venerdì 16 giugno 2006

La lobby delle staminali

Quante volte, ormai, ce l’hanno ripetuto? «L’unica ricerca che ha dato risultati concreti è quella sulle staminali adulte; le staminali embrionali non curano nulla». Doloroso stupore dei lettori e degli ascoltatori più miti: chi, chi, in nome di Dio, si ostina a sperperare sforzi e denaro in una ricerca senza prospettive? E perché? La risposta arriva subito: «Sono le lobby degli scienziati e delle grandi industrie farmaceutiche». Lo stupore scompare dai volti: ora sì che tutto è chiaro! Le lobby, certo!
I lettori e gli ascoltatori meno miti, invece, chiuso il giornale, staccata la connessione e spento il televisore, sono assaliti da un dubbio: ma questi scienziati, com’è che sono tanto fessi da giocarsi la carriera con studi inutili e costosi? E queste industrie, soprattutto, com’è che sono così folli da buttare soldi al vento per ricerche senza avvenire?
E il dubbio è fondato. Ce lo conferma una fonte insospettabile, una di quelle che non ti aspetteresti mai: Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana (Marina Corradi, «Staminali, quanto pesano le lobby?», 15 giugno 2006):

Se le applicazioni terapeutiche della ricerca sulle staminali adulte sono ormai numerose decine, mentre dalle embrionali non è stata ottenuta alcuna terapia e anzi si fatica a controllarne le tendenze proliferative, per quale ragione l’Europa vuole investire fondi comuni in un’attività scientificamente meno promettente, e contraria ai principi di diversi Stati membri? … quanto pesa un’attività di lobbying dell’industria farmaceutica, che nell’apertura generalizzata dei laboratori alle staminali embrionali ripone grandi interessi economici? Qualcuno, a quest’ultima domanda, risponde con brutale franchezza.
Come l’onorevole danese Margret Auken, una Verde di quel tipo sconosciuto in Italia, che dall’attenzione all’ambiente e alle foche è passato al riconoscimento che anche l’embrione umano merita rispetto. Se chiedi alla signora Auken dunque di questo vento di liberalizzazione, non ci gira attorno: «Soldi, soldi, soldi. Questa della ricerca sugli embrioni è una faccenda di soldi. Le aziende farmaceutiche spingono verso l’ammissione della ricerca ai finanziamenti Ue, non certo perché interessate a quei pochi milioni di euro che ne caveranno, ma perché l’apertura dell’Europa spinge verso la liberalizzazione in Occidente. E la ricerca sulle staminali embrionali offre la opportunità di brevetti che per l’industria farmaceutica sono miniere d’oro».
Ma, se ad oggi le embrionali non hanno ancora prodotto alcuna terapia provata? Un’altra deputata, la indipendente Kathy Sinnot, irlandese, spiega di avere fatto questa obiezione a un lobbyista di una multinazionale farmaceutica da cui è stata avvicinata. «Mi è stato spiegato – dice l’onorevole – che l’industria farmaceutica ritiene prevedibile che la ricerca sulle staminali embrionali necessiti ancora di un lungo periodo, forse anche di 30 anni, prima di essere utilizzabile a livello terapeutico. Tuttavia, per le grandi multinazionali è accettabile anche un investimento di così lungo periodo, considerando i risultati che contano di trarne» [corsivi miei].
Insomma, se davvero le case farmaceutiche investono montagne di denaro sulle staminali embrionali, sarà perché si aspettano di ricavarne un utile spettacolare. In altre parole, perché si aspettano che quella ricerca funzioni. Grazie a Marina Corradi per avercelo fatto capire (dico, sarà mica un’infiltrata della lobby?).

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