mercoledì 8 luglio 2009

Libertas ecclesiae e libertas civium

Assuntina Morresi dedica un lungo post sul suo blog, Stranocristiano.it, al significato della libertas ecclesiae oggi («Libertas ecclesiae e dintorni», 4 luglio 2009). Cerco di ripercorrere i punti salienti del ragionamento:

Noi chiediamo innanzitutto la libertas ecclesiae, la libertà della Chiesa di esistere […].
Alcuni miei amici dicono che Libertas ecclesiae significa poter costruire le nostre opere – dalle scuole, al Banco Alimentare, al Meeting – per fare esperienza e testimoniare la bellezza dell’incontro fatto.
Ma allora dovremmo anche ammettere che se domani, ad esempio, la Corte Costituzionale consentisse anche la diagnosi preimpianto degli embrioni, o la fecondazione eterologa, per le nostre opere non cambierebbe niente: ci sarebbe lo stesso il Meeting, faremmo ugualmente la Colletta Alimentare, le nostre scuole continuerebbero ad esistere.
[…] leggi di questo tipo non impediscono la libertas ecclesiae, se con questa espressione si intende semplicemente la possibilità di costruire le nostre opere, e testimoniare pubblicamente.
Allora, le possibilità sono due: o questi fatti nuovi (fecondazione artificiale, etc.) non hanno niente a che fare con la libertas ecclesiae, e quindi possiamo ignorarli ed andare avanti sulla nostra strada […] oppure dobbiamo chiederci se abbiamo capito cosa significa libertas ecclesiae.
Ma per la prima volta nella storia dell’umanità […] sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo: si stanno sovvertendo tutte le categorie fondamentali dell’esperienza elementare. Si sta distruggendo l’umano nelle sue fondamenta.
[…]
Tecnicamente, un bambino oggi può avere fino a sei genitori, di cui tre fornitori del patrimonio genetico (una donna fornisce l’ovocita, un’altra i mitocondri dell’ovocita, un maschio lo sperma, e quindi il patrimonio genetico del bambino proviene da tre persone), e poi una terza donna mette a disposizione l’utero, una quarta sarà la madre “sociale”, che lo registra all’anagrafe come figlio suo, insieme ad un secondo maschio, il sesto genitore, che sarà il padre sociale.
Immaginiamo di raccontare a questo bambino l’esempio che ci faceva Don Giussani per spiegarci la “certezza morale”: se vai a casa e tua madre ti dà il risotto, tu non ti poni il problema di analizzarlo per verificare se è avvelenato, prima di mangiarlo, sarebbe irragionevole. Per il bambino con sei genitori, invece, il problema è capire se ha una mamma e chi è, prima ancora del risotto potenzialmente avvelenato, o no. L’esempio non vale più.
[…]
Mentre per quelli della mia età i sei genitori possibili sono aberrazioni evidenti, dobbiamo essere consapevoli che per i nostri figli e nipoti questa sarà una variante dell’esperienza umana, e anche se non sarà la loro esperienza personale, sarà quella che vedranno nei compagni di scuola, o in televisione. E quanto resisterà, il loro “cuore”?
[…]
La libertas ecclesiae è in pericolo quando si impedisce o si rende comunque difficile il paragone con l’esperienza elementare, perché in questo modo si impedisce l’esperienza cristiana.
La fragilità del ragionamento della Morresi dovrebbe essere evidente a chiunque: per quante persone possano aver contribuito alla costituzione genetica e alla nascita del bambino, non c’è dubbio che questi non avrebbe nessuna difficoltà a comprendere il brano di Don Giussani (curioso, per inciso, che l’autrice non abbia preso ad esempio testi più fondamentali, come la Bibbia: a meno che Comunione e Liberazione – alla quale la Morresi appartiene – non abbia tacitamente ampliato il canone delle Sacre Scritture...). La madre che prepara il risotto non può che essere, per definizione, quella sociale: che non è solo colei che lo registra all’anagrafe (come scrive un po’ tendenziosamente la nostra autrice), ma quella che lo alleva, che lo segue nei primi passi, che lo ama. La controprova è immediata: basti pensare ai bambini adottati, che di genitori ne hanno ben quattro. Provate a leggere il brano di Giussani a uno di questi bambini, e vedete se si confonde. L’esperienza umana fondante non è quella della relazione genetica – che pure ha la sua importanza – ma quella del rapporto di dipendenza e affetto fra un essere umano che si affaccia nel mondo e un altro essere umano che sta lì ad accoglierlo. E questa esperienza non è certo messa in pericolo da nessuna tecnologia biomedica, presente o futura; è questo il fondamento antropologico immutabile che la Morresi non vuole o non può vedere.

Qui potrebbe concludersi un post relativamente breve. Resterebbe però senza risposta una domanda che alcuni potrebbero porsi: a che si deve l’elaborazione di un sofisma tanto esile, e degli innumerevoli altri (di regola non molto migliori) che il campo integralista produce a getto continuo? È evidente che siamo qui di fronte a una classica produzione ideologica, in cui si prendono le relazioni sociali e le si fanno apparire come se risiedessro nella natura delle cose, per dar loro una parvenza di inevitabilità; è questa la ragione ultima del biologismo grossolano che ormai pervade uniformemente il pensiero integralista, e che – come abbiamo appena visto – finisce per porre sullo stesso piano la donatrice di mitocondri e la persona che il bambino chiama «mamma». Ciò che è un po’ meno evidente è l’interesse ultimo che questa elaborazione ideologica intende mascherare. Spesso identifichiamo questo interesse con una volontà di guadagnare nuovi spazi di dominio sulla società, ma proprio il testo di Assuntina Morresi può svelare una prospettiva diversa (per quanto non inedita).
«Quanto resisterà, il loro “cuore”?», si chiede a un certo punto la Morresi, parlando dei figli e nipoti di chi appartiene al suo spicchio di cristianesimo, e la preoccupazione sembra sincera. La famiglia tradizionale (per ragioni che qui non è possibile affrontare) è al centro dell’elaborazione teorica dell’integralismo: quasi ogni tema dell’agenda integralistica – aborto, divorzio, contraccezione, scuola cattolica, omosessualità – tocca direttamente la sostanza o l’immagine del modello familiare tradizionale; solo la battaglia sul testamento biologico fa parzialmente eccezione. In un’epoca in cui i modelli familiari sono numerosi, e in genere assai più attraenti di quello offerto dalle pagine di Stranocristiano, si fa urgente la necessità di una giustificazione ideologica, che assegni a quello solo la qualifica di «naturale», mentre diffama gli altri, arrivando a descriverli come inumani. Giustificazione ideologica diretta sia verso l’esterno – a supporto della pretesa propriamente integralistica di una norma civile asservita a quella religiosa – sia verso l’interno – in particolare a beneficio (?) dei membri della comunità ancora incapaci di discriminare le «aberrazioni evidenti». Scopriamo insomma alla fine che il modello sociale integralista non vuole realmente espandersi – non ne ha più la forza: vuole difendersi, e in particolare difendere la propria riproduzione (e qui forse conta anche il fatto che più di altri modelli esso si affida alla solidarietà fra generazioni).
Anche la deriva paranoica che sempre più spesso si coglie negli scritti di alcuni integralisti, il vittimismo aggressivo e confabulatorio che proietta sugli altri le proprie pulsioni, per esempio fantasticando di improbabili complotti della «lobby omosessuale» orditi per sovvertire la vita tranquilla della famiglia tradizionale, mi sembra un chiaro sintomo che il gioco è ormai in difesa.
In teoria un compromesso sarebbe possibile: non mancano esempi di gruppi con stili di vita non molto più attraenti di quello integralista che riescono a sopravvivere nel mondo moderno senza ricorrere alla via normativa. Si pensi per esempio agli Amish, che pure consentono ai propri giovani di fare esperienza del mondo esterno. In pratica, finché l’integralismo manterrà la speranza di imporre il proprio credo a chi non ne vuol sapere nulla grazie all’appoggio di una politica asservita, la libertas ecclesiae continuerà a conculcare la libertas civium.

10 commenti:

paolo de gregorio ha detto...

"solo la battaglia sul testamento biologico fa parzialmente eccezione"

Giusto, parzialmente. Si potrebbero osservare una serie di dati: il grande assente in ciò che viene contemplato per il testamento biologico è il familiare. Il medico può decidere, ma sia mai il congiunto, come sarebbe più naturale. Il meccanismo potrebbe essere simile a quello dell'aborto: laddove l'individuo fosse incapace di rispettare i principi auspicati la legge deve intervenire ed obbligare, deve sostituirsi alla persona. In molte istanze il bersaglio su cui ci si è accaniti di più è stato Beppe Englaro, il padre della ragazza (accanimento più feroce rispetto a quello che fu riservato a Welby).

Del resto la tua analisi potrebbe avere un certo fondamento, in qualche modo cose simili le ho pensate. Mi viene in mente il caso del divorzio: se ne fa una questione civile eppure i cattolici che si sposano in chiesa divorziano quanto spesso e più spesso di chi di sposarsi in chiesa non ci pensa nemmeno. Questo porterebbe qualunque persona ragionevole a fare riflessioni in seno stesso alla comunità religiosa, perché gli elementi per una autocritica autonoma e una ricerca di soluzioni che non coinvolgano immediatamente il consesso civile ci sarebbero tutti. Eppure il responsabile è il legislatore: il fallimento nel trasmettere il messaggio al proprio interno non viene contemplato, o forse impegnarsi su quel fronte sarebbe opera troppo faticosa. La via della battaglia in sede legislativa e atraverso i mandatari eletti, oppure solo propaganddistica in sede pubblica, diventa una scorciatoia più diretta e ben meno faticosa, che al contempo solleva dal doversi interrogare su se stessi facendo ricadere la colpa comunque sugli altri. Se una persona si sposa in una chiesa e dopo appena qualche anno divorzia è colpa dei Regalzi, la comunità va assolta, e Regalzi va constrastato.

paolo de gregorio ha detto...

L'altra riflessione è direttamente sul passo della Morresi. Cosrtuire casi limite non è difficile e non si confina entro le questioni legate alla tecnica. Immaginare un figlio con sei genitori? Lo si può fare da tempo. Ci possono esseri i genitori biologici, poi quelli affidatari e infine quelli adottivi. Questo non crea problemi al bambino.

La vera novità a mio giudizio è ormai la sacralizzazione di quella molecola fatta a elica 8che chiamai "santo DNA"), tramutatasi in depositaria dell'essenza umana. Ci distingue dagli animali non il pensiero complesso, l'autocoscienza, la memoria analitica, ma il dettaglio del codice genetico. Tutto ciò che discende dall'informazione e strutturazione più prettamente biologiche-genetiche (che alla fine costituiscono si badi bene in realtà solo la nostra soggettiva rappresentazione scientifica delle cose) assurge a sostanza essenziale e morale delle cose umane. Così il conflitto insorge tutte le volte che ci si muova a metà strada tra i piani personali e quelli biologici, con (curiosamente) una certa apparente elevazione di questi ultimi sui primi. È come il riflesso di una soggezione presente: la scienza spiega la vita, e quella spiegazione diviene sacra in sostituzione di quello che una volta era il livello spitiruale delle cose. La sconfitta sottaciuta, forse, più che verso i valori e le interpretazioni è verso la conoscenza scientifica e analitica, e la difesa avviene contro di essa facendola maldestramente propria.

Angelo Ventura ha detto...

Per la chiesa, la libertà è solo la sua di poter imporre i suoi dogmi e pregiudizi anche a chi non li condivide. Libertas ecclesiae è quasi un ossimoro.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Ho leggermente modificato il testo nell'ultima parte, per rendere più espliciti alcuni passaggi logici. Mi scuso con i lettori.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Paolo: credo che però l'integralista possa anche ammettere un fallimento nel trasmettere il messaggio al proprio interno, magari addebitandolo alla natura corrotta dell'uomo dopo la Caduta. La pretesa di uniformare le leggi civili a quelle religiose a volte si basa esplicitamente su questa insufficienza e sulla differenza (apertamente confessata) di appeal immediato dei vari modelli di relazioni affettive e familiari.

Anonimo ha detto...

Bravo Regalzi. Ora però guardati il tuo di approccio ideologico.
a-m

paolo de gregorio ha detto...

Giuseppe, vogliamo assegnare all'integralismo uno spettro sufficientemente inclusivo, giusto? La Morresi allora è una che ti cita Giussani: a me vengono i dubbi che si preoccupi mai della Caduta, o persino dei dogmi ufficiali se è per questo. Si potrebbe uscirne così, ma non credo che lo si faccia. A me personalmente sembra più una rimozione perentoria del problema, una recisione netta.

Leilani ha detto...

Ma non era più facile, per ottenere sei genitori, ipotizzare di un bambino adottato i cui genitori adottivi si sono poi separati formando altre due famiglie, invece che con quell'assurdo e improponibile schema-limite?

Verrocchio ha detto...

Secondo il "ragionamento dei mitocondri", quindi, se io dono un rene divento genitore di colui a cui l'ho donato?

Unknown ha detto...

Chiara e Giuseppe, vi invito a leggere questo:

http://marioadinolfi.ilcannocchiale.it/2009/07/09/il_pd_e_per_il_no_al_matrimoni.html