La cosa si ripete ormai da otto anni. Il 12 novembre, nel giorno della memoria dei caduti della strage più celebrata degli ultimi centocinquant’anni, quella di Nassirya, si esclude puntualmente la compagna di uno di loro; si omette come una cosa di nessun conto, si ignora come un fastidio, un difetto, una vergogna. Ogni volta si commemora il caduto civile Stefano Rolla tagliando via un pezzo integrante della sua vita, la compagna che lui si era scelto.
Io, Adele, cancellata dalla vita di Stefano il 12 novembre 2003 quando, dopo la strage, un funzionario del ministero degli Esteri recapitò ai parenti delle vittime la tragica notizia.
LO SEPPI da uno degli addetti alla produzione. Io, cancellata dalla lista del cerimoniale quando i caduti furono accolti dalle istituzioni e dai parenti al loro rientro in patria all’aeroporto di Ciampino. Eliminata dalla lista dei parenti per la Veglia funebre al Vittoriano. Eliminata anche dalla lista per il funerale di Stato nella basilica di San Paolo.
Io e Stefano ci amavamo da dodici anni e convivevamo da sei quando quella mattina, nel sud dell’Iraq, lui saltò in aria assieme ai militari della finta missione di pace allorché un camion kamikaze investì Base Maestrale. Non sapevo quel giorno, che insieme con Stefano sarei stata travolta dalla bomba anch’io.
Peggio che morta, mai esistita. Non sapevo che quello non sarebbe stato l’unico giorno del dolore, quello della perdita, ma l’inizio di un dolore nuovo, la confutabilità stessa di quell’amore, il chiedermi ogni giorno “Ma la mia vita con te era avvenuta veramente, il nostro amore, intendo, era accaduto o esisteva solo nella mia testa? Perché io venivo cancellata dalle liste dei tuoi parenti? La vita fin qui condotta, che io credevo giusta e corretta, non era stata tale? Cosa avevo fatto di sbagliato per essere cancellata dalla tua vita”? Così, dal quel giorno infausto, per poter restare nella memoria del mio amore, ho scritto ai ministri dell’Interno e della Difesa, al presidente Ciampi e a sua moglie signora Franca, senza mai ricevere risposta. Allora mi sono presentata senza invito, come una ragazzina imbucata a una tragica festa, a tutte le commemorazioni che lo Stato ha celebrato. Finché al secondo anniversario, per impedirmi di entrare al Vittoriano dove il presidente Ciampi avrebbe consegnato ai parenti una onorificenza, sono stata letteralmente trascinata a terra sui sampietrini romani da tre agenti in borghese, come se il loro eroe lo avessi ucciso io. Per motivare la vergognosa discriminazione, due giorni dopo, sul sito della Difesa compare un articolo che spiega l’esclusione col fatto che Adele non è un’“avente diritto” all’onorificenza e conclude: va peraltro considerato che l’organizzazione del cerimoniale ha dovuto anche tener conto dei disagi già manifestatisi in occasione delle celebrazioni religiose del primo anniversario del tragico evento.
MA IO non chiedevo assegnazioni economiche, per quelle sono stata costretta a fare causa allo Stato. Sono anni che chiedo semplicemente di essere invitata a condividere assieme alle altre vedove il mio dolore. Ma per me, questo diritto non c’è mai. Ed è davvero surreale presupporre che io, vedova non istituzionale, possa arrecare disagio con la mia sola presenza, ai “titolati” partecipanti alla cerimonia.
Siamo gli unici in Europa, assieme alla Grecia, a non avere na tutela per le coppie di fatto. Paradossalmente però, nonostante da più parti politiche si voglia colmare il vuoto, anziché aggiungere, ai conviventi si sottraggono diritti.
All’indomani della tragedia, nel decreto per l’assegnazione dell’Indennizzo alle vittime, nell’elenco di priorità il convivente era posto subito dopo i fratelli a carico. Già quella era una norma ormai datata, non più rispondente a principi di laicizzazione politico-sociale, dove è ormai diffusa la “famiglia di fatto” che sotto il profilo giuridico ha gli stessi diritti della famiglia naturale. Nel decreto del 10 ottobre 2005 per la consegna della Croce d’onore invece, si legge: “l’onorificenza va alla moglie, in mancanza di questa ai figli, in mancanza di questi ai fratelli a carico, e infine, in mancanza di parenti, al comune di residenza”. Eliminata la figura della convivente, tranne poi darle diritti con un espediente creativo tutto italiano. A ottobre 2007, il militare D’Auria in coma profondo e la sua compagna, per assicurare a lei una pensione furono uniti in matrimonio in articulo mortis, dando validità giuridica a una norma del codice canonico in uno Stato che dovrebbe essere laico.
OGGI È il 12 novembre. Ancora una volta, per la commemorazione dell’ottavo anniversario, io non ho ricevuto alcun invito. Quando Stefano Rolla era vivo, nelle situazioni ufficiali aveva sempre accanto la sua compagna, Adele. Da morto, lo Stato elimina quella donna che lui si era scelto, ed eliminandola opera una censura. Uno Stato che taglia via una parte della vita dell’eroe che va a celebrare, ne fa un eroe mutilato, dimezzato. Perché assurge a moralizzatore, a Stato etico, significando che quella parte della sua vita che si vuole eliminare non è da esempio.
Che commemorazione è? Che tipo di onore si vuole tributare all’eroe?
Adele Parrillo, Il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2011.
domenica 13 novembre 2011
Stefano, l’eroe mutilato
Postato da Chiara Lalli alle 09:24
Etichette: Adele Parrillo, Diritti civili, Nassiriya, Stefano Rolla
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1 commento:
Mi rendo conto di sembrare molto insensibile ma la signora e il suo defunto compagno sapevano benissimo quale e´la situzaione giuridica delle coppie di fatto in Italia. Se la signora voleva questi diritti che tanto reclama poteva fare la fila al comune, aspettare 7 giorni e tornare per un paio di firme.
Il rispetto umano per il dolore non cancella il fatto che la signora e il suo compagno sono stati degli irresponsabili.
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