Visualizzazione post con etichetta Libero. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Libero. Mostra tutti i post

sabato 31 ottobre 2009

Se i senza-giudizio sognano i senza-genitori

La notizia, pubblicata il 28 ottobre scorso su Nature, che da cellule staminali embrionali sarebbero state derivate cellule germinali, progenitrici di spermatozoi e ovociti, ha generato il prevedibile sciame di commenti, oscillanti fra l’allarmismo infondato e l’indignazione compiaciuta. Colpisce in particolare la sconfortante uniformità con cui nei giornali italiani di ieri si è cercato di far passare il concetto che la scoperta aprirebbe la strada alla nascita di bambini privi di genitori: anche trascurando le volgarità di LiberoChe disastro, non ci saranno più i figli “di buona donna”», p. 23), in cui si cerca come d’abitudine di titillare le sordide paranoie e l’infondato senso di superiorità della canaille microborghese che costituisce il pubblico naturale di quel giornale, l’idea trova ospitalità sulle colonne della Stampa («bambini concepibili […] senza mamma e papà»; il titolo – indegno – è «Il papà di Dolly e i dubbi sul seme di Frankenstein», p. 13) e del Corriere («procreare, estremizzando, senza padre o senza madre»; la sfumatura di prudenza si perde nel titolo: «Le nascite senza genitori. La vita dalle staminali», p. 29). Paradossalmente è più prudente Avvenire, che almeno pone i propri terrori in prospettiva («Un’altra possibile deriva verso la vita “artificiale”», p. 6), mentre col Giornale ritorniamo all’ossessione dominante («Generazione X: così i bimbi nasceranno senza genitori», pp. 16-17), aggravata dalle curiose concezioni dell’articolista («Spermatozoi artificiali […] e ovuli artificiali […] accoppiati in una provetta potrebbero arrivare a fare tutto da soli: creare un embrione, un futuro essere vivente senza l’intervento di mamma e papà»: perché, spermatozoi e ovuli naturali accoppiati in una provetta o anche in una tuba di Falloppio cosa fanno? Hanno bisogno di essere accompagnati per mano?) e da qualche metafora infelice («scienziati che masticano cellule staminali da una vita»). Ci vuole Carlo Flamigni, intervistato dalla Stampa per un soprassalto di sanità mentale («“Passo fondamentale per battere la sterilità”», p. 13), per far notare ciò che dovrebbe essere ovvio a chiunque sia in possesso della dotazione minima di buon senso (e di un diploma di scuola superiore):

Allora professore, ci saranno bambini concepiti già «orfani»?
«Assolutamente no, mi sono stupito quando ho sentito questa sciocchezza. I genitori ci sono eccome e sono le persone dalle quali sono state estratte le cellule staminali. I cromosomi sono i loro. La creazione di bambini senza genitori presuppone la creazione di materiale genetico e siamo mille miglia lontano. È fantascienza».
E naturalmente anche la prospettiva di generare bambini con gameti tratti da staminali è abbastanza remota; per adesso l’unica possibile applicazione della scoperta è lo studio dei fattori che influiscono su sperma e ovociti per determinare sterilità e infertilità.

La cosa più grave, però, non sono le reazioni semi-pavloviane di cronisti fuori dal loro elemento, che cercano nel titolo ad effetto la maniera più spiccia per sbrigarsi e tornare a casa per la cena, ma bensì i commenti in teoria più meditati. In essi il legame con la realtà fattuale dell’annuncio degli scienziati di Stanford, già particolarmente esiguo nelle cronache passate in rassegna più sopra, viene del tutto abbandonato in favore di una sorta di associazione libera di parole e concetti, in cui a uno stimolo meramente verbale («bambini senza genitori») si risponde con ciò che per primo passa per la mente, in modo da far affiorare alla coscienza incubi e nevrosi personali. Così, sempre sul GiornaleSe la scienza ruba emozioni e incontri a uomini e donne», p. 17), per Annamaria Bernardini De Pace, celebre avvocato matrimonialista, la scoperta odierna «toglie definitivamente valore alla coppia»; inoltre, «qualche mamma sarà persino felice di non deformare il suo corpo; di non “partorire con dolore”, ma non potrà mai apprezzare la carezza dell’uomo amato al suo pancione e il primo strillo del bambino che si stacca da lei». Qui il lettore si ferma smarrito: cosa c’entra mai questo scenario da fantascienza con la produzione di gameti a partire da cellule staminali? Il fatto è che l’autrice s’è immaginata – Dio solo sa perché – che a Stanford abbiano tratto dalle cellule staminali, «per una sorta di autogerminazione, sperma e ovuli, tanto che non esisterebbero più né l’altro genitore biologico né, forse, l’utero formativo»; una sorta di partenogenesi combinata con utero artificiale, di cui non c’è ovviamente nessuna traccia nel lavoro degli scienziati (unire a caso gameti derivati da un solo individuo servirebbe oltretutto solo a ottenere embrioni affetti da malformazioni gravissime).
Ancora sul GiornaleQuei figli di nessuno condannati alla follia dal delirio dei medici», p. 17), Claudio Risé associa «la costruzione di figli di nessuno, di essere [sic] umani fabbricati in laboratorio […] senza nessun contributo né di un padre né di una madre» alla sua annosa personale battaglia in favore del ritorno alla figura del padre autoritario:
Quando la mamma non c’è, non guarda e non tocca il suo cucciolo, quello che gli psicologi chiamano Io non si costituisce […]. Quando il papà non è presente, e non aiuta i figli a uscire dalla fusione che si instaura con la madre nelle prime settimane di gravidanza e continua per anni, il soggetto umano non si forma […] Negli ultimi trent’anni, in cui i padri assenti, o espulsi dal matrimonio sono diventati fenomeno di massa, le statistiche hanno mostrato che questi figli senza padre rappresentano in ogni paese il gruppo di testa dei principali disagi psichici, dalle tossicomanie agli atti di violenza, dai disturbi alimentari alle depressioni.
La famiglia è spesso un problema, ma non averla per niente è peggio.
Di nuovo: cosa c’entra questo con la scoperta di cui parla Nature? L’unica possibilità di dare un senso a queste righe è che Risé abbia indebitamente generalizzato la notizia (già in partenza fasulla), interpretandola in maniera estensiva e passando quindi dal piano biologico a quello sociale: i bambini non sarebbero solo concepiti in laboratorio, ma – sembra di capire – vi verrebbero anche cresciuti.
Risé, ad essere sinceri, conclude l’articolo con un appello condivisibile: «Tuttavia di fronte al sinistro circo Barnum tecnoscienza & mercato dei bambini, preoccupiamoci pure, ma non cadiamo nell’isteria»; ma l’esempio che subito dopo ci fornisce di reazione non isterica è questo:
È proprio ciò che gli scienziati pazzi vorrebbero, per poter dire che gli amanti della natura sono poveri matti retrogradi, e loro i sani. Per contrastare i loro scenari avidi, occorre lucidità e sangue freddo. In fondo, non sono passati neppure due secoli da quando, nel 1916 [sic], Mary Shelley, spinta da Lord Byron a scrivere un racconto gotico, vide in un incubo uno studente, Victor Frankenstein, che si inginocchiava di fianco ad una creatura che aveva costruito; e questa, grazie a qualche forza ancora sconosciuta, mostrava segni di vita. Era l’annuncio della tecnoscienza, ed il primo grido di allarme per i suoi futuri deliri. Non serve scandalizzarsi per le visioni umane, vanno però messe sotto controllo. O sono guai.
Scienziati pazzi, «scenari avidi», il mostro di Frankestein e i deliri della tecnoscienza: non c’è che dire, una risposta proprio compassata...

Queste risposte, fra l’isterico e lo stralunato, a una scoperta che si sarebbe dovuta accogliere invece con interesse e apertura, ci mostrano ancora una volta come il sentimento antiscientifico dominante sia un segnale di grave pericolo per il progresso del nostro paese; progresso non solo civile ma anche materiale, non tanto perché la scienza costituisce il motore ultimo della crescita economica, ma perché là dove si reagisce con terrore inarticolato a ogni minima opportunità e a ogni minimo rischio, lo spirito di intraprendenza non può essere che morto da un pezzo.

Aggiornamento 1/11: da leggere la riflessione di Michele Serra (nell’«Amaca» di ieri) su come è stata data la notizia.

venerdì 7 marzo 2008

Chi ha scritto l’ultimo post di Gabriella Carlucci?

La vicenda Carlucci non sembra voler più finire. Con l’intervento di ieri l’onorevole soubrette tocca un nuovo vertice del grottesco: un post orrendamente sgrammaticato, scritto in una lingua che sarebbe difficile definire ancora come «italiano», si conclude con un volgare insulto a freddo (che non riporto per senso della decenza) contro Luciano Maiani.

C’è, in aggiunta a questo, qualcosa di strano nel post. Lo stile – se così si può definire – non è il solito che si ritrova nel blog della Carlucci; persino il corpo dei caratteri è diverso dai post precedenti, come se qualcuno avesse incollato un testo formattato preesistente. Salta poi agli occhi una frase apparentemente assurda:

Se questo e’ un buon amministratore ditemelo voi, gli affideresti l’amministrazione del tuo giornale?
Di quale giornale si sta parlando? A chi si rivolge l’autore del testo? Di certo non a un generico lettore...
Un altro elemento anomalo, benché più sottile, è costituito dall’uso degli accenti. In tutto il post si trova costantemente la grafia «e’» al posto di «è»; in due casi l’accento viene omesso del tutto: «pubblico» (per «pubblicò»), «ne» (per «né»). Ma chi ha scritto il testo non disponeva di una tastiera priva di accenti, come si potrebbe pensare, visto che spesso usa anche lettere accentate.

Non è la prima volta che nella vicenda compare un testo con questa strana ortografia. Il 5 febbraio, sul quotidiano Libero viene pubblicato un articolo a firma di Tommaso Montesano («Gaffe sui quark e sul Papa. Ecco il nuovo capo del Cnr», p. 14), che attacca Maiani basandosi sul contenuto di una pagina web firmata col nome di David Cline, un fisico americano di chiara fama, in cui si formulano alcune delle accuse che poi la Carlucci contribuirà a divulgare. Ma Cline smentisce immediatamente di essere l’autore del sito, e obbliga il quotidiano di Vittorio Feltri a un’umiliante marcia indietro.
Il sito viene subito oscurato, ma il suo contenuto sopravvive online, in forma di file pdf. Se lo si legge con un minimo d’attenzione, si scopre che anche qui l’autore ha problemi con gli accenti: «boccio», «divento», «gesti» sono tutti verbi al passato remoto, ma privi dell’accento finale; eppure l’autore usa altrove lettere accentate (purtroppo il testo è breve e non c’è nessun esempio di «e’/è»). Anche qui l’italiano è avventuroso, ma opera chiaramente di un madrelingua.
Una coincidenza? È possibile. Volendo comunque spiegare il curioso fenomeno, si potrebbe pensare, fra le varie possibilità, a un italiano che ha usato per lungo tempo tastiere prive di accenti, come sono quelle dei paesi anglosassoni, e che si ritrova ora a disagio con una tastiera italiana. Anche alcune espressioni del post della «Carlucci» che sembrano anglismi si potrebbero spiegare in questo modo: come l’assurdo «Maiani […] che fa la scienza», che è forse un goffo calco dall’inglese «who does science» (in italiano «che si occupa di scienza», «che fa lo scienziato»).
Lo pseudo-Cline deve aver segnalato a qualcuno l’esistenza del suo sito: non avrebbe certo aspettato che venisse scoperto per caso. Non è assurdo pensare che si sia rivolto direttamente a un contatto giornalistico, a cui sarebbe stato naturale indirizzare le parole «gli affideresti l’amministrazione del tuo giornale?» (si noti che una frase di poco precedente questa, «questo e’ quanto dichiarato pubblicamente sulla rivista Nature di cui allego l’articolo», sembra provenire da un’email). Libero è citato dalla «Carlucci» nello stesso post come l’unico giornale che ha preso le sue difese.

Tutto ciò è ovviamente frutto di congettura. L’unica cosa certa è che Gabriella Carlucci porta l’intera responsabilità di quanto va pubblicando sul suo blog; responsabilità morale e, in questo caso, eventualmente anche penale.