martedì 31 luglio 2007

Integralisti ed animali

Una delle caratteristiche più odiose dell’integralismo cattolico è il suo disprezzo per i diritti degli animali e per chi li difende. Spiega per esempio Andrea Galli su AvvenireAnimali. Diritti riconosciuti come per gli uomini?», 29 luglio 2007):

Il fenomeno riguarda, più specificamente, come i fautori della liberazione animale si siano avvicinati in diversi Paesi, passo dopo passo, grazie a progressivi scivolamenti giuridici e semantici, al loro traguardo principale: che va ben al di là della semplice “tutela” dei viventi, in alcuni casi condivisibile, ma riguarda il superamento della differenza ontologica tra uomo e animale, con relativo riconoscimento al secondo di veri e propri diritti.
L’errore logico è evidente: somiglianze specifiche portano all’attribuzione di alcuni diritti comparabili a quelli umani (per esempio, dal fatto che gli animali a sangue caldo soffrono in modo simile agli esseri umani segue, per un ovvio principio di giustizia, che essi godono almeno del diritto di non essere torturati sadicamente), ma questo non implica in nessun modo che salti ogni distinzione e/o che si attribuiscano agli animali tutti i diritti umani (allo stadio attuale delle nostre conoscenze nessun animale si qualificherebbe per esempio per il diritto di voto).
L’imperativo ideologico di scavare un baratro fra la natura animale e quella umana, in ossequio alla concezione reazionaria di un cosmo gerarchico ed ossificato (da cui deriva anche l’imbarazzante rifiuto della teoria dell’evoluzione), fa aggio però sulla logica, e purtroppo spesso anche sulla pietà:
Infine, anche la magistratura ha voluto dare il suo contributo alla causa. Con una sentenza del 5 giugno scorso la Corte di Cassazione ha stabilito, letteralmente, che «l’animale condotto al seguito o trasportato in autovettura richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa verso un minore», respingendo il ricorso di un 27enne che aveva trascinato il suo cane con la macchina perché, ubriaco, non si era accorto che nel ripartire la bestiola era rimasta impigliata nella portiera. Una solerzia quasi superiore a quella della pubblica amministrazione, dove, dal 1994 a oggi, a partire dal Comune di Roma, poi in quello di Genova, Firenze, Milano e via di seguito, sono stati aperti una miriade di «uffici per i diritti degli animali».
Pare di capire che pur di non ammettere mai una deroga alla diseguaglianza di cui si è fatto apologeta, Andrea Galli sarebbe dispostissimo a chiudere un occhio sullo strazio di un animale innocente.
Ultima, piccola infamia:
Forse, insomma, se Hiasl [uno scimpanzè di cui un’animalista austriaca aveva chiesto invano l’affidamento] fosse stato dirottato in Italia a quest’ora avrebbe già una mamma. E un vitalizio da parte dello Stato.
È l’appello volgare a guardarsi il portafoglio, inventandosi la richiesta di un diritto positivo che nessuno ha seriamente mai avanzato: lasciate torturare gli animali, signori, ché altrimenti un giorno potreste pagare qualche spicciolo di tasse in più...

Aiutati che dio t’aiuta

E se dio è troppo impegnato a risolvere problemi più seri, ci pensa Lorenzo Cesa a tendere una mano alle famiglie in difficoltà. Le famiglie dei parlamentari, non tutte le famiglie. Ognuno fa quel che può, e poi è meglio aiutare pochi piuttosto che nessuno no?
Perché non ci si pensa, ma la vita dei parlamentari è proprio dura, lontano dalle famiglie e soli. Presto detto: aumentiamo lo stipendio ai fuori sede per permettere loro il ricongiungimento familiare!
Che non si dica che l’impegno dell’UdC alle famiglie sia ipocrita e di superficie, perché sarebbe una cattiveria da malelingue invidiose.

lunedì 30 luglio 2007

Tre segnalazioni

Angelita ci svela sui Fantastici quattro il nome di un secondo ipocrita dell’Udc oltre a Cosimo Mele, difensore della famiglia coinvolto in una storia di prostituzione e di droga («Cosimo Mele e la prostituzione: una storia lunga», 29 luglio 2007).
Stefano di Cadavrexquis fa alcune condivisibili «Considerazioni a margine di un bacio», a proposito dell’episodio dei due omosessuali arrestati davanti al Colosseo.
Eugenio Mastroviti, infine, ci aiuta a distinguere tra flessibilità e flessibilità, con un esempio personale («La flessibilità (reprise). Ovvero: Mitte pecuniam tuam ubi bucca est», In minoranza, 29 luglio).

sabato 28 luglio 2007

Il papa, l’evoluzione e il senso della vita

L’agenzia Zenit riporta alcune considerazioni di Benedetto XVI sull’evoluzione, in risposta a una domanda durante un incontro con 400 presbiteri tenuto il 24 luglio ad Auronzo, nelle Dolomiti («L’evoluzione non dà una risposta a tutte le domande dell’uomo, riconosce il Papa», 27 luglio 2007; le parole del papa si possono leggere anche su Avvenire, in una versione più estesa in cui si trova un riferimento al discorso di Ratisbona – che aggiungo qui tra parentesi quadrate – e in cui sono presenti anche alcune considerazioni finali sul tema del dolore, che invece ometto).

il grande problema è che se Dio non c’è e non è il Creatore anche della mia vita, in realtà la vita è un semplice pezzo dell’evoluzione, nient’altro, non ha senso di per sé stessa. Ma io devo invece cercare di mettere senso in questo pezzo di essere.
È difficile capire perché la vita dovrebbe essere priva di senso se non ci fosse un creatore. Anche se sono stato creato per caso, ci sono, e sono libero di volere. La mia libertà può venire frustrata, è vero, ma questo non determina un’assenza totale di senso: perché la mia vita ha senso proprio nella misura in cui sono capace di esaudire i miei desideri e i miei progetti.
Vedo attualmente in Germania, ma anche negli Stati Uniti, un dibattito abbastanza accanito tra il cosiddetto creazionismo e l’evoluzionismo, presentati come fossero alternative che si escludono: chi crede nel Creatore non potrebbe pensare all’evoluzione e chi invece afferma l’evoluzione dovrebbe escludere Dio. Questa contrapposizione è un’assurdità, perché da una parte ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere come tale.
L’apertura del papa in favore dell’evoluzione è più apparente che reale, e non dovrebbe perciò venire sopravvalutata: alla luce di dichiarazioni precedenti, non c’è dubbio che Ratzinger si riferisca qui non alla teoria neo-darwiniana dell’evoluzione ma al fatto della discendenza comune di tutti gli esseri viventi, e dunque all’origine delle specie da specie più antiche. Anche se di fronte al creazionismo estremista e becero di alcuni integralisti, le parole del papa rappresentano comunque un piccolo segno positivo.
Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde a tutti i quesiti e non risponde soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene tutto? e come il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo?
Se è vero che la teoria dell’evoluzione, in quanto appartenente al dominio delle scienze biologiche, non può effettivamente rispondere alla domanda sull’origine del tutto (a cui potranno forse dare una risposta piuttosto la fisica e la cosmologia), è però anche vero che essa è invece perfettamente in grado di rispondere al secondo quesito di Ratzinger: «il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo» grazie al caso – le mutazioni – e alla necessità – la selezione naturale.
Mi sembra molto importante[, questo volevo dire anche a Ratisbona nella mia lezione,] che la ragione si apra di più, che veda sì questi dati, ma che veda anche che non sono sufficienti per spiegare tutta la realtà. Non è sufficiente, la nostra ragione è più ampia e può vedere anche che la ragione nostra non è in fondo qualcosa di irrazionale, un prodotto della irrazionalità, ma che la ragione precede tutto, la ragione creatrice, e che noi siamo realmente il riflesso della ragione creatrice. Siamo pensati e voluti e, quindi, c’è una idea che mi precede, un senso che mi precede e che devo scoprire, seguire e che dà finalmente significato alla mia vita.
La ragione umana non è «in fondo qualcosa di irrazionale», proprio perché non è affatto un «prodotto della irrazionalità». La selezione naturale elimina in continuazione tutto ciò che comporta una corrispondenza inadeguata tra la coscienza di un animale e il mondo esterno. Una scimmia, per esempio, che non riesca a valutare correttamente la distanza dal prossimo albero, ben difficilmente sopravviverà abbastanza a lungo da lasciare una discendenza, proprio come il folle che crede di poter volare e si lancia perciò da una torre.

venerdì 27 luglio 2007

Il dividendo della longevità

Ronald Bailey riassume i lavori di un seminario organizzato dall’Institute for Ethics and Emerging Technologies sui benefici economici di trattamenti medici atti a ritardare l’invecchiamento biologico («Is Living Longer Worth It?», Reason, 24 luglio 2007).
Si tratta di un’idea divulgata per la prima volta in un articolo di The Scientist: poiché l’attuale temperie politico-culturale esclude che negli Stati Uniti si possano impegnare fondi pubblici per la ricerca sulla longevità con motivazioni etiche o sociali (i fondamentalisti farebbero certamente pressione per impedirlo, mentre il pubblico preferisce rimuovere dalla propria coscienza la possibilità stessa dell’allungamento della vita), potrebbe essere consigliabile far leva sui risparmi di fondi per la sanità e la previdenza che il differimento della vecchiaia consentirebbe, per guadagnare un appoggio politico a questi studi.

“Giovanni è stato schiodato dalla croce che ha portato per sette anni”

Ha detto il parroco di Alghero Don Potito Niolu durante i funerali (non commento, mi limito a citare). Qui il Centro di Iniziativa Radicale di Perugia riporta molti documenti su Giovanni Nuvoli, tra cui la puntata di Primo Piano del 25 luglio. Intorno al minuto 13 (eviterei Rocco Buttiglione in modo chirurgico) viene mostrata una parte dell’acquisizione del consenso informato di Nuvoli da parte di Tommaso Ciacca.

Natallie Evans vs United Kingdom: analisi di una sentenza della Corte europea

Bollettino Telematico di Filosofia Politica, 27 luglio 2007:

Non è la prima volta che un uomo e una donna si contendono la “proprietà” e il destino di alcuni embrioni crioconservati. Basti ricordare, solo per fare un esempio, lo scontro tra Mary Sue Davis e Junior Davis (Davis vs Davis, 842 S.W.2d 588, 597, Tennessee, 1992). Il caso di Natallie Evans è interessante perché è oggetto di una sentenza della Corte europea (Application no. 6339/05, Strasbourg, 10 aprile 2007) e perché nelle motivazioni che hanno portato alla decisione rientrano due temi centrali delle normative sulla procreazione assistita in generale e in particolare della legge 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita): lo statuto dell’embrione (o del concepito) e la revocabilità del consenso a procedere all’impianto degli embrioni prodotti. Le normative in materia di fecondazione artificiale occupano uno spazio rilevante nelle policies di un Paese: perché riguardano la libertà individuale, la tutela di diritti fondamentali, i criteri stessi della legittimità della coercizione legale e, di conseguenza, la natura stessa degli assetti istituzionali.

Le tecnologie riproduttive rimediano alla sterilità, arginano il rischio di trasmettere al nascituro malattie genetiche o virali, cancellano la casualità della riproduzione e si offrono come mezzi per compiere una scelta procreativa responsabile. La trasformazione della procreazione da naturale ad artificiale implica delle profonde variazioni di significato per realtà come la famiglia e la parentela: la genitorialità, prima compatta, si frantuma in una complessità di possibili scelte.

L’irruzione dell’artificio nella riproduzione umana solleva numerose questioni morali e legali che la riproduzione “tradizionale” ignorava. Proprio come ogni volta che ad una sola possibilità se ne affiancano altre sorge la domanda se le nuove possibilità siano connotate moralmente e se debbano essere protette o limitate da una normativa. La natura amorale della procreazione naturale si frammenta in dilemmi morali e giuridici complessi e delicati.

In Italia la legge 40 del 2004 è un esempio di come una norma sia entrata nell’intimità delle persone, si sia sostituita alle decisioni personali e mediche e stia delineando scenari di vera e propria discriminazione e di violazione di diritti fondamentali quali la libertà e la salute riproduttiva.

Il confronto con le normative degli altri Paesi della Comunità europea costituisce una buona occasione per mettere in luce la illegittimità di alcuni divieti della legge 40 (primo tra tutti i limiti di accesso alle tecniche e il divieto di ricorrere alla Diagnosi Genetica di Preimpianto; a tal proposito non è superfluo ricordare che in Italia le diagnosi prenatali sono ammesse durante la gravidanza, e che la stessa normativa sulla procreazione assistita permette l’analisi osservazionale prima dell’impianto. Tutte indagini che hanno lo scopo di conoscere lo stato di salute dell’embrione e di offrire alla donna la possibilità di scegliere se portare avanti la gravidanza oppure interromperla – di non avviarla nel caso di indagine osservazionale: tra queste però, la Diagnosi Genetica di Preimpianto è stata vietata. Ma anche il divieto di fecondazione eterologa (e di donazione di gameti) e di crioconservazione degli embrioni o il limite di produzione di soli tre embrioni e l’obbligo del loro impianto immediato e contemporaneo).

La legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita, insomma, piuttosto che regolamentare l’accesso alle tecniche di procreazione assistita, si incarica di negare immotivatamente questo accesso a molte categorie di individui. Questi confini appaiono ingiustificati se la procreazione assistita viene equiparata a una terapia: quale sarebbe la ragione per escludere da una cura qualcuno in base, ad esempio, allo stato di famiglia o alle preferenze sessuali (Articolo 5, Requisiti soggettivi: [...] possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi)?
Se anche non si volesse equiparare la procreazione assistita a una terapia, questi confini imposti alla libera scelta individuale appaiono comunque infondati: per sostenerli non viene addotta nessuna argomentazione che possa essere valida in una democrazia liberale. Questi confini ledono la salute dei cittadini italiani, che se vivessero in un altro Paese avrebbero vita più facile e maggiori possibilità di realizzare un desiderio legittimo: avere dei figli. Questi confini entrano in contrasto con alcuni diritti fondamentali e universali sanciti da trattati comunitari, oltre che dalla nostra stessa Costituzione e dalle Carte dei diritti fondamentali (il primo è il diritto alla salute, appunto) e creano quel fenomeno drammatico e gravemente discriminatorio chiamato turismo procreativo.

La recente sentenza della Corte di Strasburgo sul caso di Natallie Evans offre una occasione preziosa per illuminare la pericolosità della premessa fondamentale della legge 40: l’attribuzione di diritti al concepito. Attribuzione che implica la maggior parte dei divieti elencati dalla legge sulla procreazione assistita e che apre la strada a conseguenze morali e giuridiche pericolose e inaccettabili: sebbene la legge 40 esplicitamente dichiari di non volere interferire con la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (Articolo 14, Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni: «[...] fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194») vietare la crioconsevrazione e la soppressione degli embrioni si pone in contraddizione con la possibilità di interrompere lo sviluppo degli embrioni stessi abortendo. Attribuire un diritto alla vita all’embrione, inoltre, rischia di criminalizzare la gravidanza e di rendere ogni azione della donna potenzialmente lesiva dei diritti dell’embrione (a questo proposito è molto significativa la legge federale americana Unborn Victims of Violence Act o i processi contro donne incinte accusate di spaccio di sostanze stupefacenti, abusi infantili o addirittura di omicidio nel caso di Regina McKnight. Tutte queste donne sono state accusate per comportamenti tenuti durante la gravidanza).


Sommario
Articoli 2, 8 e 14
La storia di Natallie
Embrioni contesi
Human Fertilisation and Embryology Act 1990
Normative negli altri Paesi
I. Alleged violation of article 2 of the convention
Se Natallie fosse italiana?
II. Alleged violation of article 8 of the convention
A. The Chamber judgment
II. Alleged violation of article 14 of the convention taken in conjunction with article 8

giovedì 26 luglio 2007

Oscar the Cat

David M. Dosa, A Day in the Life of Oscar the Cat, The New England Journal of Medicine, Volume 357:328-329, july 27, 2007:

Since he was adopted by staff members as a kitten, Oscar the Cat has had an uncanny ability to predict when residents are about to die. Thus far, he has presided over the deaths of more than 25 residents on the third floor of Steere House Nursing and Rehabilitation Center in Providence, Rhode Island. His mere presence at the bedside is viewed by physicians and nursing home staff as an almost absolute indicator of impending death, allowing staff members to adequately notify families. Oscar has also provided companionship to those who would otherwise have died alone. For his work, he is highly regarded by the physicians and staff at Steere House and by the families of the residents whom he serves.

I 6 della Libia: l’ora delle domande scomode

E, soprattutto, delle risposte ancora più scomode (Anna Meldolesi, Infermiere bulgare, lite franco-tedesca, Il Riformista, 25 luglio 2007):

Di chi è il merito della liberazione delle cinque infermiere e del medico? Chi ha pagato per il cospicuo fondo che risarcisce le famiglie dei 438 bambini contagiati nell’ospedale di Bengasi? Che gioco ha giocato Gheddafi in questi otto anni di detenzione e processi farsa a carico dei sei operatori sanitari? Ora che è finito l’incubo e i protagonisti di questa storia di straordinaria follia sono atterrati finalmente a Sofia, per essere subito graziati dal presidente Georgi Parvanov, è l’ora delle domande scomode.
La versione ufficiale è affidata alle parole pronunciate dal primo ministro Sergei Stanishev all’aeroporto: “Questo è il risultato diretto del nostro ingresso nell’Unione Europea, della solidarietà che l’Ue ha dimostrato nei confronti della Bulgaria”. Ma le polemiche divampate intorno a Nicolas Sarkozy e signora non si spegneranno tanto facilmente: la coppia presidenziale ha sbloccato l’impasse o ha soltanto tenuto la scena approfittando di una vicenda dal lieto fine già scritto? Non ha dubbi Der Spiegel, che il 23 luglio ha pubblicato un articolo ricco di indiscrezioni, eloquentemente titolato “Come l’Unione Europea e la diplomazia tedesca hanno contribuito a salvare le infermiere bulgare”. Secondo la testata, che ha raccolto gli sfoghi off the record dei negoziatori di Bruxelles e Berlino, la vera svolta arriva il 12 giugno, in una trattativa a quattro che impegna il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, il commissario europeo per le relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner, il figlio di Gheddafi Saif al-Islam e l’ex premier libico Abdul Ati al-Obeidi. La certezza che i patti sarebbero stati rispettati sopraggiunge il 13 luglio, nella solita tenda della base militare di Tripoli. Qui Gheddafi, dopo aver ascoltato l’erede designato e altri stretti consiglieri, proclama: “Fratelli, mi avete convinto. La morte delle infermiere sarebbe come quella dei bambini”. Detto fatto: il 17 il Consiglio supremo commuta la pena capitale in ergastolo, ben sapendo che l’accordo di estradizione tra Libia e Bulgaria avrebbe significato la liberazione dei condannati. Ma poi, sostiene Der Spiegel, la Francia si mette di mezzo e rischia di mandare tutto per aria. Mentre la Germania aveva costruito con pazienza e discrezione la sua tela diplomatica durante la sua presidenza dell’Unione, Cécilia vola platealmente a Tripoli offrendo aiuti francesi per modernizzare un altro ospedale e Nicolas annuncia un’imminente trasferta per rafforzare i rapporti tra Libia ed Europa. Steinmeier non è soltanto irritato per quello che il giornale tedesco descrive come uno scippo, teme anche che la Francia abbia servito al regime nuove carte riaprendo la partita. Quindi avverte il giovane Gheddafi che i giochi ormai sono chiusi e qualsiasi altra iniziativa dovrà essere discussa nel contesto dei futuri progetti comunitari per lo sviluppo. L’Eliseo comunque non desiste: Cécilia torna a Tripoli e l’aereo presidenziale francese se ne riparte carico di gloria: a bordo ci sono i sei operatori sanitari pronti per il commovente, attesissimo, ritorno in patria. Si tratta di una ricostruzione credibile? Probabilmente sì, in buona parte, ma vale la pena di aggiungere una postilla: Sarkozy è entrato con passo da elefante in una cristalleria, ma per troppo tempo in quella cristalleria non era voluto entrare nessuno. I viaggi e le telefonate eccellenti da parte dei governi occidentali, infatti, si sono intensificati solo dopo la seconda condanna a morte alla fine del 2006, quando i sei innocenti erano in carcere da quasi 8 anni.
Che ruolo ha avuto il regime di Tripoli in tutto questo tempo? Chi sostiene che si è trattato di un rapimento a scopo di estorsione o del divertimento sadico di un tiranno imprevedibile coglie solo una parte della verità. Gheddafi ha usato la vita delle infermiere per rafforzare il suo regime, ma poi potrebbe essere rimasto vittima della sua stessa trappola. Inizialmente accusava anche Cia e Mossad di aver tramato con le infermiere, poi quando i rapporti con gli Usa hanno iniziato a normalizzarsi nel 2002 ha cambiato tattica. Comunque ha continuato a usare il caso per cercare di recuperare i milioni di dollari versati per la strage di Lockerbie, ha persino accarezzato l’idea di uno scambio di prigionieri con l’agente libico implicato nell’attentato. Ma tra gli scienziati italiani che hanno avuto contatti con la Fondazione Gheddafi, c’è chi crede che a un certo punto la situazione si sia ribaltata. Liberare i sei capri espiatori avrebbe significato ammettere le colpe del governo nell’epidemia ed esporre il regime alle ire delle opposizioni interne e dei fanatici religiosi. Bisognava trovare una via di uscita di basso profilo, che raccogliesse il consenso delle famiglie delle vittime. Il fondo gestito dalla Fondazione Gheddafi è servito allo scopo, ma chi ha messo i soldi? Sappiamo che la Bulgaria ha azzerato il debito di Tripoli e questa somma, pari a 44 milioni di euro, è stata fornita dalla Banca nazionale libica. Altre piccole donazioni sono arrivate da una dozzina di paesi, mentre l’Ue ha offerto 9,5 milioni per usi specifici come le attrezzature di laboratorio. In questo modo Bruxelles e Sofia possono dire di non aver pagato alcun riscatto, mentre Tripoli può sostenere che i soldi hanno una provenienza mista, privata e governativa, libica e internazionale. Ma la verità, secondo Der Spiegel, è che la somma necessaria per versare 724.000 euro a ogni famiglia viene in gran parte dalle casse dello stato libico. Se questo è un riscatto, a pagarlo è stato lo stesso regime per salvare se stesso.

Qualità e peer review

Molto interessante l’articolo di Francesca Di Donato, Come si valuta la qualità nella Repubblica della Scienza? Una riflessione sul concetto di peer review, Bollettino di Filosofia Politica, 26 aprile 2007.

Il peer reviewing è spesso invocato come essenziale linea di demarcazione tra sapere scientifico e semplice opinione. Inteso in senso generico, esso è una forma di valutazione che consiste nella procedura tramite la quale un accademico sottopone un testo al giudizio di altri accademici (i cosiddetti “pari”) che ne stabiliscono la validità; come termine tecnico, corrisponde allo specifico processo di valutazione che precede la pubblicazione su una rivista scientifica, l’accettazione di una presentazione a una conferenza o l’assegnazione di fondi da parte di agenzie di finanziamento. Ma come si è definito il processo di accreditamento del sapere ancora oggi in vigore? Le tre sezioni in cui si articola questo lavoro sono dedicate: a) a considerare le diverse modalità in cui il concetto di peer review è stato declinato in epoca recente; b) a suggerire nuovi possibili modelli di peer review alla luce delle trasformazioni tecnologiche (la diffusione di Internet e del Web) che stanno rivoluzionando la pratica della comunicazione scientifica; e infine c) a ricostruire come è nato l’attuale processo di validazione della scienza, quali idee e tecnologie vi stanno alla base.
Sommario

Benarrivato Elmo!

Elmo è cucciolo di orango nato quattro giorni fa al Taman Safari di Bogor (Giava occidentale, Indonesia).

Testamento biologico

Rimandato a settembre.

Fine delle trasmissioni

Mauro Cozzoli, monsignore, ordinario di teologia morale alla Pontificia università Lateranense (Funerali religiosi per Nuvoli. Mons. Sgreccia: è stata una scelta giusta, Korazym, 26 luglio 2007):

Nel caso di Welby ci troviamo di fronte a eutanasia attiva, dal momento che un medico ha aiutato un paziente a morire. Nel caso di Nuvoli si tratta, invece, di eutanasia passiva dovuta alla sospensione degli alimenti al paziente. Entrambe le forme sono da considerarsi moralmente inaccettabili, perché la vita umana non è una cosa di cui disporre e di cui disfarsi quando non risponde più alle attese riposte in essa.
(Non si sa se e quando riprenderanno.)

mercoledì 25 luglio 2007

Eugenia Roccella e le domande inascoltate

Non poteva mancare il commento di Eugenia Roccella alle recentissime vicende dell’assoluzione di Mario Riccio e della morte di Giovanni Nuvoli («Ma la sentenza dimostra che non serve alcuna legge», Il Giornale, 25 luglio 2007, p. 1):

Il proscioglimento del dott. Mario Riccio, il medico che ha staccato la spina a Piergiorgio Welby, dimostra in modo evidente che non c’è bisogno di nessuna legge sul diritto a morire, e che la battaglia radicale o era perfettamente superflua, o tragicamente ambigua. La Costituzione italiana prevede, come è noto, il diritto ad abbandonare le terapie, ed è quello che fa, ogni anno, un piccolo numero di malati gravi. Lo fanno senza scandalo e senza clamore, garantiti da una norma costituzionale che mai nessuno ha messo in discussione.
La memoria umana può essere labile, è vero; ma quella di Eugenia Roccella lo è in modo preoccupante. Sono passate pochissime settimane – sette, per l’esattezza – da quando il giudice per le indagini preliminari Renato Laviola invitava il PM a formulare l’imputazione di omicidio del consenziente nei confronti di Mario Riccio. Le circostanze della morte di Welby erano chiarissime, noti da tempo i risultati dell’autopsia; eppure, un giudice metteva in discussione proprio quella norma costituzionale in base a un supposto «diritto» (che nella neolingua di certuni significa «dovere») alla vita. E non era certo il solo: già oggi qualcuno accumula sofismi contro la decisione del giudice Secchi e contro il rispetto della Costituzione. Segno che la battaglia di Welby non era affatto superflua; così come non è affatto superflua una legge sul diritto a morire. Non è dato sapere a cosa si riferisca la Roccella, ma in questo momento l’unica legge seriamente in discussione sull’argomento è quella sul testamento biologico, che nulla ha a che fare col caso Welby, essendo destinata a persone incapaci di esprimere la propria volontà sui trattamenti medici a cui sono sottoposte.
Da notare poi in particolare l’invito velato (ma non troppo) alla segretezza e all’ipocrisia: quei malati che «fanno senza scandalo e senza clamore» quello che Welby ha reclamato come un diritto hanno, evidentemente, tutta l’approvazione della Roccella.
Nel caso di Welby, staccare il respiratore che lo teneva artificialmente in vita implicava anche l’immediata somministrazione di forti dosi di sedativi, per evitare al paziente le terribili sofferenze di una morte per soffocamento. Perché allora indagare su Mario Riccio, se tutto era legale? Perché la campagna radicale era esplicitamente concentrata sull’eutanasia, sulla richiesta di una legge, e sulla rivendicazione della morte come diritto individuale. L’eutanasia, cioè il diritto al suicidio assistito nel caso si ritenga la propria vita non più degna di essere vissuta, non è l’abbandono delle cure. Il cuore del diritto a morire è il concetto di qualità della vita, e non il problema umanissimo di evitare la sofferenza. Welby, per esempio, ha rifiutato di essere accompagnato alla morte dal proprio medico, che gli aveva proposto una sedazione meno brutale, garantendogli comunque l’incoscienza e l’assenza di dolore. Invece si è preferito chiamare il dott. Riccio, che non conosceva il paziente, ma è venuto da lontano con la sua valigetta attrezzata, per compiere un gesto che avesse più impatto mediatico, che somigliasse il più possibile a una scelta eutanasica. L’ambiguità insomma era prevista e voluta: la disobbedienza civile non c’è stata, ma si doveva pensare che ci fosse.
Questa fantasiosa ricostruzione delle intenzioni di Welby e dei suoi amici non è solo scarsamente verosimile, ma cozza anche contro alcuni dati di fatto. Il medico a cui la Roccella si riferisce non era il medico personale di Welby, ma Giuseppe Casale dell’Associazione Antea, alla quale Welby era stato indirizzato dalla... Associazione Luca Coscioni, e che ha visto Welby in tutto per due (2) volte, come dichiara lo stesso medico (Fabrizio Falconi, «Welby. Per chi vuole saperne di più di quel che raccontano i giornali», Mysterium, 20 dicembre 2006). Quanto alla «sedazione meno brutale», si sarebbe trattato di una sorta di sedazione terminale, con la quale Welby sarebbe morto non per il distacco del ventilatore ma per inedia e disidratazione. Come mai Welby aveva rifiutato? Perché l’offerta era ambigua, come si evince dal racconto dello stesso Casale:
Ricordo comunque che la sedazione non è un atto definitivo, ma è reversibile in quanto il paziente può essere svegliato qualora se ne ravvisi la necessità, anche se nel caso specifico sarebbe stato abbastanza improbabile che ciò potesse avvenire
Non stupisce, di fronte a queste parole sibilline, il duro giudizio di Welby su questo medico. Come aveva fatto notare a suo tempo Marco Cappato in un intervento televisivo (che purtroppo non riesco adesso a identificare), Piergiorgio voleva la certezza – non la bastevole «improbabilità» – di non risvegliarsi. Basta un poco di umanità e di intelligenza per capire perché.
Quanto all’accento posto sull’eutanasia da Welby e dai suoi amici, esistono spiegazioni meno improbabili del complottismo vagamente diffamatorio di Eugenia Roccella. La distinzione fra eutanasia e sospensione delle cure esiste, ma è sottile, ed è chiara solo adesso, dopo mesi di dibattito pubblico. Piergiorgio non era un fine giurista: è tanto improbabile che abbia posto inizialmente la questione nel linguaggio della gente comune? Del resto, ancora il 12 giugno su Avvenire qualcuno aveva difficoltà a cogliere la differenza tra l’eutanasia e l’abbandono delle cure che per la Roccella è lampante:
Una successiva lettera di precisazioni del senatore Marino non è servita a dissipare i dubbi: l’eutanasia consisterebbe, secondo il professore, nella pratica di «iniettare un veleno nelle vene del paziente che esplicitamente lo richiede». Mentre sarebbe tutt’altra cosa la semplice sospensione delle terapie nella fase terminale di una malattia.
Purtroppo la distinzione non è così netta. Sospendere le terapie non vuol dire «accettare la fine naturale della vita»; può voler dire provocarla, anche soltanto per il rifiuto di assumersi pienamente le proprie responsabilità di medico; cioè di qualcuno che deve battersi, al fianco del paziente, contro la malattia e la morte, e non limitarsi ad applicare il consenso informato.
Il lettore rimarrà forse leggermente sconcertato nell’apprendere che l’autore di queste parole non è altri che la stessa Eugenia Roccella («Testamento biologico: questioni sottili. In mezzo può scapparci l’omicidio»); personalmente, non sono rimasto sorpreso per niente...
Ma torniamo all’articolo di oggi:
In questo campo, procedere per casi personali non aiuta. Basta pensare a Giovanni Nuvoli, protagonista di una vicenda densa di ombre e di contraddizioni. Se Piergiorgio Welby era un militante, e aveva consapevolmente deciso di dare significato alla propria morte trasformandola in un evento politico, Nuvoli era solo un uomo disperato, che più volte aveva cambiato parere, e la cui volontà di morire oscillava a seconda del contesto e della situazione. Oggi si dice che è stato costretto a una fine crudele, per denutrizione: ma è la stessa morte che nel caso di Terri Schiavo è stata considerata un atto pietoso, una scelta di eutanasia che avrebbe liberato la malata dalla sofferenza e ne avrebbe attuato le volontà.
Solo che Terri Schiavo era ormai ridotta a un corpo dotato solo di riflessi vegetativi, mentre Nuvoli era del tutto cosciente. E se la sua volontà di morire era tanto oscillante, ci può spiegare di grazia la Roccella perché mai Nuvoli abbia deciso di lasciarsi morire di fame e di sete? Non la si direbbe la scelta di un uomo indeciso...
Ma aspettarsi risposte da Eugenia Roccella e da chi la pensa come lei è vano: non sono le nostre né quelle di chi soffre senza speranza in un letto le domande e le richieste a cui danno ascolto.

Intervista a Mina Welby

Al paziente l’ultima parola, Caffè Europa, 326, 07.08.07 (25 luglio 2007):

Nel settembre 2006 Piergiorgio Welby ha inviato un messaggio pubblico chiedendo di morire. A dicembre Mario Riccio lo ha sedato e ha scollegato il ventilatore meccanico che simulava il suo respiro. L’autopsia ha confermato che Welby è morto in seguito ad arresto respiratorio e non alla somministrazione del sedativo. L’8 giugno il giudice Renato Laviola ha rifiutato l’archiviazione e ha delineato una ipotesi di reato che prevede dai 6 ai 15 anni di reclusione: omicidio del consenziente (Articolo 579 del Codice Penale).
Il 23 luglio il giudice Zaira Secchi ha ascoltato Mina Welby, e ha definito la richiesta di Welby legittima e il comportamento di Riccio l’adempimento di un preciso dovere medico: rispettare le volontà del paziente.
Si conclude così la vicenda di Welby, ma la sua battaglia è solo all’inizio.

Mina, il giudice ha stabilito che non si tratta di omicidio del consenziente, ma di doveroso comportamento medico. Un abisso che rischiava di essere cancellato dall’ordinanza di Laviola, insieme all’autodeterminazione del paziente e alle fondamenta del consenso informato. Qual è l’importanza della decisione di Secchi?

La conferma della legittimità della libera scelta delle persone: l’ultima parola è quella del paziente. (Ho la sensazione che Piero sia resuscitato!) Non può essere un’altra persona che decide, gli altri possono solo consigliare, non imporre. Oltre Piero, riguarda tutte le persone che si trovano in condizioni simili – un pensiero speciale va a Giovanni Nuvoli: mi dispiace moltissimo che abbia dovuto lasciare questa vita con un senso di abbandono e non di aiuto e vicinanza da parte delle istituzioni.
Se fosse andata diversamente ero pronta ad essere processata anch’io. Perché sono complice della richiesta di Piero, ho permesso che il medico venisse a casa, che lo sedasse. Come moglie ho aperto la porta, e avrei potuto invece chiamare le forze dell’ordine. Così come la sorella Carla, Marco Cappato, Marco Pannella. Tutti saremmo stati correi di omicidio del consenziente.
Riccio non è di certo l’unico responsabile, lo siamo tutti noi, e non solo moralmente. È quanto abbiamo scritto io e Carla Welby in una memoria inviata a Laviola: siamo colpevoli anche noi.

(Leggi il resto)

martedì 24 luglio 2007

Undicesimo comandamento: non disporrai della tua vita

Marziano: Vorrei sapere qualcosa di come la pensate voi sulla vita.
Carlo Casini: Certo, è semplice. La vita umana è un bene non disponibile.
M.: Perché, di chi è? O meglio, chi ne può disporre?
C.C.: Soltanto Dio, dona e toglie, dona e toglie.
M.: Ho capito, e forse ha a che fare con la condanna del suicidio. Ma se invece volessi non sottopormi ad un intervento, avrei il diritto di farlo?
C.C.: Non direi, no. Non esiste un diritto umano a rifiutare le cure.
M.: Forse però esiste un diritto marziano a rifiutare le cure?
C.C.: Non faccia lo spiritoso, questi sono discorsi seri. Esiste un diritto alla cura che è garantito dall’articolo 32 della Costituzione che viene tanto invocato a sproposito a sostegno del diritto di fare come vi pare! Analogamente dubito che si possa parlare di un dovere di sospendere le cure al di fuori dell’accanimento terapeutico.
M.: Ma chi stabilisce quando si può parlare di accanimento terapeutico? Se ho capito bene, se ci fosse accanimento si potrebbero sospendere le cure… Ci sarebbe il dovere di sospendere le cure.
C.C.: Esiste solo il dovere di non usare prepotenze di nessun tipo nei confronti del malato, che è cosa diversa dal dovere di non curare.
M.: Ma non aveva detto che c’era il dovere di sospendere le cure se...
C.C.: Non mi attribuisca cose che non penso e non ho mai detto! Vogliamo dimenticare forse che nel caso di Welby non si è trattato di omettere l’inizio delle cure, ma di compiere un’azione positiva per interromperle? Si è così determinata deliberatamente l’immediata e inevitabile morte del malato che avrebbe potuto sopravvivere a lungo.
M.: Ma se Welby non voleva più vivere in quel modo?
C.C.: Le ho già spiegato che la vita è indisponibile e che è Dio che dona e toglie.
M.: E il recente caso di Nuvoli?
C.C.: Una morte orribile e che suscita il giusto raccapriccio nella pubblica opinione.
M.: Allora sarebbe stato meglio che Nuvoli fosse morto come Welby?
C.C.: Non scherziamo, giovanotto. La morte data a Welby e richiesta per Nuvoli non è migliore, visto che spegnere il respiratore significa far morire il paziente per mancanza d’aria, cioè per soffocamento.
M.: Mi sembrava di avere sentito che la sedazione serviva proprio a questo, a non far morire per soffocamento un povero cristo.
C.C.: Non nomini il nome di Dio invano, né del suo figliolo. E comunque meglio come è morto Nuvoli, di fame e di sete, almeno non c’è stato l’atto deliberato di un medico intervenuto per uccidere.
M.: Ma scusi, Welby (e anche Nuvoli) avevano chiesto di morire, avevano espresso le proprie volontà.
C.C.: Questo modo di esprimersi non fa che oscurare la complessità e l’umanità del caso con l’ideologia e la strumentalizzazione. E questo sarebbe come uccidere una seconda volta Welby e Nuvoli.
M.: Ho capito, anzi non capito nulla. Me ne torno su Marte.

(Nuvoli/Mov. per la Vita: l’esistenza non è un bene disponibile, Alice notizie, 24 luglio 2004).

Eufemismi

Nuvoli, “Si è lasciato morire”, Tgcom, 24 luglio 2007:

L’espressione [si è lasciato morire] “non farebbe riferimento a “aiuti” esterni, ma alle condizioni fisiche sempre più compromesse. I primi accertamenti confermerebbero che al momento del decesso il respiratore artificiale era regolarmente in funzione.
Fame e sete, per essere più precisi. Nessun aiuto esterno, la coscienza è pulita e pronta per l’uso.
È stata una morte “tranquilla” (con l’aiuto solo di alcuni sedativi) e improvvisa quella che ha posto la parola fine alle sofferenze di Nuvoli, che negli ultimi mesi aveva raccolto il “testimone civile” lasciato da Piergiorgio Welby.
Metti le virgolette e tutto cambia… Morte tranquilla? So cosa significa “tranquilla” (senza virgolette) ma con probabilmente assume un significato che mi sfugge. (Ripeto, se fosse stato un cane stamattina ci sarebbero tutte le associazioni animaliste e non solo inferocite per la disumanità della sua morte. Purtroppo era un uomo e la sua vita era inviolabile).
Ma questo suo desiderio [voglio morire senza soffrire, addormentato], al contrario di quanto successo con Welby, non aveva finora trovato qualcuno che lo esaudisse, anche perché i riflettori che da tempo si erano accesi sul suo caso avevano fatto sì che le autorità prestassero una “discreta” ma costante vigilanza per evitare un “bis”.
Discreta: ovvero, il medico che voleva rispettare la richiesta di Nuvoli è stato fermato dalle forze dell’ordine. Un intervento discreto per evitare un “bis”. Già.
Così una vicenda che si trascinava da mesi (14 di ricovero a Sassari e poi dal 6 aprile ritorno e assistenza nella sua casa di Alghero) si è risolta per un fatto “naturale”, conseguenza del progressivo peggioramento delle condizioni dell’ex arbitro di calcio di 53 anni che da alcuni giorni aveva ripreso a rifiutare cibo e acqua.
Risolta per un fatto “naturale”. Perfetto. Possiamo dormire sonni tranquilli. Nessuno si è sporcato le mani. A guardarlo morire nessuno si è sporcato le mani.

lunedì 23 luglio 2007

È morto Giovanni Nuvoli

Di fame e di sete.
Se fosse stato un cane sarebbe probabilmente morto in condizioni migliori. Molto, molto probabilmente.

La morte è un fatto e non un diritto

Oggi Lucetta Scaraffia commenta il nuovo libro di Adriano Pessina (Perché non esiste il “diritto di morire”, Corriere della Sera, 23 luglio 2007). Quale giorno più propizio di oggi!
Si comincia così:

Per capire le ragioni dei cattolici nei confronti del testamento biologico e dell’eutanasia — e fare giustizia delle generiche accuse di «paternalismo» o di nostalgia per uno «Stato etico» avanzate da chi sostiene a tutti i costi la necessità di una legge sul testamento biologico — è utile leggere il breve saggio Eutanasia di Adriano Pessina (Cantagalli, pagine 116, euro 12,50), che con lucidità e chiarezza ne spiega le ragioni morali e filosofiche: che non sono, quindi, solo religiose.
L’avvio mi suggerisce un leit motiv della campagna referendaria sulla legge 40: avere un figlio a tutti i costi. E il fatto che venga piegato fino a diventare, il fare qualcosa a tutti i costi, ostinazione o peggio cocciutaggine infantile su una esigenza inutile e dannosa (avere un figlio o una legge sul TB). Ciò che è buffo è che se sostituiamo “avere un figlio” o “fare una legge sul TB” con laurearsi o conquistare un obiettivo non è poi tanto evidente il motivo di condanna. Insomma, fare qualcosa “a tutti i costi” non è di per sé negativo, dunque bisognerebbe spiegare le ragioni del disprezzo che trasuda dall’espressioni in oggetto. Vediamo se Lucetta riesce, con l’aiuto di Pessina, a offrirne qualcuna.
Innanzitutto l’autore distingue nettamente fra eutanasia e sospensione dei trattamenti valutata come accanimento terapeutico, e ricorda che invece alcuni sostenitori dell’eutanasia tendono a equiparare queste situazioni, negando che esista una reale differenza, come si è visto nel caso Welby. Con una mossa teorica che radicalizza la centralità dell’autonomia essi pongono infatti le premesse per questa confusione — e oggi molti dei più strenui sostenitori del testamento biologico sono anche a favore dell’eutanasia — mentre, ricorda Pessina, «la legittimità o no di un rifiuto non dipende solo ed esclusivamente dal fatto che sia frutto di una scelta libera, ma dalle ragioni che la sostengono».
Le ragioni che sostengono una libera scelta? Allora vediamo. Se io sono libero di andare a passeggio, posso andare a passeggio per le ragioni più strambe. Oppure no? Devo forse dimostrare che vado a passeggio per ragioni legittime? Giudicate legittime da chi? O sono libero, oppure non lo sono. È questa libertà (di andare a passeggio o di rifiutare un trattamento) che deve essere sostenuta da ragioni valide, ma una volta affermata non può essere perennemente sottoposta a un tribunale non meglio identificato che ne valuti le declinazioni. Vai a passeggio per incontrare lo zio? Va bene. Vai a passeggio per fumare una sigaretta? Mica tanto. Vai a passeggio per comprare una rivista porno? Assolutamente no, permesso negato. Non funziona. Se io sono libero di rifiutare un trattamento, sono in grado di capirne le conseguenze e decido di avvalermi di questa possibilità, nessuno può venirmi a dire che le mie ragioni a sostegno del mio rifiuto sono inconsistenti.
Ponendo la scelta come fondamento del valore di ciò che viene scelto si arriva infatti a giustificare il discutibilissimo «diritto di morire». E proprio «la scorciatoia formalistica e proceduristica» proposta su questa base sembra allora più facilmente percorribile, perché evita «il confronto tematico, il giudizio morale». Anche se la nostra epoca è affascinata dal primato della volontà, bisogna rendersi conto che «la possibilità di decidere di sé fino al punto di non essere più è, e resta soltanto un fatto, non costituisce né un diritto né un bene».
Se la parola “diritto” anteposta a “di morire” crea tanto fastidio possiamo parlare di libertà. Non è questione di evitare il giudizio morale ma di non trasformarlo in una imposizione moralistica o in una legge, per il bene di qualcun altro o perché “io non lo farei”. Lo slogan che la morte è un fatto e non un diritto è davvero esilarante. Anche la vita è un fatto, anche la libertà o il rispetto. La nostra stessa esistenza. Ciò non significa che non possa esserci un aspetto da preservare, da garantire, da proteggere.
Possiamo sostituire “diritto di morire” con “diritto di scelta”, se la scelta non è imbavagliata e delimitata. E allora nella scelta rientra anche il morire, il come morire e il quando morire. Va bene così?
Quanto al fatto che la possibilità di scegliere di morire non sia (non possa mai essere) un bene c’è da discutere molto. E la discussione verterebbe su principi quali l’indisponibilità della vita o la sua sacralità. E gli antagonisti come la qualità di quella vita e la proprietà, quindi la possibilità di disporne. Qualche volta morire può essere un bene, quando l’esistenza è torturata da una malattia, ad esempio. Chi decide? Il diretto interessato. È soltanto lui che può stabilire se la sua esistenza sia ancora un bene. E come imporgli qualcosa di diverso?
Parole che fanno riflettere sulla necessità di un testamento biologico, di recente negato in Italia anche dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri che ha invece proposto di valorizzare l’importanza di un’alleanza terapeutica fra medico e paziente e l’uso delle cure palliative.
Negato? In che senso negato? Suggerirei, poi, di analizzare le ragioni di questa “negazione” e di non usarla come principio di autorità. Inoltre è ipocrita e scorretto insinuare che chi è a favore delle direttive anticipate sia contrario alle cure palliative o alla alleanza terapeutica. Basta con questi luoghi comuni ingenui e sciocchi.
Il funzionamento problematico di questo strumento giuridico è già stato rilevato nei Paesi dove è da tempo in vigore: qui — in assenza di chiare volontà del paziente, del resto molto difficili da specificare in situazioni in cui le scoperte scientifiche ampliano in modo continuo le possibilità della medicina — si è esteso il ruolo del «fiduciario». Anche se numerosi studi, condotti su pazienti terminali che non hanno ancora perso coscienza, hanno dimostrato che le scelte dei fiduciari, di fronte alle decisioni sulla fine della vita, sono molto discordanti da quelle del paziente.
Le scoperte ampliano le possibilità della medicina senza miracoli, purtroppo. Anche questo argomento, se ci si riflette invece di ripeterlo come una cantilena, è barcollante. Quali studi? Sarebbe interessante leggerli, e non avendo la fonte non posso pronunciarmi. Ricordo solo che finché il paziente è lucido può decidere lui, quando dovesse perdere conoscenza ascoltare il fiduciario è un modo (seppure imperfetto) di eseguire le sue volontà. L’assenza di indicazioni del paziente e di un fiduciario in che modo migliorerebbe la situazione? Abbandonando al caso le decisioni?
Particolarmente grave è stata poi l’estensione di questa «autodeterminazione» ai bambini di meno di un anno — chiaramente privi della possibilità di scegliere — in assenza di reali speranze di sopravvivenza o affetti da gravi anomalie, che nella metà dei casi si traduce nella decisione di sospendere o annullare trattamenti per accelerare la morte del bambino.
Bisogna quindi essere molto prudenti nel legiferare su un tema così pericoloso e delicato, soprattutto quando si propongono leggi non necessarie. Ricordando, come scrive Pessina, che il rifiuto del «diritto di morire» non deriva «da nessuna sacralizzazione della vita astrattamente intesa, ma dal rispetto del senso storico dell’esistere».
Leggi non necessarie. Non mi sembra di avere letto una sola motivazione del fatto che una legge sulle direttive anticipate sarebbe superflua. Confesso la mia confusione rispetto al “senso storico dell’esistere”. Proprio non capisco di cosa si tratti. Forse è roba di filosofi continentali…

Stupidario Welby 1

Inaugura lo Stupidario Welby Isabella Bertolini (Eutanasia: Bertolini (FI), «rischio di legittimazione», Prima, 23 luglio 2007), Vice Presidente dei Deputati di Forza Italia, che commenta la sentenza su Mario Riccio:

Il proscioglimento a favore del dott. Riccio crea un pericolosissimo precedente: si rischia una legittimazione dell’eutanasia nel nostro Paese per via giurisprudenziale. Da oggi in Italia si crea una impunità di fatto per chiunque vorrà porre fine all’esistenza di un altro individuo, gravemente malato, che lo abbia richiesto. Noi faremo di tutto per impedire l’approvazione della legge sul testamento biologico, provvedimento ambiguo e pericoloso, attraverso il quale si tenta di introdurre legalmente l’eutanasia in Italia.

Assolto Mario Riccio!

Una gran buona notizia.
Presto aggiornamenti e intervista a Mina Welby.

Agenzia.

domenica 22 luglio 2007

Inno nazionale belga: variazioni sul tema


D.: Perché il 21 luglio il Belgio celebra la festa nazionale?
R. (di Yves Leterme, futuro premier): La proclamazione della costituzione!
D. (in realtà la risposta corretta): L’ascesa al trono di re Leopoldo I nel 1831. E come fa l’inno nazionale belga? Come fa?
R.: Allons enfants de la patrie / Le jour de gloire est arrivé / Contre nous de la tyrannie ... /(tatatatattatata).
D. (in realtà sempre la risposta corretta): Non è mica la Marsigliese quella che sta cantando?
(quello belga, di inno, è la Brabançonne).
R.: Yves entra di carriera nella cattedrale di Bruxelles per il Te Deum (dove intonano la Brabançonne e lui non può che far finta con le labbra e parlare al cellulare).
Pare che le imbarazzanti uscite di Yves non siano finite qui... In bocca al lupo per il futuro.

Piuttosto me faccio frate!

E come dargli torto?

(Proietti “Io lavorare con Costanzo? Me faccio frate”, la Stampa, 19 luglio 2007):

Proietti, dai microfoni di Radio Città Futura, spara a zero su Costanzo e su quello che definisce “un golpino all’amatriciana”. “Il nemico vero del Teatro di Roma, del Comune e di Proietti è Costanzo. Se avessero offerto a me la direzione di un teatro di Costanzo, ne sarei stato onorato ma avrei rifiutato oppure, quanto meno, avrei fatto prima una telefonata. È lui il mio avversario culturale”. Poi è andato avanti annunciando che i suoi spettacoli previsti in cartellone al Brancaccio per l’anno prossimo non ci saranno più perché lui non accetta di lavorare sotto la direzione artistica di Costanzo: “Piuttosto me faccio frate”, ha detto in romanesco e ha aggiunto: “Ci sarà invece quello di Costanzo. Ne sono sicuro: sarà bellissimo. Piacerà molto al pubblico. Lo immagino, con Platinette e Calissano! Certo, al Brancaccio cambierà la cifra estetica. Non ci sono dubbi. Ma non voglio dire se in meglio o in peggio”.
(La risposta di Maurizio Costanzo la ometto per decenza).
Per sostenere Gigi Proietti inviare lettere a: Teatro Brancaccio, via Merulana 244, 00185 Roma, oppure e-mail: stampa@teatrobrancaccio.net.

Ripensamento (complice il commento di Uyulala): “Proietti voleva essere avvertito? Non ho fatto in tempo. In un’altra vita ci avvertiremo”. (La risposta per intero di Maurizio Costanzo è nell’articolo su la Stampa).

Aggiornamento: doveroso ripensamento (suo)!

venerdì 20 luglio 2007

Fecondazione: l’inutile parere del CSS

E il titolo del Comunicato Stampa avrebbe dovuto continuare così: e la sconveniente presenza di Dallapiccola in rappresentanza del CNB.

Ieri il Gruppo di lavoro per l’aggiornamento delle Linee Guida in materia di procreazione assistita (Legge 40/2004) ha espresso il proprio parere: esistono i presupposti per la revisione. Una buona notizia? No, soltanto un apparente movimento per nascondere l’intoccabilità della Legge 40.

Permettere l’accesso agli uomini portatori di malattie sessualmente trasmissibili (HIV, HBV, HCV)? Benissimo. Ma che ne è delle donne o di chi ha una malattia genetica? Un rimedio alle discriminazioni compiute dalla Legge 40 non può essere tanto claustrofobico.
Gli altri suggerimenti contenuti nel parere sono inutilmente banali: implementare la ricerca sulla crioconservazione degli ovociti o garantire equità di accesso alle coppie. Rispettare i principi costituzionali di tutela di salute delle donne. O ancora, istituire un tavolo di confronto per aumentare l’efficacia delle tecniche. Tutti suggerimenti che non scalfiscono nemmeno in superficie l’illegittimità e il fallimento della Legge 40.

Ma c’è di più. Tra i componenti del Gruppo c’è Bruno Dallapiccola, chiamato in rappresentanza del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), come si può leggere nella pagina del Ministero della Salute in cui compare l’elenco dei componenti.
La nomina stupisce e appare davvero sbilanciata, dal momento che Bruno Dallapiccola è presidente di Scienza&Vita – associazione di profilo ideologico più che scientifico e protagonista di una campagna feroce contro la ricerca scientifica e a favore di una legge restrittiva e assurda come la Legge 40.

Sarebbe augurabile che un membro di un Gruppo di lavoro per l’aggiornamento delle Linee Guida in rappresentanza del CNB avesse un profilo (più) neutrale. O, almeno, che fosse bilanciato da un rappresentante di un diverso schieramento. L’unico spiraglio, per quanto claustrofobico, di miglioramento dell’applicazione della Legge 40 non può essere spazzato via a priori dalla presenza di un animatore di battaglie dogmatiche e antiscientifiche condotte in nome della personalità giuridica e morale del concepito, un “paziente come noi”, una persona come noi. Dimenticando chi persona lo è indiscutibilmente: tutti quelli che hanno bisogno di ricorrere alle tecniche di procreazione assistita per avere un figlio.

PS:
A firmare il parere in questione è il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Cuccurullo (ricorda qualcosa?).

giovedì 19 luglio 2007

Dialogo

(nataliedee.com Awkward work conversation 682, 10-08-04)

Livia Turco (Procreazione assistita. Turco: “Penso a tutto io”, l’Occidentale, 18 Luglio 2007):

Le linee guida le scriverò io e saranno condivise con le donne e con il Parlamento.
[…]
Non sono autorizzata a modificare una legge che ha avuto un percorso e una storia così particolare. Rivendico il rigore della relazione sulla legge 40 mandata al Parlamento e sulla legge non posso che auspicare una ripresa di dialogo e confronto su questo tema e il modo migliore per farlo è avere di fronte i dati di fatto.
[…]
Sarebbe anche giusto un luogo libero di confronto per le donne diversissime che hanno avuto modo di ragionare su questo tema.
(Se la legge avesse avuto un percorso ordinario invece? Dialogo su cosa? Confronto con chi? Ci risiamo: i lunedì al Ministero...).

Eugenia Roccella (Roccella: sulla Legge 40 apprezziamo disponibilità al dialogo della Turco, l’Occidentale, 19 Luglio 2007):
Apprezziamo la volontà di condivisione e di approfondimento avanzata dal Ministro Turco in merito all’aggiornamento del documento per l’applicazione della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita.
E riteniamo un passo significativo il fatto che vengano ascoltate associazioni di donne e chi ha esperienza sul campo.
(Va bene, va bene, dialoghiamo. Ma perché? Parliamo tanto per riempire un silenzio, oppure per rimediare a qualche lieve imperfezione di una legge o per confermarne il buon funzionamento? Forse pongo domande insensate).

Chi tocca la legge 40 attenta alla laicità e alla democrazia

Fecondazione: Scienza e Vita, giù le mani dalla legge 40, (AGI) - CdV, 17 lug:

È in atto un tentativo per far saltare surrettiziamente la legge 40, che i cittadini hanno voluto mantenere con il referendum del 2005 (1). Lo denuncia “Scienza e Vita”, l’organismo che promosse l’astensione e che oggi difende nuovamente la legge sulla fecondazione. “Laicità e democrazia (2) sono a rischio di estinzione quando si fa pressione per modificare le linee-guida applicative della legge in modo che possano servire come grimaldello per scardinare la legge stessa”, ha sottolineato la prof. Maria Luisa Di Pietro, docente di bioetica alla Cattolica e co-presidente (con il genetista Bruno Dallapiccola) dell’Associazione, durante la conferenza stampa promossa per contestare i dati del Ministero della Salute sull’applicazione della legge 40. Dati relativi alla diminuzione delle gravidanze con la Fivet (rispetto al tempo del “Farwest procreativo”) che, alla vigilia dell’emanazione delle linee- guida della stessa legge, sono stati letti scorrettamente (3) per portare ad una revisione della legge. Infatti, ha sottolineato la Di Pietro, vengono usati per “far dire alla legge quello che la legge non dice” (4). Mancano invece informazioni su cosa si fa per la “prevenzione primaria della sterilità”, che “sta diventando una vera e propria emergenza anche per il nostro Paese”, oppure “sui danni da fecondazione artificiale e sul fatto che la tanto richiesta diagnosi preimpianto causa tali danni all’embrione da ridurne di un terzo le nascite”. (AGI)
(1) Validità del referendum: vedi la voce Quorum, per iniziare.

(2) Laicità e democrazia? Laicità? Strano che a parlare di laicità sia una accanita sostenitrice di una legge degna di uno Stato etico e patriarcale, che in nome di un principio quantomeno discutibile mette a rischio, sì, la salute delle persone. A rischio di estinzione (se non già compiutamente estinta, proprio come il povero Dodo) è la laicità, ma a causa di leggi come la legge 40, non a causa del tentativo di porvi rimedio. Tentativo ormai fiaccato da un referendum invalido (invalido, non confermativo della legge!), da una politica pavida e disinteressata ai problemi delle persone che avrebbero bisogno di tecniche rese illegali dalla legge 40, e da quanto accaduto prima: la redazione di una legge tanto orrenda, la decisione della Corte Costituzionale di non accettare il quesito abrogativo totale, e così via. Quante volte è stato già detto? Troppe.

(3) Sono stati letti scorrettamente da quanti non si sono nemmeno scomodati a leggere con attenzione e per intero la relazione del Ministero. Ma si sono accontentati delle agenzie (mezza paginetta contro un centinaio, vuoi mettere?). Sono stati letti scorrettamente da quanti avevano già deciso quali dovessero essere i risultati.

(4) Cosa dice la legge, signora Di Pietro? Lei è la stessa che metteva in guardia rispetto al pericolo di incentivare i costumi sessuali discinti promuovendo la campagna di vaccinazione contro il Papilloma virus, nevvero? Meglio una bella malattia (fino al tumore del collo dell’utero), soprattutto se conseguenza di promiscuità sessuale! Che cosa dice allora la legge 40? Che va tutto bene? Ma sì, in fondo un po’ di sofferenza terrena aiuta a tenere in caldo un posticino in paradiso.

mercoledì 18 luglio 2007

Il Dio Kalì

È Presidente del Consiglio Superiore di Sanità per il triennio 2006/2009. Dal 2001 è Presidente del Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR), che ha il compito di valutare i risultati della ricerca e di determinarne i criteri (rieletto nel 2003).
Nel 1997 ottiene il primo mandato come Rettore della G. d’Annunzio di Chieti (è ancora in carica, alla quarta rielezione; potenzialmente rieleggibile ad aeternum contrariamente alla maggior parte di Atenei nei quali c’è un limite per la rielezione). È Presidente della Fondazione D’Annunzio. È nel consiglio di amministrazione della Università Telematica, nella duplice veste di Presidente della Fondazione e Rettore... Nonché al centro di una inchiesta sulla gestione disinvolta dell’Ateneo abruzzese e sulla abbondanza di “geni” in grado di laurearsi a tempo di record (la percentuale nazionale di laureati prima del previsto è di 5,1%, quella della D’Annunzio molto, molto più alta).
È Presidente della Commissione per l’aggiornamento delle Linee Guida sulla Legge 40/2004 sulla procreazione assistita.
Tutto questo, e molto altro ancora, in una persona sola! Ai limiti del miracolo, misterioso quasi quanto la transustantazione, è la rappresentazione migliore dell’italian way of life. Del baronato universitario, della concentrazione di poteri nelle mani di un solo uomo: Franco Cuccurullo.
Capolavoro di ubiquità, commuove immaginarlo correre da un incarico all’altro, da un dovere all’altro senza nemmeno il tempo di prendere fiato. E chi osa dire che gli italiani sono pigri? Gli italiani, almeno alcuni, si sacrificano per il bene dell’umanità. Altro che pigrizia!

(In Imperatore Cuccurullo, PrimaDaNoi, Alessandro Biancardi racconta nei dettagli e meglio di me tutto questo).
(Ve lo immaginate un accordo tra l’Università degli Studi G. D’Annunzio e la Fondazione D’Annunzio? Franco Cuccurullo si accorda con Franco Cuccurullo... E forse questo è l’aspetto meno preoccupante).

martedì 17 luglio 2007

Quali cittadini? Quale gente?

E aggiunge:

«Assumo su di me la responsabilità politica di ritirare le dimissioni. Lo faccio per rispetto vostro, perché se mi assolvete potrebbe sembrare la casta che si autodifende», ha detto il senatore di Alleanza nazionale. «Nella storia di questa città, 64 anni fa, un’altra ambulanza fece storia. Mi auguro di non fare la fine dell’ospite di quell’ambulanza di allora», ha detto Selva riferendosi all’arresto di Benito Mussolini, dopo il voto del Gran consiglio del fascismo del 25 luglio 1943. «Un voto in meno del centrodestra al Senato è un giorno in più per il governo Prodi», ha aggiunto Selva.
Ma vaffanculo (proprio oggi che si può usare, lo uso!).
@ Scrivi a Gustavo Selva per spiegarli a cosa servono le ambulanze o altro.

domenica 15 luglio 2007

660 milioni di dollari: il prezzo dei preti pedofili

Per più di 500 vittime degli abusi dagli anni quaranta. Questo è il prezzo che pagherà la chiesa di Los Angeles.

sabato 14 luglio 2007

La richiesta di Giovanni Nuvoli non è eutanasia!

Affiancare la parola “eutanasia” alla richiesta di Giovanni Nuvoli è del tutto fuori luogo. Sebbene nelle decisioni di fine vita, così come in molte altri domini, non ci siano steccati rigidi e i confini siano sfumati, in questo caso la richiesta di Nuvoli è chiara e legittima: ed è la richiesta di interrompere una terapia. Una richiesta altrettanto legittima di quella di non avviare un trattamento sanitario: se un paziente rifiuta un farmaco, un macchinario che lo terrebbe in vita o anche l’alimentazione naturale, nessuno potrebbe obbligarlo senza macchiarsi del reato di violenza privata. Se un paziente desidera smettere di prendere un farmaco, scollegare un macchinario che lo tiene in vita o smettere di alimentarsi, nessuno potrebbe obbligarlo senza macchiarsi del reato di violenza privata. Sostenere il contrario cancellerebbe i fondamenti dello stesso consenso informato e restringerebbe così tanto la libertà individuale da renderla irriconoscibile.
La possibilità di rifiutare o di interrompere una terapia è garantita dalla Costituzione italiana, dal Codice di Deontologia Medica e da convenzioni internazionali e non può essere definitiva eutanasia.
In un dibattito tanto accidentato, confuso e spesso isterico è assolutamente necessario usare i termini giusti. Sono già troppe le voci che usano il fantasma dell’eutanasia per restringere lo spazio di autodeterminazione dei pazienti, dei cittadini italiani. Non offriamo loro un altro ghiotto pretesto.
Se Massimiliano lo si chiama Ugo, Massimiliano non si volta.

La vita naturale di Giovanni Nuvoli

“Un ponte con Alghero per Giovanni Nuvoli”, Alghero Notizie, 22 giugno 2007 (ma oggi è più attuale che mai):

Giovanni Nuvoli, come già Pier Giorgio Welby, chiede di morire. Dunque una dedica speciale a lui come a tutti gli altri ammalati, ribadendo il principio della difesa, della promozione e del sostegno della vita naturale dal concepimento fino al naturale tramonto, cioè alla morte naturale. Da Albenga sarà creato nella serata un “ponte” ideale di collegamento con Alghero e alla fine dello spettacolo il dvd contenente i momenti più belli della serata sarà inviato all’abitazione privata di Giovanni Nuvoli, perché lui sappia che Albenga conosce la sua sofferenza, è attento alla sua faticosa e dolorosa situazione di disagio, gli è in qualche modo vicino con la sua voce e condivide con lui la triste esperienza della malattia, mentre lo incoraggia a prediligere sempre la vita umana e a rimuovere ogni tipo di richiesta inerente l’eutanasia.
Va benissimo la vicinanza, il ponte e qualunque forma di manifestazione di solidarietà. Tuttavia le ragioni di questa solidarietà sono, ancora una volta, fuori tema. Sostenere la vita naturale dal concepimento fino al naturale tramonto, cioè alla morte naturale? Che cosa c’è di naturale nella esistenza di Giovanni Nuvoli, tenuto in vita da macchinari senza i quali la sua vita naturale sarebbe finita da anni? E ancora, per l’ennesima volta: la richiesta di Giovanni Nuvoli è una legittima richiesta di interruzione di un trattamento, l’eutanasia non c’entra. La richiesta di Giovanni Nuvoli equivale a quella di chi rifiuta un farmaco o un macchinario. Vorrebbero obbligare le persone a subire farmaci o terapie i nostri amici di Albenga e chi la pensa come loro?
Bisognerebbe fare almeno lo sforzo di trovare ragioni non tanto fragili e contraddittorie. Oppure evitare di chiamarne in causa di così inconsistenti e dire: Nuvoli, vogliamo che tu viva! (Discutibile, condivisibile oppure no, ma senza pretesa di giustificazione razionale… Non che vada tanto meglio).

venerdì 13 luglio 2007

Venire al mondo 1 (ovvero, più che Lucetta, Buietta)

È uscito il terzo quaderno di Scienza&Vita (qui ci eravamo barcamenati sul primo, Né accanimento né eutanasia, con tanto di accenti sbagliati: Nè accanimento, nè eutanasia, ma insomma è il contenuto che conta no?)
Anche stavolta è una pregevole antologia di scritti. E anche stavolta saranno affrontati i singoli interventi (forse non tutti, forse nemmeno un altro dopo questo), se e quando le forze ci sosterranno.
Si comincia proprio dall’inizio, dall’introduzione di Lucetta Scaraffia che in cotanto modo avvia (introduce, letteralmente) il quaderno:

Venire al mondo oggi non è un evento scontato, il cui buon esito dipende solo dalla salute della madre e del bambino. Il mondo in cui il piccolo nato deve entrare, oggi, lo può infatti rifiutare: perché è stato concepito nel momento “sbagliato”, o in una situazione “sbagliata”, oppure perché non “è venuto bene” ed è un “prodotto difettoso”.
Colpisce questa nostalgica rievocazione di una età dell’oro (anche qui, se non sbaglio era usata anche in materia di morte), magari mai esistita, questa ingenua idea che un tempo i bambini fossero accolti in un modo e in un mondo migliori, dimenticando che fino a pochi decenni or sono l’infanzia non aveva poi molta importanza, almeno nei suoi singoli costituenti. E invece per Scaraffia il male si concentra nei giorni attuali, ove la maternità è sottratta alla società per diventare esperienza personale (lo dice poche righe più giù: “un fatto squisitamente privato” – e che cosa ci sarebbe di male in questo?). Dove la scelta di interrompere una gravidanza di un feto malato è interpretata solo come egoismo, rifiuto della invisibile e sciocca imperfezione estetica. Non ci si sofferma nemmeno per due parole a pensare dal punto di vista del nascituro e della sua esistenza. Liquidando il discorso sul migliore interesse del nascituro come un pretesto per liberarsi di un sasso nella scarpa.
Quindi è la madre che, su informazione e consiglio dei medici, decide se accogliere il nuovo nato o rifiutarlo.
E che cosa bisognerebbe fare, una votazione nella pubblica piazza?
In altri tempi chi decideva (sebbene con minore o quasi nessuna consapevolezza)? Viene da rispondere: sempre la madre. Perché è lei a portare avanti una gravidanza, e da lei ne dipende l’esito.
Colpisce poi la connessione logica. La decisione della madre (premessa), la medicalizzazione della gravidanza (conclusione). Qui non si sta difendendo la medicalizzazione, ma contestando il fatto che sia un risultato del protagonismo decisionale della madre. Anche perché se fosse la donna a decidere consapevolmente di medicalizzare la propria gravidanza, non potremmo che rispettare la sua scelta. Il guaio è che spesso ciò avvenga non per sua scelta, e spesso per ragioni economiche. E questa è un’altra storia.
Proprio per questo la gravidanza e il parto hanno assunto una dimensione di medicalizzazione esasperata, in cui l’attesa non è rivolta a un figlio, ma al “figlio desiderato”, che quindi non solo deve nascere al momento voluto, ma anche corrispondere alle aspettative di chi l’ha voluto.
Da qui si avvia un ragionamento squassato dai non sequitur e dalle affermazioni quantomeno bizzarre. Per far esistere il “figlio desiderato” bisogna creare il “figlio rifiutato” (la citazione di Marcel Gauchet è usata come una clava, come principio di autorità; per questo la ignoro).
L’aborto, più ancora della contraccezione, garantisce la possibilità che nascano solo “figli desiderati” nel momento desiderato, mentre la diagnosi prenatale serve anche a eliminare i bambini malati, imperfetti, quelli che non corrispondono al desiderio.
Ancora nemmeno una parola sulle esistenze di questi figli imperfetti, che hanno malattie gravissime di cui forse Scaraffia non conosce nemmeno il nome. Altrimenti non parlerebbe di bambini imperfetti, ma di bambini disgraziati. E poi, soprattutto, non parlerebbe di bambini: la diagnosi prenatale si compie sugli embrioni e sui feti (quella di preimpianto su organismi di poche cellule, ma è roba da nazisti!). I bambini si portano dal pediatra, non si sottopongono a diagnosi prenatali.
il nostro venire al mondo e il nostro essere riconosciuti come esseri umani sono diventati dubbi e la nostra stessa appartenenza al genere umano è discussa.
Non capisce o fa finta? La nostra appartenenza al genere umano non è messa in dubbio. No. La nostra titolarità di diritti fondamentali viene discussa. La distinzione tra essere umano e persona, che è quella che permette l’espianto di organi (chi direbbe che colui da cui si espiantano gli organi non sia più un essere umano? Solo uno scriteriato. Forse Luca Volontè).
il diritto per ogni essere umano di venire al mondo.
Se tale diritto fosse sancito, le conseguenze sarebbero molto gravi. E si chiamerebbero criminalizzazione della gravidanza (ogni gesto, ogni comportamento di una donna incinta è potenzialmente lesivo del “diritto di ogni essere umano di venire al mondo”). Non parliamo della possibilità legale di interrompere una gravidanza. Ma poi anche di ricorrere alla contraccezione o di non passare tutto il giorno a praticare attività riproduttive. Se ogni essere umano ha il diritto di venire al mondo, ce l’ha anche l’essere umano non ancora concepito. Quello potenziale. Quello omesso da un mancato rapporto sessuale o da una pillola contraccettiva.
E ci pongono di fronte a un problema morale cruciale: è giusto impedire la venuta al mondo di neonati malati, di esseri umani dei quali si può fondatamente ipotizzare una cattiva “qualità della vita” futura? Naturalmente, noi rispondiamo che non esiste vita “indegna di essere vissuta”, e che a questo si dovrebbero ispirare i medici che devono intervenire nelle situazioni controverse. Ma senza cadere nell’errore opposto, quello che possiamo chiamare “accanimento terapeutico”.
La diagnosi prenatale, da strumento prezioso per prevenire e guarire malattie, si può trasformare in elemento disumanizzante della gravidanza (Duden) o in strumento di selezione (Romano, Di Pietro e Serebovska, Noia).
Naturalmente. Se non esistesse una vita indegna di essere vissuta, l’accanimento terapeutico non esisterebbe. Forse bisognerebbe prendere una decisione, e poi cercare di essere coerenti. Aspettiamo con ansia le trattazioni specifiche così come preannunciato da Scaraffia.

Conferenza stampa su Giovanni Nuvoli

Questa mattina alle undici:

Giovanni Nuvoli è in sciopero della fame e delle sete per ottenere il distacco del ventilatore.
Gli ultimi eventi.

La legge 40 va ristretta (è troppo uccisiva)!

(ANSA) – ROMA, 12 LUG – Arrivare ad una graduale proibizione di tutte le tecniche di fecondazione extracorporea: è questo l’obiettivo cui vorrebbe arrivare il Comitato ‘Verità e Vita’, che ha presentato oggi alla Camera le sue proposte di modifica alle linee guida della legge 40.
“Si tratta di una legge profondamente ingiusta – ha commentato Mario Palmaro, presidente del Comitato – perché consente il traffico di esseri umani innocenti. Basti pensare che in questi primi tre anni di applicazione dei 71mila embrioni prodotti, 65mila sono andati incontro alla morte”.
Il Comitato, per ridurre l’impatto negativo delle tecniche di procreazione assistita, che hanno un alto tasso di uccisività, propongono di restringere ulteriormente l’applicazione della legge. “Chiediamo che siano escluse le coppie subfertili – ha proseguito – cioè quelle colpite da patologie curabili, e l’esclusione delle donne sopra i 40 anni dalla pma, visto l’alto tasso di insuccesso nel loro caso”.
Tra le altre modifiche, già presentate al ministro Turco, il Comitato indica la riduzione del numero di embrioni producibili per ogni ciclo, l’obbligo di produzione del liquido seminale all’interno del centro di procreazione, il divieto di uso della tecnica Icsi, che presenta un tasso del 23% di aborti spontanei. “Ora aspettiamo di vedere – ha aggiunto Luca Volontè (Udc) – se il Consiglio superiore di sanità verificherà l’effettiva presenza delle condizioni per la modifica delle linee guida della legge 40”.
È forse necessario commentare questo lancio per evidenziarne la follia? Sarebbe comico se non fosse tragicamente serio, drammaticamente serio. Il traffico di esseri umani innocenti? Non è nemmeno chiaro in cosa consista questo traffico (forse nello spostare gli embrioni dalla provetta all’utero della donna?). I numeri non è possibile sapere da dove provengano. L’uccisività è una bella espressione. Restringere ulteriormente la legge 40 non sembra davvero possibile, a meno che non si proibisca del tutto il ricorso alle tecniche (e sarebbe l’unica strada coerente, ancorché delirante – ma almeno coerente). Luca Volontè è come spesso accade un protagonista di questa pantomima assurda. Dovrebbe essere lui oggetto di traffico (sebbene è difficile considerarlo innocente).

Giovanni Nuvoli: comunicato 1

Maria Isabella Puggioni e Paolo Ruggiu (per l’Associazione Coscioni) hanno rilasciato oggi un comunicato sulle condizioni di Giovanni Nuvoli, Sassari 12 luglio:

Da martedì 10 Luglio 2007 Giovanni Nuvoli rifiuta sia il cibo che l’acqua.
La quantità di orine è passata da 2000 cc in 24 ore a 400 centimetri cubici.

giovedì 12 luglio 2007

Non più DiCo ma CUS

Sembra la sigla per il riciclaggio dei rifiuti (Dico: nuovo testo al Senato, ora si chiamano ‘Cus’, Il Corriere della Sera, 12 luglio 2007). Invece sta per Contratti di Unione Solidale.
Cesare Salvi, presidente della commissione Giustizia del Senato, ha presentato questa mattina il testo base sulle unioni civili al comitato ristretto della commissione. Sarà discusso nelle prossime settimane. Stiamo a vedere.

La morte inutile degli embrioni crioconservati

Il dibattito sugli embrioni umani è tra i più accesi di questi ultimi anni. Investe molte questioni, dall’aborto alla procreazione assistita. E, ovviamente, la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Per i difensori degli embrioni (ma non solo per loro) creare appositamente un embrione per destinarlo alla ricerca sarebbe degno dei più bui incubi fantatecnologici. Ma se la ricerca fosse condotta su quegli embrioni creati per una fecondazione artificiale, crioconservati e destinati alla distruzione? Il panorama muta, anche se non mancano le voci di chi preferisce comunque una morte naturale piuttosto che acconsentire alla ricerca.
Ma che cosa ne pensano i “genitori”? Science* ha pubblicato un’indagine di Anne Drapkin Lyerly e Ruth R. Faden circa le indicazioni dei pazienti sterili sul destino dei propri embrioni sovrannumerari. Il questionario è stato sottoposto a oltre 2.000 pazienti provenienti da 9 centri di procreazione artificiale. Tra quanti hanno risposto in modo valido (1.020) il 49% ha indicato come soluzione preferita la destinazione degli embrioni alla ricerca scientifica (donazione a terzi o distruzione si spartiscono la restante percentuale). Anche se dalla preferenza alla donazione effettiva la percentuale si riducesse di molto, ci sarebbero migliaia di embrioni donati alla ricerca. Negli Stati Uniti ci sono circa 400.000 embrioni crioconservati: se anche il 15-20% fosse donato ci sarebbe la possibilità di derivare molte linee cellulari. In Italia la questione non si pone, perché la legge 40 ha imposto come unica soluzione la morte inutile degli embrioni crioconservati.

(E Polis, Quei non sense della legge sulle staminali).

* Willingness to Donate Frozen Embryos for Stem Cell Research, 6 July 2007.
Supporting Online Material (Methods, Results, Tables S1 to S3, References).