Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione terza, ha annullato un decreto e una deliberazione della Giunta Regionale lombarda, nei quali si imponeva una disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza che il TAR ha giudicato illegittima (sentenza n. 07735/2010). Fra l’altro, la Giunta della Lombardia pretendeva di specificare in 22 settimane e tre giorni di gestazione quel limite cui si riferisce – lasciandolo indeterminato – la legge 194/1978 nell’art. 7, dove si afferma che «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso» in cui la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna «e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto». Obietta il TAR:
L’art. 7, ultimo comma, della legge prevede poi che “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 ….”.L’argomentazione mi pare del tutto condivisibile; anche se, volendo fare una questione di sfumature, l’accento maggiore avrebbe dovuto forse essere posto non tanto sul «livello raggiunto dalle acquisizioni scientifiche e sperimentali» in un dato momento, che di per sé non sarebbe incompatibile con linee guida che specifichino i termini temporali, purché costantemente aggiornate (e su base nazionale); quanto piuttosto sulla grande varietà delle «fattispecie concrete». Come scriveva tempo fa Carlo Flamigni («Aborto, Verità e Menzogne», gennaio 2008),
Quest’ultima disposizione detta quindi una condizione negativa, che va ad aggiungersi alle due condizioni positive sopra illustrate: se non vi è pericolo di vita per la madre, e non si ricade dunque nell’ipotesi di cui alla lett. a), l’interruzione della gravidanza può farsi solo se vi è impossibilità di vita autonoma del feto, e cioè se questo non ha raggiunto un grado di maturità tale da consentirgli, una volta estratto dal grembo materno, di completare il suo processo di formazione (cfr. Cassazione civile, sez. III, 4 gennaio 2010, n. 13).
Come si vede la legge non ha fissato un termine preciso oltre il quale presumere che il feto sia in grado di condurre vita autonoma, ma consente che tale elemento venga accertato caso per caso dagli operatori.
Ritiene il Collegio che questa omissione non sia frutto di una svista, né che essa sia sintomo di incapacità del legislatore nazionale (che avrebbe, in tal modo, determinato una lacuna nella disciplina da colmare non appena possibile, magari grazie all’efficiente intervento delle regioni).
Al contrario si tratta di una scelta precisa, consapevole e ponderata.
Invero, come spesso l’esperienza insegna, in taluni casi non è opportuno imbrigliare in una disposizione legislativa parametri che possono variare a seconda delle condizioni che si presentano nelle innumerevoli, sempre diverse, fattispecie concrete e che, soprattutto, possono variare a seconda del livello raggiunto dalle acquisizioni scientifiche e sperimentali in [un] dato momento storico. È proprio per questa ragione che si è preferito lasciare che l’accertamento circa la possibilità di vita autonoma del feto sia condotto caso per caso dal medico che segue la gestante.
Risulta pertanto chiaro il contrasto fra la disposizione statale e quella contenuta nelle linee guida regionali le quali, individuando un termine oltre il quale si deve presumere, salvo prova contraria, che il feto possa avere vita autonoma, contravvengono alla chiara decisione del legislatore nazionale di non interferire in un giudizio volutamente riservato agli operatori, i quali, come detto, debbono poter effettuare le proprie valutazioni esclusivamente sulla base delle risultanze degli accertamenti svolti caso per caso e sulle base del livello delle acquisizioni scientifiche e sperimentali raggiunto nel momento in cui vengono formulate le valutazioni stesse.
La disposizione in esame dettata dalle linea guida è quindi illegittima.
è vero infatti che nessun feto sopravvive se costretto a nascere entro le 22 settimane di gestazione, ma è anche vero che nessun feto nato alla ventiquattresima settimana sopravvive se la madre lo partorisce in una remota località di montagna, o se è portatore di una grave malformazione per la quale deve essere sottoposto a intervento chirurgico, ed è altresì vero che esistono spesso problemi quando si deve datare una gestazione, che la prognosi è diversa se il parto è spontaneo o operativo e così via.Mi pare che queste considerazioni rendano inammissibile la riproposizione della regolamentazione lombarda su base nazionale che adesso gli integralisti invocano, per sfuggire alle obiezioni espresse in questa stessa sentenza in merito alla competenza regionale sulla materia dell’interruzione di gravidanza. Linee guida, anche nazionali, andrebbero contro lo spirito della legge 194/1978, correttamente individuato dal TAR di Milano, e dovrebbero dunque soccombere dinanzi alla fonte legislativa.
6 commenti:
Le osservazioni che si possono fare sulla decisione del TAR e che anche il ginecologo Flamigni a suo tempo faceva, possono anche avvalorare l’idea che il provvedimento della Giunta Regionale lombarda non possa proporsi, tuttavia io mi domando, allora, se l’ eccezione possa impedire l’espressione di una regola.
Il Presidente Formigoni afferma (e io ritengo non a torto) che la decisione presa nel 2008 non fa altro che specificare ed attualizzare il dettato della legge 194.
Il TAR invece ha affermato che “in taluni casi non è opportuno imbrigliare in una disposizione legislativa parametri che possono variare a seconda delle condizioni che si presentano nelle innumerevoli, sempre diverse, fattispecie concrete e che, soprattutto, possono variare a seconda del livello raggiunto dalle acquisizioni scientifiche e sperimentali in [un] dato momento storico”.
Ma chi impedisce (nel presupposto che le Regioni possano decidere in materia di aborto, e a quanto sembra per le dimissioni post aborto farmacologico, ognuna si è riservata di farlo) di fissare una “regola” sulla base di ciò che avviene nella maggior parte dei casi (è come dire ai medici : non ignorate che ad oggi il termine per non trovarsi poi di fronte un feto in grado di vivere autonomamente è quello) e allo stesso tempo prevedere, più o meno dettagliatamente, delle eccezioni (con correlativa libertà di operare, in tali casi, per gli operatori; è questo aspetto che mancherebbe, in tal senso, al decreto e alla delibera citati)?
E inoltre per quanto riguarda la preoccupazione circa il restare indietro delle disposizioni normative rispetto alla realtà scientifica io penso che si potrebbe risolvere semplicemente adeguando (con nuovi termini) quanto in precedenza indicato. In realtà tale preoccupazione è solo una proiezione della visione di “immutabilità” che circonda la legge 194/’78.
Cordiali saluti,
biolove
Questi stanno a pettinare le bambole con i calcoletti, una settimana più, una settimana meno... come se le loro leggine e regolamentini potessero cambiare la realtà (che è fatta ANCHE di malattie, problemi, scelte difficili e situazioni disperate) e trasformarla in una bella favola dove tutti sono felici, cantano, ringraziano il Signore (no, non Formigoni) e annunciano la lieta novella della sacralità della vita.
Qualcuno ha parlato una volta della differenza tra l'etica delle convinzioni e l'etica delle responsabilità... trovo giusto che chi si attacca all'etica delle convinzioni sia considerato un irresponsabile.
@anonimo 5/1/11 18:38
Lei parla di irresponsabilità, ma sa dare un significato preciso alle parole ?
Settimana più settimana meno ? Certo, mio caro, perché è proprio quello che nella materia di cui stiamo parlando conta ( dove la considerazioni di altri parametri per i casi eccezionali potrebbe intervenire a completare la disciplina).
Di quali favole va blaterando se sono le evidenze scientifiche a far parlare, per la maggior parte dei casi, dei termini richiamati nelle deliberazioni del 2008 ?
Se dietro la “responsabilità” si cela la libertà di comportarci come se fossimo ancora nel 1978 posso tranquillamente dire che l’etica delle convinzioni la esprimono coloro che ritengono la 194 inattaccabile, a tal punto che si sono presi la libertà di vedervi ricompresa senza nulla mutare la RU486, da disciplinarsi all’insegna di uno specifico “federalismo” che viene peròpuntualmente negato quando ci sarebbe da prevederlo “pro vita” (e non intervengono pertanto avvocati politicamente allineati).
A proposito della legittimazione a ricorrere per il ricorso deciso con sentenza n. 07735/2010 c’è da dire poi che vi sono dubbi, essendosi presentati come ricorrenti dei medici e non donne direttamente interessate (così secondo il prof. A.Pollice ordinario di Diritto amministrativo all’Università di Tor Vergata di Roma).
cordialmente,
biolove
allora ok FAI una legge che IMPONE determinate cose A PRESCINDERE dalla volontà delle singole PERSONE. Poi questa legge provoca PROBLEMI e SOFFERENZE, causa DRAMMI, rovina l'esistenza delle PERSONE, costringe la gente a cercare soluzioni NELLA CLANDESITINITA'. Ora giustificati dicendo che sei CONVINTO di avere ragione in ogni caso, e che TUTTI devono fare come la TUA LEGGE impone, e che tu sei A POSTO COSI', perchè LE TUE CONVINZIONI sono giuste per via dei valori non negoziabili eccetera eccetera, e che tutto il resto (i problemi di cui sopra) NON TI INTERESSA. Ecco, per me sei un IRRESPONSABILE.
Opinione personale mia, beninteso. Anche i conati di vomito, miei personali.
@anonimo
Volevo precisare che non c’è alcun risentimento personale in quello che affermo (tanto più che, nel tuo caso, ti presenti come anonimo).
Mi spiace solo assistere alla solita tiritera di luoghi comuni per farmi assumere (assai comodamente) la posizione di mostro clericale insensibile al dolore altrui, con la minaccia delle mammane dietro l’angolo (“costringe la gente a cercare soluzioni NELLA CLANDESITINITA' ”), il tutto all’insegna di irresponsabili “convinzioni”.
In un articolo de Il Foglio di qualche giorno fa si ricordava che la 194 “alla lombarda” un pregio lo aveva : monitorava le diagnosi prenatali.
Respingendo in blocco la delibera del 2008 il Tar “ha azzerato anche una disposizione non soltanto ovvia e di buon senso, ma inattaccabile proprio dal punto di vista medico-sanitario e diagnostico-preventivo : l’istituzione di un registro regionale nel quale gli esiti delle diagnosi prenatali venissero messi a confronto con i corrispondenti esiti sugli embrioni abortiti. Soltanto la più cieca ideologia può essere contraria a una valutazione ex post-che un tale registro finalmente consentirebbe- per capire fuori da ogni dubbio quale sia il reale grado di affidabilità della diagnosi prenatale”, oggi abusata e ad alto rischio abortivo.
Questo non si potrà più in Lombardia.”E il motivo non è da ricercarsi in chissà quali lesioni dei diritti individuali, ma semplicemente nell’allergia della medicina in ogni suo comparto, servizio, applicazione alla valutazione seria di quel che fa e di come lo fa. Un pessimo esempio per un paese che non raggiunge i risultati che potrebbe perché refrattario, e proprio negli ambiti più delicati, a ogni principio di valutazione, ovvero di assunzione, ciascuno, delle proprie RESPONSABILITA’” (maiuscolo mio, ndr).
http://www.retelombardasalute.com/2011/01/un-pregio-della-194-alla-lombarda.html
Cordialmente,
biolove
@biolove: il mio ultimo commento è stato censurato, quindi immaginatelo da solo.
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