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mercoledì 28 ottobre 2009

Fra i barbari

Ilaria Carra, «Melzo, in tre chiedono di abortire. Il primario urla in corsia: “Assassine”», Repubblica, 27 ottobre 2009:

Avevano deciso di abortire. Ma una volta all’ospedale, per gli accertamenti preliminari all’interruzione di gravidanza, il primario, obiettore di coscienza, le ha umiliate nel corridoio del reparto, davanti al personale e alle degenti. «Assassina, sta uccidendo suo figlio», ha urlato Leandro Aletti, responsabile di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Melzo e noto antiabortista, simpatizzante di Comunione e liberazione, a ciascuna delle tre donne, dai 27 ai 36 anni, che avevano scelto quella struttura pubblica per abortire.
L’aggressione verbale è riportata nella denuncia per ingiuria presentata al giudice di pace di Cassano d’Adda […].
In un paese civile, il responsabile sarebbe stato licenziato e l’ospedale costretto a un risarcimento multimilionario. Qui è già tanto che si arrivi a una letterina di scuse più o meno ipocrite.

Aggiornamento: l’Aletti, a quanto pare, ha fatto anche di peggio (ma la condanna subita non ha interrotto la sua carriera).

Aggiornamento 2: impagabile il titolo del post che Guia Soncini ha dedicato all’episodio: «Poi, quando qualcuno fonda il gruppo Facebook “Aspettiamo Leandro Aletti con delle mazze chiodate nel parcheggio dell’ospedale”, tocca pure leggere dichiarazioni indignate e solidali».

mercoledì 8 luglio 2009

Libertas ecclesiae e libertas civium

Assuntina Morresi dedica un lungo post sul suo blog, Stranocristiano.it, al significato della libertas ecclesiae oggi («Libertas ecclesiae e dintorni», 4 luglio 2009). Cerco di ripercorrere i punti salienti del ragionamento:

Noi chiediamo innanzitutto la libertas ecclesiae, la libertà della Chiesa di esistere […].
Alcuni miei amici dicono che Libertas ecclesiae significa poter costruire le nostre opere – dalle scuole, al Banco Alimentare, al Meeting – per fare esperienza e testimoniare la bellezza dell’incontro fatto.
Ma allora dovremmo anche ammettere che se domani, ad esempio, la Corte Costituzionale consentisse anche la diagnosi preimpianto degli embrioni, o la fecondazione eterologa, per le nostre opere non cambierebbe niente: ci sarebbe lo stesso il Meeting, faremmo ugualmente la Colletta Alimentare, le nostre scuole continuerebbero ad esistere.
[…] leggi di questo tipo non impediscono la libertas ecclesiae, se con questa espressione si intende semplicemente la possibilità di costruire le nostre opere, e testimoniare pubblicamente.
Allora, le possibilità sono due: o questi fatti nuovi (fecondazione artificiale, etc.) non hanno niente a che fare con la libertas ecclesiae, e quindi possiamo ignorarli ed andare avanti sulla nostra strada […] oppure dobbiamo chiederci se abbiamo capito cosa significa libertas ecclesiae.
Ma per la prima volta nella storia dell’umanità […] sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo: si stanno sovvertendo tutte le categorie fondamentali dell’esperienza elementare. Si sta distruggendo l’umano nelle sue fondamenta.
[…]
Tecnicamente, un bambino oggi può avere fino a sei genitori, di cui tre fornitori del patrimonio genetico (una donna fornisce l’ovocita, un’altra i mitocondri dell’ovocita, un maschio lo sperma, e quindi il patrimonio genetico del bambino proviene da tre persone), e poi una terza donna mette a disposizione l’utero, una quarta sarà la madre “sociale”, che lo registra all’anagrafe come figlio suo, insieme ad un secondo maschio, il sesto genitore, che sarà il padre sociale.
Immaginiamo di raccontare a questo bambino l’esempio che ci faceva Don Giussani per spiegarci la “certezza morale”: se vai a casa e tua madre ti dà il risotto, tu non ti poni il problema di analizzarlo per verificare se è avvelenato, prima di mangiarlo, sarebbe irragionevole. Per il bambino con sei genitori, invece, il problema è capire se ha una mamma e chi è, prima ancora del risotto potenzialmente avvelenato, o no. L’esempio non vale più.
[…]
Mentre per quelli della mia età i sei genitori possibili sono aberrazioni evidenti, dobbiamo essere consapevoli che per i nostri figli e nipoti questa sarà una variante dell’esperienza umana, e anche se non sarà la loro esperienza personale, sarà quella che vedranno nei compagni di scuola, o in televisione. E quanto resisterà, il loro “cuore”?
[…]
La libertas ecclesiae è in pericolo quando si impedisce o si rende comunque difficile il paragone con l’esperienza elementare, perché in questo modo si impedisce l’esperienza cristiana.
La fragilità del ragionamento della Morresi dovrebbe essere evidente a chiunque: per quante persone possano aver contribuito alla costituzione genetica e alla nascita del bambino, non c’è dubbio che questi non avrebbe nessuna difficoltà a comprendere il brano di Don Giussani (curioso, per inciso, che l’autrice non abbia preso ad esempio testi più fondamentali, come la Bibbia: a meno che Comunione e Liberazione – alla quale la Morresi appartiene – non abbia tacitamente ampliato il canone delle Sacre Scritture...). La madre che prepara il risotto non può che essere, per definizione, quella sociale: che non è solo colei che lo registra all’anagrafe (come scrive un po’ tendenziosamente la nostra autrice), ma quella che lo alleva, che lo segue nei primi passi, che lo ama. La controprova è immediata: basti pensare ai bambini adottati, che di genitori ne hanno ben quattro. Provate a leggere il brano di Giussani a uno di questi bambini, e vedete se si confonde. L’esperienza umana fondante non è quella della relazione genetica – che pure ha la sua importanza – ma quella del rapporto di dipendenza e affetto fra un essere umano che si affaccia nel mondo e un altro essere umano che sta lì ad accoglierlo. E questa esperienza non è certo messa in pericolo da nessuna tecnologia biomedica, presente o futura; è questo il fondamento antropologico immutabile che la Morresi non vuole o non può vedere.

Qui potrebbe concludersi un post relativamente breve. Resterebbe però senza risposta una domanda che alcuni potrebbero porsi: a che si deve l’elaborazione di un sofisma tanto esile, e degli innumerevoli altri (di regola non molto migliori) che il campo integralista produce a getto continuo? È evidente che siamo qui di fronte a una classica produzione ideologica, in cui si prendono le relazioni sociali e le si fanno apparire come se risiedessro nella natura delle cose, per dar loro una parvenza di inevitabilità; è questa la ragione ultima del biologismo grossolano che ormai pervade uniformemente il pensiero integralista, e che – come abbiamo appena visto – finisce per porre sullo stesso piano la donatrice di mitocondri e la persona che il bambino chiama «mamma». Ciò che è un po’ meno evidente è l’interesse ultimo che questa elaborazione ideologica intende mascherare. Spesso identifichiamo questo interesse con una volontà di guadagnare nuovi spazi di dominio sulla società, ma proprio il testo di Assuntina Morresi può svelare una prospettiva diversa (per quanto non inedita).
«Quanto resisterà, il loro “cuore”?», si chiede a un certo punto la Morresi, parlando dei figli e nipoti di chi appartiene al suo spicchio di cristianesimo, e la preoccupazione sembra sincera. La famiglia tradizionale (per ragioni che qui non è possibile affrontare) è al centro dell’elaborazione teorica dell’integralismo: quasi ogni tema dell’agenda integralistica – aborto, divorzio, contraccezione, scuola cattolica, omosessualità – tocca direttamente la sostanza o l’immagine del modello familiare tradizionale; solo la battaglia sul testamento biologico fa parzialmente eccezione. In un’epoca in cui i modelli familiari sono numerosi, e in genere assai più attraenti di quello offerto dalle pagine di Stranocristiano, si fa urgente la necessità di una giustificazione ideologica, che assegni a quello solo la qualifica di «naturale», mentre diffama gli altri, arrivando a descriverli come inumani. Giustificazione ideologica diretta sia verso l’esterno – a supporto della pretesa propriamente integralistica di una norma civile asservita a quella religiosa – sia verso l’interno – in particolare a beneficio (?) dei membri della comunità ancora incapaci di discriminare le «aberrazioni evidenti». Scopriamo insomma alla fine che il modello sociale integralista non vuole realmente espandersi – non ne ha più la forza: vuole difendersi, e in particolare difendere la propria riproduzione (e qui forse conta anche il fatto che più di altri modelli esso si affida alla solidarietà fra generazioni).
Anche la deriva paranoica che sempre più spesso si coglie negli scritti di alcuni integralisti, il vittimismo aggressivo e confabulatorio che proietta sugli altri le proprie pulsioni, per esempio fantasticando di improbabili complotti della «lobby omosessuale» orditi per sovvertire la vita tranquilla della famiglia tradizionale, mi sembra un chiaro sintomo che il gioco è ormai in difesa.
In teoria un compromesso sarebbe possibile: non mancano esempi di gruppi con stili di vita non molto più attraenti di quello integralista che riescono a sopravvivere nel mondo moderno senza ricorrere alla via normativa. Si pensi per esempio agli Amish, che pure consentono ai propri giovani di fare esperienza del mondo esterno. In pratica, finché l’integralismo manterrà la speranza di imporre il proprio credo a chi non ne vuol sapere nulla grazie all’appoggio di una politica asservita, la libertas ecclesiae continuerà a conculcare la libertas civium.

mercoledì 26 novembre 2008

Eluana è roba loro

Da «Eluana Englaro è roba mia... e se muore mi offendo» (Polvere di GG, 25 novembre 2008), pensieri suscitati dalla lettura di un volantino di Comunione e Liberazione:

Eluana Englaro non è al mondo per donarmi la sua presenza; né è obbligata a farlo. Eluana Englaro è di se stessa, e di nessun altro. Nessuno, nemmeno l’affetto più caro che si ha, ha il diritto di ritenersi vincolante ragione d’esistenza per chi gli sta intorno; se ciò avviene, l’affetto cessa di essere affetto e diventa un credito.
[…]
E infine: io non voglio “abbracciare Eluana”. Io non voglio, ne ho diritto di volere niente, in merito ad Eluana. Io, come voi, non conosco né ho mai visto Eluana Englaro. Io vorrei soltanto vivere in un paese laico, in cui l’autodeterminazione dell’individuo sia principio realmente condiviso.

domenica 31 agosto 2008

Il contagio della libertà

Un bellissimo articolo di Beppino Englaro, il padre di Eluana, sull’Unità di ieri («Il dolore oltre il dolore», 30 agosto 2008, p. 1):

se i medici intervengono e grazie al loro soccorso qualcuno non muore ma entra in SVP [Stato vegetativo permanente], attualmente, non ne può più uscire. Anche se si era espresso in passato dicendo che non avrebbe voluto stare in vita senza accorgersene, con le mani altrui che violano ogni intimità, ogni distanza fra la sfera personale, il proprio corpo, e il resto del mondo, non ne può più uscire.
Mi accorsi con incredulità che i medici con cui parlavo e la gente tutta intorno, avevano un punto di vista antitetico al mio, avevano valori opposti ai nostri; guardando lo stesso punto vedevamo cose diverse. Eccola, la vera tragedia: la civiltà a cui appartenevo, in quel preciso momento storico, aveva fatto valere per tutti dei valori nei quali Eluana, sua madre Saturna ed io non ci riconoscevamo e non ci riconosciamo. Essa difendeva, con i suoi ordinamenti giuridici e deontologici, il dovere di far sopravvivere gli individui in SVP contro la loro volontà per rendere omaggio alla vita, a questo bene personalissimo. Che lo SVP sia eretto, come ora accade, a paradigma della difesa del valore della vita umana, che sia fatto strumento per innalzare osanna verso supposte divinità, mi sembra una follia. […]
La tragedia nella tragedia è che Eluana sopravvive finora per il volere di alcune persone che si sono messe tra lei ed i fatti tutti suoi, tra lei ed il suo desiderio di essere lasciata morire senza prima sostare nel corridoio vuoto dello SVP. Mai e poi mai può essere dato ad alcune persone il potere di creare queste cose e ad altre il potere di imporle.
È di una violenza inaudita non poter rifiutare l’offerta terapeutica. […]
Ho notato, con amarezza, che le persone restie ai condizionamenti – delle quali Eluana era una evidente esemplare – vengono mal tollerate dalla nostra società perché, reclamando l’esercizio delle loro libertà fondamentali, sovvertono l’ordine prestabilito, e questo infastidisce e spaventa. Non si coglie che essi sono una ricchezza per la collettività, uno sprone al pensare da sé, un contributo al pacifico e prezioso fermento civile. Forse si teme il contagio che la libertà, come l’allegria, sanno muovere tra le persone dalle sensibilità affini.
Si confrontino queste parole con quelle che avrebbe pronunciato lo stesso giorno Monsignor Rino Fisichella al Meeting di Comunione e Liberazione (Gian Guido Vecchi, «Testamento biologico, la Chiesa apre alla legge», Corriere della Sera, 30 agosto, p. 13): «non c’è un primato della libertà ma della vita». E a questa oscena bestemmia la platea, degna dell’oratore, avrebbe applaudito... Al contagio della libertà alcuni, evidentemente, sono immuni senza speranza.

martedì 22 agosto 2006

RU486: oltre a Morresi e Roccella, ci si mettono pure le News di Articolo 21

Le posizioni di Assuntina Morresi e di Eugenia Roccella sono ormai piuttosto note. Così come le nostre posizioni al riguardo. Ad aggravare le insensatezze ricorrenti sulla RU486 e altri temi biotecnologici ci si mette questa volta anche un articolo pubblicato su Articolo 21 News, dal titolo Aborto: RU486; meeting, strumento per metter mano a legge 194 (anche la punteggiatura e l’italiano lasciano piuttosto a desiderare...), 21 agosto 2006. Sarà il caldo?

La pillola RU 486 “è una truffa colossale dal sapore squisitamente mediatico-commerciale che ha anche una valenza politica: far esplodere la legge 194 per consentire la privatizzazione dell’aborto”.
È duro l’attacco contro la ‘pillola del giorno dopo’ mosso al Meeting di Cl da Eugenia Roccella ex leader del Movimento di liberazione della donna durante un incontro con Giancarlo Cesana.
Liberazione della donna, verrebbe da dire, dalla ragionevolezza e dall’onestà di offrire ‘prove’ delle proprie dichiarazioni. Liberazione riuscita alla perfezione per la Roccella. Chissà che non le abbia barattate per ottenere l’immortalità (non di certo l’onniscienza!). La confusione tra la RU486 e la pillola del giorno dopo è da attribuire verosimilmente agli estensori dell’intervista. Consigliamo loro di documentarsi prima di avventurarsi in campi sconosciuti e misteriosi.
La truffa colossale, poi, sembra essere l’abuso di espressioni volutamente scioccanti, ma prive di qualunque contenuto. Ma andiamo avanti.
“La Ru486 – dice Assuntina Morresi, docente di Chimica dell’Università di Perugia, parlando a circa mille persone – … è una truffa sulla pelle delle donne perché si dice che l’aborto è facile, mentre in realtà è carico di dolore e sofferenza”. E, secondo la studiosa, quello che in Cina viene chiamato il ‘farmaco incubo’ non è una pillola del giorno dopo, ma un composto ormonale letale (mifepristone) che, in sinergia con una prostaglandina, provoca in successione la necrosi dell’embrione per assenza di nutrimento ed un falso aborto spontaneo molto doloroso, e soprattutto emorragico, entro 15/30 giorni dall’assunzione dei farmaci.
Roccella o Morresi? Non sarebbe chiaro in modo cristallino per quale ragione adesso a parlare è Morresi (almeno dall’articolo, lo diventa andandosi a guardare il programma: LA FAVOLA DELL’ABORTO FACILE. Miti e realtà della pillola RU486. Presentazione del libro di Eugenia Roccella e Assuntina Morresi), sebbene lo scambio di nomi non è particolarmente grave dal momento che la visione che abbracciano è senza dubbio la stessa. Non siamo comunque in grado di distinguere le genuine affermazioni della/e nostra/e dalle pessime interpretazioni di chi ha riportato le sue/loro parole.
Per la storia, il funzionamento e gli effetti della RU486 rimandiamo a RU486, la scienza si aggiorna... la pratica no. Per quanto riguarda l’attacco che la RU486 sferrerebbe alla 194, è utile riportare di seguito l’articolo 15 della legge sulla interruzione volontaria di gravidanza: Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza.
“Le ricadute sociali di questa privatizzazione dell’aborto, ha continuato la Roccella, rappresentano il lato oscuro della maternità: il rapporto fra madre e bambino rientrerebbe così nella sfera della privacy, mentre nella maggior parte dei casi le morti avvengono tra il tinello e la cucina, nella totale solitudine e nella sottostima dei sintomi da parte dei medici.
L’attacco alla maternità, con tutti gli strumenti biotecnologici e scientifici, è un attacco al cuore della civiltà, dal momento che il rapporto madre-figlio rappresenta un atto di riconoscimento pubblico e sociale”.
La descrizione delle morti avvenute tra il tinello e la cucina rievoca decisamente le brutte storie di mammane e aborti clandestini (forse c’è stata una sovrapposizione mnemonica?) piuttosto che il ricorso all’aborto farmacologico. In che modo ci sarebbe un attacco alla maternità non è chiaro. Come tante altre vicende umane, d’altra parte. Rassegnamoci al mistero.

La mutazione genetica, la malattia della libertà e il matrimonio leggero

Ovvero: considerazioni sulla famiglia e sui PACS nel Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, 21 Agosto 2006, Dalla famiglia ai Pacs: una mutuazione genetica. Mi astengo dal fare commenti, credo sia sufficiente leggere il testo.

A tema oggi pomeriggio al Meeting lo scontro tra famiglia e PACS: ne hanno discusso, introdotti da Caterina Tartaglione, Presidente del Sindacato delle Famiglie, Paola Soave Vice Presidente Forum Associazioni Familiari, Paola Binetti, Senatrice della Repubblica, Luca Volontè, Deputato al Parlamento e Carmen Carròn, di “Plataforma per la Famiglia”.

Assistiamo oggi, ha detto la Tartaglione, all’intento di portare avanti, da parte di molti Paesi dell’Unione Europea, i Patti civili di solidarietà sociale, nati in Francia nel 1999, che non prevedono nessun tipo di fedeltà e dove doveri ed obblighi variano a seconda dei casi. Il fenomeno delle coppie di fatto, secondo i dati ISTAT, coinvolge in Italia circa 500mila persone, a fronte dei 22 milioni impegnati in unioni di tipo tradizionale. Nonostante l’esiguità del numero, il fenomeno è amplificato da una spinta massmediatica molto rilevante, tesa a cambiare la definizione di famiglia.

“La famiglia tradizionale è considerata un retaggio del passato – ha proseguito – e questo accade perché la modernità vuole cambiamenti a tutti i costi, a discapito della durata, della fedeltà e della stabilità familiare”. “La morale diventa slegata dall’ideale”, ha concluso. La mutazione genetica del titolo dell’incontro, ha esordito la Soave, rimanda alla necessità di partire dell’oggettività della famiglia e non dalla soggettività. “La famiglia è un dato, non l’ha creata l’uomo” ricordando la Genesi.

L’uomo si realizza in una relazione con altro da sé: l’uomo è per la donna e viceversa. Per questo motivo il genoma della famiglia è un dato: la reciprocità assicura la discendenza. Oggi, come ha ricordato il Papa a Valencia, prevale l’immagine dell’individuo inteso come soggetto autonomo, che basta a se stesso. Questa immagine tende a cambiare la vita sociale che sembra essere affetta da una lato da una “malattia della libertà”, assenza di legami stabili e definitivi in nome della cultura del mutevole e del provvisorio; dall’altra una “concezione privatistica” della famiglia (la società sembra riconoscerla più come soggetto sociale il cui protagonista è il “coniuge”, che svolge una “funzione generativa” e da protagonista nella società).

Non si tratta, ha ribadito la Soave, di discriminare ma di differenziare: la questione “riguarda l’essere e non l’agire”. Con i PACS si vuole proporre una sorta di “matrimonio leggero”, creando a priori l’illusione di essere liberi perché in grado di scegliere quello che si vuole. Nessuno da cinquant’anni a questa parte, salvo sporadici casi, ha preso realmente in considerazione la promozione della famiglia e tutto dice che “chi è penalizzato è chi è sposato. Nella società di oggi, ha esordito la Binetti, assistiamo a “fenomeni disgregativi” e ad una “patologia del sistema famiglia”, da una parte genitori che si chiudono alla paternità e alla maternità e dall’altra a figli che si chiudono al rapporto con i propri genitori.

Per questi motivi il rifondare la famiglia non è una questione solo a livello di coppia, ma implica numerosi aspetti su cui occorre indagare, in modo da ribaltare i dati ISTAT di cui parlava la Soave. “Io non ho angoscia a pensare ad una coppia omosessuale: quello che mi angoscia sono i limiti, i contorni della vicenda”. Il legislatore deve preoccuparsi del diritto di tutti ma deve essere attento a non favorire la precarietà, l’instabilità e l’incertezza. A questi fenomeni si è arrivati perché viviamo in un contesto dove “volere è potere”, per cui si esigono le leggi. In tal modo ci priviamo della cultura della nostra corporeità che, nei fatti, è da assumere nella sua dimensione reale (sessuata).

Dal canto suo, Volontè, ha detto di voler contribuire ai lavori facendo un intervento da “genitore” e in questo senso si è detto dispiaciuto del fatto che i 9/10 degli italiani vedono calpestati i loro diritti quando pagano le tasse secondo il reddito e non secondo i componenti del nucleo familiare, o quando non si è liberi di educare i propri figli, in barba a quanto scritto nella Costituzione. “Il pericolo vero – ha proseguito – è il terrore della fedeltà”. C’è una regressione dei legami che è funzionale a chi comanda. Se non ci si ribella a questa direzione, supportata tra l’altro anche dai maggiori organi di stampa, si arriva sull’orlo del baratro. I PACS non sono un modello di vita di una società democratica perché in una società con 40 milioni di omosessuali non nascerebbe più nessuno. “Una società che discute di PACS è finita”, ha concluso Volontè.