1. Nelle ultime  concitate settimane si sono verificate attorno al caso Englaro forzature  istituzionali  molto preoccupanti in sé e per sé,  ma assolutamente  inaccettabili  quando si controverte di valori fondamentali della  persona come il significato del diritto alla vita, la dignità dell’uomo,  l’habeas corpus, il diritto all’autodeterminazione: temi  che per rispetto delle radici stesse della convivenza civile in una  società pluralistica richiedono di essere affrontati, in sede normativa,  sulla base di approfondite e documentate conoscenze, di mediazione ed  ascolto delle diverse posizioni etiche, e con procedure adatte a consentire  la discussione, il confronto, la ricerca di un attento bilanciamento.
2. Ora il Parlamento  sta per approvare in tempi stretti una legge in materia di direttive  anticipate (c.d. testamento biologico). A quanto è dato di conoscere,  la maggioranza pare intenzionata ad una discussione rapida di un testo  fortemente limitativo del fondamentale diritto all’intangibilità  del corpo. Verso questo obiettivo si procede a passi spediti, senza  tener conto dei principi costituzionali di diritto interno e sovranazionale  ed ignorando l’esigenza di rispetto di posizioni morali diverse.
3. Sembra quindi  necessario  richiamare alcuni capisaldi giuridici in materia:
a) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ratifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. La previsione non riguarda solo le terapie in senso stretto, ma ogni “intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di “atto medico”, vale a dire qualsiasi atto che, anche a fine non terapeutico, determini un’invasione della sfera corporea.
All’art  9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito  di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento,  non è in grado di esprimere la sua volontà  saranno tenuti in considerazione”, ove se da un lato non si qualificano  i “desideri” come vincolanti, dall’altro è evidente che il rispetto  va dato non soltanto alle “dichiarazioni di volontà” (men che meno  alle sole dichiarazioni solenni come l’atto pubblico) ma ad ogni espressione  di preferenze comunque manifestata.
b) La  Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea protegge  il diritto alla vita (art.2) e il diritto all’integrità della persona  (art.3) nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fondamentale  diritto della persona (art.1). All’integrità della persona, in ragione  della dignità, è consustanziale il principio di autodeterminazione  stabilito nel secondo comma dell’art. 2,  secondo il quale “Nell'ambito  della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:  il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le  modalità definite dalla legge,  ecc.” Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti  terapeutici, ma riguarda la libera determinazione nel campo medico-biologico.”
c) La  Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art.  13, configura all’art. 32 il principio del consenso come elemento  coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei casi in  cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario,  “in nessun caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della  persona umana”. Tale dignità non può essere intesa solo in un  senso affidato a criteri oggettivi, ma implica il rispetto dell’identità  senza la quale cade la ragion d’essere della dignità dell’uomo. 
d) Il principio  che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione  consolidata della giurisprudenza europea, a valle di una evoluzione  che risale alla fine dell’800; e più volte si è confermato che anche  di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dissenso  dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche  di sostegno vitale, non ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste  invece in una condotta direttamente intesa a procurare la morte. 
e) Egualmente  estraneo all’eutanasia è il  principio condiviso in bioetica  e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza volontà  espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non  solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico)  ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento  in vita artificiale (cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code  de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370 del 22 aprile  2005  “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”,  e l’art. R 4127-37 del Code de la santé  publique, modificato dal decreto  n. 2006-120 del 6 febbraio  2006).
Guido Alpa, Giuseppe Amadio, Tommaso Auletta, Angelo Barba, Massimo Basile, Alessandra Bellelli, Andrea Belvedere, Alberto Maria Benedetti, Umberto Breccia, Paolo Cendon, Donato Carusi, Maria Carla Cherubini, Maria Vita De Giorgi, Valeria De Lorenzi, Raffaella De Matteis, Gilda Ferrando, Massimo Franzoni, Paolo Gaggero, Aurelio Gentili, Francesca Giardina, Biagio Grasso, Gianni Iudica, Gregorio Gitti, Leonardo Lenti, Francesco Macario, Manuela Mantovani, Marisaria Maugeri, Cosimo Marco Mazzoni, Marisa Meli, Salvatore Monticelli, Giovanni Passagnoli, Salvatore Patti, Paolo Pollice, Roberto Pucella, Enzo Roppo, Carlo Rossello, Liliana Rossi Carleo, Giovanna Savorani, Claudio Scognamiglio, Chiara Tenella Sillani, Giuseppe Vettori, Alessio Zaccaria, Mario Zana, Paolo Zatti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 












 
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