lunedì 31 dicembre 2012

Roberto Volpi e le nozze civili

Ha destato una certa sensazione, qualche giorno fa, la notizia che, secondo gli ultimi dati Istat, le nozze civili avrebbero per la prima volta superato nell’Italia del Nord quelle religiose; molti commentatori hanno salutato l’evento come un segno della progressiva secolarizzazione della società italiana. Di diverso avviso è invece il demografo Roberto Volpi, che sul Foglio ha così commentato («L’Italia che non si sposa più dal parroco (ma nemmeno in municipio)», 28 dicembre 2012):

Nei giorni scorsi, l’Istat ha annunciato che i matrimoni civili, al nord, hanno superato quelli religiosi nella proporzione di 51,7 contro 48,3 ogni cento matrimoni. Ne sposa più il sindaco che il parroco, è stato detto. Risultato che allinea l’Italia agli altri paesi dell’Europa continentale e del nord, è stato aggiunto. E giù considerazioni sulle magnifiche sorti e progressive del matrimonio in municipio invece che in chiesa. Naturalmente la notizia è vera: l’Istat l’ha diffusa in occasione dell’uscita dell’edizione 2012 dell’“Annuario statistico italiano”. Ma è, al tempo stesso, ingannevole come poche altre, e sarebbe bastato consultare l’“Annuario” stesso, senza fermarsi alla nota diramata dal nostro Istituto di statistica, per capire in che senso.
Scopriamo così che i “trionfanti” matrimoni civili hanno perso in un anno oltre seimila unità, pari al 7,3 per cento del loro totale. Una perdita assai superiore a quella dei matrimoni religiosi, che sono scesi in percentuale del 4,6. Non basta. Dopo un lungo periodo di crescita ininterrotta, tra il 2008 e il 2010 (ultimo anno di disponibilità dei dati) i matrimoni civili sono arretrati di 11.100 unità e del 12,2 per cento. Una débâcle, altro che trionfo. Se poi si pensa che tra i matrimoni civili cresce la quota dei secondi matrimoni – quelli di quanti, per essere divorziati, non possono sposarsi in chiesa – si capisce bene come tra quanti si sposano per la prima volta il tonfo sia ancora più forte.
Che al nord i matrimoni civili abbiano superato quelli religiosi significa dunque assai poco, in questo quadro. La verità è che in Italia non ci si sposa più: né in chiesa né in comune. […]
Il lettore non può non notare un dato curioso: se nel Nord Italia i matrimoni civili hanno superato per la prima volta quelli religiosi e se allo stesso tempo, come dice Volpi, complessivamente in Italia i primi sono calati molto più dei secondi, sembra doversene dedurre che nel Centro e nel Sud le nozze civili abbiano subito un vero e proprio tracollo, per compensare la performance relativamente positiva del Nord. A cosa si dovrà questa disparità regionale? La prima cosa da fare è andare a controllare l’Annuario Statistico Italiano 2012, così come ha fatto Volpi. Quello che ci interessa è il capitolo 2 [pdf, 150 Kb], dedicato alla popolazione, e più precisamente la tavola 2.5, «Matrimoni della popolazione presente per rito e regione - Anno 2011». Qui ci attende una sorpresa. Nel 2011, infatti, i matrimoni celebrati in Comune sono stati in tutta Italia 83.088, pari al 39,8% del totale; nel 2010 erano stati 79.501, cioè il 36,5%. Le nozze civili, insomma, non sono affatto catastroficamente diminuite in Italia, come sostiene Volpi; al contrario, sono aumentate rispetto all’ultimo anno in termini sia assoluti sia relativi, invertendo parzialmente la discesa che si era verificata nel 2009 e nel 2010. I matrimoni religiosi, invece, sono stati nel 2011 125.614 (60,2%), contro i 138.199 (63,5%) dell’anno precedente; si conferma poi nell’Italia del Nord il sorpasso da parte delle nozzi civili.
Com’è possibile che Volpi parli allora di «débâcle» e di «tonfo» dei matrimoni civili? Il fatto è che per qualche motivo il demografo considera il 2010 l’«ultimo anno di disponibilità dei dati», ignorando i dati del 2011, che pure sono presenti in tabella – come del resto è detto chiaramente nell’intestazione della tabella stessa. Forse la struttura della tabella, con i dati del 2011 separati da quelli degli anni precedenti, avrà ingannato l’autore.

Non mi sento di trarre conclusioni particolari dai dati: nel mezzo di una crisi economica grave come l’attuale le tendenze sociali possono risultare alterate; quel che è certo è che le considerazioni di Volpi risultano come minimo un po’ dubbie. L’incidente in cui è incorso può naturalmente capitare a chiunque; meno giustificabile è che un giornale non effettui uno straccio di controllo sulle storie che pubblica. Ma quante volte lo abbiamo detto a proposito del Foglio?
Leggermente comica, infine, è la foga con cui i vari blog integralisti si sono buttati sull’articolo di Volpi: da Sandro Magister («Bilancio di un anno. E previsioni», www.chiesa, 30 dicembre) fino a Claudio LXXXI (Poscritto a «Vasi vuoti», De libero arbitrio, 31 dicembre), che chiosa così:
Un articolo del Foglio commenta la notizia con toni diversi dal trionfalismo laic(istic)o che ha imperversato altrove.
A differenza di molti suoi colleghi, l’autore ha spulciato l’Annuario ISTAT senza fermarsi ai dati superficiali buoni solo a tirate ideologiche (un buon esempio di giornalismo, bravo Roberto Volpi) e ne trae empiricamente la conclusione che i matrimoni civili in realtà soffrono ancor più di quelli religiosi.
La notizia ghiotta, che sembra smentire i «laicisti», viene accettata a scatola chiusa, senza compiere quel minimo controllo empirico per cui – ed è qui l’ironia – allo stesso tempo ne viene lodato l’autore.

Buon anno a tutti i lettori di Bioetica!

Aggiornamento 2/1/2013: Prontissima la correzione da parte di Claudio LXXXI, in calce all’articolo precedente. Aspettiamo adesso Roberto Volpi.

giovedì 20 dicembre 2012

Roccella & Pannella

Eugenia Roccella ha scritto oggi una lettera al Corriere della Sera:

Pannella forse è in pericolo di vita. C’è chi lo prega di smettere lo sciopero della sete, chi accusa i politici di indifferenza, chi invoca alimentazione e idratazione forzate.
Tutti vogliamo che Marco viva, e non per la causa che difende (su cui posso essere d’accordo, ma non è essenziale), non perché lui è un protagonista della nostra storia (se fosse uno sconosciuto non cambierebbe nulla) ma soltanto perché è un uomo, e ogni esistenza umana è unica.
La sua battaglia, però, rivela una contraddizione profonda, un estremo paradosso. I radicali sono i portabandiera dell’assoluta autodeterminazione, fino a decidere della propria morte. Ma se così fosse, perché mai dovremmo preoccuparci per Marco? Pannella è libero, perfettamente consapevole dei rischi che corre; perché dovremmo sentirci coinvolti? Si dirà che il suo non è un desiderio di morte, ma un metodo di lotta. Ma se non ci fosse una cultura condivisa della vita a cui appellarsi, se un uomo che si lascia morire non fosse considerato uno scandalo che sollecita un sentimento collettivo di pietà e insieme di ribellione, Pannella potrebbe spegnersi nell’indifferenza generale. Insomma, se il favor vitae diventa secondario rispetto all’autodeterminazione individuale, ne segue che Pannella fa della sua vita quello che vuole, e il fatto di metterla a repentaglio riguarda solo lui.
Eluana Englaro è morta disidratata perché lo ha stabilito un tribunale. In quel caso ha prevalso il criterio dell’autodeterminazione, benché utilizzato in modo ambiguo, visto che Eluana non era più in grado di esprimere la sua volontà, e non aveva mai lasciato nulla di scritto. Anche Stefano Cucchi è morto di fame e di sete, ma per lui, invece, si è sollevato un unanime coro di giuste proteste. Eppure pare che Stefano rifiutasse acqua e cibo, e i medici accusati di averlo lasciato privo di assistenza si difendono proprio con questo argomento.
Forse dobbiamo ammettere che se distruggiamo il principio del favor vitae mettiamo in crisi il laico sentimento di fratellanza umana su cui si fonda una comunità solidale. Saremo magari più autodeterminati, ma indifferenti l’uno al destino dell’altro.
Ma davvero preoccuparsi per la sorte di Pannella significa automaticamente mettere il favor vitae davanti al principio di autodeterminazione? Vediamo. Pannella sta dicendo: se non viene concessa l’amnistia, allora preferisco morire (qui e nel seguito do per ammesso, per amore di discussione, che Pannella sia sincero; qualcuno non è d’accordo, ma non entro nel merito). Questo vuol dire che Pannella vuole assolutamente morire? Ovviamente no: sembra chiaro che Pannella preferisca vivere piuttosto che morire; ma – per così dire – preferisce ancora di più che ci sia l’amnistia. Supponiamo che questa venga concessa e che, di conseguenza, Pannella continui a vivere: avremmo con ciò attentato alla sua autodeterminazione? Tutto il contrario: avremmo esaudito completamente le sue preferenze – di vedere svuotate le carceri e di continuare a vivere. Ma perché dovremmo sentirci coinvolti? Perché dovremmo preoccuparci «per Marco»? Ci sentiamo coinvolti perché Pannella stesso ci coinvolge: concedete l’amnistia, fate pressione per far concedere l’amnistia, ci dice, o io mi ammazzo (e qui viene da chiedersi quanto il leader radicale stia rispettando la nostra, di autodeterminazione, costringendoci con quello che sembra proprio un ricatto a fare qualcosa che altrimenti non vorremmo fare). Ci preoccupiamo non perché consideriamo la vita un valore assoluto, ma perché la morte di Pannella sembra evitabile, perché lui stesso non vuole – ripetiamolo – assolutamente morire; perché Pannella tiene alla sua vita, anche se non sopra a tutto il resto. In altre parole, ci preoccupiamo perché rispettiamo la sua libertà.
La controprova si ottiene facilmente: supponiamo che l’amnistia non venga concessa, e che Pannella coerentemente decida di lasciarsi morire di fame e di sete. A questo punto si può davvero pensare che chi è a favore dell’autodeterminazione chiederebbe di procedere con l’alimentazione e l’idratazione forzate? Questa sì che sarebbe una contraddizione; ma è facile pronosticare che a insistere per una simile violenza sarebbero solo la Roccella e quanti la pensano come lei.

Non conosco abbastanza il caso di Stefano Cucchi per dirne qualcosa di certo, ma mi sembra chiaro che anche qui il rifiuto di mangiare e bere fosse condizionato: fatemi uscire di qui, fatemi parlare con il mio avvocato, trattatemi umanamente, altrimenti non voglio più né mangiare né bere, possiamo immaginare che abbia detto. Non certo di lasciarlo morire e basta.
Naturalmente, ogni richiesta di essere lasciati morire è in un certo senso condizionata: preferisco morire se non mi potrò mai più risvegliare dallo stato vegetativo, se non posso recuperare l’uso delle gambe, se non posso essere mai più autonomo. Ma queste sono condizioni impossibili da soddisfare; concedere un’amnistia (giusta o sbagliata che sia), invece, rientra nel campo delle possibilità, e ancor più offrire un po’ di conforto a un ragazzo spaventato – e in questo caso ci troviamo anche nel campo del dovere. Il rispetto della vita e il rispetto dell’autodeterminazione qui coincidono, sono la stessa identica cosa.

Siamotuttisallusti?




Secondo l’articolo 595 del Codice Penale “chiunque [...] comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. [...] Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516”. Il 18 febbraio 2007 esce su “Libero” Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita a firma Dreyfus. Il 26 settembre 2012 la Cassazione conferma la condanna della Corte d’Appello per Alessandro Sallusti, allora direttore di “Libero”: 14 mesi di reclusione senza condizionale.
Si scatena un putiferio: dalla campagna e #hashtag “Siamotuttisallusti” alle innumerevoli dichiarazioni scandalizzate e prese di distanza dalla condanna. In pochi partono dall’articolo incriminato, in pochi si fermano a riflettere sul reato di diffamazione e a raccontare cosa è successo tra il 2007 e il 2012, soprattutto i tentativi di risolvere la questione, a cominciare dalla richiesta di una rettifica. L’articolo inizia così: “Una adolescente di Torino è stata costretta [falso] dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via. Lei proprio non voleva [falso]. Si divincolava [fonti?]. [...] I genitori hanno [...] deciso che il bene della figlia fosse: aborto. [Se fossimo in una puntata di “Law & Order” qualcuno griderebbe “obiezione vostro onore!”]. [...] Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto - il diritto! - decretando: aborto coattivo [falso]. Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale [falso]. Aveva gridato invano: “Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io” [Dreyfus era nel reparto di interruzione di gravidanza? Fonti?]. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice [ecco, questa è finalmente una opinione].” Nella confusione s’è rischiato di usare l’esagerazione della pena (meglio sarebbe prendersela con il Codice Penale che con chi lo ha applicato) per giustificare la scelta di Dreyfus e l’ok del direttore responsabile a quell’elenco di bugie. Perché qui la questione non è essere contrari all’aborto (opinione) ma avere raccontato il falso, avere descritto la ragazzina come vittima di crudeli carnefici e i genitori in combutta con il giudice per costringerla ad abortire, anzi per stapparle il figlio dai visceri. Sulla diffamazione si potrebbe discutere a lungo: vogliamo considerarlo reato senza vittima, siamo pronti a prenderci tutte le conseguenze? Siamo sicuri che non ci sia una vittima e come potremmo difenderci se qualcuno scrive su un giornale che siamo dei serial killer? Che pensare dell’incitazione all’odio razziale o dell’omofobia? In Italia il primo è reato come crimine d’odio, sulla seconda siamo terribilmente evasivi. Si potrebbe - e dovrebbe - discutere sul tipo di pena e sull’inopportunità del punire l’intemperanza del linguaggio, anche se le critiche si basano su fatti veri. Il carcere non può che apparire spropositato e insensato - ma anche giocare a fare i martiri dopo avere rifiutato qualsiasi rimedio lo è. Prima di decidere cosa pensare è consigliabile leggere almeno Sallusti secondo me di Federica Sgaggio, 23 settembre 2012 e Libertà di diffamazione di Michael Braun, 27 settembre 2012, Internazionale. Così siamo pronti per l’ultima puntata, cioè il cosiddetto SalvaSallusti. È lo stesso Sallusti a commentare il 13 novembre sul suo profilo “Mi sento meno solo. Con la legge approvata dal Senato a San Vittore finiremo in tanti”.

Lamette, Il Mucchio Selvaggio di dicembre.

Scuola di Politica 2013

Si svolgerà i prossimi 26 e 17 gennaio al Perugia Centro Congressi la seconda edizione della Scuola di Politica di Perugia: Quale persona e quali diritti di fronte a scienza e pratica medica?
Qui il programma e qui le modalità di iscrizione.

giovedì 22 novembre 2012

A come Aborto

Non ricordo nemmeno come ci sono finita ma leggo questo post e ci trovo alcune cose che non vorrei leggere sull’aborto e il pietoso stato della 194: Renzi, l’aborto e il cimitero dei non-nati. Il corpo delle donne, che rimanda al post di Marina Terragni, aggiunge 3 righe iniziali. Comincio da qui.

Vorrei che gli uomini stessero fuori dalla questione aborto. Vorrei che chiedessero a noi. Vorrei rispetto per questa dolorosissima questione. Vorrei che le donne non fossero giornalmente umiliate. Vorrei che il dolor non fosse la costante di molte vite.
Fuori? Perché fuori e in che senso? Se in senso giuridico nulla da dire. Sono le donne che devono poter decidere (e coinvolgere chi desiderano - emotivamente è molto più complciato, ma io sto parlando della legge). Se invece non è in senso giuridico ma in assoluto, perché dovrebbero starne fuori? Molti uomini hanno scritto e detto parole interessanti sull’aborto, e hanno vissuto emotivamente un aborto. E ci sono molte donne che non rispettano e ignorano le altre donne, che vorrebbero eliminare l’accesso sicuro e legale all’aborto - qui e negli Stati Uniti (e anche altrove). Ma davvero dobbiamo discutere di questo? (Per sicurezza ribadisco l’ovvio: nessuno dovrebbe obbligare, ricattare o imporre un aborto, ma cose del genere vanno nelle premesse implicite). Il dolore passa anche per la ripetizione ossessiva dell’essere, l’aborto, una "dolorosissima questione". In questo caso sembra che non si sia chiesto alle donne, perché alcune di loro non descrivono così le interruzioni di gravidanza (parlo di quelle precoci, non di quelle tardive e seguenti a una patologia fetale per esempio). Perché c’è sempre la necessità di sottolineare il dolore necessario di ogni aborto, di tutti gli aborti? Non è un caso che sono poche le donne che parlano del proprio aborto, forse anche per evitare la reazione pavoloviana, o di condanna, o di sguardo obliquo mentre si abbassa la voce perché di aborto non si può parlare senza un carico di colpa.
Poi segue il post, che dopo avere introdotto l’aborto, la 194 e l’indifferenza di cui è circondata l’applicazione faticosa della legge arriva a Renzi (è vero che nessuno ne voglia parlare, verissimo).
D’altro canto nel marzo scorso la giunta Renzi ha deliberato la realizzazione di un nuovo spazio nel cimitero fiorentino di Trespiano destinato al ricevimento di “di prodotti abortivi e di prodotti del concepimento” (quindi non di bambini nati morti, la cui sepoltura è già consentita da un decreto Presidenziale), consentendo anche “l’installazione di coprifossa, monumentini e altri ricordi”. Un vero e proprio “cimiterino degli Angeli” -non esattamente “obamiano”- simile a quello istituito a Roma dal sindaco Alemanno.

Firenze è la prima città amministrata dal centrosinistra a deliberare la creazione di un camposanto dei non-nati. Come ha osservato la consigliera di perUnaltracittà, Ornella De Zordo “questa norma  contrasta nettamente con la legge 194… e finisce inevitabilmente per colpevolizzare chi già affronta una scelta dolorosissima e abortendo compie una scelta legittima ma molto sofferta”.
Non è proprio così, in base al D.P.R. 10/09/1990 n. 285, in particolare articolo 7. Comma 2. Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all’ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’unità sanitaria locale.
Comma 3. A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane.
Comma 4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto.
Non è nemmeno che ci sia un contrasto con la 194 (leggetevi come si chiama la legge 194 e come comincia). Sui cimiteri avevo già scritto qui e qui.
Sulla colpa il discorso si complica ovviamente, ma la colpa non si radica anche nel voler giudicare tutti gli aborti (volontari e precoci) di tutte le donne come "scelte dolorosissime" e "molto sofferte"?
La prima strada per intervenire sulla colpa sarebbe quella di garantire il servizio di IVG, oggi messo a rischio dalle altissime percentuali di obiezioni di coscienza. La prima strada per limitare la colpevolizzazione sta nel cominciare a chiedere alle donne, evitando di parlare in loro nome (era questo il consiglio iniziale rivolto agli uomini "chiedessero a noi" - dovrebbe valere anche tra chi condivide il genere sessuale). Il carico di dolore evitabile è a volte insopportabile, come nel caso di Margherita. L’obiezione di coscienza rende alle donne spesso difficile abortire. Nel Lazio la LAIGA ha dato dei numeri spaventosi. L’ultima relazione ministeriale sull’applicazione della 194 ha sollevato molti dubbi, oltre alla preoccupazione sull’obiezione. Insomma prima di scaldarsi per i cimiteri bisognerebbe davvero parlare di tutto questo. Si può non essere d’accordo con i cimiteri e i funerali degli embrioni, si può (magari giustamente) prendersela con il significato politico e il ricatto morale, ma se dovessimo elencare una gerarchia di importanza la garanzia del servizio IVG sta al primo posto. Se rimane tempo parliamo anche del resto.

In conclusione:
Matteo Renzi ha liquidato come “ideologiche” le proteste, ma ha anche ritenuto di rinviare il dibattito in consiglio comunale, calendarizzato proprio in coincidenza con l’inizio del gran tour in camper, chiudendo la delibera in un cassetto. Meglio non parlarne “adesso”, onde evitare contrapposizioni e polemiche. Tanto chi doveva cogliere il segnale -la destra, i cattolici oltranzisti- l’ha colto. Ma la norma resta, pronta a essere attuata.

Il tema è sensibile. Sensibilissimo e qualificante. Lo è per un candidato premier italiano non meno di quanto lo sia per un candidato Presidente americano. Non vi è ragione di sottrarlo all’attenzione degli elettori, e in particolare delle elettrici di primarie e secondarie, che hanno il diritto di poter scegliere consapevolmente, disponendo di tutte le informazioni sui candidati, in perfetta trasparenza e senza omissis.
Sulla difficoltà e inopportunità politica è facile essere d’accordo. Nessuno vuole sporcarsi le mani con l’aborto.

#DibattitoScienza



Dibattito Scienza, ovvero 6 domande per la politica inizia da qui la scorsa settimana. I candidati alle primarie del centrosinistra rispondono qui.
Nel gruppo su Facebook ci sono molti link e proposte. Su Twitter l'#.

giovedì 15 novembre 2012

Sulla diagnosi genetica di preimpianto (legge 40/2004)

TRIBUNALE DI CAGLIARI
Ordinanza 9 novembre 2012 G.I. Giorgio Latti
Ricorrenti
Avv.ti Filomena Gallo e Angelo Calandrini domiciliati
presso Studio legale Avv. Renato Chiesa

Struttura dell’ordinanza

Fatto:
I coniugi di Cagliari risultano rispettivamente lei affetta da talassemia major e lui portatore sano di talassemia major. Nell’agosto del 2011 la coppia, entrambi infertili ma desiderosi di avere un figlio, si rivolgono all’Ospedale Microcitemico di Cagliari - Servizio di Ostetricia e Ginecologia, richiedendo diagnosi genetica pre-impianto (PGD) nell’ambito di procedura di procreazione medicalmente assistita (PMA) al fine di poter conoscere lo stato di salute dell’embrione ai sensi della L. 40/2004.
Il Dott. G. Monni responsabile del centro di PMA, rilevato che “La Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia è in grado, come nel passato per aver eseguito oltre 40 PGD, di offrire alla coppia la PGD (fertilizzazione in vitro, prelievo dall’embrione di una singola cellula per l’analisi molecolare) ma non l’analisi molecolare di tale cellula.” precisava che “Fino al 2004, la singola cellula prelevata dall’embrione veniva consegnata per l’analisi genetica al Laboratorio di Genetica Molecolare della 2° Clinica Pediatrica del presidio Microcitemico”, dichiara disponibilità ad eseguire la proceduta FIVET e la biopsia della singola cellula prelevata da consegnare successivamente al Laboratorio di Genetica Molecolare. Tuttavia con lettera del 1/12/2011, il responsabile della II Clinica Pediatrica della suddetta struttura sanitaria, Dr. Galanello, attesta che nei laboratori della Clinica non si esegue la PGD.
Il diniego effettuato dal responsabile del laboratorio, che fino al 2004 aveva effettuato numerose indagini genetiche sull’embrione per la Talassemia, risulta del tutto illegittimo oltre che gravemente lesivo dei diritti costituzionalmente garantiti dei nostri assistiti.
Pertanto la coppia si rivolge al Tribunale di Cagliari per chiedere l’esecuzione dell’indagine richiesta e prevista dalla legge 40 art. 14 c. 5, affinché sia ordinato al laboratorio di Citogenetica dell’Ospedale Microcitemico l’esecuzione dell’indagine e/o all’azienda sanitaria la non interruzione del servizio anche tramite idonee convenzioni esterne.

Premessa all’azione:

riconoscimento della vigenza e della fondatezza nell’ordinamento italiano dei diritti asseriti dalla ricorrente:
1) tutela diritto salute della donna; 2) tutela diritto all’informazione nel trattamento sanitario; 3) tutela diritto alla procreazione cosciente e responsabile; 4) tutela del diritto alla salute.

Applicazione di Diagnosi genetica di pre impianto (PDG)
Disciplina applicabile :
art. 13 L. 40/04 c. 2, consente indagini diagnostiche sull’embrione;
art. 14 L. 40/04 c. 5, rapporti tra coppia e embrione in virtù del rispetto del diritto al trattamento sanitario informato, alla procreazione cosciente e responsabile al diritto a conoscere lo stato di salute dell’embrione prodotto;
art. 6 L. 40/04, “prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, il medico informa in maniera dettagliata i soggetti (...) sui metodi sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l'uomo e per il nascituro (.....) nei confronti della donna e dell'uomo devono essere fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa”.
L. 194/78, richiamata ai cc. 1 e 4 dell’art. 14 L. 40/04, afferma il diritto alla procreazione cosciente e responsabile rectius la possibilità di praticare l’IGV entro i primi 3 m o anche dopo ove fosse assunta una informazione attraverso le tecniche dell’amniocentesi e/o della villocentesi;
Convenzione di Oviedo del giugno 1996, ratificata con la l. n. 145 del 2001, all’art. 12 prevede che “Si potrà procedere a dei test volti a prevedere delle malattie genetiche o che permettano l'identificazione del soggetto come portatore di un gene responsabile di una malattia o di rilevare una predisposizione o una suscettibilità genetica ad una malattia solo a fini medici o di ricerca medica e con riserva di un consiglio genetico adeguato”;
- Sentenze Corte Costituzionale varie a partire da Sent. 27/75 e da ultimo sentenza 151/09: tutela della salute fisica e psicologica della madre è preminente rispetto a quella dell’embrione;
Decisioni sulla liceità della Diagnosi reimpianto Tribunali Cagliari 2007 - Firenze 2007 - Tar Lazio 2008 - Firenze 2008 - Bologna 2009 - Salerno gennaio e luglio 2010 - Corte EDU 2012.

Motivazione e dispositivo

Il Giudice Latti conferma la liceità della diagnosi preimpianto rigettando tutte le eccezioni formulate dall’azienda ospedaliera. Scrive nelle motivazioni: “Considerata l’evoluzione giurisprudenziale sopra richiamata, non vi è dubbio che la diagnosi genetica preimpianto debba considerarsi pienamente ammissibile, al fine di assicurare la compatibilità della legge n. 40 del 2004 con i principi del nostro ordinamento giuridico.”
Continua nelle motivazioni:
Deve essere, ancora una volta, ribadito, anche alla luce dei principi richiamati dalla giurisprudenza della Corte, come, nell'impianto della legge, la salute della donna prevalga sull’interesse alla integrità dell’embrione.
Pertanto, l’ammissibilità del trasferimento in utero solo degli embrioni sani o portatori sani della patologia non è eventualmente funzionale ad un ipotetico “diritto al figlio sano” ovvero a pratiche eugenetiche, le quali sono decisamente differenti rispetto alla fattispecie in esame, in cui sono, invece, rilevanti la sussistenza di un grave pericolo per la salute psico-fisica della donna, anche in relazione ad importanti anomalie del concepito, e la decisione della donna di valutare gli effetti della malattia dell’embrione sulla sua salute, analogamente a quanto avviene per l'aborto, in cui la decisione è rimessa, alle condizioni previste, soltanto alla responsabilità della donna (cfr. Corte cost. ord. num. 76 del 07/03/1996; n. 389 del 23/03/1988).”
Il Giudice Latti inoltre richiamando la recente decisione della Corte EDU in materia di accesso alla diagnosi preimpianto tramite l’accesso a tecniche di PMA, che condanna l’Italia per violazione dell’art. 8 della Carta EDU fa un importante richiamo alla verifica della possibilità di un orientamento conforme, testualmente” secondo quanto ribadito dalla nostra Corte costituzionale nella citata sentenza n. 80/2011, qualora si profili un eventuale contrasto fra una norma interna e una norma della CEDU, poiché le norme della CEDU integrano, quali “norme interposte”, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli “obblighi internazionali”, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilità di una interpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione”.

COMMENTO

Per la prima volta dall’entrata in vigore della legge 40/04, un giudice in materia di fecondazione assistita ordina ad una struttura pubblica di eseguire una tecnica diagnostica anche tramite il ricorso ad altre strutture sanitarie, come avviene di fatto per altri tipi di indagini.

In tal modo è sancito che non c’è differenza tra struttura pubblica e privata in affermazione del principio di equità nell’accesso alle cure.

In Italia, attualmente esistono 357 centri di fecondazione medicalmente assistita attivi. Di questi i centri che applicano tecniche in vitro quindi di secondo e terzo livello sono 202 e, nello specifico di questi 76 svolgono servizio pubblico e 22 servizio privato convenzionato, i rimanenti 104 offrono servizio privato ( fonte Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita).
I centri pubblici non eseguono tecniche di PGD.
Il giudice di Cagliari rigetta tutte le eccezioni formulate dall’azienda ospedaliera del Microcitemico di Cagliari, precisando:

- la preminenza dell’interesse alla salute della donna rispetto a quello allo sviluppo dell’embrione;
- la liceità dell’accertamento diagnostico;
- la procreazione medicalmente assistita come trattamento medico,
- il diritto a ricevere una completa informativa funzionale ad una procreazione libera e consapevole;
In uno il G.I. ha così deciso:

per questi motivi

su parere conforme del pubblico ministero,
- in accoglimento del ricorso, accerta il diritto di XXXX e XXXXXX, ad ottenere, nell’ambito dell’intervento di procreazione medicalmente assistita, l’esame clinico e diagnostico sugli embrioni e il trasferimento in utero della Sig.ra XXXXX solo degli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui gli stessi ricorrenti risultano affetti;
- dispone che la Azienda sanitaria locale di Cagliari e l’Ospedale Regionale per le Microcitemie di Cagliari, in persona del legale rappresentante, esegua, nell’ambito dell’intervento di procreazione medicalmente assistita, l’esame clinico e diagnostico sugli embrioni e trasferisca in utero della Sig.ra XXXXX, qualora da lei richiesto, solo gli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui gli stessi ricorrenti risultano affetti, mediante le metodologie previste in base alla scienza medica e con crioconservazione degli ulteriori embrioni;
- dispone che, qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell'impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione possa essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie;
- dichiara l’inammissibilità degli interventi in giudizio delle Associazioni Cerco un Bimbo, Amica Cicogna Onlus e Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica.

In corso la conferenza stampa dell’Associazione Luca Coscioni.

mercoledì 14 novembre 2012

Savita Halappanavar

In honor of Savita Halappanavar; in honor of the nearly 22 million women worldwide each year who endure unsafe aborton; in honor of the 47,000 women per year worldwide who die from complications of unsafe abortion and the estimated 10 times that number who suffer long-term health consequences; in honor of the millions of women who do not have access to contraception, who have no control over whether and with whom they have sex or and whether or with whom they have children, we can fight back. In honor of the young girls married young and the women forced to bear children long past the point they are able to care for more... for all these women, we must continue to act, to liberalize abortion laws, ensure every woman has access, remove the stigma, and trust women, like Savita, who know when it is time to end even the most wanted pregnancy.
We Are All Savita Halappanavar: Catholic Hospital in Ireland Denies Woman Life-Saving Abortion, Jodi Jacobson, RH Reality Check, november 13, 2012.

Altro su The Guardian qui e qui.

domenica 11 novembre 2012

Quando la risata è femmina. Oltre il muro del pregiudizio


Le donne sanno far ridere? Da questa domanda parte Yael Kohen in We Killed: The Rise of Women in American Comedy (Sarah Crichton Books). La risposta positiva è affidata alla storia delle protagoniste della commedia statunitense dagli anni Cinquanta fino ad oggi, anzi alla loro stessa voce. Dopo una breve introduzione, Kohen lascia che siano i racconti in prima persona a ricostruire l’affresco di circa sessant’anni di stand up comedy e serie tv.
Il libro è anche la storia di un pregiudizio difficile da rimuovere, tanto che la domanda è ancora molto frequente: le donne sanno far ridere? La domanda implica un’indagine su un contesto più ampio: esiste una comicità femminile? Le donne e gli uomini ridono per le stesse battute e possono fare le stesse battute? Quando Christopher Hitchens aveva scritto nel 2007 Why Women Aren’t Funny su Vanity Fair era partito proprio dalle differenze culturali rispetto alla seduzione per giustificare la differenza: se è frequente sentire una donna elogiare un uomo perché la fa ridere, accade di rado il contrario.

Il Corriere della Sera, la Lettura #52, 11 novembre 2011.

giovedì 1 novembre 2012

Marriage on the Ballot

The freedom to marry is a fundamental right that should not have to be won or defended at the ballot box. In fact, ballot initiatives are a bad way to write or rewrite laws of any kind. Unfortunately, that is the reality of American politics, which is why same-sex marriage measures on the Nov. 6 ballot in Maine, Washington, Maryland and Minnesota could turn out to be pivotal in the struggle for marriage equality.

Thanks to court rulings and legislative victories, same-sex marriage is now legal in six states and the District of Columbia, and polls show that a majority of Americans support the legalization of marriages for gay, lesbian and bisexual couples. But same-sex marriage has never won a ballot referendum.

The measure in Maine probably has the best chance of winning. Three years ago, Maine voters rejected a marriage-equality bill that had been approved by the State Legislature. But, instead of giving up, supporters of the freedom to marry went right back to knocking on doors, raising money, honing their arguments and organizing for a new vote this fall to legalize same-sex marriages.
The New York Times, october 30, 2012.
(Lo si diceva anche a proposito del fine vita).

martedì 30 ottobre 2012

A Boston si vota sul suicidio assistito


Il prossimo 6 novembre i cittadini del Massachusetts voteranno sul suicidio assistito. Se la maggior parte di loro sceglierà per la legalizzazione sarà il terzo Stato degli Usa, dopo l’Oregon e Washington, a permettere ai medici di prescrivere un farmaco letale.
Il Massachusetts Death With Dignity Act consentirebbe ai residenti di scegliere di morire in caso di malattia terminale - o meglio di scegliere come morire nel caso in cui l’aspettativa di sopravvivenza sia inferiore ai sei mesi, le condizioni di vita siano diventate insopportabili o il dolore sia intrattabile.

Il Corriere della Sera, La Lettura #50, 28 ottobre 2012.

Anoressia: troppo facile incolpare le modelle


“L’anoressia? È tutta colpa di Twiggy e dell’icona di donna pelle e ossa che ha generato”. E se Twiggy è invocata da chi era giovane negli anni Sessanta, e le nuove generazioni l’hanno sostituita con qualche altra modella o attrice, la connessione causale rimane intatta: si diventa anoressici perché il modello culturale ci rimanda una donna magrissima, vogliamo adeguarci a quel modello e l’anoressia non è altro che il nostro desiderio imitativo che ci sfugge di mano. La moda è spesso considerata la pecora nera nel fragile mondo della rappresentazione e dell’istigazione all’ossessione per la magrezza. Vale anche al contrario: alla fine di settembre alcuni autoscatti di Lady Gaga con qualche chilo in eccesso sono stati presentati - e interpretati da molti - come un esempio di ribellione autocompiaciuta alla magrezza imposta. In questa nebbia il recente libro di Carrie Arnold (Decoding Anorexia: How Breakthroughs in Science Offer Hope for Eating Disorders, Routledge) indica una strada diversa, nascosta dal brusio colpevolizzante verso i modelli culturali spigolosi.

Il Corriere della Sera, La Lettura #49, domenica 21 ottobre 2012.

giovedì 25 ottobre 2012

Voglio Restare

Voglio Restare: le risposte di una generazione che non si arrende.
La campagna è qui (Roars).


martedì 23 ottobre 2012

Aborto: ricorso Ong su legge 194, troppi medici obiettori

(ANSA) - STRASBURGO, 23 OTT - In Italia non ci sono sufficienti medici non obiettori di coscienza per assicurare il diritto delle donne all'interruzione di gravidanza. Questa la tesi sostenuta nel ricorso presentato dall'Ong International Planned Parenthood Federation European Network (Ippf En) contro l'Italia al Comitato europo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa, che entro questa settimana deve pronunciarsi sulla sua ammissibilita'. Secondo l'organizzazione non governativa la legge 194 del 1978 non garantisce, come dovrebbe, il diritto all'interruzione di gravidanza, e quindi viola il diritto delle donne alla salute, e quello a non essere discriminate, sanciti dalla Carta sociale europea. L'Ippn En sostiene che la violazione della Carta sociale e' dovuta alla formulazione dell'articolo 9 della legge. Nel regolare l'obiezione di coscienza degli operatori sanitari, l'articolo 9 non indica le misure concrete che gli ospedali e le regioni devono attuare per garantire un'adeguata presenza di personale non obiettore in tutte le strutture sanitarie pubbliche, in modo da assicurare l'accesso alla procedure per l'interruzione di gravidanza. Il numero insufficiente di medici non obiettori, soprattutto in alcune regioni, mina, sostiene l'ong, il diritto delle donne alla salute e discrimina quelle che per motivi finanziari non possono recarsi in un'altra regione o in strutture private. (ANSA)

domenica 21 ottobre 2012

Sesso, droga e chiesa: le pazze riviste ANVUR sempre più pazze (episodio 2 della trilogia)

Chi offre di più?
Sesso, droga e chiesa: le pazze riviste ANVUR sempre più pazze (episodio 2 della trilogia), by Antonio Banfi and Giuseppe De Nicolao, Roars, 15 ottobre 2012.

La Laiga sulla Relazione ministeriale (194)

La Laiga ha scritto questa lettera aperta in seguito alla pubblicazione della Relazione ministeriale sulla applicazione della legge 194.

Gentile Signor Ministro,
Le scriviamo certi di meritare tutta la Sua attenzione, dal momento che la nostra associazione, LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194), raccoglie quella esigua parte dei ginecologi italiani, cosiddetti “non obiettori”, cioè quegli operatori che, pur fra mille difficoltà, si fanno carico di applicare una legge dello Stato.
Abbiamo finalmente potuto leggere la Sua relazione al Parlamento sullo stato di applicazione della legge 194, ed abbiamo notato come questa si differenzi significativamente da quelle che l’hanno preceduta, sganciandosi dal rigido tecnicismo della comunicazione e dell’interpretazione dei dati, per fare un ragionamento più generale sugli obiettivi e le finalità della legge.
Obiettivo primario, Lei ci dice, è la prevenzione dell’aborto; in quest’ottica, Lei inserisce la legge 194 in un contesto più ampio, che comprende la legge 405 sui consultori familiari, la sentenza n. 27 del 1975 della Corte Costituzionale, e il documento del Comitato Nazionale di Bioetica del 2005 intitolato “Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum”. Il nesso tra aborto e depressione post-partum non è così immediato, ma intuiamo che la chiave di interpretazione sia la supposta fragilità psicologica delle donne, una fragilità “esistenziale”, che si accentua drammaticamente in gravidanza e che sarebbe la causa di gran parte (se non di tutte) le interruzioni di gravidanza. Sarebbe dunque possibile prevenire gli aborti con un adeguato sostegno psicologico e “spirituale” alle donne: allora, ci suggerisce Lei, i medici obiettori (certamente i più qualificati e certamente spinti da più alti principi etici) potrebbero essere utilizzati nei consultori, per convincere le donne a non abortire.
Gentile Signor Ministro, Le ricordiamo che le leggi da lei citate, la 194 e la 405 sui consultori familiari, sono nate proprio grazie alla determinazione, alle lotte e all’impegno civile di quelle donne, cittadine del Suo Paese, che Lei ritiene meritevoli di “tutela” perché incapaci di fare autonomamente una scelta che riguarda la loro vita e la loro salute.
D’altra parte, gentile Signor Ministro, ci sembra che questa, sotto altra veste, sia la stessa logica che portava taluni ad osteggiare l’aborto medico in quanto “aborto facile”: l’idea, in questo caso, era che, vista la maggiore facilità, le donne sarebbero corse ad abortire senza pensarci tanto, e che dunque il numero degli aborti sarebbe sicuramente aumentato. E’ l’idea che sostanzia il parere del Consiglio Superiore di Sanità, acriticamente seguito dalla quasi totalità delle amministrazioni delle nostre Regioni: ignorando i dati riportati dalla letteratura scientifica internazionale e le esperienze sanitarie degli altri Paesi, si è perseguito il fine di rendere più difficile l’accesso all’aborto farmacologico, consigliando il regime di ricovero ordinario con tre giorni di ospedalizzazione! Eppure, gentile Signor Ministro, i dati contenuti nella Sua relazione, seppur frammentari ed incompleti, smentiscono questa logica: nonostante infatti il crescente ricorso all’aborto farmacologico, il numero totale degli aborti è ulteriormente diminuito, e non si sono avute maggiori complicazioni, in accordo con i dati degli altri Paesi, in molti dei quali la pillola per abortire viene addirittura dispensata in consultorio. D’altra parte, poiché l’aborto farmacologico viene praticato in epoche gestazionali precoci, e poiché l’incidenza di complicazioni è tanto minore quanto più precoce è l’epoca gestazionale, facilitare l’accesso a questa metodica non può che essere un’azione per la salute delle donne.
Gentile Signor Ministro, a tal proposito le facciamo notare che, in tempi di crisi economica e di “spending review”, la scelta di eseguire l’aborto farmacologico in regime di Day Hospital permetterebbe di ridurre notevolmente sia i costi per il nostro Sistema Sanitario Nazionale, grazie ad un più razionale utilizzo dei posti letto, sia i rischi di complicazioni legati ai lunghi tempi di attesa.
A Lei, che con questa relazione ha voluto essere non solo “tecnico”, chiediamo di allargare lo sguardo e di muoversi nella logica non della semplice prevenzione dell’aborto, ma in quella della prevenzione delle gravidanze indesiderate, promuovendo in primo luogo un più facile accesso alla contraccezione sicura. Siamo certi che i ginecologi obiettori sarebbero felici di essere impiegati a tal fine nei nostri consultori.
Gentile signor Ministro, siamo convinti che anche Lei ritenga la legge 194 una delle migliori del nostro Paese, il che è peraltro sottolineato dal dato, riportato anche dalla Sua relazione, che in poco più di trent’anni dalla sua approvazione il numero di aborti in Italia è più che dimezzato. Tuttavia, la Sua stessa relazione sottolinea le numerose criticità per la piena applicazione della legge; fra queste, a nostro avviso merita una considerazione particolare il problema dell’obiezione di coscienza, o, per meglio dire, dell’uso strumentale dell’obiezione di coscienza. Nel nostro Paese, caso unico tra quelli che si sono dati una legge per regolamentare il ricorso all’aborto, la percentuale di ginecologi obiettori è altissima, tanto da ostacolare in molti casi la possibilità per le donne di esercitare appieno un loro diritto.
Nella Sua relazione Lei ci parla di una stabilizzazione generale del fenomeno dell’obiezione di coscienza, che nel 2010 è stata sollevata dal 69,3% dei ginecologi italiani; i dati in nostro possesso, nati dalla necessità di verificare la sensazione dell’esistenza di uno “scollamento” fra i dati ufficiali e quelli reali, fotografano una situazione molto più grave: la percentuale di obiettori nel Lazio è pari al 91,3% del totale dei ginecologi delle strutture ospedaliere pubbliche; sempre nel Lazio, su 31 strutture pubbliche, ben 9 non dispongono di un servizio di pianificazione familiare e non praticano aborti, e in ben tre provincie del Lazio non si eseguono aborti terapeutici, in assoluta inadempienza proprio di quell’art.9 della legge che disciplina la possibilità di sollevare obiezione di coscienza. Questi i numeri, gentile Signor Ministro. Sono inquietanti, ma sono numeri. Sono importanti, ma al tempo stesso non sono sufficienti a descrivere e definire la realtà, perché non raccontano le condizioni di lavoro dei non obiettori, costretti a sobbarcarsi un carico di lavoro considerato generalmente “bassa manovalanza” ma che non lascia spazio ad altro, non raccontano l’esasperazione, la stanchezza, i rischi personali e professionali, la voglia, a volte, di gettare la spugna. Ne’ parlano dell’impegno civile, dell’ostinazione, della passione per la nostra professione, che, invece, ci spingono a continuare a lavorare per la tutela della salute riproduttiva.
A Lei, Ministro “tecnico” chiediamo dunque di incontrare noi “tecnici”, perché l’azione di governo per migliorare l’applicazione di una legge miliare del nostro Paese possa sostanziarsi dell’esperienza e dei suggerimenti di chi realmente lavora “sul campo”.

domenica 14 ottobre 2012

mercoledì 10 ottobre 2012

martedì 2 ottobre 2012

Perché voglio fare la madre io? (Perché sono un utero)


Mi era proprio sfuggito, ma quando su segnalazione leggo su Gli Altri quanto avrebbe scritto Luisa Muraro salto sulla sedia (La femminista contro le adozioni gay:“Invidiosi della fecondità femminile”, Laura Eduati, 2 ottobre 2012, da leggere se si esclude Muraro). Non c’è la fonte e allora cerco con Google e trovo di meglio: in una botta sola trovo la fonte (Metro) e un commento di Marina Terragni che si dice “perfettamente rappresentata” (non mi avventurerò nei link che segnala Terragni all’inizio del suo post, tanto è ben rappresentata da Muraro e allora andiamo a vedere cosa avrebbe scritto Muraro).
“Meglio avere genitori omosessuali che non averne affatto”, ha detto il sindaco di Milano, secondo i giornali. Avrà detto proprio così? Me lo chiedo perché in queste parole ci sono due semplificazioni.
Avere dei genitori non è sempre meglio del non averli. Ci sono genitori indegni del loro compito. Quanto all’adozione, Pisapia sa bene che la nostra legge è diventata molto prudente nel concederla. Troppo, dicono alcuni, senza sapere dei molti bambini prima adottati e poi respinti. Ci vuole una valutazione severa, per esempio: sono adatti alla paternità i politici di professione, gli artisti?
Seconda semplificazione. Il sindaco ha parlato di coppie omosessuali, senza specificare se maschili o femminili. Ma è una differenza enorme. Le coppie femminili che desiderano figli, possono averli e così già fanno, con il tacito consenso della società circostante. Il problema si pone alle coppie maschili, in quanto naturalmente e ovviamente sterili.
 Qui non prendo posizione pro o contro l’adozione. Affermo soltanto che, quando si ha davanti un problema, conviene dirsi chiaramente come stanno le cose. Il problema dell’adozione è degli uomini, non delle donne. E dietro alla pressante richiesta maschile di poter adottare, potrebbe nascondersi un’antica invidia verso la fecondità femminile. Mi sbaglio? Non lo escludo, ma in tal caso l’uomo dica apertamente: perché non voglio chiedere a una donna il dono di diventare padre? Perché voglio fare la madre io? 
E non riduciamo il problema a una questione di diritti. A questo mondo i desideri, compresi quelli giusti, non si traducono automaticamente in diritti.
Muraro fa le pulci a Pisapia, ma poi inciampa non solo in semplificazioni peggiori di quelle che attribuisce al sindaco di Milano, ma pure in equivoci psicanalfondamentalisti che sembrano usciti da una cantina polverosa e rimasta chiusa per 40 anni (basterebbe qui invocare Sokal e Bricmont e quello che scrivono a proposito di Julia Kristeva e Jacques Lacan o altri tipi del genere).
Certo che ci sono genitori indegni, ma ciò che (verosimilmente) voleva intendere Giuliano Pisapia è che la variabile omosessualità non è intrinsecamente negativa. Se dovessi proprio commentare, direi che questo modo concessivo (magari strategicamente funziona) mi disturba, e che sarebbe meglio dire: perché l’omosessualità dovrebbe essere considerata a priori come dannosa per i figli? Non ha alcun senso, e sarebbe giusto sottoporre tutti i potenziali genitori adottivi al percorso di valutazione, senza soffermarsi pornograficamente sulle preferenze sessuali. Ancora troppa gente pensa che l’eterosessualità sia il golden standard e che gli altri orientamenti siano una caricatura, un errore, un peccato, qualcosa di immorale - insomma bene che ti va ti prendi uno sguardo di compassione. Finché questa convinzione - sbagliata, delirante, presuntuosa e violenta - sarà conficcata nelle teste inciampreremo in domande che dovrebbero essere superlfue, inutili e considerate come noiose. Si è buoni o cattivi genitori per ragioni che nulla hanno a che vedere con le nostre preferenze sessuali.
Sulla difficoltà dell’adozione, poi, ne scriveva pochi giorni fa Daniela Ovadia e non mi ci soffermo (chiarisco solo che sono difficoltà che nulla, pure loro, hanno a che fare con l’orientamento sessuale).
Ma il bello arriva con la “differenza enorme”, per non dire di dubbie entità come “il consenso della società circostante” e il “naturalmente sterili” (Muraro forse avrebbe dovuto dirci come ci regoliamo con una donna sterile - la consideriamo innaturale al pari di un uomo?).
Ma diciamoci chiaramente come stanno le cose, ci esorta Muraro: il problema dell’adozione è degli uomini, perché in fondo ci sta una invidia malcelata e mai risolta. Degli uomini verso le donne. Degli uomini verso l’utero. Sarà.
A me sembra che eliminare dal proprio panorama cerebrale il fatto che si possa desiderare di essere padri - meglio, genitori così magari ci liberiamo di qualche stereotipo che la mamma è premurosa e affettuosa e il papà è l’ordine e la disciplina - ridurre gli individui a ruoli predefiniti, sempre più angusti, sempre più irrigiditi e incollati come capelli inondati da una lacca scaduta, decidere al posto degli altri quali siano i desideri giusti e quelli sbagliati, ecco tutto questo mi sembra essere di una presunzione sconfinata. Non solo, si può provare almeno a metter su un mezzo argomento che non puzzi di marcio e stantio, si può provare ad uscire dall’ossessione della retorica della maternità, che spinge perfino a chiamare “mammo” un uomo che esprime piacere e desiderio nell’occuparsi dei figli. Mammo, capite?
Per non parlare della coincidenza tra capacità riproduttiva e desiderio genitoriale, della riduzione delle emozioni agli organi che abbiamo, quelli che ci funzionano oppure no, quelli che ci permettono di riprodurci o quelli che richiedono l’intervento di tecniche. Non oso pensare cosa direbbe Muraro (magari lo ha già detto ma passo per oggi)  della maternità surrogata e delle tecniche riproduttive, tutti rimedi innaturali e sicuramente un ripiego delle vere donne, quelle con l’utero funzionante.
Insomma, ci bastava Giuseppe Di Mauro, o no?

Aggiunta per chi avesse voglia di leggere prima di elencare sentenze: APA, Colage, ACLU, AACAP, Stacey & Biblarz (posso continuare su richiesta).

lunedì 1 ottobre 2012

Is Anorexia a Cultural Disease?

Un post molto interessante sui disturbi alimentari di Carrie Arnold su Slate.

From the outside, my eating disorder looked a lot like vanity run amok. It looked like a diet or an obsession with the size of my thighs. I spewed self- and body-hatred to friends and family for well over a decade. Anorexia may have looked like a disorder brought about by the fashion industry, by a desire to be thin and model-perfect that got out of hand.

Except that it wasn't. I wasn't being vain when I craned my neck trying to check out my butt in the mirror—I truly had no idea what size I was anymore. I was so afraid of calories that I refused to use lip balm and, at one point, was unable to drink water. I was terrified of gaining weight, but I couldn't explain why.

As I lay in yet another hospital bed hooked up to yet another set of IVs and heart monitors, the idea of eating disorders as a cultural disorder struck me as utterly ludicrous. I didn't read fashion magazines, and altering my appearance wasn't what drove me to start restricting my food intake. I just wanted to feel better; I thought cutting out snacks might be a good way to make that happen. The more I read, the more I came to understand that culture is only a small part of an eating disorder. Much of my eating disorder, I learned, was driven by my own history of anxiety and depression, by my tendency to focus on the details at the expense of the big picture, and by hunger circuits gone awry. The overwhelming amount of misinformation about eating disorders—what they are and what causes them—drove me to write my latest book, Decoding Anorexia: How Breakthroughs in Science Offer Hope for Eating Disorders.

venerdì 28 settembre 2012

Gay, adozioni e scienziati col comunicato facile

Apro la mail e trasecolo: alle 16 di oggi Giuseppe Di Mauro, presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale invia a noi giornalisti un comunicato stampa nel quale esprime “seria preoccupazione per la rapidità e la leggerezza con la quale, a livello mediatico, si stanno diffondendo informazioni superficiali e spesso, fuorvianti, sulle “Adozioni gay”, argomento molto delicato che andrebbe valutato con maggiore rigore scientifico, soprattutto per le ripercussioni che comporta sulla crescita e lo sviluppo del bambino”.
Di Daniela Ovadia, Mente e Psiche, 27 settembre 2012.

Costanza Miriano, o delle farneticazioni contraccettive

Foto di Lindsay Morris (gender-variant children)

In L’Aborto del giorno dopo - con la “A” maiuscola - Costanza Miriano concentra alcune delle farneticazioni più comuni, scelte con cura tra quelle asservite alla battaglia per confondere le idee e stabilire un codice di comportamento Universale (con la “U”) - il suo.
Quando la bugia da far passare è molto grossa è bene attrezzarsi subito, sin dalla scelta del nome. E così si chiama dipartimento all’educazione la struttura che ha deciso di distribuire gratuitamente nelle scuole superiori di New York la pillola del giorno dopo alle ragazze che ne facciano richiesta. Poi non ci sarà neanche più bisogno del consenso dei genitori, se hanno preventivamente aderito al programma di contraccezione preventiva, e qui è la bugia più grossa di tutte.
Miriano si riferisce a questa iniziativa, giudicata immorale, oscena, pericolosa, negazionista e abortiva. Che manca?
La pillola del giorno dopo, poiché appunto si prende il giorno dopo (anzi, entro 72 ore), non è affatto preventiva, e può o ritardare l’ovulazione, oppure, se il concepimento è avvenuto, impedire l’impianto di una nuova vita che già è cominciata, e quindi si tratta di un vero e proprio aborto in piena regola. C’è di mezzo insomma la vita di un bambino che viene interrotta.
La bugia più grossa di tutte, però, è proprio quella di Miriano. Se avesse avuto la voglia o la buona fede di cercare, avrebbe trovato i comunicati e gli articoli in cui si spiega il funzionamento della contraccezione d’emergenza. Avrebbe poi potuto leggere qualche fondamento di embriologia, magari un Bignami non dico un intero manuale. Ma no, non importano questi dettagli materialisti per chi difende la “Vita”, per chi chiama “bambino” poche cellule che forse nemmeno si impianterebbero o che magari diventerebbero due organismi in seguito (nel caso dei gemelli). Quelle sono una “Vita”, no, non solo, sono un bambino e quindi se prendi una contraccettivo sei un omicida. Ovviamente in seguito te ne renderai conto e ti pentirai per tutta la vita.
Per andare incontro alla pigrizia ecco alcuni link:

Il 6 giugno 2011 la Società Italiana della Contraccezione (SIC) e la Società Medica Italiana per la Contraccezione (SMIC) hanno redatto un documento comune, dal titolo “Position paper sulla contraccezione d’emergenza per via orale”.

World Health Organization sulla contraccezione.

http://ec.princeton.edu

Il gioco è ben riconoscibile (e ben noto): la vita - che diavolo significa? - e l’aborto e il bambino.
Ovviamente stiamo parlando di un ovocita non fecondato o di uno non annidato - questo sarebbe il “bambino” abortito con la contraccezione d’emergenza, che ovviamente non è più contraccezione ma un aborto!
Ma la parte più bella, in linea con il pensiero miraniano, è questa:
A me risulta piuttosto che uno dei passi principali della crescita sia imparare a prendersi responsabilità, smettere di dire “non è colpa mia, l’ho fatto per sbaglio”, cominciare a dire “ho fatto un errore, me ne prendo le conseguenze”. Ho visto tante vite rifiorire, quando una mamma si è fatta carico di quello che all’inizio sembrava un incidente di percorso, e invece è diventata occasione di conversione, e poi gioia infinita, cioè un bambino.
E tra l’altro qui non si vede quale sia il progresso tra abortire in ospedale, sapendo che lo si sta facendo, e abortire senza neanche esserne certe. Io penso che queste adolescenti, crescendo, potrebbero anche tormentarsi tutta la vita, nel dubbio che la bomba preventiva che hanno fatto esplodere nel loro utero abbia ucciso una vita, quella del loro bambino. Sarà ancora più difficile fare i conti con il lutto, se neanche si è certe di cosa si è fatto davvero. C’era mio figlio, lì dentro? L’ho ucciso?
Consiglierei di scagliarsi anche contro le spirali (iud) e, perché no?, contro i preservativi. Forse anche contro l’astinenza (forse lo ha fatto, sono io a essermi persa le precedenti puntate). Tutti i bambini potenziali eliminati da questi infernali meccanismi abortivi!
Miriano è uno degli esempi migliori della totale inutilità del sistema nervoso centrale (vedasi anche i suoi commenti sugli embrioni e sulla fluidità sessuale, se la prende a morte con il pezzo tradotto la settimana passata da Internazionale e pubblicato la scorsa estate dal New York Times).

giovedì 27 settembre 2012

Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita

Prima di pensare e commentare, leggere il pezzo di Dreyfus, pubblicato su Libero il 18 febbraio 2007 (prima e seconda pagina).

Una adolescente di Torino è stata costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via.

Lei proprio non voleva. Si divincolava. Non sapeva rispondere alle lucide deduzioni di padre e madre sul suo futuro di donna rovinata.
Lei non sentiva ragioni perché più forte era la ragione dei cuore infallibile di una madre.

Una storia comune. Una bambina, se a tredici anni sono ancora bambine, si era innamorata di un quindicenne. Quando ci si innamora, capita: e così qualcosa è accaduto dentro di lei. Lei che era una bambina capiva di aspettare un bambino. Da che mondo è mondo non si è trovata un’ altra formula: non attendeva un embrione o uno zigote, ma una creatura a cui si preparava a mettere i calzini, a darle il seno.

I genitori hanno pensato: «È immatura, si guasterà tutta la vita con un impiccio tra i piedi».
Hanno deciso che il bene della ñglia fosse: aborto. In elettronica si dice: reset. Cancellare. Ripartíre da zero.
Strappare in fretta quel grumo dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci.
Tutta ’sta fatica a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per casa.

Il buon senso che circola oggi ha suggerito ai genitori: i figli devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Siamo moderni. Quell’altro che deve nascere però non era nei patti, quello è vietato, vietatissimo. Accettiamo che tutti facciano tutto, ma non che turbino la nostra noia.

Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto – il diritto! – decretando: aborto coattivo. Salomone non uccise il bimbo, dinanzi a due che se lo contendevano; scelse la vita, ma dev’ essere roba superata, da antico testamento.

Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale.
Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io».

Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi. Che vanno lavati con un bello shampoo di laicità. Se le fosse rimasto attaccato qualche residuo nocivo di sacralità, niente di male, ci vuole pazienza. E una vacanza caraibica l’avrebbe riconciliata dopo i disturbi sentimentali tipici dell’età evolutiva.

Non è stato così. La ragazzina voleva obbedire a qualcosa scritto nell’anima o – se non ci credete – in quel luogo del petto o del cervello da cui sentiamo venir su il nome del figlio. Ma no: non anima, né petto, né cervello.
Le dava dei calci proprio nella sua pancia che le dava il vomîto.
Una nausea odiosa, ma così rasserenante: più antica dell’effetto serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere. Si sentiva mamma. Era una mamma.
Niente.
Kaput.
Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta.

Ci sono ferite che esigerebbero una cura che non c’è. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice.

Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra, in realtà) costretto alla follia.
Si dice: nessuno tocchi Caino, ma Caino al confronto avevale sue ragioni di gelosia. Qui ci si erge a far fuori un piccolino e a straziare una ragazzina in nome della legge e del bene.

Dopo aver messo in mostra meritoriamente questo scempio, il quotidiano torinese la Stampa che fa? Mette pacificamente in lizza due pareri. Sei per il Milan o l’Inter? Preferisci la carne o il pesce?

Non si riesce a credere che ci possano essere due partiti. Sì, perché in fondo la vera notizia è questa, e cioè che ci sia un’opinione ritenuta rispettabile e che accetti la violenza più empia che esista: il costringere una madre a veder uccidere il figlioletto davanti ai suoi occhi.
Non c’è neanche bisogno del cristianesimo. Basta l’Eneide di Vlrgjlio, la saggezza classica. L’orrore è quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio.

Invece qui già ci sono`due partiti. Quello pro e quello contro. È incredibile. Come se fosse possibile fare un bel dibattito sul genocidio: uno si esprime a favore, il secondo è perplesso. Ma che bella civiltà, piena di dubbi.
Come scriveva Giovanni Testori, più battiti e meno dibattiti. Specie quando il battito di un innocente è stato soffocato con l’alibi della libertà e della felicità di una che non sa che farsene, se il prezzo è l’aborto.

Questo racconto tenebroso è specchio dei poteri che ci dominano. Lasciamo perdere i genitori, che riescono ormai a pesare solo come ingranaggi inerti.
Ma che la medicina e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti. Però a pensarci non è una cosa nuova.
Nicola Adelfi propose, sempre sulla Stampa, l’aborto coattivo, in grado di eliminare i fastidiosi problemi dicoscienza, perle donne di Seveso rimaste incinta al tempo della diossina (2 agosto 1976).

Abbiamo udito qualcosa di simile aproposito di lager nazisti e di gulag comunisti. Ma che questo sia avvenuto in Italia e che abbia menti pronte a giustificarlo è orribile.
Qualche link utile:
Michael Braun, Libertà di diffamazione, Internazionale.
La Suprema Corte.
Dove sono tuti?
S’è fatta l’ora.

lunedì 24 settembre 2012

"Mamma, il mio maestro è razzista e ignorante".

Il suo argomento sarebbe il seguente:
Tuttavia da insegnante provo a immaginarmi un bambino di 6 – 7 anni che spiega ai compagni che lui ha una mamma maschio. Ho provato a pensare al figlio di un omosessuale che quando disegna la sua famiglia a differenza degli altri raffigura la mamma con la barba. E ancora ho pensato a come vivrebbero questa nuova dimensione gli altri bambini.

Da che mondo è mondo il bambino ha bisogno della figura della madre e del padre, della donna e dell’uomo. Il bambino che è rimasto per nove mesi nel ventre materno e ha vissuto l’esperienza del legame fisico con la madre attraverso l’allattamento, continua nei suoi primi anni di vita a riconoscere anche nella fisicità della madre un senso di protezione che un uomo non può dare. E’ un fattore senza dubbio anche fisiologico e fisico. Il papà è invece, colui che dà sicurezza, è la figura che ci ha rassicurato quando abbiamo preso in mano per la prima volta la bicicletta.

Mamma maschio? Mamma con la barba? No, non riesco nemmeno a commentare.
(Cominciare a leggere da qui).

I grassi non hanno colpe



Negli Stati Uniti il sovrappeso e l’obesità sono un grave problema sanitario e sociale. In molti Paesi industrializzati la percentuale di persone con problemi di peso aumenta vertiginosamente, con la complicità di uno stile di vita sedentario e frenetico. Non sono secondari il fattore economico e l’accesso a una corretta educazione alimentare: un fast food è più economico di un ristorante e ci vuole meno tempo a comprare un vassoio di cibo preconfezionato che a cucinarsi, magari tenendo sotto controllo le calorie. Servono solo qualche dollaro e un paio di minuti per acquistare un pasto ipercalorico.

Gli effetti collaterali dell’aumento di peso incidono sempre più sui costi sanitari e la diffusione dell’obesità infantile rischia di cronicizzare il fenomeno, rendendo sempre più difficile tornare indietro e arginare le conseguenze di 20 o 30 chili di troppo. Negli Stati Uniti quasi il 70% degli adulti e più del 30% dei bambini sono sovrappeso o obesi.
Patologie cardiovascolari, diabete, ma anche affaticamento cronico, depressione e vergogna appaiono come metastasi incontrollabili e, a volte, come un destino immutabile.

Di recente l’American Psychiatric Association ha introdotto 5 nuove categorie diagnostiche nell’area dei disturbi alimentari, tra cui il binge eating: mangiare compulsivamente e velocemente quantità eccessive di cibo.

Come invertire questa tendenza? Secondo un recente studio condotto da tre ricercatori dello Yale University’s Rudd Center for Food Policy and Obesity, e pubblicato sull’«International Journal of Obesity» pochi giorni fa, il segreto sta nel non nominare l’obesità e nell’evitare minacce e messaggi colpevolizzanti.
Lo studio, significativamente intitolato Fighting obesity or obese persons? («Combattere l’obesità o le persone obese?»), analizza la percezione pubblica dei messaggi delle campagne antiobesità.

Il Corriere della Sera, la Lettura #45, 23 settembre 2012.

lunedì 17 settembre 2012

L’astuzia evolutiva di un bambino che piange


Siamo andati sulla Luna, abbiamo inventato il computer e analizzato il nostro stesso processo evolutivo. Ma abbiamo anche dei comportamenti considerati ben meno eroici e degni di attenzione: sudiamo, abbiamo il singhiozzo, starnutiamo, sbadigliamo.
Proprio su questi comportamenti, abbastanza trascurati dagli scienziati, si concentra Robert Provine nel suo ultimo libro Curious Behavior: Yawning, Laughing, Hiccupping, and Beyond (2012, Belknap Press, 288 pagine). Provine, psicologo e neuroscienziato dell’Università del Maryland, li considera interessanti mezzi per comprendere come funziona il nostro cervello e come ci siamo evoluti e differenziati dalle specie a noi affini. Accusa anche di pedanteria quelli che non vogliono saperne di scoregge e pruriti - la cosiddetta small science non è affatto banale o meno importante delle auliche cugine. E poi avete mai provato a trattenere uno starnuto o a resistere dal grattarvi?
Non solo: spesso le più importanti scoperte scientifiche sono possibili grazie allo studio delle componenti elementari, dei più piccoli segmenti di quel sistema i cui meccanismi cerchiamo di illuminare.

Il Corriere della Sera, la Lettura di oggi.

domenica 9 settembre 2012

More Treatment, More Mistakes

According to a 1999 report by the Institute of Medicine, as many as 98,000 Americans were dying every year because of medical mistakes. Today, exact figures are hard to come by because states don’t abide by the same reporting guidelines, and few cases gain as much attention as that of Rory Staunton, the 12-year-old boy who died of septic shock this spring after being sent home from a New York hospital. But a reasonable estimate is that medical mistakes now kill around 200,000 Americans every year. That would make them one of the leading causes of death in the United States. Why have these mistakes been so hard to prevent?
More Treatment, More Mistakes, july 31 2012, The New York Times.

giovedì 6 settembre 2012

I cattivi consigli dell'empatia

Si sa: l'emotivismo, la cecità astorica e l'insofferenza per un approccio analitico-pragmatico ai problemi sono i carburanti del settarismo. E con le emozioni non si viene a compromesso. Ma se si usano solo le emozioni, evolutivamente selezionate anche per cacciare meglio in gruppo e spartirsi la selvaggina, succede che quando e dove l'esistenza gira male, gli animali, a meno che non siano protetti da qualche superstizione religiosa, vengono abusati in tutti i modi. Su consiglio diretto delle emozioni, che inducono a sopravvivere. Quando, come in Occidente, gira bene, gli altri animali ottengono un diverso genere di trattamento. Ora, se questo quadro è plausibile, e noi crediamo lo sia, chi ama gli animali non dovrebbe lasciarsi ipnotizzare delle prediche di Petrini, Dario Fo o Latouche, che propongono di diventare poveri o di tornare alla «scienza dei contadini». Che, quando erano ignoranti, erano anche i peggiori carnefici. Non solo verso gli animali.
Di Gilberto Corbellini e Simone Gozzano, Il Sole 24 Ore di domenica scorsa. Da leggere tutto.

L’anima? È solo un’illusione


Il nostro corpo è stato a lungo considerato come sede, momentanea e imperfetta, di un’anima immortale e immateriale. Con la fine o l’attenuazione della concezione religiosa dell’anima si sono alternati diversi agenti che hanno ripreso e incarnato alcune delle sue caratteristiche: dall’inconscio ai condizionamenti sociali, dalle emozioni alle passioni, tutti hanno ammiccato a un dualismo ontologico. La scienza ha sempre cercato di mettere in guardia gli uomini dal potere seduttivo di soluzioni facili, illusorie e lontane dalla corretta spiegazione dei fenomeni. “Ma è noto che l’uomo non ama conoscere la verità, soprattutto se lo riguarda da vicino, e preferisce le nozioni confuse e inverificabili che conducono al fiorire delle mitologie, passate e presenti” - scrive Edoardo Boncinelli in Quel che resta dell’anima (Rizzoli), un vero e proprio viaggio attraverso la tradizionale idea di anima e i suoi molteplici aspetti nel corso dei secoli. Un viaggio anche attraverso le parole, soprattutto quelle così cariche di significati da rendere ogni conversazione faticosa e spesso confusa. Sono le parole che Boncinelli chiama “parole-interruttore”, quelle che ci trascinano in una nebbia di frasi fatte e pregiudizi, che non riescono a scrollarsi di dosso il peso ideologico e che attivano in noi reazioni immediate e poco razionali.

Il Corriere della Sera, 6 settembre 2012.

mercoledì 5 settembre 2012

Tecniche di riproduzione artificiale in Costa Rica

In Costa Rica c’è l’unica legge più restrittiva della nostra. Dalla premessa che un ovulo fecondato debba essere considerato una persona ne deriva che siano illegali le tecniche riproduttive.
Sono almeno coerenti, non come la legge 40 e i suoi difensori: dopo avere stabilito lo statuto di soggetto per il concepito (termine bizzarro e impreciso) ne hanno però auotrizzato il suo sacrificio.

Come riportava un articolo dell’Osservatore Romano nel giugno scorso (Il Costa Rica rigetta la fecondazione in vitro):
Con 26 voti favorevoli e 25 contrari la Camera dei Rappresentanti del Costa Rica ha respinto il disegno di legge che avrebbe permesso la fecondazione in vitro nel Paese. Il progetto è stato accantonato a causa di una serie di incongruenze ravvisate nel costrutto della norma, giudicata, tra l’altro, contraddittoria e confusa. Con questa decisione, anche se con un risultato di stretta misura, il Governo del Costa Rica non si piegherà alle ripetute pressioni della Corte interamericana dei diritti dell’uomo esercitate sullo Stato centroamericano perché approvasse la fecondazione in vitro, entro il 31 luglio. Il processo appena conclusosi con tale decisione è stato avviato nel mese di agosto dello scorso anno. I vescovi del Costa Rica, in diverse occasioni, hanno espresso le loro obiezioni e opposizioni al progetto di legge, presentando in Parlamento la loro posizione riguardo al disegno di legge sulla fecondazione in vitro e sul trasferimento di embrioni, nell’intento di contribuire alla discussione parlamentare dalla prospettiva dell’antropologia cristiana, dell’etica e del magistero ecclesiale.
Nel mese di ottobre 2010, il presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo di San José, monsignor Hugo Barrantes Ureña sollecitò il Governo a non approvare la normativa, in quanto «è una tecnica che, per raggiungere le sue finalità, elimina, nel suo processo, un grande numero di embrioni fecondati, cioè vite umane nascenti». Il presule, nell’esprimere «comprensione per gli sposi che non possono appagare il legittimo desiderio di avere figli» ha ricordato però che «un bambino è sempre un dono» e, di conseguenza, non può costituire un mero mezzo per «soddisfare un bisogno o desiderio, ma la sua inviolabile dignità di persona richiede di essere trattato sempre come un fine».
Joseph Ratzinger ha espresso la sua opposizione nelle Lettere credenziali del nuovo ambasciatore del Costa Rica presso la Santa sede.
Gerardo Escalante López e Delia Ribas hanno raccontato che cosa vuol dire quel divieto:
qualche settimana fa il Costa Rica è stato sottoposto a un giudizio della Corte americana il quale ha riscontrato che il Paese ha violato i diritti riproduttivi dei propri cittadini. Speriamo che tra due anni la corte si potrà pronunciare a favore o contro la fecondazione in vitro. La cosa importante è che forse organismi di diritto internazionale per la prima volta giudicheranno questa materia e potranno determinare quali sono le responsabilità in capo ai governi in materia di riproduzione umana.
Oggi e domani la Corte interamericana dei diritti umani esaminerà il divieto della legge e ascolterà le ragioni giuridiche di chi considera quel divieto ingiustificabile, ingiusto e discriminatorio.
Caso Artavia Murillo y otros (Fecundación in vitro) vs. Costa Rica. L’udienza è pubblica e sarà possibile seguirla via streaming qui.

martedì 28 agosto 2012

La Corte europea sulla legge 40

Ban preventing couple of healthy carriers of genetic disease from screening embryos for in vitro fertilisation violated their right to respect for their private and family life

In today’s Chamber judgment in the case of Costa and Pavan v. Italy (application no. 54270/10), which is not final, the European Court of Human Rights held, unanimously, that there had been: a violation of Article 8 (right to respect for private and family life) of the European Convention on Human Rights.
The case concerned an Italian couple who are healthy carriers of cystic fibrosis and wanted, with the help of medically-assisted procreation and genetic screening, to avoid transmitting the disease to their offspring.
The Court noted the inconsistency in Italian law that denied the couple access to embryo screening but authorised medically-assisted termination of pregnancy if the foetus showed symptoms of the same disease. The Court concluded that the interference with the applicants’ right to respect for their private and family life was disproportionate.

[...]

Decision of the Court

Article 8

The Court considered that the applicants’ desire to resort to medically-assisted procreation and PID in order to have a baby that did not suffer from cystic fibrosis was a form of expression of their private and family life that fell within the scope of Article 8.
The fact that the law did not allow them to proceed in this manner therefore amounted to an interference with their right to respect for their private and family life which was “in accordance with the law” and pursued the legitimate aims of protecting morals and the rights and freedoms of others.
The Italian Government justified this interference by the need to protect the health of the mother and child and the dignity and freedom of conscience of the medical professions, and to avoid the risk of eugenic abuses. The Court observed first of all that the notions of “embryo” and “child” must not be confused. It could not see how, in the event that the foetus proved to have the disease, a medically-assisted abortion could be reconciled with the Government’s justifications, considering, among other things, the consequences of such a procedure for both the foetus and the parents, particularly the
mother.

The Court stressed the difference between this case, which concerned PID and homologous insemination, and that of S.H. v. Austria, which concerned access to donor insemination. Furthermore, although the question of access to PID raised delicate issues of a moral and ethical nature, the legislative choices made by Parliament in the matter did not elude the Court’s supervision. The Court noted that of the 32 Council of Europe member States whose legislation it examined, PID was only prohibited in Italy, Austria and Switzerland (regulated access to PID was currently being examined in Switzerland).
The Court observed that the inconsistency in Italian law – prohibiting the implantation of only those embryos which were healthy, but authorising the abortion of foetuses which showed symptoms of the disease – left the applicants only one choice, which brought anxiety and suffering: starting a pregnancy by natural means and terminating it if prenatal tests showed the foetus to have the disease. The Court accordingly considered that the interference with the applicants’ right to respect for their private and family life was disproportionate, in breach of Article 8.

Article 14
Discrimination, within the meaning of Article 14, meant treating persons in similar situations differently without an objective and reasonable justification. Here the Court noted that, where access to PID was concerned, couples in which the man was infected with a sexually transmissible disease were not treated differently to the applicants, as the prohibition applied to all categories of people. This part of the application was therefore rejected as being manifestly ill-founded.

Il comunicato è qui.