di Milano; ieri Napoli e Roma.
Di parole ne abbiamo sentite molte, troppe. La legge 194 è sottoposta da mesi ad un assedio silenzioso; assedio reso esplicito (e inevitabile) dall’articolo 1 della legge 40/2004, quella sulla procreazione assistita: il concepito sarebbe come noi, sarebbe una persona, godrebbe dei diritti di cui godono le persone. Questo è quanto afferma la legge 40. E allora, come sarebbe possibile interrompere una gravidanza? Come sarebbe possibile violare quei diritti dell’embrione-persona? Come sarebbe possibile senza chiamare questa azione omicidio?

(foto © Francesca Di Mambro)

Buon compleanno, Charles!


Dall’Origine delle specie (1ª ed., 1859), di Charles Darwin:

There is grandeur in this view of life, with its several powers, having been originally breathed into a few forms or into one; and that, whilst this planet has gone cycling on according to the fixed law of gravity, from so simple a beginning endless forms most beautiful and most wonderful have been, and are being, evolved.

sabato 11 febbraio 2006

Documento conclusivo

Sul sito della Camera dei Deputati è disponibile il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla applicazione della legge n. 194/1978. Più leggibile la versione PDF sul sito del Movimento per la vita.

Dobbiamo migliorarci?

È da pochi giorni disponibile online la raccolta di saggi Better Humans? The politics of human enhancement and life extension, a cura di Paul Miller e James Wilsdon, pubblicata dal think tank britannico Demos: un rapporto sulle tecnologie che promettono di migliorare radicalmente la natura umana, e sui problemi etici e sociali che comporterà la loro introduzione.

Schatten è una vittima


Una commissione d’indagine dell’Università di Pittsburgh ha riconosciuto Gerald Schatten estraneo alla frode perpetrata da Woo-Suk Hwang (alle cui ricerche sulla clonazione terapeutica lo studioso americano collaborava), anche se ha rilevato alcune mancanze nel suo comportamento. «Penso che sia ovvio che Schatten è stato, per molti aspetti, una vittima», ha affermato Glenn McGee, che ha fondato e dirige l’Alden March Bioethics Institute dell’Albany Medical College di Pittsburgh (Byron Spice, «Peers supporting Schatten, consider him a victim of fraud», sulla Pittsburgh Post-Gazette di oggi).

giovedì 9 febbraio 2006

Risate a Volontè


La prosa dei sostenitori della gravidanza coattiva è spesso abbastanza lugubre: termini come «omicidio», «tragedia», «morte» vengono usati senza risparmio. Quasi altrettanto spesso, però, un approccio umoristico alla questione viene ad alleviare tanta grevità. A essere proprio precisi, questo succede solo nella prosa dell’On. Luca Volontè, capogruppo dell’UDC alla Camera dei Deputati; ma la produzione dell’On. capogruppo è talmente copiosa da controbilanciare almeno in parte quella di tutti gli altri anti-abortisti messi insieme. Un look vagamente back to the roaring sixties contribuisce a conferire credibilità e simpatia al Volontè umorista; ma ovviamente un autore va giudicato in primo luogo per i suoi testi; e qui la qualità dell’On. capogruppo decisamente rifulge.
Prendiamo per esempio questo brano tratto da un’intervista al Nostro apparsa su un foglio satirico pochi giorni fa («Sull’aborto Prodi fa l’estremista», Libero, 1 febbraio):

Scusi, ma la gente si chiede: in materia di aborto l’Italia si è espressa attraverso il referendum del ’78, perché parlarne ancora?
Perché ogni legge è perfettibile. Basti pensare che è conquista scientifica recentissima che la vita di un individuo inizia al concepimento.
Non vorrei che chi legge ridesse per la ragione sbagliata, chiedendosi tra gli sghignazzi cosa mai, nell’opinione di Luca Volontè, gli scienziati credessero fino a poco tempo fa, prima della «conquista scientifica recentissima»: che i concepiti non erano individui (perché privi del patrimonio genetico, o perché non unici), o che non erano vivi? Suvvia, non facciamo la figura di chi a teatro ride fuori tempo: vi pare che uno che ha partecipato ai Seminari di Studio Internazionali dell’Accademia Superiore di Filosofia del Principato del Liechtenstein, il direttore dell’Istituto di Studi Giovanni Paolo II, possa davvero credere questo? Si tratta con tutta evidenza di un’iperbole scherzosa del Volontè (e se c’è in effetti qualche spazio per l’equivoco, la colpa va – ne sono certo – all’intervistatore).
Ancora più trasparente l’intenzione comica che anima questo secondo brano («Neopagani all’assalto della Chiesa», Il Tempo, 26 ottobre 2005), redatto quando ancora infuriavano le polemiche sul referendum:
qualche settimana fa mettevo in guardia da questa intolleranza e affermavo che senza atti severi di deterrenza dopo i fischi a Ruini sarebbe toccato a ben altro. Bene, la seconda carica dello Stato, il senatore Pera ha subito la stessa sorte. Una chiesa è stata assalita. Forse non esageravo allora né lo voglio fare oggi. La prossima volta, se l’andazzo rimane questo, troveremo una marmaglia indegna di stivali dei cosacchi, dentro una chiesa a saccheggiare le reliquie.
La progressione comica dell’assalto al Sacro (Ruini - Pera - le scritte sul muro di una chiesa di Torino - i cosacchi, con Pera evidentemente «ben altro» rispetto a Ruini), gli «atti severi di deterrenza» contro i fischiatori (il taglio della lingua?), il tono fintamente drammatico (la «sorte» del «senatore Pera»!), l’italiano intenzionalmente sgangherato («una marmaglia indegna di stivali dei cosacchi»), danno vita a un pezzo di bravura eccezionale.
Non mi posso purtroppo dilungare oltre; è con particolare rimpianto che rinuncio a citare qualche pezzo dell’assoluto capolavoro dell’On. capogruppo («E io dico che Babbo Natale esiste», La Provincia, 8 dicembre 2005), perché fuori tema rispetto a questo blog; ma il lettore che vorrà seguire il link non se ne pentirà.
Certo, quando Luca Volontè si avventura sul terreno più serio dei fatti diventa discutibile; ma bisogna ricordarsi che abbiamo a che fare con un comico, non certo con un pensatore! Un esempio («Volontè: la Ru486 l’aborto peggiore», La Gazzetta del Mezzogiorno di oggi):
Ammesso e non concesso che i signori della Ru486 abbiano un briciolo di coscienza, o qualche barlume di morale, sappiano almeno che questo metodo abortivo è il più rischioso. Non lo dice il Cardinale Camillo Ruini, ma la più importante rivista medica statunitense, il New England Journal of Medicine.
Con un approfondito editoriale, il professor Michael Greene, titolare della cattedra di ostetricia, ginecologia e medicina riproduttiva alla Harvard Medical School di Boston (non la “Luca Coscioni University”) ha potuto illustrare di recente i perché e i per come la Ru486 sarebbe meglio definirla “pillola della morte”, visto l’alto rischio per la salute delle donne che interrompono la gravidanza. Particolari scientifici a parte, ciò che più appare lampante è il dato numerico: la percentuale di mortalità causata dall’aborto chimico è dieci volte più alto di quella procurata tramite aspirazione o raschiamento.
Se andiamo a leggere l’articolo originale, scopriamo che la cifra assoluta su cui si basa l’analisi di Greene è di 4 morti (per una infezione batterica) su 460000 circa pazienti trattati, negli Stati Uniti (un’altra morte per la stessa causa è avvenuta in Canada; nessuna altrove). La percentuale è di meno di un decesso ogni 100000 casi: una «pillola della morte» piuttosto inefficace... Vediamo poi quali sono le conclusioni dello stesso Michael Greene:
Per quanto le morti di queste donne giovani e sane siano tragiche, esse costituiscono un piccolo numero di eventi rari, privi di una chiara connessione patofisiologica col metodo di interruzione della gravidanza impiegato … I regolatori dovrebbero mettere questa rara complicanza in prospettiva, e non avere una reazione eccessiva di fronte a dati sparsi, che porti a cancellare affrettatamente l’unica opzione medica [cioè non chirurgica] approvata per l’interruzione di gravidanza.
Nell’originale:
As tragic as the deaths of these young, healthy women are, they remain a small number of rare events without a clear pathophysiologic link to the method of termination … Regulators should keep this rare complication in perspective and not overreact to scant data by prematurely foreclosing the only approved medical option for pregnancy termination.
Direi proprio che possiamo fidarci del giudizio del «titolare della cattedra di ostetricia, ginecologia e medicina riproduttiva alla Harvard Medical School di Boston», no?
Tengo a ripetere che queste osservazioni nulla vogliono togliere alla qualità dei testi di Luca Volontè: l’On. capogruppo si inserisce a pieno titolo nella gloriosa, lunga, ininterrotta tradizione comica che va dai buffoni medievali fino ai giorni nostri.

martedì 7 febbraio 2006

Contro l’obiezione di coscienza

Julian Savulescu spiega perché l’obiezione di coscienza non dovrebbe essere ammessa in medicina («Conscientious objection in medicine», British Medical Journal 332, 2006: 294-97). L’articolo purtroppo è accessibile solo a pagamento, ma a blog.bioethics.net sono disponibili un riassunto e alcuni brani. Un esempio: «The door to “value-driven medicine” is a door to a Pandora’s box of idiosyncratic, bigoted, discriminatory medicine. Public servants must act in the public interest, not their own».

lunedì 6 febbraio 2006

Trapianto di volto


Dopo i morsi di un cane aveva il volto sfigurato. Le hanno trapiantato una parte del volto di un’altra donna (morta) alla fine di novembre scorso.
Oggi si è mostrata in pubblico in una conferenza stampa ad Amiens.
Il primo trapianto di volto eseguito al mondo aveva suscitato insensate questioni etiche. Isabelle Dinoire ha detto di essere felice, e di sperare che la sua operazione possa aiutare coloro che sono feriti, come lei, a vivere nuovamente.

Hwang non ricorda


Una commissione di inchiesta avrebbe accertato che 6,4 miliardi di dollari in donazioni sarebbero stati utilizzati da Woo-Suk Hwang – il falso profeta coreano della clonazione terapeutica – in maniera impropria. Una parte dei fondi sarebbe in particolare stata impiegata per passare bustarelle a personalità politiche della Corea del Sud, ma Hwang non ricorda più esattamente né l’entità delle cifre né l’identità dei politici coinvolti («Cloning ‘pioneer’ donated research funds to politicians», su New Scientist di oggi).

Biblioetica


Biblioetica. Dizionario per l’uso

di Gilberto Corbellini, Pino Donghi, Armando Massarenti

14 febbraio - 12 marzo 2006 – PRIMA ASSOLUTA

Progetto per le Olimpiadi della cultura di Torino 2006
Teatro Vittoria

Consulenza scientifica Fondazione Sigma Tau
Regia Luca Ronconi, Claudio Longhi
con Fiorenza Brogi, Bob Marchese, Franco Passatore
e con Alice Bachi, Valentina Bartolo, Giovanni Battaglia, Pasquale Di Filippo, Cristian Maria Giammarini, Giorgio Ginex, Lino Guanciale, Diana Höbel, Silvia Iannazzo, Alessandro Loi, Francesco Rossini, Massimiliano Sbarsi, Marco Toloni, Alfonso Veneroso, Francesco Vitale

Un gruppo di scienziati, medici, filosofi – con la consulenza scientifica di Sigma Tau, fondazione che già collaborò ad Infinities – ha scritto 50 lemmi di un “dizionario” di bioetica che si confronta proprio sui temi della ricerca scientifica contemporanea. Questo titolo rappresenta la vera sfida, quella di mettere in scena un dizionario, immaginandolo come un “luogo” teatrale. Proprio da questa prospettiva di sguardo possibile sul futuro deriva il titolo dell’intero progetto: qualsiasi interrogativo ci poniamo sull’agire oggi, presuppone la domanda su cosa sarà Domani. La crisi economica, il futuro della sinistra, la biotecnologia che cambia o determina il futuro, la guerra: sono temi che ci costringono a pensare al domani.

Luca Ronconi

L’embrione nella fase di preimpianto


Il 27 e 28 febbraio 2006 la Pontificia Accademia pro vita organizza un congresso internazionale. Un convegno sull’embrione prima dell’impianto. Un convegno in cui una sessione è interamente dedicata al cuore del problema: l’embrione è una persona?
Quelli che volessero partecipare devono versare 80 euro entro il 20 febbraio, e in cambio (oltre alla partecipazione ai lavori) avranno il materiale illustrativo, il pranzo per i due giorni e una udienza dal santo padre. Quest’ultima non è una voce di spesa.
Programma.

Passare all’offensiva

Amanda Marcotte fa un’osservazione preziosa su PandagonFraming and naming», 5 febbraio); vale la pena di darne una rapida traduzione:

una cosa che penso i progressisti dovrebbero fare immediatamente è di rinunciare a usare un linguaggio e delle metafore forniti dai conservatori … questo è un caso in cui in effetti è molto facile passare all’offensiva. Non dobbiamo far altro che smettere di aver paura di chiamare i nostri oppositori col nome che meritano. … Anche se è corretto definire ciò cui ci opponiamo come “leggi che rendono illegale l’aborto”, è ugualmente corretto definirlo come “nascite forzate” e “gravidanza imposta dal governo”.
Nell’originale:
one thing that I think progressives need to do immediately is to cease and desist using language and metaphors that are provided by conservatives … this is an issue where it’s actually pretty easy to go on the offense. We just have to quit being scared of calling out our opposition for what they are. … While it’s accurate to call what we oppose “laws banning abortion”, it’s also accurate to call it “forced childbirth” and “government mandated pregnancy”.

domenica 5 febbraio 2006

Il diritto di rifiutare le cure: una battaglia di civiltà

Eluana Englaro è in stato vegetativo da 14 anni in seguito ad un incidente stradale. Da quasi altrettanti anni i genitori stanno combattendo una battaglia per rispettare il desiderio della propria figlia: ‘se dovessi finire in stato vegetativo, staccatemi la spina’, diceva sempre la ragazza.
Ma il tribunale di Lecco ha respinto ancora una volta la richiesta di sospendere la nutrizione e l’idratazione artificiali.
Il papà di Eluana non si capacita che le istituzioni si arroghino il diritto di decidere sulla vita o la morte di una persona. E domanda con comprensibile incredulità:

Fino a quando si continuerà a calpestare il diritto alla morte di mia figlia, oltre alle sue volontà espresse prima dell’incidente? Perché non si rispetta questa sua volontà? Mia figlia non ha alcuna percezione e l’unica cosa a tenerla in vita, se vogliamo definirla vita, sono le strumentazioni e il sondino nasogastrico per l’alimentazione.

Un uomo si dà fuoco per protesta


Seul - Non è la prima volta che succede, ma la ragione per cui un camionista sudcoreano si è dato fuoco non è personale. L'uomo ha in tale modo protestato contro le accuse di frode rivolte a Hwang; poco prima di darsi fuoco aveva distribuito volantini in cui chiedeva che Hwang tornasse alle ricerche sulla clonazione e sulle staminali.
L'uomo è stato soccorso e portato in ospedale, ma è morto prima di arrivarci.

Bambini ospedalizzati


Giulia è morta la sera del 2 febbraio. Aveva quindici anni. Era affetta da tetraparesi spastica, una paralisi ai quattro arti causata da un danno cerebrale; aveva una grave scoliosi, un ritardo psicomotorio e soffriva di epilessia.
Nonostante la gravità delle sue condizioni di salute, Giulia avrebbe potuto essere assistita nella propria casa, per avere almeno una piccola parte di quella vita ‘normale’ che non ha mai avuto e che non avrebbe avuto mai. I genitori si sono rivolti alla ASL di competenza, quella di Bracciano, che è stata in grado di garantire soltanto tre ore di assistenza infermieristica. Giulia aveva bisogno di una assistenza ventiquattr’ore su ventiquattro. Spiacente, ma la ALS non disponeva del personale e delle risorse necessarie a garantire l’assistenza domiciliare; e Giulia è rimasta in ospedale.
La piccola Giulia era uno dei bambini ricoverati presso l’Ospedale Bambin Gesù di Palidoro. Tutti questi bambini sono affetti da gravi patologie; la loro sopravvivenza è garantita da un ventilatore meccanico. Sono alimentati artificialmente mediante una gastrostomia endoscopica percutanea, e hanno bisogno di una assistenza infermieristica e medica adeguata e continua. Questi bambini ospedalizzati sono spesso trasferiti da un reparto all’altro, con il conseguente rischio di danneggiare ulteriormente la loro condizione e di compromettere i piccoli progressi compiuti.
Proprio come è successo a Giulia quando ha subito una tracheotomia in seguito a un blocco respiratorio. Dopo l’intervento recupera una parziale autonomia respiratoria; riesce a respirare autonomamente per circa dodici ore. Nel mese di luglio 2005 Giulia viene spostata dal reparto di Terapia Intensiva a quello di Pediatria per problemi di posti letto. Rimane in Pediatria circa una settimana senza mai essere scollegata dal ventilatore meccanico che la aiuta a respirare, senza essere seguita da un medico della Terapia Intensiva. La sua capacità respiratoria autonoma peggiora: non riesce a rimanere staccata dal ventilatore per più di sei ore al giorno. È rimasta nel reparto di Pediatria fino a ieri. Poi, all’improvviso, le condizioni della bambina si aggravano. Ha la febbre alta e la tachicardia; viene portata in sala operatoria per inserirle un catetere femorale per nutrirla e idratarla. Arriva in Terapia Intensiva verso le dieci di sera. I genitori vanno a casa: Giulia è stata sedata e le sue condizioni sembrano stabili. Fanno appena in tempo a varcare la soglia, e squilla il telefono. Giulia ha avuto un arresto cardiaco. Quando arrivano in ospedale è già morta. Il dolore più grande, per i genitori, è quello di non essere riusciti a portare la loro Giulia a casa.

In un comunicato stampa del 3 febbraio 2006 Amica Cicogna, insieme ai genitori dei bambini ospedalizzati, chiede una giusta assistenza per questi bambini.

L’aborto è un male? - 2

Joyce Arthur risponde sul Bayprairie’s blogJoyce Arthur to William Saletan», 4 febbraio) all’editoriale del New York Times di cui parlavamo ieri e quattro giorni fa. Un punto di vista femminista abbastanza tradizionale, ma con argomenti non banali. Da leggere.

sabato 4 febbraio 2006

L’aborto è un male?


Su The NationProchoice Puritans», nel numero del 13 febbraio, ma già disponibile online) Katha Pollitt ha risposto a William Saletan, le cui banalità sull’aborto avevamo visto esaltate l’altro giorno dalla nostra theoconette, Eugenia Roccella.
La risposta della Pollitt ha suscitato una replica dello stesso Saletan e quindi un botta-e-risposta di un certo interesse tra i due su SlateIs Abortion Bad?», 1-3 febbraio).
In sintesi: Saletan ritiene che l’aborto sia un male, e che i pro-choice (i sostenitori dell’aborto) dovrebbero impegnarsi più a fondo nella diffusione dei mezzi contraccettivi e nell’educazione sessuale; la Pollitt risponde facendo notare che un tasso zero di aborti è a tutti i fini pratici irraggiungibile, e che i pro-choice sostengono da sempre la contraccezione; chiede quindi a Saletan perché ritiene che l’aborto sia un male. La risposta è che il feto, benché non sia una persona, sta per diventare una persona. La Pollitt, invitata da Saletan a dire a sua volta cosa sia per lei l’aborto, risponde:

You ask what my own view of abortion is. I think the meaning of abortion is what the woman says it is: For a woman who wants a child but can’t have this one it can be sad; for a woman who doesn’t want a baby, it can feel like a huge relief, like having your whole life given back to you. Negative feelings – the sense of the road not taken, that maybe you would have wanted to take had life been different, the feeling that you chose yourself instead of the baby-to-be and maybe that means you are not a good woman, the feeling that you messed up somehow – are often confused with morality, but they are not the same. Morality has to do with rights and duties and obligations between people. So, no: I do not think terminating a pregnancy is wrong. A potential person is not a person, any more than an acorn is an oak tree.
E più avanti:
Legal abortion is a good thing, and not just because it prevents illegal operations. Without abortion, women would be less healthy, less educated, less able to realize their gifts and talents, less able to choose their mates; children would be cared for worse and provided for less well; sex would be blighted by fear of pregnancy, as it used to be back in the good old days; families would be even more screwed up than they already are; there would be more single mothers who can't cope, more divorce, more poverty, and more unhappy people feeling sandbagged by circumstance. We hear a lot now about regret and sorrow, and I know some women who have abortions feel that way, but we don't hear about the regrets and sorrow women feel who went ahead and had the baby, and we don't hear much from women who are just completely relieved and thankful that the clinic was there for them and they can get on with their lives – lives that are good and moral.
Siamo ben lontani, come si vede, dalla frusta retorica dell’aborto come «dramma», alla quale indulgono sempre più smodatamente i nostri ‘progressisti’.

giovedì 2 febbraio 2006

Colloquio sui diritti degli animali - 2

Il colloquio con Martha C. Nussbaum che annunciavamo ieri è terminato. Riporto due delle domande (e delle risposte) più interessanti:

Question from Richard T. Hull, SUNY at Buffalo:
You say that sentience is a requirement for moral standing. The implication of this is that trees and other non-sentient organisms have no moral standing. Yet there is something noble and valuable about the giant sequoia, the grandfather oak, the bristlecone pine that arguably should be recognized by an adequate theory of justice. How can the value of non-sentient organisms be recognized philosophically?

Martha C. Nussbaum:
I think we do have duties to protect the environment, but I would not call these issues of justice. I take a lot of time spelling out what makes something an issue of justice for me, but the presence of agency and striving, including sentience, is at the heart of it. If we destroy a beautiful tree, that is perhaps wrong, but I don’t think that it’s an injustice to that tree. But I think that people who hold the capabilities approach may differ on this question, and I have already invited younger workers on the approach to develop alternative positions.

Question from Dan Cudahy:
If there is no moral wrong in “painlessly” killing a non-human animal, why would there be any moral wrong in “painlessly” killing human one?

Martha C. Nussbaum:
The answer given by Singer and Bentham, which I tentatively accept, is that humans have a very different relationship to the future. We form projects that extend into the future, which are frustrated by premature death. We also have the capacity to imagine and fear our own deaths. For creatures who lack these capacities, death is not the same sort of harm, if a harm at all. I think we need to do much more work on the question when and why death is bad for a human being. Epicurus and Lucretius still have not been fully answered. But I’ve just told you some of the things that I say on this point (in The Therapy of Desire, the chapter on Lucretius on death). Those reasons don’t seem to apply to animals. If we find that some animals, perhaps dogs or apes, do form temporally extended project and do fear death, we would have some good reasons to think that killing an animal of that kind (apart from euthanasia) is morally bad.

Ti giuro amore eterno, ma l’ormone si oppone


Stavolta non è il gene dell'amore, bensì l'ormone. Il senso non cambia.
La passione amorosa ha vita breve, uno o due anni. Poi svanisce. Il responsabile sarebbe la neurotrofina, secondo quanto pubblicato sul Chemistry World.

Enzo Emanuele and his co-workers at the University of Pavia, Italy, investigated whether a different class of chemical messengers, the neurotrophins, is involved in the romantic experience. At the end of 2005 they reported that the concentration of nerve growth factor (NGF) in the blood exceeds normal levels in enamoured volunteers, and that it increases with the intensity of romantic feelings as measured by the PLS. Whether more NGF is needed in early stage romance because of all the new experiences that are engraved into the brain, or whether it has a second, as yet unknown, function in the chemistry of love remains to be explored.
Entro un anno o due della 'molecola dell'amore' non c'è più traccia. Che cosa tiene insieme gli amanti se l'amore non c'è più? L'ossitocina, il cosiddetto cuddle hormone.
Possiamo dormire sonni tranquilli: se siamo stati abbandonati è per colpa di un ormone.

Non lasciarmi


Uscirà il 7 febbraio in libreria la traduzione italiana del romanzo di Kazuo Ishiguro sulla clonazione (Non lasciarmi, trad. di Paola Novarese, Einaudi, «Supercoralli», pp. 296, € 17,50; titolo originale Never Let Me Go).

darwin day 2006


Virus emergenti
Capire l'evoluzione per combattere la prossima pandemia


Domenica 12 febbraio 2006 alle ore 15.00
Auditorium Parco della Musica
Teatro Studio, Roma

Da mesi autorità sanitarie nazionali e internazionali sono alle prese con l'emergenza di H5N1, un virus dell'influenza aviaria che ha fatto più di 70 morti in Estremo Oriente e che si candida a innescare la prossima pandemia.
Qual è la probabilità che questo virus riesca ad adattarsi all'uomo? La scoperta che il virus della Spagnola del 1918, responsabile di almeno 40 milioni di morti, era un virus aviario che ha fatto il salto di specie direttamente nell'uomo deve accentuare l'allarme, oppure vi sono ragioni per essere cautamente ottimisti?
E qual è la situazione ecologica dei virus dell'influenza? Un modo concreto di celebrare l'anniversario della nascita di Charles Darwin è mostrare la straordinaria attualità delle sue idee sui meccanismi del cambiamento evolutivo proprio rispetto a una tematica come l’evoluzione dei virus influenzali che intercetta problemi scientifici, rischi sanitari e prospettive della medicina.
L'ingresso è gratuito con obbligo di prenotazione
tel. 06 32 17 387, e-mail dday@darwinweb.it

mercoledì 1 febbraio 2006

La theoconette

Su Avvenire di oggi («Aborto, mercato truccato per una libera scelta») Eugenia Roccella ci rassicura: «Nessuno oggi mette in discussione la legge 194». Piuttosto, «l’unica cosa che conta» è «se le donne davvero decidano liberamente, o se invece l’aborto non sia spesso l’unica offerta sul mercato truccato della libera scelta». Già, perché «nel mondo occidentale l’atteggiamento nei confronti dell’interruzione di gravidanza sta registrando un sensibile mutamento», ma a questa crescente ostilità dell’opinione pubblica non corrisponderebbe un’offerta adeguata di alternative all’aborto.
Quali fatti proverebbero questo mutamento di umori? La Roccella cita per primo «il recente sondaggio dell’Observer (che rivela come la maggioranza delle donne inglesi vorrebbe una legge più restrittiva in materia d’aborto)». Ma restrittiva in che senso? Ahimè, l’autrice non lo specifica; ma l’articolo originale («Women demand tougher laws to curb abortions», 29 gennaio) è per fortuna più esauriente. Da esso apprendiamo che il 47% delle donne inglesi favorirebbe un termine legale per abortire più precoce dell’attuale, che è di 24 settimane. Questo orientamento sembra determinato con ogni evidenza soltanto dalla consapevolezza che le tecniche di assistenza neonatale consentono di salvare neonati sempre più prematuri (fino a toccare appunto il limite delle 24 settimane), e non da una generica avversione per l’interruzione di gravidanza; tanto è vero che anche molti fautori del diritto all’aborto sono favorevoli a una revisione legislativa in questo senso (come nota debitamente lo stesso Observer).
La Roccella invoca poi «la ricerca dell’Eurispes, che, contro la logica dei numeri, è stata spacciata dai quotidiani come la verifica di una spaccatura tra i fedeli e le gerarchie cattoliche. In realtà i dati forniti dall’Eurispes avrebbero richiesto titoli ben diversi: solo il 22% degli italiani infatti ammette l’aborto su semplice decisione della donna, e solo il 26,7% lo accetta se ci sono gravi motivi sociali ed economici». Qualcuno ha peccato di omissione, allora? Sì. Ma si tratta – che sorpresa! – della stessa Roccella, che si è dimenticata di dirci che per l’Eurispes («Gli italiani e la Chiesa: tra fedeltà e disobbedienza», comunicato stampa del 16 gennaio) il 74,6% degli Italiani (col 72,9% dei cattolici e l’86,8% dei non cattolici) è favorevole all’aborto in caso di gravi anomalie e malformazioni del feto. Non parrebbe una posizione del tutto coerente con quella delle gerarchie cattoliche... Quanto a quel 26,7% (leggermente gonfiato dalla Roccella stessa: per l’Eurispes è il 26,4): com’è stata formulata la domanda? Quanti hanno o avrebbero risposto «dipende» (dall’aiuto statale alla maternità, per esempio)? E soprattutto, qual è la tendenza rispetto ad analoghe, passate rilevazioni? Per avere delle risposte bisognerà attendere la pubblicazione del rapporto definitivo.
Facciamo adesso, con la nostra autrice, un salto agli antipodi: «In Australia domenica è stata indetta una giornata di mobilitazione contro la Ru486, la pillola abortiva». Qui la prima impressione del lettore è che domenica l’Australia sia stata sconvolta da manifestazioni oceaniche; perché altrimenti la Roccella dovrebbe fare un caso di una banale adunata contro la pillola abortiva? È con notevole sorpresa, allora, che si scopre che, in realtà, non c’è stata neppure una semplice adunata: gli attivisti si sono limitati a presentarsi nelle chiese dopo la messa, chiedendo ai fedeli di scrivere lettere oltraggiate ai loro rappresentanti in Parlamento (come ci informa il sito degli stessi organizzatori della protesta). Ma la Roccella non demorde: «da un sondaggio è emerso come solo il 33% delle donne australiane sarebbe favorevole alla sua introduzione», giura. Ma noi oramai ci siamo fatti prudenti; e a ragione. Prima di procedere a fare la domanda, il sondaggista ‘informava’ l’intervistata che la Ru486 causa 100 morti ogni 100000 pazienti trattati (più di 100 volte la cifra reale), mentre non la informava dell’identità dei committenti (lo stesso gruppo anti-abortista del dopo-messa). Date queste premesse, che il 33% delle donne australiane si sia dichiarato nonostante tutto favorevole alla Ru486 è casomai il segno di un fortissimo supporto alla pillola abortiva, come conferma un sondaggio più corretto, che ha ristabito al 68% il numero delle favorevoli (comunicato stampa dei Democratici australiani, 23 gennaio).
Il lettore ormai smaliziato accoglie con un sorriso l’ultima testimonianza della nostra Roccella: niente di meno che il New York Times avrebbe esortato a «superare la vecchia divisione tra “pro-life” e “pro-choice”, cioè tra chi difende la vita e chi difende la libera scelta». Stavolta non occorre neanche andare a consultare la fonte originale, come finora siamo stati costretti a fare: l’autrice stessa ci informa con disarmante candore che l’argomento si riduce a questo: «liberal e progressisti devono ammettere che “il numero di aborti desiderabili è zero”». Riporto comunque il pensiero originale dell’editorialista, William Saletan: «I know many women who decided, in the face of unintended pregnancy, that abortion was less bad than the alternatives. But I’ve never met a woman who wouldn’t rather have avoided the pregnancy in the first place» («Three Decades After Roe, a War We Can All Support», 22 gennaio; il link è allo stesso pezzo ma con un titolo diverso sullo Star Tribune). Si sarebbe tentati di rispondere con l’interiezione ironica che gli Americani riservano a chi ha appena pronunciato una verità non proprio profondissima: «Duh!». Evidentemente, il New York Times non ospita sempre articoli degni di essere pubblicati; e viene da sospettare che lo stesso valga per Avvenire... Bisogna riconoscere, tuttavia, che il giornale italiano mette in guardia i suoi lettori: l’occhiello dell’articolo di Eugenia Roccella recita infatti: «Tema su cui spesso in Italia diamo il peggio».