sabato 9 dicembre 2006

Ratzinger ci prova

Nel discorso che il papa ha pronunciato oggi nell’udienza concessa ai partecipanti al 56º Convegno Nazionale promosso dall’Unione Giuristi Cattolici Italiani, spicca un’argomentazione un po’ peculiare:

oggi la laicità viene comunemente intesa come esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell’ambito della coscienza individuale. La laicità si esprimerebbe nella totale separazione tra lo Stato e la Chiesa, non avendo quest’ultima titolo alcuno ad intervenire su tematiche relative alla vita e al comportamento dei cittadini; la laicità comporterebbe addirittura l’esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici destinati allo svolgimento delle funzioni proprie della comunità politica: da uffici, scuole, tribunali, ospedali, carceri, ecc. …
D’altra parte, la «sana laicità» comporta che lo Stato non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica. Questo comporta inoltre che a ogni Confessione religiosa (purché non in contrasto con l’ordine morale e non pericolosa per l’ordine pubblico) sia garantito il libero esercizio delle attività di culto – spirituali, culturali, educative e caritative – della comunità dei credenti. Alla luce di queste considerazioni, non è certo espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche.
La fallacia logica usata dal papa è duplice, e non è neanche particolarmente sottile; il che stupisce, da parte di quello che tanti considerano uno dei grandi intellettuali del nostro tempo. Ma si deve concedere a Benedetto XVI che la sua è una missione impossibile, e che in questi casi è inevitabile ogni tanto aiutarsi come si può...
Per prima cosa, Joseph Ratzinger si costituisce un bersaglio di comodo, facendo leva su un equivoco linguistico: in realtà, quando un laico (e persino un laicista) afferma che la religione debba rimanere confinata al solo ambito privato, non vuol certo limitare il libero esercizio delle attività di culto. Per sfera privata si vuole intendere qui semplicemente quella non statale. Una messa, in questo senso, è un evento privato, né più né meno che una preghiera pronunciata sottovoce nella propria stanza, e una lezione di catechismo all’oratorio ha lo stesso statuto degli insegnamenti di un genitore credente al proprio figlio. Ciò che si vuole impedire è soltanto che la religione abbia un influsso sulle decisioni politiche.
Ma diamo pure a «pubblico» il significato di «ciò che avviene in pubblico»: la fallacia papale diventa ancora più smaccata. Il fatto è che per Ratzinger vale uno spericolato sillogismo: visto che molte manifestazioni pubbliche della religione cattolica sono sacrosante – come le sue attività spirituali, culturali, educative e caritative – ne segue («Alla luce di queste considerazioni») che allora lo sono tutte, come l’esposizione dei simboli cristiani negli edifici pubblici. In altre parole:
  1. Molte manifestazioni pubbliche della religione cristiana vanno doverosamente consentite;
  2. l’esposizione del crocifisso nelle scuole e nei tribunali è una manifestazione pubblica della religione cristiana;
  3. quindi, l’esposizione del crocifisso nelle scuole e nei tribunali va doverosamente consentita.
A dicto simpliciter ad dictum secundum quid: professor Ratzinger, che mi combina?

1 commento:

Anonimo ha detto...

ah l'ho già commentato!
Cmq bravi, mi ricorda "Contro Ratzinger".... e comunque
dire che i pacs "distruggeranno la famiglia tradizionale" il mondo, l'universo e tutto il resto, è terrorismo psicologico.

Anzi, è diffondere notizie false e tendenzione atte a turbare l'ordine pubblico.