Stefano Rodotà, intervistato da Eleonora Martini, dice cosa pensa del disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, che approderà in aula alla Camera il 21 febbraio («Illegalità e biopolitica nel nome di Eluana», Il Manifesto, 10 febbraio 2011, p. 6):
La legge è ideologica perché nell’articolo 1 si dice che la vita è indisponibile, cosa che dal punto di vista giuridico è del tutto falsa, come dimostrano un’infinità di casi: da quello dei Testimoni di Geova a chi rifiuta le cure e si lascia morire. La vita dunque è disponibile e, partendo da questa falsa premessa, si vuole imporre un puro punto di vista: la legge è perciò autoritaria. Poi è menzognera perché sbugiarda perfino il titolo: malgrado un delirio burocratico, queste “direttive anticipate” non valgono nulla. E scaricando le responsabilità sul medico, anziché evitare, aprirà molti contenziosi giuridici. Avremo non uno, ma 100, 1000 casi Englaro. È sgrammaticata perché si contraddice in più punti, come quando dice che le direttive possono essere revocate in ogni momento e poi afferma che bisogna farlo in forma scritta e davanti a un medico generalista (che non si sa cosa sia). Ciò vuol dire che se in televisione dichiaro di aver cambiato idea rispetto a quanto scritto nel testamento biologico, e subito dopo ho un incidente che mi riduce in stato vegetativo, quella mia dichiarazione davanti a milioni di persone non vale. Infine, è anticostituzionale perché, tra i tanti motivi, limita la libertà di cura e il diritto fondamentale all’autodeterminazione. Ed è perciò destinata a subire numerose sentenze di bocciatura da parte della Corte costituzionale.